11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

mercoledì 30 gennaio 2008

020


L
a donna guerriero restò per un istante inorridita davanti a ciò che il suo sguardo si ritrovò ad osservare. La gola dell’albino era completamente aperta come conseguenza del passaggio nella sua carne della di lei spada e quel taglio era così profondo e violento da lasciare slabbrati i bordi dello stesso, permettendo addirittura di intravedere l’anatomia interna del corpo d’egli: ma nonostante tutto quello non una goccia di sangue sprizzò da lui, non una smorfia di dolore conquistò il di lui viso. Il monaco, anzi, si presentò beffardo più di quanto non lo fosse già apparso, guardandola ora senza più timori: ogni paura sul proprio destino era scomparsa, ogni dubbio sulla possibile superiorità della donna si era sciolto come brina al sole. Dove ella aveva offerto la propria migliore offesa, egli non aveva ceduto.

« Stolta. » ripeté, iniziando a riacquistare voce nel mentre in cui il di lui collo rimarginava la propria ferita, tornando rapidamente ad essere completamente sano, come se nulla fosse mai occorso « Pensavi davvero che il detentore delle sacre gemme di Sarth’Okhrin potesse essere abbattuto tanto facilmente? La tua ignoranza è superata solo dalla tua imprudenza. »

Midda, riprendendosi rapidamente dallo smarrimento per ciò a cui aveva assistito, tentò una nuova offesa, scagliando ancora la propria lama contro il corpo nemico. Ma l’uomo, questa volta, si mosse sufficientemente rapido e sicuro da fermare il colpo, da vanificare l’offesa. Ella tentò rapida di aggredirlo nuovamente, ma puntualmente egli bloccò il di lei attacco, quasi distrattamente. E mentre da lei l’energia continuava a scemare, in lui sembrava crescere gesto dopo gesto, fendente dopo fendente.
La donna, di fronte a quella situazione, cercò distacco dal proprio avversario, ritraendosi con un balzo: quel movimento improvviso le costò più di quanto non avrebbe potuto prevedere, straziandola dalla punta dei piedi fino al collo in una scarica di puro dolore per la situazione precaria in cui il di lei fisico si trovava. Stringendo i denti e l’elsa della spada con entrambe le mani, ella cercò di non demordere, di non vedere la propria difesa abbassarsi, la propria guardia smarrirsi. Non poteva e non voleva accettare l’idea di un avversario invincibile: nel corso della propria vita aveva incontrato ed affrontato ogni genere di nemici e molti fra essi si erano definiti imbattibili, inarrestabili, immortali. Ma, per quanto essi potessero essere forti e resistenti, per quanto l’apparenza di quelle affermazioni sembrava trovare realtà nel corso della lotta, alla fine un punto debole era sempre emerso, una breccia di umana fallibilità si era aperta in loro. L’albino, di certo, non poteva fare eccezione a tale regola: egli, prima ancora di fondersi in tale orripilante maniera con quelle due gemme ambrate, doveva essere stato comunque un umano, comunque un comune mortale. E per quella ragione, per quanto potere potesse aver conseguito nel diventare tutt’uno con le pietre, doveva aver conservato una natura mortale, doveva riservare una debolezza che in quel momento ella non riusciva a cogliere, ma che avrebbe potuto concederle la vittoria. Se così non fosse stato, il monaco non si sarebbe dimostrato timoroso di affrontarla, non avrebbe esitato nel prevedere l’esito di quell’incontro: invece aveva offerto prudenza, si era ritratto di fronte a lei, e quello dimostrava chiaramente la di lui vulnerabilità.

« Sarò stata imprudente nel reputare semplice la tua sconfitta… » sussurrò ella a denti stretti « Ma tu mi temi, e questa tua paura conferma che abbatterti è nelle mie possibilità. »
« Non ti sarà concesso alcun tentativo per cercare conferma di queste tue vane illusioni. » esclamò egli in risposta.

Ed in quella replica, l’uomo si scaglio con violenza contro la donna, alzando l’oscura falce e preparandosi a colpirla con forza, con un impeto da cui ella difficilmente avrebbe potuto salvarsi. Consapevole che la prima esigenza di ogni guerriero era quella di sopravvivere per poter combattere un nuovo giorno, Midda non ebbe esitazione a cercare di evadere da quell’attacco invece di tentare un’insana difesa: attendendo l’ultimo istante concessole, l’attimo prima della discesa della lunga e ricurva lama bianca della falce, ella di gettò lateralmente a terra, lasciandosi rotolare sopra i corpi morti degli adepti. L’arma dell’albino tagliò così solo l’aria, senza conseguenze a di lei discapito, ma ciò non lo fece assolutamente desistere: nel tempo di un battito di ciglia, prima ancora che la donna completasse il proprio allontanamento da lui, l’immagine del monaco vibrò ancora nell’aria, svanendo e ricompattandosi esattamente nella direzione in cui ella stava dirigendosi. La falce, nuovamente, cercò il di lei corpo, e solo la prontezza di riflessi della donna guerriero, in un sovrumano istinto di conservazione, la portarono a levare il braccio destro ad offrirsi come scudo: la lama bianca generò una pioggia di scintille nello scontrarsi con il nero metallo di lei, che pur accusando il colpo riuscì a dimostrarsi sufficientemente forte da resistere.

« Muori, cagna! » inveì l’albino, pesando con tutto il proprio corpo e tutta la propria forza sulla lunga falce, cercando di abbattere le difese di lei.

Il volto dell’uomo, per la prima volta, non celò più alcun sentimento, dimostrando tutta la rabbia, tutta l’ira, tutta la paura dello stesso in quel combattimento: sentimenti forti e quasi infantili, di chi si era troppo abituato ad avere facilmente la meglio sui propri nemici e si ritrovava sconvolto da tanta volontà di vivere.
Midda, non potendo mantenere la posizione a lungo, sdraiata a terra sotto di lui nell’equilibrio precario offerto dai corpi morti, decise di agire d’impulso, tentando il tutto per tutto in un ultimo gesto d’offesa. La mano destra di lei si mosse quindi con tutta la rapidità che poteva concedere, ruotandosi sul gomito che ancora reggeva l’impeto dell’arma avversaria, portandosi ad afferrare con forza il manico della medesima per tirarla lateralmente, guidando così la stessa energia nemica a sbilanciarne la postura: l’albino, colto di sorpresa da tale gesto, non poté fare altro che seguire quel sbilanciamento, piegandosi in avanti su di lei ed offrendosi per un attimo scoperto di fronte ad ogni possibile attacco. In quella frazione di tempo, la spada di lei scattò rapida e mortale, dirigendosi verso il volto avversario, verso gli occhi di giada del suo nemico: ed in un movimento netto e controllato, la punta della lama squarciò il volto avversario da tempia a tempia, frantumando il di lui setto nasale e sbalzandone le pietre oculari fuori dai propri bulbi.
Il tempo stesso sembrò fermarsi in quel gesto che sapeva di blasfemia: le due gemme magiche vennero sbalzate lontano dai due avversari, compiendo un lungo moto parabolico che le condusse a scontrarsi con l’orlo dell’abisso da cui la donna era emersa, al centro del tempio. E nel momento in cui esse ricaddero al suolo, tintinnando nel silenzio di quell’istante, un’immensa esplosione di luce scaturì dal volto dell’albino mentre un grido di puro e disumano dolore esplose dalla di lui gola. Allontanandosi, cieco nei movimenti, dalla donna, egli si portò le mani al viso, sfogando in un urlo straziante tutto il patimento che lo stava dilaniando: la luce irradiata dal suo viso aumentò, diventando insopportabile e portando ella a coprirsi gli occhi, non riuscendo a sopportare oltre tanta intensità.
Ed in un boato che scosse le colonne stesse del santuario maledetto, tutto ebbe fine.

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