11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

giovedì 7 febbraio 2008

028


N
onostante mancasse una porta da chiudere a divisione fra la camera principale e la stanza da bagno, per Midda entrare nella seconda fu come isolarsi dal resto del mondo, ritrovandosi finalmente sola con se stessa come ormai aveva smesso di essere da giorni. Per quanto ella non fosse particolarmente misantropa, preferendo di gran lunga essere immersa nel caos della folla piuttosto che nel silenzio del deserto, la donna guerriero aveva spesso la necessità di poter trovare il giusto riposo del silenzio e della solitudine, a riequilibrare la propria mente ed il proprio spirito in quell’universo entropico. Ed, a di là di ogni considerazione filosofica, ella amava il concetto stesso di bagno, di pulizia personale, di igiene e cura per il proprio corpo, sebbene per il proprio impiego non sempre questo le fosse concesso: poter tornare in un luogo definibile come casa e poter trovare una vasca piena di acqua calda ad attenderla, era pertanto un pensiero più che gradito, un sogno per cui combattere ogni propria battaglia.
Disinteressata in quel momento persino all’esistenza di Camne, la donna non offrì alcuna forma di pudore. Giunta di fronte alla vasca colma di acqua appena fumante, allungò delicatamente la propria mano sinistra a sfiorare quella superficie, in una carezza quasi sensuale, come verso un amante, ad assaporare il tepore di quel liquido, il senso di riposo che esso sapeva trasmetterle. Gli occhi si socchiusero per l’approvazione di un simile tesoro, per l’assenso ad una tale offerta votiva nei suoi riguardi. Anche le labbra si impegnarono nel trasmettere quel muto ed ignorato messaggio, inarcandosi alle estremità in un sorriso compiaciuto, che divenne anche entusiastico nel momento in cui la punta del medio, con audacia, superò la tranquilla resistenza della superficie dell’acqua per immergersi in essa, per comprovare ogni sensazione appena vissuta alla vista di quello spettacolo. La punta del dito, ricoperta da sangue secco, fango, polvere ed ogni altro genere di sporcizia, parve gradire a sua volta quel gesto, vedendo sciogliersi in quel lieve calore l’intera crosta che lo ricopriva come una seconda pelle, tornando finalmente a mostrare la beltade intrinseca nella propria forma, nei toni della di lei pelle, nella lucentezza dell’unghia corta ed appena rovinata da quello stile di vita estremo.

« Be’Sihl… potrei innamorarmi di te per questo. » sussurrò fra sé e sé, sincera nel godimento di quel momento.

Rialzandosi così sopra la vasca, Midda si genuflesse per iniziare a slacciarsi gli ammassi di stoffa e terra che osava definire calzari, tenuti integri più che altro proprio dalla presenza stessa dei lacci, che saldavano quelle pezze quasi prive di forma attorno ai di lei polpacci e caviglie. La donna di mosse con tutta calma, desiderando compiacersi di quel momento di riposo al pieno: non c’era nessun pericolo da cui fuggire, nessuna missione da inseguire, era assolutamente serena, tranquilla e mentalmente sola con quell’acqua appena calda, nella quale avrebbe scordato persino il proprio nome. In un tempo che non si preoccupò quindi di quantificare, da sotto gli stivali riemersero i di lei piedi: provati dagli intesi giorni di marcia, per un istante le dolsero a contatto con l’aria fresca della stanza, come se la perdita del sostegno esterno li avesse privati di una protezione contro ogni dolore. Quella sensazione, comunque, si protrasse per breve e dopo poco ella muoveva ritmicamente le dita inferiori, ora libere, per riattivare la circolazione del sangue in esse, con una conseguente scarica di piacere lungo tutta la spina dorsale, fino al collo: togliersi le scarpe, per una come lei, era qualcosa di assolutamente non scontato, un gesto per molti quotidiano che in lei diventava un’occasione di gaudio, perché rappresentava la ritrovata tranquillità, il raggiungimento di un nuovo momento di riposo. In effetti, ella non riusciva a concepire una vita diversa dalla propria anche per quella diversa concezione di gioia e pace che altrimenti non avrebbe avuto: per la maggior parte delle persone, racchiuse in una monotonia esistenziale di una quiete non sudata come era altresì la sua, quei piccoli momenti quotidiani non avevano significato ed, anzi, spesso venivano visti come superflui, inutili perdite di tempo. Ma per lei non era così: per lei potersi togliere gli stivali, potersi svestire e sdraiare in una calda vasca o in un letto morbido e accogliente, era un’eccezione, non una regola. E quell’essere rarità rendeva infinitamente prezioso ciò che per altri era privo di valore.
Appoggiati a lato gli stivali, che poi non avrebbe mancato di pulire, la donna guerriero si rialzò lentamente, quasi sorniona nei gesti, felina nei movimenti che la rividero erigere la schiena ed innalzare il capo, ad osservare nuovamente quella vasca. Con la stessa calma al limite della flemma già dimostrata per i calzari, ella portò poi le mani ai pantaloni, a slacciarli delicatamente, a sfilarli placidamente insieme al proprio perizoma, mentre il fango, essiccato sopra la stoffa al punto tale da fondersi in essa, ritrovò una propria autonomia, sgretolandosi in polvere grigia e ricadendo a terra, attorno a lei. Le forme del di lei corpo, piene e femminili, riemersero da sotto la stoffa con la stessa bellezza di una farfalla che lascia il proprio bozzolo, di un fiore che riapre i propri petali tornando a mostrarsi al mondo in tutto il proprio incanto. Quelle curve meravigliose apparivano create dagli dei per l’amore, per la vita, ma la strada che ella aveva scelto per sé sembrava voler ignorare, se non addirittura contrastare, i desideri di madre natura: dove ogni fibra del di lei essere gridava sensualità ed erotismo, ella impiegava tale carne con passione ed ardore in continue danze con la morte, in imprese impossibili per le quali un giorno avrebbe perso ogni speranza di fare ritorno ad una casa che non possedeva.
Dopo tanta quiete, tanta calma nei movimenti e nei gesti, sebbene la parte alta del suo corpo fosse ancora vestita, sembrò non riuscire più a restare lontana dalla vasca tanto bramata, tanto agognata: lasciati ricadere pantaloni e perizoma a terra, si mosse immediatamente a portare il piede sinistro all’interno del largo catino in legno, gemendo a labbra chiuse per il piacere del contatto con la vasca e rabbrividendo, contemporaneamente, per lo sbalzo termico fra il dolce tepore dell’acqua e l’aria esterna. Nel mentre in cui anche il piede destro avanzò all’interno di quella gioia, le braccia rapide sfilarono il resto dei di lei abiti, lasciandoli ricadere entusiasticamente a terra, per potersi immergere completamente nel caldo abbraccio del bagno. I seni, non più castigati dalla stretta della stoffa, non più stretti in alcuna fascia, completarono l’incredibile quadro di femminilità già offerto, scomparendo però in un attimo sotto la superficie dell’acqua insieme al di lei volto, quasi ella ne fosse stata risucchiata. Per quasi cinque interi minuti, la donna restò immersa completamente nella vasca, isolata ora fisicamente oltre che mentalmente dal resto dell’universo attorno a lei: nonostante l’ambiente ristretto che la costringeva a richiudersi in posizione fetale, stringendo al petto le braccia e le gambe, quel momento di pace valse ogni fatica che aveva compiuto, valse ogni dolore che aveva sofferto.
La polvere, il sudore, il sangue rappresi sulla pelle di lei improvvisamente si sciolsero, liberando tutto il chiarore della di lei candida pelle, mostrandone di nuovo le leggere macchie lentigginose sparse su spalle, schiena, seni, fianchi, ed insieme ad esse ponendo in risalto tutti i colpi da lei subiti nell’ultima missione: quella chiara epidermide appariva così lesa in molteplici punti, con segni di graffi, di morsi, di tagli che ne violentavano la dolce superficie, la quale appariva così macchiata da ematomi, colpi violenti da lei subiti soprattutto sull’addome sensualmente leggermente convesso e sulla schiena sinuosa. Un contrasto netto, quasi dissacrante o, peggio, blasfemo con la meravigliosa immagine precedente, quand’ancora i segni della di lei scelta di vita non erano così visibili, non erano così evidenti. L’amore che sicuramente molti poeti avrebbero decantato per lei era quanto di più lontano potesse esistere nella di lei vita quotidiana, troppo ricca di pericoli, di violenza, di sangue, di morte.

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