11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

venerdì 15 febbraio 2008

036


I
l sole non aveva ancora raggiunto lo zenit quando Midda tornò a scorgere la locanda di Be’Sihl. Il giro per il mercato aveva offerto i risultati sperati e la donna era praticamente certa che gli abiti che aveva scelto per Camne sarebbero stati perfetti: non eccessivamente appariscenti ma non del tutto banali, tali da permettere alla giovane di apparire con un proprio stile, un proprio carattere che avrebbe scoraggiato chi fosse stato alla ricerca di facili prede. Un abito poteva sicuramente diversificare l’essenza dall’apparenza, ma non avrebbe mai potuto cambiare la realtà dei fatti: il carattere della ragazza, troppo docile, troppo timido, troppo sottomesso, era qualcosa su cui ella avrebbe dovuto ancora lavorare in maniera intensiva al fine di rendere meno problematico il viaggio verso nord. Iniziare dal vestito era solo un primo passo: un piccolo primo passo di certo, ma comunque un primo passo.
Mentre la donna guerriero tentava di pianificare al meglio l’organizzazione dei successivi giorni, dividendo il tempo fra l’educazione caratteriale a cui avrebbe sottoposto la sua giovane compagna e tutti i preparativi per il viaggio, l’ultima fra tutte le cose che desiderava vedere apparve al contrario evidente al di lei sguardo.

« Thyres… » mormorò, stringendo immediatamente i denti e le labbra « Ma non posso stare tranquilla un paio d’ore? »

L’edificio della locanda non era ovviamente una torre: né Be’Sihl né qualsiasi altro locandiere in quella città, al di là del patrimonio personale, avrebbe potuto permettersi tale uso per un edificio tanto costoso. Costituito su una larga pianta rettangolare, esso si offriva su un totale di due piani al di sopra del livello base, ornati dalle tipiche finestre bifore e trifore kofreyote ma del tutto privi di balconate: in Kriarya non era ipotizzabile, neanche nelle cime più alte delle torri, il ricorso architettonico a simili ornamenti che avrebbero presentato semplice possibilità di ingresso per ogni genere di pericoli. Il tetto sopra l’edificio, poi, si delineava con una sagoma appena inclinata: il clima della zona, pur non godendo della costante placidità della penisola tranitha lì confinante, riusciva comunque a mantenere un certo grado di mitezza che non richiedeva una conformazione particolarmente inclinata nelle superfici superiori delle costruzioni, al contrario di altre città.
Fu sul tetto quasi piatto della locanda che la donna guerriero scorse, quasi per caso, le figure di tre uomini dalle vesti grigie e dai mantelli rossi, nei quali avvolgevano quasi completamente ogni propria forma, viso compreso. Proprio quei mantelli rossi ne dichiaravano la natura senza possibilità di incertezza, senza ambiguità: erano mercenari, membri della Confraternita del Tramonto. Se già simili presenze la avrebbero inquietata, ciò che essi stavano trasportando tolse ogni dubbio di turbamento da lei per farle portare direttamente la mano sinistra all’elsa della propria spada. Avvolta nelle stesse coperte del letto in cui anche Midda aveva dormito era la chiara linea di una persona immobile, forse priva di sensi: inutile stare a perdere tempo a verificare che la massa di quella forma fosse effettivamente quella di una ragazza per arrivare alla semplice e chiara consapevolezza del rapimento in corso.

« Cani kofreyoti! » gridò verso il cielo, per farsi sentire, sfoderando la propria lama lucente in mille riflessi azzurri, simili a quelli dei di lei stessi occhi « Fermatevi! »

La Confraternita: una sorta di associazione fra mercenari, inizialmente nata in maniera spontanea e successivamente organizzata attraverso chiare gerarchie e regole, che estendeva la propria azione in quasi tutta Kofreya, dominando completamente nelle province meridionali e parzialmente anche in quelle settentrionali. In essa chiunque, anche privo di esperienza, poteva imparare l’arte della guerra, del furto, dell’omicidio, venendo formato per essere un mercenario perfetto, assoluto, devoto solo alla medesima organizzazione, che lo avrebbe posto al servizio del migliore offerente. In quella città, troppo corrotta, troppo in mano alla violenza, al caos, all’inversione stessa del concetto di civiltà, l’azione della Confraternita era meno autoritaria rispetto a quella offerta in Karesya o Lysiath, lasciando spazio anche per altri mercenari, liberi da ogni controllo, come era lei stessa. Ma altrove, dove legge ed ordine erano ancora parole con un senso compiuto, quell’associazione aveva imposto il proprio veto sopra ogni attività mercenaria trovando anche l’appoggio dei governanti locali, del potere istituzionale: solo i membri dell’associazione avrebbero potuto operare, avrebbero potuto offrirsi a chiunque li avesse voluti reclutare. Per tutti gli altri, per coloro che non accettavano l’idea di rinunciare alla propria indipendenza in nome di un’aggregazione costituita, non vi era e non vi sarebbe mai stato spazio.
Midda aveva già avuto, in passato, accesi “scambi di opinione” con la Confraternita e con molti suoi rappresentati, ma in confronto a quanto era avvenuto ciò che stava accadendo in quel momento non poteva trovare paragone: quei mercenari rosso vestiti stavano rapendo Camne, la sua protetta, il suo investimento, e lo stavano compiendo in casa sua, in ciò che per lei era quasi un vero e proprio sancta sanctorum.
Non era un semplice sequestro: era una dichiarazione chiara ed inequivocabile.
E se essi volevano la guerra, in lei ne avrebbero trovato la dea.

Con uno scatto felino la donna iniziò a correre attraverso la folla, che di fronte alla di lei spada sguainata non oppose alcuna resistenza aprendosi a destra ed a sinistra per lasciarla passare: tentare di raggiungerli risalendo attraverso la locanda sarebbe stata una scelta stupida, dato il netto vantaggio che essi avevano rispetto a lei. Perderli di vista era l’ultima cosa che avrebbe dovuto fare e se fosse entrata in un edificio per ascendere alla loro altezza, essi avrebbero avuto occasione e tempo per dileguarsi, disperdendo irrimediabilmente le proprie tracce: per tale ragione ella avrebbe dovuto trovare un modo per gettarsi sui tetti dall’esterno degli edifici o, eventualmente, riuscire ad attenderli nel momento in cui essi sarebbero ridiscesi. Con un movimento perfettamente ritmico e controllato del proprio corpo, in un razionale controllo dei propri gesti come solo la saggezza maturata in troppe battaglie poteva concedere in contrasto con l’emotività e l’enfasi dell’inesperienza, la mercenaria condusse quella corsa con la stessa leggiadria, con la stessa armonia di una danza: agli occhi di coloro che la videro, ella sembrò quasi lievitare sopra il terreno, eterea come una ninfa di fiume, offrendo loro una sensazione di perfezione, di pace assoluta, di libertà oltre ogni confine stabilito.
Quando di fronte alla traiettoria di quella corsa sfrenata si offrì una possibilità di risalita, ella non mancò di sfruttarla, con indomito vigore, in un apparente sprezzo per ogni pericolo dietro il quale, altresì, si celava la consapevolezza piena di ogni propria capacità, di ogni propria potenzialità. In un salto poderoso quanto leggiadro e naturale, ella si catapultò con il piede sinistro al di sopra della folla, trovando sostegno ed appoggio sul carretto di un mercante ambulante lì stanziato, facendo seguire a quel primo gesto un nuovo slancio che vide il piede destro appoggiarsi nell’incavo di una finestra a bifora. Quel momento, però, risultò fugace quand’ella, con una torsione del busto, invertì il proprio baricentro al fine di raggiungere un nuovo punto d’appoggio rappresentato da un ornamento gotico posto al centro dell’arco superiore di una porta: nell’istante in cui il piede sinistro di ella si appoggio sul medesimo, il piede destro si proiettò nuovamente alla ricerca del proseguo di quell’ascesa, trovandolo in una pietra sporgente nella parete grezza dell’edificio. Tutto il corpo di lei, ogni fibra del di lei essere era tesa in quel movimento continuo, in quella risalita incredibile che da lei pretendeva concentrazione assoluta: laddove il corpo raggiungeva un risultato, già la mente ed i sensi dovevano essere rivolti alla tappa successiva, in tempi tanto ristretti da far sembrare tutto quello quasi istantaneo. Midda non stava semplicemente arrampicandosi su quella parete: stava correndo verticalmente su di essa esattamente come prima affrontava orizzontalmente la strada, in uno spettacolo meraviglioso e sovrumano che nessuno riuscì a seguire nella propria pienezza, nella propria integrità, tanto esso fu rapido.
Laddove in un momento precedente spiccava il primo balzo, nel tempo scandito da pochi battiti del cuore la mano destra di lei afferrò saldamente il bordo del palazzo scelto per la scalata, per comparire così alle spalle dei mercenari della Confraternita.

« Vi avevo domandato di arrestare la vostra fuga… » esclamò, con la spada ancora in mano « Perché non mi avete voluto dare retta? »

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