11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

www.middaschronicles.com
il Diario - l'Arte

News & Comunicazioni

E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

lunedì 31 marzo 2008

081


« V
ado io. »

Tre erano le motivazioni che spinsero la donna guerriero verso quell’affermazione, all’apparenza di natura tutt’altro che emotiva: fredda infatti era la voce, glaciali gli occhi tanto chiari da sembrare più bianchi che azzurri, larghe le pupille nere come le tenebre più oscure che in tale estensione cercavano di penetrare. I muscoli del di lei corpo non fremevano, ma si mostravano tesi ed elastici, simili ad un complesso di catapulte pronte a fiondare i propri pesanti proiettili contro un obiettivo da distruggere: ella era preparata, predisposta psicologicamente e fisicamente a condurre a termine il proprio compito, l’impegno che aveva già decretato come proprio.

« Cosa?! » domandò retoricamente il capitano, avendo perfettamente udito quelle parole.
« Vado avanti io. » ripeté la mercenaria.

La prima motivazione era data dalla propria esperienza: con rispetto e nessun desiderio di sottovalutazione per i propri compagni d’avventura, ella riteneva di essere la più indicata per affrontare l’ignoto rappresentato da quella nave. Quel genere di incarichi, del resto, erano da anni parte essenziale della di lei natura, del di lei lavoro: raramente, per quanto ella apprezzasse pianificare nei minimi dettagli ogni propria azione, ogni propria strategia, le era stato concesso di poter fronteggiare una missione nel pieno controllo su tutte le incognite, nella conoscenza preventiva di tutti gli imprevisto. Al contrario, come anche la recente incursione nella palude di Grykoo aveva dimostrato, la maggior parte della di lei vita la vedeva impegnata a difendersi da creature immonde, pericoli sovrannaturali e stregoni di ogni risma e questo, a lungo andare, le aveva concesso una certa abilità, una predisposizione essenziale derivata dall’esperienza: la capacità di sopravvivere.
Tale virtù, per quanto potesse sembrare scontata, non era assolutamente naturale nelle persone comuni, nella maggior parte della popolazione, la quale ritrovandosi di fronte ad un pericolo, di fronte ad un orrore anche consueto, non sarebbe stata in grado di conservare il controllo, di richiamare a sé la giusta quantità di adrenalina utile a ribellarsi a ciò che la propria mente non desiderava elaborare, a ciò che le proprie emozioni non desideravano accettare. Sicuramente ai marinai della Jol’Ange quella capacità non mancava, essendo un requisito indispensabile per i figli e le figlie del mare, per tutti coloro che quotidianamente vivevano laddove chiunque altro sarebbe morto: ma forte della propria esperienza, forte della natura della propria stessa esistenza, ella osava peccare in superbia nel ritenere di avere le migliori possibilità rispetto a chiunque altro contro qualsiasi genere di pericoli l’avessero potuta attendere all’interno di quella nave fantasma.

« Non da sola. » obiettò con convinzione Salge.
« Sai anche tu che devo andarci da sola. » ribatté Midda.

La seconda motivazione derivava da un ragionamento assolutamente logico e non atto ad una propria sopravvalutazione nel confronto con i compagni di navigazione: escludendo Camne, sua protetta, ella era l’unica risorsa non indispensabile alla goletta per proseguire il viaggio verso nord. La perdita di un solo membro dell’equipaggio avrebbe creato un danno agli equilibri interni della nave, al rapporto di forze perfetto creatosi nel tempo fra persone un tempo estranee poi diventate famiglia: la mercenaria non voleva accettare di poter essere responsabile per un tale danno con la propria indolenza, di essere fonte di nuovo dolore e nuova tragedia a bordo della Jol’Ange e nel cuore del capitano della stessa.
Qualcuno avrebbe potuto sicuramente obiettare che, in tale ragionamento, quell’azione appariva più dettata dal senso di colpa, dal rimpianto per gli antichi compagni abbandonati ad un triste destino che dal un ragionamento realmente logico. Qualcuno avrebbe anche potuto affermare che il di lei voler cercare la morte si presentava quale conseguenza di un desiderio di espiazione per la colpa della propria assenza passata: forse tale obiezione non sarebbe stata inesatta, forse l’emozione in quel momento stava influenzando veramente la di lei logica, ma ciò non poteva rendere vana la razionalità della motivazione, la correttezza delle conclusioni raggiunte: era e sarebbe rimasto innegabile che la donna guerriero, fra tutti i membri dell’equipaggio, risultava essere il più sacrificabile. E per quanto Salge potesse voler opporsi, voler negare quella realtà dei fatti, anche egli non poteva non rendersi perfettamente conto di quanto ella fosse nel giusto.

« Hai tempo dieci minuti per tornare a fare rapporto. » acconsentì l’uomo dai lunghi capelli corvini « E se per tale termine non avrai dato notizie, verremo a cercarti… »
« Se per tale termine non avrò dato notizie, allontanatevi. » rispose la donna, seria in volto « Perdere tempo nella ricerca di un cadavere non aiuterà di certo voi altri a sopravvivere. »

Il silenzio calò a quella triste affermazione da parte della donna guerriero, nella consapevolezza della gravità di tali parole.
La terza motivazione che spingeva ella a prendere un rampino, a farlo roteare vorticosamente sopra la propria testa ed a gettarlo verso la nave fantasma, per creare un contatto, un ponte di corda fra la Jol’Ange e quell’obiettivo, era forse quella più stupida, di cui lei stessa provava una certa vergogna a rendersene conto. Nel momento stesso in cui Salge aveva negato ogni possibilità di proseguire nella navigazione ignorando quel veliero alla deriva, ella aveva desiderato gettarsi in quella nuova avventura, penetrare nelle viscere tenebrose di quel mostro marino per scoprirne i segreti più oscuri: era un sentimento sciocco il suo, un ardire inutile che nulla le avrebbe portato in tasca, escludendo la possibilità che a bordo della nave vi fossero dei tesori ad attenderla. Ma la mercenaria non stava compiendo tutto ciò per denaro, non vi era un incarico offerto da un mecenate e da lei accettato a spingerla a porre a rischio la propria esistenza: forse, dopo tante avventure, dopo tanti pericoli, dopo tante battaglie, ella non poteva concedersi tanta tranquillità come al contrario in quei giorni non si era negata. Il di lei animo, il di lei cuore, la di lei mente, il di lei corpo, non potevano permettersi di restare a riposo, non potevano donarsi serena quiete: ella aveva un bisogno costante, quasi assuefante di nuove sfide, di nuove prove nelle quale sentirsi viva e padrona del proprio destino, nelle quali danzare insieme alla morte e per essa poter trovare gusto nella vita, in ogni istante di esistenza che le poteva essere concesso.
Era sicuramente sciocco, ma Midda aveva bisogno di quella nave fantasma, aveva necessità dei pericoli che essa avrebbe potuto offrirle, delle mille morti che in essa potevano stare attendendola: perché ormai, dopo tutti quegli anni, lei non era più semplicemente una marinaia, forse non era più neanche una figlia del mare, nel quale un tempo poteva ritrovare l’apice e la completezza piena del proprio essere. Ella era ormai una guerriera, una combattente, forgiata nel sangue e nel dolore, in un fuoco troppo forte, troppo vivo per permetterle di poter tornare indietro, di poter rinnegare la propria nuova natura in virtù di tutte le gioie della propria vita passata.
E nel suo legare con forza l’estremità della corda alla balaustra della Jol’Ange, quella innegabile realtà si offrì chiara non solo ai propri occhi ma anche a quelli di ogni altro presente, dell’intero equipaggio e di Camne: il di lei cuore, un tempo votato al mare, ormai era stato spezzato in tale amore, in tale legame, indurito dalla violenza del resto del mondo, dagli orrori di una vita troppo lontana da quella serenità.

« Midda! » esclamò la fanciulla sua protetta, avanzando verso di lei come a fermarla.
Ma la donna non si fece bloccare da quel richiamo, gettandosi in un balzo a pendere sopra le onde, salda nel proprio controllo sulla corda: « Salge e gli altri si prenderanno cura di te se non dovessi fare ritorno, Camne. Ma non avere timore… ho la pelle più dura di quanto non possa apparire. »

domenica 30 marzo 2008

080


N
eanche la donna guerriero si oppose di fronte alle ultime parole di Salge: ella, in quella spiegazione, in quelle emozioni così direttamente trasmesse, non poté fare altro che comprendere ed accettare il dolore di un capitano impotente di fronte alla morte del proprio equipaggio, di un uomo disperato di fronte alla perdita di quella che era la propria famiglia. Per quanto egli fosse forte, per quanto il di lui carattere potesse piegare freddamente i nemici a sé e trascinare entusiastici gli amici con sé, il comandante della Jol’Ange era e restava un normale uomo, un mortale che sentiva di avere un debito più grande di se stesso, un debito che non avrebbe mai potuto ripagare se non votando completamente la propria esistenza a quella nave ed a tutti gli equipaggi che essa avrebbe avuto, se non impiegando ogni minima energia, ogni sforzo ad impedire che altre tragedie simili potessero nuovamente offrirsi. Mai avrebbe pertanto potuto ignorare la nave che, apparentemente priva di controllo, si muoveva non lontano dalla loro, affidandosi alle correnti: ai di lui occhi quella era la volontà del suo dio, del mare, che a lui richiedeva espiazione. Neanche un tempo, prima ancora della morte del precedente equipaggio della goletta, egli avrebbe voltato il capo di fronte ad una simile situazione, non essendo tale comportamento parte del proprio carattere, parte dell’animo di quell’uomo di cui Midda non aveva potuto evitare di infatuarsi, di lasciarsi ammaliare: ma ora, ora dopo tutto ciò che era accaduto, l’egoismo che ella gli aveva proposto nel suggerire di ignorare quel veliero, per non rischiare nuovi drammi, nuovi dolori, non poteva in alcun modo essere da lui essere condiviso.

« Noal… vira a dritta. » ordinò Salge, ringraziando con uno sguardo l’implicita comprensione che aveva colto nella donna un tempo amata « Procediamo verso quel brigantino. Con cautela, però. »

Il secondo al comando, posizionato al timone, eseguì immediatamente i desideri del suo capitano, facendo inclinare appena la superficie del ponte, insieme all’intera nave: il vento che fino a quell’istante aveva sospinto il loro cammino sembrò non gradire quella sfida ai propri voleri, quell’affronto alla propria forza, facendo vibrare con forza i due alberi della goletta e le tre vele da loro sorrette.

« Per Tarth! » esclamò con vigore il capitano « Ognuno al suo posto, ciurma di scansafatiche! » inveì con il solito tono da comando verso i presenti « Non siamo qui per divertirci! »

L’immobilità che per un istante aveva bloccato tutti sul ponte della goletta venne così prontamente spezzata da quel richiamo, vedendo ognuno scattare verso le propri posizioni, verso i propri incarichi per riprendere il controllo della nave prima che il vento potesse rischiare di danneggiare il tessuto delle vele: anche la donna guerriero, ritrovando il proprio ruolo di marinaia, non oppose il minimo accento a quel richiamo, ritornando al controllo delle sartie e dei tiranti dell’albero maestro.

« Masva… vai a svegliare anche gli altri. » aggiunse subito dopo il comandante della goletta, tornando a volgere lo sguardo verso la posizione dove intuiva essere la loro meta ma dove, comunque, non poteva ancora vederla.

Senza una parola, la fanciulla dai corti capelli rossi lasciò il compito che stava eseguendo per correre verso la scaletta congiungente il ponte con gli alloggi sotto coperta, non perdendo assolutamente l’equilibrio nei movimenti quasi leggiadri e rapidi che la videro protagonista nonostante la violenza delle raffiche di vento ora a loro non più favorevoli, non più amiche.
In quella virata, nel cambio di rotta che la goletta aveva compiuto, le forze dell’aria sembravano infatti non voler offrire il proprio benestare, non voler concedere la propria benedizione: un presagio che in altre circostanze tutti loro si sarebbero ben guardati dall’ignorare ma che ora, per il legame che li univa l’un l’altro e che li stringeva con forza indomita attorno alla figura di Salge, non avevano esitazione a contrastare. Quella, del resto, era la forza della Jol’Ange e del suo equipaggio: la forza del gruppo che si moltiplicava nell’unico e che per ognuno di loro avrebbe visto tutti impegnarsi fino all’ultimo respiro.

« Ron-Hun, all’armeria: voglio che tutti siano equipaggiati come per un arrembaggio. » continuò il capitano, con tono serio « Se vi fosse qualcuno a bordo di quel brigantino desideroso delle nostre vite, dimostreremo loro tutto l’ardore di cui siamo capaci… e li faremo pentire di questo sciagurato giorno! »

La mercenaria non poté che approvare quell’ordine, sorridendo dentro di sé per il controllo che egli era riuscito in tali parole a dimostrare: nonostante i fantasmi del passato lo stessero tormentando interiormente, non aveva ceduto all’impulsività come lei forse avrebbe fatto al di lui posto, preferendo seguire sì il proprio cuore ma al tempo stesso dando spazio alla propria mente. E dove la di lui emotività lo spingeva verso quella nave, desideroso di prestare soccorso a coloro che credeva in difficoltà al suo interno, il di lui raziocinio non gli faceva ignorare i pericoli di cui anche lei aveva sottolineato la possibile presenza: se l’equipaggio della goletta fosse stato radunato sul ponte ed armato di tutto punto, avrebbero probabilmente conservato ugualmente un fattore di vantaggio qualsiasi avversario si fosse loro offerto.
Anche in una scelta come quella, in un giusto miscuglio fra passione e logica, l’uomo dimostrava quanto il ruolo che egli ricopriva a bordo della nave non era a lui gratuito, non era a lui donato come conseguenza della sua proprietà materiale sull’imbarcazione stessa: ad ogni capitano era richiesto in ogni momento della propria esistenza, in ogni istante della propria attività, di compiere scelte come quella, decisioni per le quali i propri uomini e le proprie donne avrebbero potuto perdere la vita o guadagnare gloria sempiterna. E l’unica possibilità per trovare un corretto equilibrio in tali scelte era quella offerta nell’impiegare mente, anima, cuore e corpo nel compimento delle stesse: solo in tale comunione interiore un comandante poteva condurre il proprio equipaggio a compiere un salto nel buio, confidando nella riuscita di tale balzo, nel successo di tale azione, nella possibilità di tornare ancora una volta al porto conosciuto con il nome di “casa”.

« Vira di altri due gradi, Noal… inizio a distinguerla anche io! » esclamò Salge, indicando un punto nel buio.

E davanti a loro, davanti all’intero ed eterogeneo gruppo ormai radunatosi sul ponte della goletta, un veliero dalle vele strappate e dagli alberi spezzati si presentò affidato unicamente ai capricci del mare: non una figura umana si riusciva ad intravedere sul ponte, non una luce si poteva intuire fra quelle forme, non un segno di vita era sperato in quella desolazione, fra quelle macerie più simili a relitto che ad imbarcazione.
Se quella davanti a loro non era una nave fantasma, essa sicuramente aveva tutte le caratteristiche per essere classificabile come tale.

« Che Tarth ci protegga. » non poté evitare di sussurrare il capitano, stringendo le labbra a quella tetra visione.

sabato 29 marzo 2008

079


D
opo una settimana di venti favorevoli e mare quieto, la Jol’Ange era riuscita finalmente a salutare il golfo ed a circumnavigare la seconda penisola tranitha, attraversando gli arcipelagi lì antistanti con un unico scalo utile e necessario a rifornire la stiva con nuove riserve d’acqua potabile, il vero e solo bene di prima necessità non concedibile dal mare, nonostante la propria intrinseca natura. In quei primi sette giorni di navigazione non solo Midda aveva dimostrato che la propria natura di marinaio non era stata mai scordata: anche Camne aveva avuto modo di inserirsi perfettamente all’interno dell’equipaggio, abituandosi rapidamente ai ritmi imposti dai turni, al lavoro spossante ed alla vita da camerata della goletta. Probabilmente al successivo scalo in un porto lungo il percorso tracciato, programmato per alcuni giorni a seguire, nessuno sguardo esterno avrebbe saputo distinguere la donna e la fanciulla dal resto del resto del gruppo, tanto era completa la loro integrazione fra essi, e di questo la mercenaria non poteva che essere lieta per la propria protetta: i giorni trascorsi in Kryaria apparivano così lontani ed anche la fanciulla dai lunghi capelli rossi e dall’aria spaurita e fragile sembrava appartenere ormai ad un’altra epoca. Ai di lei occhi, Camne ora si mostrava rafforzata nel carattere, più spigliata, socievole, aperta al gioco ed allo scherzo, e nel corpo, più tonico, sciolto ed appena indurito dalla non facile quotidianità della vita di bordo.
Nel cuore della donna guerriero, nonostante tante ragioni di positività, nonostante il clima di assoluta serenità con ogni membro dell’equipaggio, non riusciva a mancare un velo di irrequietezza, un’ombra di sospetto: non rari erano i momenti in cui, sveglia o a riposo, ella scattava con muscolatura tesa e spada alla mano, pronta a colpire a morte chiunque le si fosse parato davanti; non poche erano le occasioni in cui, nel rumoroso silenzio del mare e della navigazione, suoni o impressioni di suoni la portavano ad una posizione di guardia, dimentica della realtà dei fatti che la vedevano lontana da qualsiasi anima viva al di fuori dei propri compagni. Ella non mancava di sentirsi sciocca per tanta paranoia, perché solo in tali termini poteva essere descritto il suo stato d’animo, e cercava di mascherarlo, di dissimularlo dietro a risa, battute e scherzi: agli occhi di chiunque la circondava la donna appariva sempre gioviale, sempre allegra, pronta a raccontare vecchi aneddoti o a dar vita a nuovi. Fra lei, Ja’Nihr e Berah, oltretutto, si era venuto a creare un clima di complicità molto forte, che superava le diversità caratteriali fra le donne e che le spingeva ad organizzarsi, anche senza bisogno di parole, in veri e propri giochi a “discapito” del resto dell’equipaggio, soprattutto nella componente maschile dello stesso: l’unione di tre stupende compagne di ventura, del resto, non poteva non favorire l’insorgere di situazioni estremamente maliziose, circostanze quasi sempre nate per puro caso ma sviluppatesi con la tipica e conturbante astuzia di cui solo le donne potevano essere padroni. Nessuno a bordo era al sicuro da loro: non solo il serio Ron-Hun o l’introverso Tamos, ma anche il più scherzoso Av’Fahr e lo stesso capitan Salge finivano per soccombere di fronte a loro, cedendo all’imbarazzo più puro al di là di tutti i detti conosciuti attorno ai marinai. E questo, ovviamente, non poteva mancare di divertire Masva e Camne, spettatrici e testimoni silenziose di ogni spettacolo. Dietro ad ogni maschera, comunque, nel proprio animo Midda non riusciva a restare quieta… e purtroppo durante la notte dell’ottavo giorno di navigazione il fato volle confermare le di lei ragioni, cambiando completamente il clima a bordo della Jol’Ange da quello di una commedia a quello di una tragedia.

« Nave a tribordo! » esclamò Ja’Nihr, di vedetta a prua della goletta.

A non più di due leghe sulla destra della goletta, un’altra imbarcazione si offriva alle correnti marine muovendosi in direzione parallela alla loro: la forma del suo scafo e la composizione dei suoi alberi lo classificavano quale brigantino, di stazza appena superiore a quella della Jol’Ange, ma le vele dello stesso non si riuscivano a distinguere nella notte, forse perché di colore scuro, forse perché ammainate. In effetti l’intero veliero non poteva essere facilmente distinto nell’oscurità completa della notte, non presentando alcuna forma di illuminazione, non segnalando in alcun modo la propria presenza: solo gli occhi allenati della cacciatrice dalla pelle color ebano, addestrati in lunghi anni di appostamenti notturni contro i più feroci e temibili predatori, le avevano concesso la possibilità di individuare l’altra nave, segnalandone conseguentemente la presenza.

« Rapporto, Ja’N. » ordinò Salge, muovendosi in rapidi balzi fino a raggiungere la donna, per tentare a sua volta di vedere ciò che ella stava guardando.
« Sembra un brigantino, capitano. » rispose la donna, sforzando lo sguardo a penetrare nelle tenebre sopra la superficie oscura del mare « Non riesco a distinguere né le vele, né una qualche bandiera… »
« Potrebbero essere vele nere? » domandò l’uomo, volgendosi a lei nel comprendere di non avere possibilità alcuna di osservare la nave con il proprio sguardo.
« Non mi sento di escluderlo. » annuì la cacciatrice « Il movimento, però, appare estremamente irregolare… sembra come sospinta dalle correnti più che condotta da marinai. »

Un istante di silenzio calò sul ponte della goletta, nel mentre in cui ognuno dei presenti compiva le proprie riflessioni attendendo le decisioni incontrastabili del comandante: uomini e donne di mare quali erano, non mancavano di annoverare nei propri ricordi una lunga lista di orrendi racconti di dolore e morte che ritrovavano in momenti simili a quello il proprio inizio. Storie di spettri, di navi fantasma che infestavano le notti marine, quasi sempre in conseguenza dell’ira degli dei del mare contro i profanatori di quel territorio sacro offrivano le proprie peggiori maledizioni: non un solo marinaio ignorava tali cronache, sulla soglia della leggenda, anche se ognuno era consapevole di non dover dare nulla per scontato in tali vicende. Laddove ogni fatto al di fuori del quieto vivere risultava enfatizzato a dismisura nei racconti popolari quando ambientato su terra solida ed immutabile, attorno al mare ignoto ed in continua trasformazione l’esaltazione nei racconti arrivava a livelli quasi grotteschi: il più piccolo merluzzo veniva facilmente riportato come il più grande dei tonni mai visto in precedenza, mentre un gamberetto innocentemente impigliatosi nelle reti poteva essere presentato come la più insidiosa e combattiva aragosta mai pescata prima. Mostri, fantasmi, demoni e quant’altro, quindi, per quanto presenti nel discorsi quotidiani di ogni nave e di ogni porto, non potevano essere accettati con immediata semplicità, con totale fiducia: solo uno sciocco, anzi, avrebbe considerato reali quelle favole superstiziose in assenza di prove pratiche, imparziali oltre ogni testimonianza verbale.

« Ci sono mille possibili spiegazioni razionali per ciò che vedi… » commentò infine il capitano, riprendendo voce « L’equipaggio di quella nave potrebbe essere stato vittima dei pirati o di qualche malattia. »
« O potrebbero essere tutti vivi e nascosti in attesa che la nostra curiosità ci conduca ad una distanza utile per un arrembaggio. » intervenne Midda, non interpellata « Non possiamo escludere questa possibilità. »
« Ma non possiamo neanche ignorare l’eventualità che vi sia qualcuno che abbia bisogno di aiuto. » replicò l’uomo, serio nella voce « Quando la malattia falciò uno ad uno l’equipaggio della Jol’Ange, questa nave non appariva di certo meglio rispetto a quella… ed io sono riuscito ad essere tratto in salvo solo per il coraggio e l’altruismo di chi ha deciso di rischiare la propria vita per accertarsi che non vi fosse nessun superstite a bordo. »
« Non puoi paragonar… »
« Posso e voglio, invece! » esclamò Salge, guardando seriamente la donna guerriero « Tarth mi ha concesso la vita in una situazione simile a questa e se ora ignorassi quello che sta accadendo, rinnegherei il dono che mi è stato fatto, mi dimostrerei indegno di esso! »

venerdì 28 marzo 2008

078


« C
ome riesco ancora a leggerti nel cuore e nella mente? » sorrise Salge, esplicitando la domanda formulata in forma più compatta dalla donna « Non è difficile, sai? In fondo sei stata tu ad allontanarti da me… non il contrario. »

Midda restò per un momento in silenzio a quelle parole, tornando a volgere lo sguardo alle increspature delle lievi onde sulla superficie delle acque: il golfo in cui si stavano inoltrando offriva un riparo naturale dalle forti intemperie marine, ma questo non impediva ugualmente a qualche onda di mostrare la propria spuma, soprattutto in prossimità di secche o scogli. Riflesso nei di lei occhi di ghiaccio era così un orizzonte azzurro sconfinato, oltre il quale non ci si riusciva a spingere ad osservare la costa di ponente, una quiete superficie in alcuni tratti tanto perfetta da spingere a pensare di potervi camminare o correre sopra, non diversamente da ciò che compiva la Jol’Ange, per superare ogni umano limite, per esplorare l’ignoto e, forse, in esso trovare finalmente pace.
La donna guerriero sapeva che le parole dell’uomo corrispondevano ineccepibilmente al vero, era consapevole del proprio ruolo attivo e fondamentale nella conclusione del loro rapporto passato, ma non poteva evitare di domandarsi se non avesse compiuto un errore, se non fosse stata sciocca nel fuggire da quella vita, da quella tranquilla quotidianità che in pochi giorni le aveva permesso di ritrovare una sincera serenità interiore, le aveva concesso di tornare a sorridere e ridere per ragioni forse sciocche, per battute sicuramente banali, ma di quella leggerezza, di quella semplicità utile a poter vivere un’esistenza più piacevole, non offuscata da mille pensieri, da troppi problemi. Insieme al nuovo equipaggio della goletta aveva ricordato, aveva ritrovato una fanciullezza troppo presto scordata, sogni troppo presto abbandonati.
Ma in quei pensieri, in quelle nostalgie, il di lei sguardo ricadde inconsciamente sul proprio braccio destro, sul metallo nero e scintillante di rossi riflessi in cui poteva specchiare il proprio viso, la propria cicatrice sull’occhio sinistro: in quei segni, ella non poteva, non riusciva, non voleva dimenticare le ragioni che l’avevano condotta a compiere una determinata scelta, le motivazioni che l’avevano sospinta ad abbandonare quel passato, quella parte della propria vita.
Ed un senso di amarezza la colse, inevitabile come l’alternarsi fra il giorno e la notte.

« Ora dovresti pensare a Berah… non a me. » rimproverò ella, scuotendo il capo « Cosa fai qui? »
« Amo Berah alla follia. » precisò l’uomo con serietà nella voce e sincerità nelle parole « Ma ciò non eliminerà mai l’affetto che provo per te, amica mia. » continuò sereno nel tono e nell’animo.
La donna non poté evitare di offrire un caldo sorriso in reazione a quell’affermazione, ovviamente più che apprezzata nel di lei cuore tutt’altro che freddo per quanto potessero altrimenti pensare i suoi nemici e la quasi totalità dei suoi conoscenti.
« In merito alla tua domanda, poi… beh… sono qui per ricondurti alla disciplina, ovviamente! Questa è la mia nave e tu stai oziando invece di pensare ai tiranti di quella vela! » esclamò il capitano, puntando i piedi ed indicando la rossa stoffa sopra le loro teste « Al lavoro, marinaia… o giuro su Tarth che ti farò spaccare le ginocchia nel tirare a lucido questo ponte! »
« Signorsì, signore. » sorrise la donna, ubbidendo immediatamente agli ordini del proprio comandante.

Secondo la programmazione stabilita da Salge per i turni dell’equipaggio, Midda era stata inclusa nel secondo gruppo di lavoro insieme a Tamos e Masva: nel primo gruppo, invece, erano presenti Camne, Av’Fahr e Berah mentre nel terzo i restanti Ron-Hun e Ja’Nihr. I tre gruppi si sarebbero alternati in rigidi turni di sedici ore, divisi fra mattina, pomeriggio e notte, concedendosi in conseguenza le otto ore restanti per il riposo fisico: quella era la dura vita di coloro che si votavano al mare, per la pesca, per il trasporto di merci e persone, o per la ventura, come nel loro caso.
Nulla a bordo della goletta, in quello spazio che a volte sembrava immenso ed altre fin troppo stretto, poteva essere affidato al caso, poteva essere dato per scontato e la distrazione di un solo membro dell’equipaggio avrebbe potuto costare la vita a tutti gli altri. Intraprendere la via del mare, infatti, era da sempre un vero e proprio salto nel buio, un balzo compiuto verso un abisso sconosciuto il cui fondo non poteva essere scorto: una sola imprecisione di movimento, un singolo arto non controllato e la morte sarebbe giunta tanto rapida da non poter quasi essere avvertita, nel migliore dei casi, o sadicamente lenta ed inesorabile in indescrivibili dolori ed orrori, nel peggiore.

« Scommetto che già rimpiangi la vita di terra. » esclamò Ja’Nihr verso la mercenaria, posta sul fianco opposto a lei a controllare e gestire i tiranti delle rosse vele.
« Parli con me, cacciatrice? » sorrise ella in risposta, aggrottando la fronte con aria simulatamene perplessa.
« Dopo tutto questo tempo lontana dal mare devi essere decisamente arrugginita… se ti viene un po’ di nausea non ti preoccupare: è normale. » la stuzzicò con scherzosa malizia.
« Ehy… voi due… » intervenne Salge, interrompendole con la serietà dovuta dal ruolo di comandante « Invece di distrarvi pensate a lavorare. Issate la vela maestra di altri due metri… il vento ci è favorevole! »

Nessuna parola fu offerta in replica a quell’ordine, nel momento in cui entrambe le donne scattarono verso l’albero al centro della nave, per sciogliere rapidamente la fune alla quale era legata la vela sul proprio lato superiore e poterla così sollevare come richiesto dal capitano: come non raramente poteva accadere, però, un’improvvisa raffica di vento portò la stessa corda ad incastrarsi maldestramente nei propri passanti, bloccando ogni possibilità di movimento per la stoffa in una posizione tale per cui alcuna possibilità di intervento era concessa dal basso.

« Vado io. » commentò la donna guerriero, con un’insolita nota di entusiasmo.

Senza perdere un solo istante, prima che la compagna potesse precederla o fermarla, Midda si slanciò verso la balaustra della goletta, a raggiungere le sartie per iniziare ad arrampicarsi lungo di esse verso la cima dell’albero maestro: se metà di quel gesto fu suggerito dall’istinto di un’epoca mai dimenticata nel suo cuore, l’altra metà di tale azione derivò dal desiderio di dimostrare ai compagni ma soprattutto a sé stessa di essere ancora in grado di vivere per mare. Come se per la durata della propria intera esistenza non avesse mai fatto altro, ella parve più simile a ragno che a donna nel risalire lungo la fune di canapa, rapida ed efficiente, in perfetto equilibrio nonostante i naturali e continui movimenti della nave e l’impeto del vento: sicuramente quella non era l’azione più complessa e completa per dar luce alle proprie immutate capacità marinaresche, ma altrettanto certamente lo spettacolo offerto da quell’ascesa tanto esemplare non poté non lasciare giustamente colpiti i presenti, ricordando loro che il passato della mercenaria a bordo di quella nave risaliva ad ancor prima del loro, precedente anche alla loro consapevolezza dell’esistenza stessa della Jol’Ange. Così, nel tempo scandito da pochi battiti di cuore, la donna guerriero, ritornata marinaia, aveva raggiunto la propria meta e disciolto l’inatteso nodo, liberando la vela e permettendo alla compagna sotto di lei di sistemarla nella posizione desiderata dal capitano.

« Scusami… dicevi in merito alla nausea? » domandò ironicamente verso Ja’Nihr, ad alta voce dalla cima dell’albero maestro, lasciandosi appena dondolare appesa alle sartie.
« Per Gehah’Ad… » sussurrò la donna d’ebano, sorridendo ed appena scuotendo il capo.

giovedì 27 marzo 2008

077


T
re furono i giorni ulteriormente richiesti alla Jol’Ange ed al suo equipaggio per essere pronti a prendere il mare, per fare finalmente rotta verso l’isola di Dairlan, patria di Camne, la fanciulla protetta da Midda. In effetti, l’efficienza del gruppo permise la conclusione di ogni preparativo già al tramonto del secondo giorno, ma l’attesa di un vento favorevole li costrinse a pazientare fino al meriggio del terzo, quando sotto un sole brillante e tiepido una giusta brezza gonfiò le tre vele della goletta verso ponente, concedendo alle cime di lasciare i propri agganci sul molo di Seviath.
In realtà l’immagine della partenza della nave fu molto meno romantica di quanto non sarebbe stata nel presentare rosse vele offerte al vento ed il proprio capitano eretto e fiero al timone, gridando con indomito vigore ai propri uomini e donne le istruzioni da compiere, condite con numerose e colorite espressioni popolari: solo le numerose e colorite espressioni popolari non mancarono di fuoriuscire dalle labbra appena aperte attorno a denti serrati di Salge, nel momento in cui l’uomo al pari dell’intero proprio equipaggio, nel quale anche le due ospiti ormai erano considerate parte integrante, si ritrovò a condurre a forza di braccia l’imbarcazione al di fuori dei limiti del porto. La densità di presenze all’interno del dedalo marino realizzato dai moli della città, infatti, non permetteva assolutamente di prendere il largo se non guidando manualmente le navi attraverso lunghe aste sorrette dallo stesso equipaggio e poggianti le punte piatte sul fondale marino: un’operazione decisamente impegnativa, sia a livello fisico, sia a livello mentale, nel momento in cui si dovevano evitare rischi di collisioni con altri vascelli, attraccati o a loro volta in movimento.

« Che Tarth mi maledica per il giorno in cui ho deciso di stabilirmi in questo dannato porto… » inveì sottovoce il capitano, per poi aggiungere con tono più concitato « Forza con quei remi, banda di smidollati! Non voglio essere ancora bloccato qui al sorgere della luna! »

Per quanto bruschi potessero essere i toni di Salge, tutti sapevano e comprendevano perfettamente che essi derivavano unicamente dall’esigenza di offrire uno sprone collettivo e che contro nessuno di loro, altrimenti, si sarebbe mai levata la minima voce: del resto quelle grida erano rivolte in maniera assolutamente equa e democratica contro tutti, Midda e Camne comprese, impiegati quali erano tutti quanti in quell’estenuante compito.

« Il mare dovrebbe riprendersi questo posto spazzandolo via con tutta la forza distruttrice di cui è capace! » continuò, sfogando verbalmente il giusto nervosismo conseguente a quell’operazione « Come può essere stato in grado l’uomo di ardire tanto invadendo i confini proibiti delle acque distese con questa assurda selva di pietra? E’ blasfemia! »
« Ma fa sempre così? » sussurrò in un respiro affaticato ed appena udibile Camne, rivolgendosi verso Masva a lei non lontana.
« Oh no… » sorrise la giovane, dai corti capelli rossi « In genere è anche peggio: oggi credo si stia trattenendo per non farti troppa cattiva impressione… »

Nello sforzo comune di ogni membro dell’equipaggio, la Jol’Ange riuscì a guadagnare spazio verso il largo, abbandonando così l’anfratto portuale della città e potendo finalmente affidare le rosse vele ai venti favorevoli, provenienti da levante: solo in quel momento la goletta riuscì a dimostrare per la prima volta tutto il proprio valore, catturando l’energia offerta dall’aria per solcare le acque tranquille del vasto golfo con una velocità ed una leggerezza tale da apparire praticamente in volo sopra la superficie del mare, accarezzandolo con la stessa delicatezza di un’amante con il proprio compagno.

« Lode a Tarth, signore di ogni marea! » ringraziò il capitano, levando gli occhi al cielo « Temevo che saremmo invecchiati in quell’assurdo labirinto di navi! »

In quel moto assolutamente perfetto, nell’assaporare nuovamente la brezza del mare fra i capelli, la salsedine sul viso, Midda non poté evitare in cuor suo di sentirsi rinascere, ricordando il proprio passato e con esso le parole di una vecchia ballata a lei un tempo molto cara.

Nel mare Mon era stata concepita,
dalle blu acque aveva avuto vita:
madre regina in terre lontane,
padre pescator in vie nostrane.

Oro non fa scordar libertà sentita,
laddove tale appare impedita:
meglio continua lotta come cane
piuttosto di vanità quotidiane.

La sua strada Mon l'aveva capita,
fanciulla ancor bimba era fuggita
da una reggia come di calde lane,
in un mondo di lavoro immane.

Quanto strana appare la salita
quando l'esistenza sembra proibita:
lunghi anni di sogni sul domane,
tristi giornate private di pane.

Ma da felicità Mon era rapita,
di gioia e luce era favorita:
nulla limitava le sue mattane,
solo le sue virtù erano guardiane.

Un uomo giunse allor...

« Scommetto che pensi ancora a quella canzone… » sussurrò la voce di Salge, interrompendola nei propri pensieri e riportandola alla realtà da cui per un momento si era allontanata nell’onda delle rimembranze.
« A quale canzone ti riferisci? » domandò la donna guerriero, rimproverandosi per l’istante nostalgico che si era concessa.
« Alla ballata di Mon e Maen. » rispose il capitano, appoggiandosi alla balaustra della goletta su cui anch’ella si sorreggeva, nell’osservare lo spumeggiare delle onde.
« Ero giunta alla strofa del primo marito… » ammise la mercenaria, offrendo il volto verso di lui « Ma come riesci ancora a farlo? »

mercoledì 26 marzo 2008

076


« M
mmm… » storse le labbra poco convinta la donna d’ebano, osservandosi la mano destra « Che rabbia… una scheggia nel dito. »

L’indifferenza di Ja’Nihr, mostrata per i sei avversari che teoricamente ancora l’attendevano in favore di una banalità quale poteva essere quella denotata in quell’ultima frase, non fu segno di superficialità nei confronti dell’ambiente attorno a sé ma, al contrario, di totale controllo verso il medesimo: nessuno fra i marinai che avrebbe dovuto affrontare, infatti, risultava in quel momento ancora dotato di coscienza, come conseguenza di un intervento, non richiesto, della donna guerriero. Nel mentre in cui la cacciatrice era stata impegnata nella difesa dall’attacco dell’uomo con il pugnale, infatti, Midda aveva ritenuto necessario sfoltire la coda d’attesa, dimostrando senza eccessiva enfasi di meritare ampiamente la propria fama: i movimenti di ella non erano del resto sfuggiti alla compagna, nonostante la rapidità e l’efficienza degli stessi, e la donna della goletta non aveva potuto evitare di ammettere dentro di sé la propria inferiorità nel confronto con tale perfezione.

« Non potevi proprio farne a meno? » domandò quindi la cacciatrice, dopo essersi portata il pollice destro alle labbra, per cercare di succhiarne la scheggia intrusa.
« Mi stavo annoiando… » rispose facendo spallucce la mercenaria, nel lasciare ricadere a terra l’ultimo dei marinai da lei attaccati.
« Per dovere di cronaca, non avevo ancora iniziato a riscaldarmi… » denotò la prima, effettivamente non dimostrando alcun affaticamento derivante da quella lotta.
« Se vuoi confrontarti proprio con tutti loro, possiamo aspettare che si riprendano. » aggiunse l’altra, sorridendo sorniona.
« L’idea mi alletta, ma non vorrei far preoccupare i nostri compagni. » replicò distrattamente ella, controllandosi il dito alla tenue luce di lampada ad olio posta sopra un angolo dell’incrocio « Ho superato il tuo esame? »
« Vorrei chiarire questa storia… » commentò la guerriera, riprendendo il cammino verso i moli ed invitando la compagna a seguirla.

Prima che la coppia, però, potesse allontanarsi abbastanza dal luogo del misfatto, una voce, nuova sulla scena, si intromise fra loro interrompendone i discorsi.

« A me, invece, piacerebbe chiarire cosa è accaduto. »

Il proprietario di tali parole era Noal, secondo in comando a bordo della Jol’Ange, il quale, accompagnato da Masva ed in attesa in fondo alla via da loro intrapresa, osservava con serietà priva di ironia o divertimento le due donne, tenendo le braccia risplendenti di tatuaggi dorati incrociate al petto.

« Noal. » esclamò Ja’Nihr, con un ampio sorriso del tutto simile a quello del fratello, in una lunga fila di bianchi denti fra labbra scure.
« Masva… » aggiunse la mercenaria, offrendo un cenno di saluto alla fanciulla.
« Abbiamo un viaggio da intraprendere quanto prima e voi vi lasciate trascinare tanto facilmente in una rissa? » rispose freddamente l’uomo, dimostrando il proprio ruolo all’interno dell’equipaggio « Comprendo la tua fama, Midda, ma spero che tu comprenda altrettanto come la nostra nave e la tua missione non si possano concedere di perdere una preziosa risorsa. »
« Noal… » cercò di intervenire la donna d’ebano, non nascondendo una certa seccatura per quel rimprovero « Erano un branco di smidollati: come puoi solo ipotizzare che mi sarebbe potuto accadere qualcosa? »
« Ja’N, sarebbe bastato che ti fossi slogata una caviglia e saresti risultata inservibile per giorni. » sottolineò egli.
« Ma quello potrebbe succedermi anche camminando per strada! » ribatté la donna, ormai apparendo ferita nell’orgoglio.
Ma, a quel punto, fu la donna guerriero a prendere parola, tossicchiando per attrarre discretamente l’attenzione: « La responsabilità di quanto accaduto è da imputarsi unicamente a me, Noal. »
« Non ho bisogno di essere difesa, Midda. » intervenne Ja’Nihr.
« Ed io non ho alcuna intenzione di difenderti. » sorrise l’altra « Semplicemente quanto accaduto è stato per colpa mia e, soprattutto, sono stata io a coinvolgerti per futili motivi… come hai ben detto poco fa, avrei potuto affrontare senza problemi quel gruppo di uomini da sola, ma ho preferito tenerti con me per comprendere meglio le tue effettive potenzialità. »

Un lungo istante di silenzio calò sulla scena, mentre i presenti si guardarono l’un l’altro con un aria assolutamente seria, quasi a vagliare le potenzialità offensive reciproche similmente ad un duello. La prima a cedere, però, fu Masva: rimasta fino a quel momento in silenzio, ella scoppio a ridere fragorosamente, seguita a ruota dal vice comandante e dalla cacciatrice. Solo la mercenaria rimase interdetta, non comprendendo il motivo di tanta ilarità collettiva, nonostante un lieve sospetto non manco di sorgerle alla mente in quel momento.

« Per Gehah’Ad! » esclamò la donna dalla pelle d’ebano, appoggiando una mano sulla spalla della compagna d’avventure di quella serata « Ma davvero ci hai creduto? »
Midda temette di comprendere, ma restò in silenzio in attesa dell’inevitabile chiarimento.
« L’unica ragione di rimprovero che avrei da offrirvi è quella di essere state tanto egoiste da non condividere con tutti noi questa bell’occasione di svago! » sorrise Noal, riprendendo parola nel cercare di trattenere l’ilarità di fronte all’espressione della donna « Scusaci… non stiamo ridendo di te, sia chiaro… »
« Avresti dovuto vedere la tua faccia quando hai detto: “La responsabilità di quanto accaduto è da imputarsi unicamente a me, Noal.” » continuò Ja’Nihr, spingendo scherzosamente l’altra.

Ma la donna guerriero restò assolutamente fredda, glaciale nell’espressione come nello sguardo: tanta compostezza, in una persona che si era comunque dimostrata portata allo gioco, spiazzò gli altri tre presenti, portandoli a cessare le proprie risate con evidente imbarazzo per quanto compiuto.

« Non te la sarai presa, spero… » domandò l’uomo, storcendo le labbra verso il basso.
« Dovrei strapparvi la vita dal corpo per questo… » rispose ella, con tono crudele.

Nel momento in cui lo smarrimento fu completo in loro, nel mentre in cui occhiate di irrequietezza vennero scambiate fra i membri dell’equipaggio della Jol’Ange a domandarsi l’un l’altro se la familiarità offerta alla donna di cui tanto avevano sentito parlare non fosse risultata eccessiva con quello scherzo, fu la mercenaria a scoppiare a ridere di gusto, osservandoli divertita.

« Per Thyres… » sorrise, di fronte alla loro espressione attonita « Ma davvero ci avete creduto? » domandò scimmiottando il tono della compagna di pochi istanti prima « Non penserete di essere gli unici a poter scherzare, razza di canaglie degna compagnia per il vostro capitano!… »

E quasi a riprendere le risate lasciate in sospeso nell’osteria, Midda spintonò allegramente i tre attorno a lei, i quali, facendo buon viso a cattivo gioco, non poterono che incassare la meritata controffensiva della donna guerriero ricominciando a ridere a propria volta: un sentimento di cameratismo e solidarietà in continua e costante crescita all’interno del gruppo trovò così chiara dimostrazione, nonostante poche ore li separassero dal loro primo incontro in quella quieta giornata d’autunno.

martedì 25 marzo 2008

075


L
a donna guerriero percorse con sguardo attento e serio uno ad uno i dodici avversari che aveva di fronte.
Essi non dimostravano ancora intenti offensivi, sicuramente in conseguenza dell’ordine ricevuto dal loro capitano, ma ella non dubitava che essi si sarebbero di certo scatenati di fronte ad un esplicito rifiuto da parte sua ad accompagnarli. Conosceva bene Lehn-Ha e sapeva che egli non avrebbe mai concesso buon viso a cattivo gioco: di certo quei marinai sarebbero stati severamente uniti nel momento in cui si fossero presentati indietro a mani vuote, inviati quali erano in grande numero solo per lei.
Lo scontro, pertanto, appariva inevitabile e per quanto Ja’Nihr potesse essere fiduciosa sulle ridotte capacità degli avversari a causa dell’alcool nei loro corpi, la mercenaria non si voleva concedere il lusso dell’ottimismo: dodici nemici per lei erano sicuramente un semplice allenamento, un diletto in cui impegnare il proprio corpo al pari di un qualsiasi esercizio fisico, ma nonostante questo preferiva risultare eccessivamente pessimista piuttosto che valutare con troppa positività una situazione, rischiando di esserne poi smentita.

« Forse le mie parole non sono risultate chiare. » scandì ad alta voce la donna « Io non desidero farvi del male. Ma se tenterete di ostacolare il mio cammino, nulla tratterrà ulteriormente la mia furia dal levarsi contro di voi. »

Vane, ovviamente, furono quelle richieste, come sottolinearono con le loro azioni due uomini nel momento in cui si distaccarono dal gruppo, scattando verso la mercenaria con braccia tese in avanti per poterla catturare: dall’aspetto brutale, con una corporatura non seconda a quella di Av’Fahr, i due marinai non giunsero neanche a sfiorare il loro obiettivo laddove la cacciatrice si frappose fra essi, lasciando roteare fra le mani una lunga asta di legno di cui nel contempo aveva avuto modo di impossessarsi levandola da sostegno quale era ad un tendone da mercato. Con un movimento simile ad una danza, la donna dalla pelle d’ebano guidò la propria improvvisata arma, non degna della sua consueta lancia ma comunque efficace, a colpire con forza i due avversari, entrambi alle tempie, in rapida successione: due offese tanto immediate ed improvvise che quasi la stessa Midda non fu in grado di seguirne i movimenti e che videro i malcapitati precipitare a terra privi di sensi, come pesanti sacchi di patate.

« Ja’Nihr! » sussultò la mercenaria, osservandola con interesse salvo poi aggiungere « Ti prego… resta da parte. »
« Sbaglio o sono sotto esame? » sorrise l’altra, facendo compiere nuove evoluzioni alla lunga asta prima di ricondurla in posizione di guardia dietro la propria schiena « Comprendo che tu possa dubitare delle mie capacità nel momento in cui in una città piena di gente schiamazzante e semiubriaca io non sia riuscita a distinguere un gruppo di dodici avversari alle nostre spalle… quindi permettimi di rimediare alle mie mancanze, dimostrandoti il mio valore. »

Accettando il tono scherzoso offerto dalla compagna, la donna guerriero si ritrasse per lasciar spazio di manovra alla stessa, sebbene mai avesse pensato di mal giudicarla per le ragioni da lei addotte: lei stessa non si sarebbe mai potuta accorgere di essere seguita all’interno di un ambiente tanto chiassoso se non avesse avuto il sospetto di aver attirato troppo l’attenzione fin dall’interno dell’osteria. E tale sospetto non le sarebbe di certo venuto se non fosse stata abituata a dormire abbracciata ad una spada, con un pugnale sotto il cuscino ed un occhio sempre aperto come il di lei stile di vita l’aveva presto addestrata a fare: per chiunque altro, per chi come la cacciatrice non fosse solito a vedere la propria esistenza costantemente minacciata, la di lei prudenza si sarebbe tradotta unicamente in paranoia, uno stato mentale decisamente pericoloso in cui impegnarsi a vivere la propria quotidianità come purtroppo lei stessa si rendeva perfettamente conto.

« A te l’onore. » acconsentì quindi Midda, indicando con un cenno rotatorio della mano mancina i dieci avversari rimasti « Ma sappi che non ho mai dubitato delle tue capacità… »
« Questo perché sei una persona intelligente che non si ferma alle prime impressioni… » sorrise la compagna.

In quel loro breve dialogo, i marinai dell’equipaggio di Lehn-Ha erano rimasti inizialmente immobili, rendendosi appena conto della semplicità disarmante con cui i loro compagni erano stati vinti: vedendosi, però, subito dopo praticamente ignorati dalle due donne impegnate a discutere tranquillamente in merito a chi toccasse l’onere di liberarsi di essi, i dieci si ripresero, gettandosi a turno con ira ed orgoglio ferito contro colei che si proponeva di tenere loro testa da sola.
In tre furono i primi nel gruppo a giungere fino alla meta, a testa bassa ed a pugni caricati, pronti a riversare violenza contro l’avversaria. Un movimento controllato della donna dalla pelle d’ebano con la propria arma portò a far impattare in un colpo secco la punta piatta dell’asta contro la fronte di uno fra essi, respingendolo all’indietro con la forza della propria stessa enfasi, reazione contrapposta ad azione di eguale potenza. I due compagni di egli, approfittando però dell’istante necessario alla donna per fronteggiare il primo, cercarono di prenderla su due fronti opposti ma ella, per nulla intimorita dalla loro presenza, scartò i pugni a lei diretti abbassandosi improvvisamente in una perfetta spaccata: ritrovandosi così con le gambe allungate a terra nelle stesse ed opposte direzioni da cui erano giunti i due avversari, ad ella risultò necessario solo spingere il proprio corpo in una rotazione repentina sul proprio baricentro per spazzare i piedi degli aggressori, facendoli cadere violentemente terra per poi, immediatamente, colpirli con il bastone all’altezza del collo, bloccandone temporaneamente la respirazione.

« Cinque andati. Ne restano sette. » denotò Midda, incrociando le braccia al petto nel godersi tranquilla quel combattimento in cui, una volta tanto, non si ritrovava coinvolta, ed approfittando del medesimo per poter studiare lo stile di combattimento della compagna.
« Ma hai sempre così tanti ammiratori? » si limitò a commentare la cacciatrice.
« Che ci vuoi fare? » rispose la mercenaria, con aria fintamente annoiata « Dicono tutti che ho degli occhi molto belli… »
« Non ti offendere, ma dubito che siano gli occhi ad attrarre in te… » replicò l’altra, ammiccando.

Dei restanti, uno solo tentò un nuovo immediato attacco contro la cacciatrice, nel momento in cui ella con agilità recuperava in una capriola all’indietro una posizione verticale. Armato di un lungo pugnale, l’uomo parve non voler più cercare, come gli altri prima di lui, di porre semplicemente fuori combattimento l’avversaria, evitando spargimenti di sangue e complicazioni legali conseguenti: al contrario, guidando l’arma verso il di lei ventre in un ampio movimento circolare, egli sottolineò decisi intenti omicidi forse in conseguenza di un’alcolica perdita di inibizioni. Abituata qual era a confrontarsi con i grandi felini delle pianure del nord, confinanti ai deserti, per Ja’Nihr bloccare quell’attacco risultò quasi banale, considerandolo nulla al paragone con l’attacco di una leonessa: deviando pertanto in un colpo secco del proprio bastone l’offesa a lei rivolta e sbilanciando in quel mentre il proprio nemico, ella poté concludere attaccandolo alla base del collo con un movimento deciso del proprio gomito, stordendolo quasi senza impegno.

lunedì 24 marzo 2008

074


« … a
ssolutamente meritato! » concluse Midda, finendo di ripulire con un pezzo di pane il sughetto presente nel piatto.

Davanti alla donna guerriero, in un secondo grande piatto, erano abbandonati i resti di un abbondante pasto, nel quale oltre una dozzina di magnose avevano incontrato valenti avversari nei commensali alla fine riuniti in quella scelta comune: nonostante la forza delle loro corazze degne dei migliori guerrieri, la resa dei crostacei fu inevitabile contro ai robusti ed appuntiti coltelli nemici. Per quanto non gradevoli a livello estetico, le cicale grandi di mare erano una vera e propria prelibatezza non seconde a più noti e costosi parenti ed anche se richiedevano a chi desiderava assaporarle un impegno notevole al fine di poter giungere alle loro carni, tale fatica trovava sempre un’equa ricompensa nel momento in cui si riusciva a superare la difesa rappresentata dai loro carapaci, dai colori scuri e dalle forme degne dei peggiori incubi: una bianca e soffice polpa attendeva infatti nell’animale accompagnata da una seconda e soffice sostanza arancione, entrambe offerenti ai loro conquistatori piena soddisfazione gastronomica per l’impresa, soprattutto quando accompagnate da un sugo di pomodoro ricco di spezie dell’est e capace di risaltare il loro sapore oltre ogni aspettativa.

« Per Gah’Ad… » commentò Av’Fahr, tirandosi appena indietro dalla tavola e passandosi con soddisfazione le mani sugli addominali scolpiti, gonfi nella propria possanza « Devo ammettere che non immaginavo tanto buon gusto in crostacei così brutti… »
« Ma non avevi detto che erano i tuoi preferiti? » domandò inarcando un sopracciglio la mercenaria, finendo il pezzo di pane rosso di sugo.
« La capacità del mio fratellone di manipolare i fatti a proprio favore è seconda solo a quella di gonfiare i suoi muscoli… soprattutto se si parla di far colpo su una bella donna. » spiegò Ja’Nihr sorridendo maliziosa « Ti consiglio di prestar attenzione a quando ti darà la sua parola su qualcosa: pare che il detto “promesse da marinaio” sia stato coniato proprio a seguito del suo passaggio. »
« Ja’Nihr! » esclamò l’uomo, a riprendere la sorella, salvo scoppiare poi a ridere.

Anche Midda si unì con sincero piacere alla risata che, nell’accompagnamento di Tamos, divenne collettiva fra i quattro compagni, in un sano divertimento che nessuna offesa voleva proporre la figura del marinaio come egli del resto sapeva perfettamente: quella loro ilarità, quella loro serenità, non passò però inosservata e la donna guerriero, sempre all’erta anche nei momenti in cui poteva più sembrare distratta, colse immediatamente gli sguardi ed i volti di coloro che si interessarono ad affari non propri con un interesse non superficiale.
Nel momento in cui i quattro lasciarono l’osteria a notte ormai inoltrata, dopo essersi accorti che il vino in corpo rischiava di diventare eccessivo, la mercenaria si mantenne pertanto leggermente arretrata rispetto ai tre marinai della Jol’Ange, prestando particolare attenzione ai rumori provenienti dalle strade alle loro spalle: immancabili, così, le giunsero i ritmi scanditi da non meno di una dozzina di uomini, confermando il conteggio da lei formulato all’interno della sala durante la serata.

« Ja’Nihr… » richiamò l’attenzione della donna dalla pelle d’ebano, davanti a lei insieme ai due compagni « Avrei bisogno di parlarti… vuoi concedermi un minuto? »
L’intero gruppo si fermò a quelle parole e la destinataria del richiamo si volse verso l’altra con interesse: « Dimmi pure… » la invitò.
« Vi prego… andate pure avanti voi. » sorrise la donna guerriero verso i due uomini, invitandoli a proseguire con un gesto esplicito della mano destra « Consideratela pure una questione da donne… »

Tanta enigmaticità nelle parole di ella non poterono non suscitare in realtà maggiore curiosità negli altri, ma concedendo fiducia ed ascolto alle di lei richieste Av’Fahr e Tamos proseguirono per il proprio cammino, levando semplicemente una mano in cenno di saluto verso la coppia di donne: essi, del resto, sapevano perfettamente che nessun rischio sarebbe dovuto celarsi nelle vie della città ed, ammesso ma non concesso di errare in tale valutazione, esse sarebbero state in grado di affrontare qualsiasi pericolo fosse loro riservato senza alcuna difficoltà. L’abbandono così offerto alle compagne non fu assolutamente un gesto di scortesia o di non interesse nei loro riguardi o nei riguardi della loro incolumità: in caso contrario, dubitare della capacità delle due donne di sostenere qualsiasi difficoltà fosse stata loro offerta, sarebbe stato da parte loro un gesto di sfiducia capace di mettere in crisi l’intera convivenza a bordo della nave, incrinando irrimediabilmente i rapporti all’interno dell’equipaggio.

Dopo aver atteso che i due uomini della goletta fossero sufficientemente lontani e dopo aver percepito i passi alle loro spalle, momentaneamente arrestatisi in quella loro breve sosta, riprendere nella loro direzione, la mercenaria si rivolse verso la compagna: « Tuo fratello ha esagerato un po’ con l’alcool questa sera e non desideravo potesse rischiare di ferirsi in una rissa. » spiegò diretta ed esplicita « Tamos di certo veglierà sul loro ritorno fino alla nave, mentre noi potremo occuparci del gruppo che ci segue. »
« Siamo seguite? » chiese la cacciatrice, ritrovando immediata lucidità in quell’avvertimento « Chi? Quanti? »
« Dodici… ci tenevano d’occhio già nell’osteria. » rispose Midda, iniziando a sciogliere i muscoli del collo e delle braccia per prepararsi allo scontro « Credo siano dell’equipaggio di Lehn-Ha. »
« Perché c’è l’ha tanto con te? Una delusione d’amore? » domandò incuriosita la donna d’ebano, controllando l’ambiente in cui stavano organizzandosi per lo scontro, uno normalissimo punto d’incrocio fra due stradine della città, non lontano dai moli.
« Qualcosa del genere… magari un giorno ne parleremo con più tranquillità. » sorrise la guerriera.
« Comunque deduco che tu voglia mettermi alla prova. » commentò l’altra, sorridendo a sua volta « Sono certa che non avresti problemi ad occuparti da sola di solo dodici marinai semi-ubriachi. Non negarlo mettendo in dubbio le mie capacità mentali, per favore… sono abituata alle trovate di mio fratello e so riconoscere una mezza verità quando la sento. »
La mercenaria restò un istante in silenzio a quella frase, mentre i passi dei loro inseguitori si fecero sempre più vicini: « Non vedo ragione di negarlo. » ammise infine « Abbiamo un lungo viaggio da affrontare: maggiore sarà la conoscenza e la reciproca fiducia e meglio sarà per tutti. O sbaglio? »
« Forse inizio a comprendere perché piaci tanto al capitano… » annuì l’altra, ponendosi in posizione di guardia.

Quelle parole, sancenti un implicito legame fra le due donne, videro irrompere in scena gli avversari da esse attesi. Come la mercenaria aveva giustamente calcolato, dodici erano gli uomini che comparvero al loro sguardo, vestiti di camicie e pantaloni di variegati colori non diversamente dal gruppo affrontato alcune ore prime: marinai, membri di un equipaggio uniti fra loro da legami probabilmente simili a quelli che legavano gli uomini e le donne della Jol’Ange, fedeli al loro capitano così come qualsiasi equipaggio sarebbe stato al proprio e, per lui, pronti ad affrontare qualsiasi situazione senza indugi. Quel loro spirito di unione, di coesione, lì rendeva sicuramente più pericolosi di un equivalente gruppo di mercenari al soldi di qualche signore comune: non del denaro legava gli uomini alla loro missione, non una futile ricompensa materiale li spingeva a cercare successo nelle proprie azioni, ma un sentimento di fedeltà, di fiducia verso il proprio capitano ed i propri compagni. Un sentimento di cui solo uno stolto non avrebbe avuto giusto rispetto.

« Midda Bontor. » esclamò una voce nel gruppo, rivelando reali le supposizioni precedentemente compiute dalla donna sulla ragione del loro interesse.
« Non desidero farvi del male… » esordì ella, avanzando di un passo verso di loro « Vi prego di fare ritorno alla vostra nave, senza offrirci ulteriori disturbi. »
L’uomo che prima aveva parlato, scosse il capo di fronte a tali parole: « Capitan Lehn-Ha desidera incontrarti e si scusa per il comportamento offerto oggi dai nostri compagni. » spiegò tranquillo nel tono offerto.

domenica 23 marzo 2008

073


Q
uella sera la donna guerriero uscì a cena aggregandosi al gruppetto formato da Av’Fahr, sua sorella Ja’Nihr e Tamos, lasciando la propria protetta alle cure degli altri membri della nave. Fidandosi di Salge e del suo equipaggio, ella decise infatti che per Camne sarebbe stata un’esperienza interessante e formativa poter trascorrere un po’ di tempo in compagnia di altre persone a lei sicuramente amiche, dopo troppi giorni trascorsi unicamente al suo fianco. La fanciulla, pur non dimostrando eccessivo entusiasmo alla proposta, acconsenti all’idea.
Seguendo l’annuncio del colosso d’ebano, dopo essersi radunato il gruppetto si diresse pertanto attraverso il dedalo di moli e navi attraccate verso la città, puntando in particolare ad un’osteria più che rinomata per la propria cucina a base di crostacei.

Il clima nelle strade notturne di Seviath non era poi diverso da quello di altre città, compresa la tanto famigerata Kriarya: folla, rumore, qualche tafferuglio e qualche prostituta erano di casa in tutto mondo conosciuto, una certezza su cui poter contare ovunque. Per quanto quella città portuale non risentisse della presenza continua di una piaga malavitosa al punto da sovvertirne le regole di vita comune e le stesse leggi ufficiali, anche per quelle vie non poteva mancare il rischio di incrociare, specialmente di notte, qualche ladro o sicario, o più semplicemente di ritrovarsi coinvolti a proprio discapito in una rissa fra ubriachi. I marinai, del resto, non erano mai stati noti come persone dal carattere freddo ed intolleranti all’alcool: al contrario nella maggior parte di loro battevano cuori appassionati, facili ad accendersi, ad infuocarsi per la più banale delle ragioni, soprattutto nel momento in cui fin troppo abbondante vino o rum era versato nelle loro vene.
Abituata al clima della città del peccato kofreyota, paradossalmente Midda si sentì pertanto più a suo agio nella notte disinibita, chiassosa e in minima parte pericolosa piuttosto che nel giorno placido e cordiale, troppo ricco di sentimenti spesso mascherati nel nome della convenienza economica tali da permettere al leone di dormire accanto all’agnello senza divorarlo. Non poteva, infatti, evitare di considerare più sincera, più reale, meno ipocrita la vita notturna della città rispetto a quella diurna, con qualche testa spaccata in risposta ad un insulto più o meno meritato e meretrici al lavoro nei vicoli delle strade e negli angoli delle taverne ed osterie, a soddisfare i desideri dei propri mai assenti clienti: negare quegli aspetti dell’animo umano era, dal di lei punto di vista, una forzatura inutile, capace solo di creare problemi e frustrazioni. Molto meglio, ad esempio, chiarire subito con una bella rissa il contrasto fra due opinioni divergenti, sfogando le tensioni, piuttosto che protrarre malanimo non espresso ad avvelenare gli animi in maniera lenta ed inesorabile; molto meglio, egualmente, trovare appagamento ai propri desideri sessuali nell’approvazione della propria compagna, seppur ottenuta in cambio di un giusto compenso, piuttosto che reprimere tali fantasie lasciando poi trovare sfogo alle medesime in gratuite violenze su povere vittime. Certo, il perbenismo spesso imperante in molte città e regni del mondo conosciuto portava a rinnegare realtà tanto normali ed evidenti, considerando male la violenza ed la sessualità, ma creando in tanti dogmi, in tante barriere, in tanti pregiudizi più danni di quelli che altrimenti avrebbe desiderato evitare.

L’osteria in cui il gruppetto della Jol’Ange fece capolino con la propria tutt’altro che scontata presenza, nella bellezza conturbante di Ja’Nihr ed in quella prorompente di Midda, non era poi diversa da qualsiasi altro locale lì vicino: un amplio spazio in legno appena incrostato dalla salsedine e dai vapori delle lampade ad olio che presentava al suo interno lunghe tavolate grondanti cibo e bevande, in prevalenza crostacei e vino, consumati con foga e rumorosità dai commensali lì affollati. Forti risate riempivano l’aria già offuscata dalle nuvole di fumo fuoriuscenti da pipe di più disparate forme, coprendo completamente i tentativi di offerta musicale concessi da un musico seduto in un angolo del salone, abbracciato alla propria mandola come alla migliore delle amanti.
Un amplio sorriso si aprì sul volto della donna guerriero nel superare la soglia, nell’essere accolta da un clima tanto familiare a cui negli ultimi tempi si era costretta a rinunciare, complice l’incarico di proteggere Camne e le difficoltà in tale compito offerte dal carattere troppo ingenuo della giovane.

« Non ricordo quando è stata l’ultima volta che ho potuto addentare una magnosa cucinata come Thyres comanda… » commentò la mercenaria, inspirando i profumi della cucina nel miscuglio caotico di odori lì presenti.
« Che gusti sofisticati. » sorrise scherzosamente Av’Fahr a quell’affermazione.
« Meglio che taci, signor Palato Fine. » intervenne in sarcastico rimprovero Ja’Nihr « O per solidarietà femminile mi ritroverò a ricordare certi aneddoti che tu ben conosci… »

Midda non aveva avuto ancora l’occasione di conoscere la cacciatrice dalla pelle d’ebano, ma nel tragitto che avevano compiuto insieme dalla goletta all’osteria aveva già avuto modo di apprezzare il carattere schietto e spesso pungente della donna, riservato in quel momento in particolare al fratello a lei minore di un paio di anni: il rapporto fra i due, al di là degli apparenti battibecchi, era evidentemente stretto e forte, invidiabile nell’amore e nella premura che reciprocamente si offrivano l’un l’altra. Era più che trasparente la fedeltà assoluta al proprio complementare e, sicuramente, alcuno fra i due avrebbe esitato a sacrificare la propria vita per salvare quella dell’altro: assolutamente non scontata tanta devozione fraterna, sentimento anzi decisamente raro nel mondo, che non poteva non commuovere nell’essere riscontrato come in quel caso.

« Ehm… io adoro le magnose! » sorrise sornione il colosso, cercando di placare i propositi diffamatori della sorella « Assolutamente sì! Sono anzi il mio piatto preferito! Non vedo l’ora di ordinarli, affogati in un caldo e piccante sughetto… »
« Là vi è un tavolo libero. » indicò Tamos, prendendo parola e puntando l’indice destro verso un desco non lontano da loro, sito su un lato del salone in posizione intermedia fra l’ingresso ed il bancone ad esso opposto.

Se con Ja’Nihr la conoscenza era ancora e temporaneamente troppo superficiale, del marinaio tranitha la donna guerriero aveva a malapena avuto modo di poter ascoltare la voce, tanto erano ridotti i suoi interventi nelle conversazioni: il carattere del giovane appariva infatti decisamente introverso, chiuso al dialogo ma più che aperto all’ascolto, ben lontano da essere distaccato dagli eventi a lui circostanti per quanto potesse apparire separato da essi.

« E bravo il nostro Tamos! » esclamò la mercenaria, spingendo appena lo stesso a dirigersi in tale direzione con un fare giocoso, desiderando comprendere se l’inibizione verbale dell’uomo fosse realmente caratteriale o derivasse dalla di lei presenza « E’ meglio allungare il passo prima di perdere il posto! »
« Ehy… » protestò appena il giovane, lasciandosi però guidare dall’incitazione di lei verso il tavolo.

Ancor prima che i quattro potessero giungere al posto prescelto, un garzone sporco di unto dalla punta dei piedi a quella dei capelli, si presentò a loro, ripulendo rapidamente la superficie in legno della tavolata e ponendo non richiesta una brocca di vino fresco insieme a quattro boccali di coccio al centro della stessa: un’ordinazione praticamente scontata e pertanto esaudita ancor prima che potesse venir formulata.

« Mi piace questo servizio. » sorrise la donna guerriero, osservando compiaciuta l’azione del ragazzo prima di accomodarsi sulla panca da un lato del tavolo, tirando Tamos a sedersi accanto a sé « Ora c’è da vedere se il vostro giudizio su questo posto è troppo generoso oppure… »

sabato 22 marzo 2008

072


I
mmediatamente Av’Fahr tentò una nuova offesa ripiegando la propria gamba destra ed abbassando completamente il peso del proprio corpo verso il suolo, forse sperando di poter approfittare della rivelata velocità per colpirla prima che ella potesse allontanarsi ulteriormente: reggendosi così solo sulla punta del piede e facendo in quello stesso punto perno, l’uomo condusse l’intero corpo a compiere una rotazione sul proprio asse, guidando così la propria gamba sinistra a spazzare gli arti inferiori della donna.
La mercenaria osservò con occhio esperto quelle mosse, la tensione dei muscoli dell’uomo che lo facevano apparire come una sorta di dio pantera: la di lui gamba rivolta contro di sé era tanto forte, tanto grossa nel proprio sviluppo fisico da esser simile al tronco di un albero, con una potenza che di certo avrebbe piegato anche il più robusto degli avversari. Nella violenza di quel tentativo d’offesa, pur perfettamente controllata da un corpo e da una mente evidentemente esperti in tali movimenti, ella comprese chiaramente l’alto valore che egli le stava comunque attribuendo in quel momento: se l’uomo l’avesse sottovalutata, se avesse deciso che ella fosse stata al di sotto dei propri livelli ancor prima di iniziare il combattimento, non avrebbe mai offerto tanto impegno contro di lei, non avrebbe mai espresso tanta forza nei propri gesti. Il marinaio, al contrario, aveva evidentemente un’idea abbastanza chiara di colei contro cui stava lottando seppur solo per un esercizio dimostrativo, ed era praticamente certo che ella non avrebbe avuto problemi ad evitare quel colpo che, altrimenti, le avrebbe sicuramente spezzato le gambe. Ella, non tradendo le di lui attese, spiccò un lieve salto al momento opportuno, un istante prima che egli la raggiungesse, mantenendo assoluta ed apparente quiete nella posizione a braccia incrociate: in quel balzo, i piedi di lei non solo evitarono la di lui gamba, ma si portarono, con delicatezza, ad appoggiarsi sulla di lui muscolosa schiena ripiegata in avanti, per sfruttare poi quella solida massa come trampolino di lancio per una capriola all’indietro.
Prima che egli potesse rendersene conto, la donna si mostrò così in sereno equilibrio su una balaustra della nave, ancora con braccia conserte, ad osservarlo a metà fra interesse e divertimento.

« Wow… » non poté a quel punto evitare di commentare il colosso « Neanche mia sorella è mai riuscita a cogliermi così di sorpresa. »
« Tua sorella è una guerriera? » domandò ella, con tranquillità.
« Una cacciatrice… » rispose egli con una nota di orgoglio nella voce « La migliore, per quanto mi riguarda. » aggiunse, rialzandosi e provando ad imitare la donna nel piegare il capo a destra ed a sinistra per sciogliere i muscoli contratti, prima di rimettersi in posizione di guardia.
« Ho sempre sentito grandi storie sulle donne del deserto… » commentò la mercenaria, restando immobile nella propria posizione « Ma non ho mai avuto la fortuna, prima d’oggi, di poterne conoscere una. »
« Vieni a cena con noi, questa sera, e vedrai che potrai soddisfare ogni tua curiosità, davanti ad un boccale di buon vino fresco e ad un piatto di crostacei grigliati... » le propose egli, parlando con il proprio corpo ma lasciando alla mente il compito di provare ad elaborare una nuova strategia offensiva.
« Non cenate tutti insieme? » chiese la donna guerriero, ricordando le passate usanze dei membri della Jol’Ange.
« In altri porti sì… ma qui a Seviath ci sentiamo a casa e non ci imponiamo alcun vincolo per le nostre serate, salvo ordini contrari da parte del capitano. »

Nel completare quella frase, Av’Fahr scattò cercando di condurre, attraverso una nuova rotazione, un calcio verso la donna, dimostrando nuovamente un’inattesa agilità per quanto ovviamente le sue possibilità fisiche fossero continuamente frenate dalla massa muscolare che ne limitava il movimento: al di là però di ogni impedimento fisico, il nuovo colpo che egli condusse non aveva nulla da invidiare al precedente e se fosse stato mirato alla balaustra, invece che alla donna, probabilmente ne avrebbe mandato in frantumi il legno per la potenza posta in esso.
Ancora una volta, Midda non si fece cogliere impreparata saltando ora contro il petto stesso dell’uomo con la punta dei propri piedi, sbilanciandolo in tal modo all’indietro e lasciandolo ricadere fragorosamente sul ponte della nave senza abbandonarlo in tale discesa. Ritrovandosi così in piedi sopra la di lui cassa toracica, ella sorrise guardando il viso di lui decisamente stupito da quel gesto, per nulla ferito dalla caduta o dalla presenza di lei sul proprio corpo: i pettorali dell’uomo, del resto, erano tanto duri nel proprio vigore da non risultare diversi rispetto al legno della goletta, ritrovando nel peso della donna nulla di più del fastidio che avrebbe offerto una mosca. Prima che egli potesse, però, agire in qualsiasi modo contro di lei, ella si chinò rapidamente su di lui, lasciandosi sedere a cavallo del di lui torso, per poter graffiare con la propria mano sinistra, con le unghie appena sporgenti, la base del collo di lui: un gesto leggero, quasi impercettibile in effetti, ma che lese la superficie d’ebano quanto sufficiente per lasciar uscire una stilla di sangue caldo.
La goccia della vittoria.

« Accetto l’invito… » sorrise la donna, guardandolo con soddisfazione dall’alto della propria posizione su di lui.
« Ma… » tentò di replicare l’uomo, non riuscendo quasi a rendersi conto di aver perso, per quanto rapida fosse evoluta la situazione, lasciandolo in totale balia dei di lei minimi gesti « … per Gah’Ad! Non ci posso credere! »
« Addirittura? » sorrise ella sorniona « So di essere divinamente bella, ma non credere che possa accettare un invito a cena fra amici mi pare eccessivo… » commentò, ovviamente scherzando con le parole da lui pronunciate, avendo compreso perfettamente il senso corretto dell’affermazione.
« Mi hai sconfitto… e praticamente non mi hai neanche attaccato. » commentò il marinaio, aggrottando la fronte « Salge aveva ragione: tu sei nata per combattere. »

La mercenaria sorrise a quelle parole, prima di recuperare la posizione eretta in un colpo di reni, tornando in piedi sopra di lui e poi tendendogli la propria mano mancina, ad aiutarlo a rialzarsi in un gesto di serena cordialità.

« Hai lottato meglio della maggior parte di coloro che si definiscono mercenari e guerrieri… » rispose ella, sincera nel proprio giudizio « Non hai sottovalutato la tua avversaria né ti sei slanciato in attacchi istintivi, cercando al contrario di muoverti solo quando eri certo di poter andare a segno. »
L’uomo accettò il gesto pacificatorio di lei, stringendole il polso con la propria mano, grande quasi il doppio di quella della donna, e rialzandosi così accompagnato da ella stessa: « Troppo generosa: ogni mio sforzo è stato vanificato senza impegno da parte tua. » sottolineò storcendo le labbra.
« Questo perché la tua vita è rivolta al mare… ed la mia è rivolta alla guerra. » sorrise Midda « Non sono mai generosa nei miei giudizi, ricordalo bene: pochi giorni fa ho accompagnato un gruppo di uomini in una battaglia priva di speranza e coloro che fra essi avevano l’ardire di proclamarsi i migliori peccavano continuamente in superbia, non sapendo offrire altro che attacchi privi di strategia ed enfasi animale senza controllo contro i propri avversari. »
A quelle parole, Av’Fahr restò prima in serio silenzio, quasi a soppesarne l’importanza, l’intrinseco valore, forse a cercare di comprenderle in ogni sfaccettatura, per poi aprirsi in un sorriso sincero mostrando la fila bianca dei propri denti: « Vado a vedere se Ja’Nihr e Tamos hanno finito, così possiamo andare a cena. » concluse semplicemente.

venerdì 21 marzo 2008

071


« P
er Gah’Ad! » inveì egli, sgranando gli occhi nello scoprire la difficoltà di quel gesto « Ma cosa succede? » chiese spontaneamente, tentando di voltare il capo per intravedere qualcosa dietro la propria schiena, per comprendere la ragione per cui le proprie mani non riuscivano a raggiungersi l’un l’altra al contrario di quelle di lei.

Midda si ritrovò a dover stringere le labbra in una smorfia sorridente per evitare di scoppiare a ridere a quella scena, divertendosi nello spettacolo possente e virile ma al tempo stesso impacciato che l’uomo le stava offrendo.

« Forse è meglio che inizi da posizioni più semplici, colosso. » sorrise lei, accarezzandogli appena il petto gonfio nella tensione muscolare per poi raccomandarlo con tono tranquillo « Non sforzarti ora… o rischi di farti male. »
« Ma è un’assurdità… » commentò Av’Fahr, riferendosi alla propria incapacità a compiere un gesto per lei tanto semplice.
« Hai una muscolatura troppo sviluppata, per questo non riesci. » ridacchiò ella, scuotendo il capo « Ripeto: è meglio che non ti sforzi, o rischi di provocarti uno strappo o, peggio, di slogarti una spalla. »

L’uomo, a malincuore, acconsentì a prestare questa volta attenzione alle parole della donna guerriero, abbandonando quella futile prova e non riuscendo ad evitare di provare un leggero imbarazzo per quel fallimento. Nel riportare le braccia in posizione più consona, avvertì non poco le conseguenze di quel suo tentativo e comprese che se, in effetti, avesse continuato avrebbe potuto farsi anche molto male.

« Riesco a piegare i ferri da cavallo a mani nude eppure sono così fisicamente legato. » storse le labbra, ammettendo il proprio limite.
« Non avertene a male: la maggior parte degli uomini è convinta che il segreto della vittoria in un duello si fondi unicamente sulla forza delle proprie braccia, delle proprie spalle, delle proprie gambe. » sorrise lei, incrociando gli arti sotto ai seni prosperosi « La forza è importante… ma un guerriero non può basare tutte le proprie possibilità di vittoria in una sola risorsa. »

L’uomo tornò, in quelle parole, a guardare con curiosità la donna, iniziando a domandarsi interiormente se tutte le storie che gli erano state narrate in merito alla di lei bravura, alla di lei abilità combattiva, fossero reali o frutto di qualche eccessiva mitizzazione: pur fidandosi ciecamente dei giudizi del loro capitano, i racconti ascoltati attorno alla figura di Midda erano sempre stati tanto incredibili da apparire inverosimili, come nel caso della battaglia di Meriath. Ritrovandosi di fronte ad ella, però, egli non poté non percepire una sorta di aura di intrinseca forza emanata dal di lei corpo, dal di lei animo, verso la quale provò un’istintiva soggezione.

« Salge parla da sempre di te come di una delle più grandi guerriere dei nostri tempi. » disse tranquillo nella voce.
« Se lo dice lui… » commentò ella, facendo spallucce « Personalmente evito di cercare lodi, preferendo che siano i fatti ad esprimere il valore più delle parole. »
Un istante di silenzio seguì quell’affermazione, momento di riflessione che trovò conclusione in una semplice parola: « Combattiamo. »

La donna restò immobile a quell’invito, a quella sfida, non sapendo come reagire: non comprendeva per quale ragione l’uomo potesse volerla combattere, volerla affrontare, nel momento in cui un istante prima essi stavano parlando in maniera del tutto pacifica. Di certo, però, quel colosso d’ebano non la spaventava ed, anzi, la sua mano destra poteva già considerarsi pronta a scattare verso di lui, per colpirlo con il nero del proprio metallo se solo egli avesse rappresentato una reale minaccia.

« Cosa vuoi dire? » domandò ella, scuotendo appena il capo ma restando con i sensi all’erta.
« Dici che i fatti possono esprimere il valore meglio delle parole… e sono concorde con te. » spiegò il marinaio « Affrontami e dammi prova delle tue capacità, concedimi di capire se davvero sei la donna di cui tanto ho sentito parlare... consideralo, se preferisci, un esercizi fisico. »
Ella sorrise, comprendendo ora le ragioni dell’uomo ed annuendo appena con il capo: « Sono d’accordo. Niente armi ed il primo sangue stabilirà il vincitore. » propose, riassumendo le semplici regole che spesso erano adottate in tali frangenti, nei duelli di allenamento « A te la mossa. » aggiunse poi invitandolo.

Av’Fahr, dimostrando di non essere uno sprovveduto, di non essere del proprio privo di capacità guerriere e di una mente per ragionare, evitò quello che molti altri avrebbero fatto a quel punto, ossia tentare di attaccarla istintivamente, sperando di travolgerla con la propria forza, con la propria energia. Al contrario arretrò appena da lei, portandosi in una posizione di guardia che proponeva entrambe le mani aperte, con le palme rivolte in avanti: la sinistra restò più esposta rispetto all’altra, coprendo l’area difensiva inferiore, appena sopra le ginocchia lievemente piegate a stabilizzare il peso; mentre la destra si mosse a permettere il controllo dell’area superiore, davanti al di lui petto massiccio.
Midda sorrise nel riconoscere quello stile di combattimento, tipico di alcuni marinai e pescatori dell’est, evidentemente appreso dall’uomo nel rapporto con Salge, Ron-Hun o qualche altro originario del continente di Hyn. Dal canto suo, invece, ella decise di restare assolutamente immobile nella posizione assunta, con le braccia incrociate al petto, come se nulla fosse. I di lei occhi, soltanto, tradivano la concentrazione del momento, l’animo già rivolto al combattimento: le pupille, infatti, erano tornate a stringersi al punto tale da sembrare scomparire all’interno delle iridi di ghiaccio, lasciando gli occhi quasi risplendere di luce propria nell’oscurità della sera.
Dopo un lungo momento di studio reciproco, a cercare di comprendere l’avversario nel tentativo di pianificare una corretta strategia offensiva, l’uomo decise di scattare, dimostrando più rapidità ed agilità di quanto non potesse apparire dalla sua massa ipertrofica: in un movimento fluido come quello delle onde del mare, egli si mosse contro di lei abbassandosi e reindirizzando il proprio baricentro da una posizione posteriore ad una anteriore, gravando di conseguenza quasi tutto il proprio peso improvvisamente sulla gamba destra e sferrando, contemporaneamente, un forte colpo diretto esattamente all’altezza del ventre della donna con la stessa mano destra. Ella, appena sorpresa per tanta scioltezza, non si fece comunque cogliere impreparata: la guerriera, come se avesse potuto seguire ad una velocità rallentata l’evolversi dell’attacco del marinaio, si limitò a cambiare la propria posizione muovendo un passo lateralmente e lasciando finire così l’offesa nel vuoto accanto a sé.

giovedì 20 marzo 2008

070


A
l di là di quello che la maggior parte delle persone potevano ritenere, un viaggio lungo come quello che avrebbe dovuto condurre Midda e Camne da Seviath, posta lungo la costa sud-ovest del continente, a risalire fino a Dairlan, sita al largo del litorale nord-ovest dello stesso, non poteva essere improvvisato, ne fondare la propria esistenza su un semplice desiderio del capitano o dell’equipaggio.
In una ballata epica, forse, una traversata come quella che la donna guerriero aveva richiesto alla Jol’Ange sarebbe potuta essere attuata immediatamente, vedendo il capitano comandare di levare le ancore e fare rotta verso nord, con sguardo fiero ed audace verso l’ignoto di fronte a sé: nella realtà, invece, l’uomo si ritrovava a dover fare i conti con molti fattori, con grandi responsabilità, prima di permettersi di offrire un tale ordine al proprio equipaggio. Nel migliore dei casi, infatti, il viaggio avrebbe richiesto almeno un mese di navigazione e nessuna nave avrebbe mai potuto salpare alla ventura per un tragitto tanto lungo, e di conseguenza decisamente pericoloso, senza stabilire a priori una lunga serie di dettagli: le rotte più sicure da seguire sulla base delle correnti marine e dei venti noti per quella stagione, i porti sui quali poter contare per effettuare scalo e rifornire di viveri e di acqua la stiva, l’equipaggiamento e l’armamentario più idoneo per il percorso scelto e così via dicendo. Nel proprio ruolo di comandante, Salge non poteva concedersi il lusso di sbagliare, dato che ogni suo minimo errore avrebbe potuto rappresentare la morte di un membro del suo equipaggio se non la fine dell’intero gruppo e della nave stessa: proprio per tale ragione il rapporto fra un equipaggio ed il proprio capitano non poteva permettersi di essere fondato su qualcosa di meno di una fiducia assoluta ed incondizionata, tale per cui i marinai non si sarebbero mai opposti agli ordini ricevuti anche laddove non avessero avuto cognizione di causa sulla natura degli stessi. A bordo di una nave, tutti gli uomini e le donne dovevano agire come membra di un unico ed armonico corpo, muovendosi all’unisono per compiere le proprie mansioni ed i comandi impartiti dalla mente ed affidando la sopravvivenza dell’intero corpo al successo di tale coordinazione: la mente senza l’ubbidienza del corpo sarebbe da sola risultata inutile, come del resto anche il corpo senza le istruzioni della mente non avrebbe avuto possibilità di agire.
Nel momento stesso in cui la richiesta di Midda trovò risposta nel consenso del capitano, tutto l’equipaggio della goletta venne posto subito in azione al fine di compiere autonomamente tutta la lunga serie di attività utili a permettere alla Jol’Ange di tornare operativa nel minor tempo possibile. Appena giunta, qual era, da una precedente missione, infatti, la nave non avrebbe potuto riprendere il largo senza prima subire un’accurata serie di controlli diagnostici su ogni centimetro della propria superficie, per assicurarsi che l’integrità strutturale fosse assolutamente inalterata e non vi fossero rischi nel riprendere la via del mare. Parallelamente a questo, la stiva doveva essere completamente svuotata di tutto ciò fino a quel momento conteneva, ormai inutile, per essere riorganizzata in vista della nuova meta, del nuovo tragitto. La maggior parte delle scelte relative a tali operazioni, di normale competenza del capitano o del suo luogotenente, a bordo della Jol’Ange potevano essere svolte senza incertezze o consulti dai singoli membri dell’equipaggio: essi, infatti, vivevano e collaboravano insieme da così tanto tempo per cui ogni decisione minore era ormai data per scontata. A Salge ed a Noal, al contrario, erano invece riservati i compiti più delicati della scelta della rotta da seguire, del calcolo degli scali da compiere e, conseguentemente, dei viveri e delle risorse da imbarcare: una serie di stime e calcoli meno banali di quanto non potessero essere ipotizzabili ad uno sguardo esterno e per il quale anche la presenza di Midda venne richiesta, nel vagliare quali fossero eventuali limiti a lei imposti o compiti da lei richiesti nell’assolvimento di quella missione.
Dopo il breve incontro con Berah sottocoperta, pertanto, l’attenzione della donna guerriero venne richiesta per tutto il giorno nell’alloggio del capitano, all’interno del quale alla mente di ella non mancarono di riaffiorare troppi ricordi che fu, comunque, in grado di gestire con la stessa freddezza e lo stesso controllo che normalmente poneva contro un avversario, in uno scontro mortale.
Solo al calare del sole l’attività di pianificazione venne interrotta per la cena ed il conseguente riposo.

« Av’Fahr… ho pronunciato correttamente il nome? » domandò la mercenaria con tono cordiale, uscendo prima degli altri sul ponte e rivolgendosi all’uomo, unico presente in quel momento sulla superficie della nave, intento nell’ultimare il riavvolgimento di alcune cime.
« Se tu volessi essere precisa, dovresti allungare lievemente la “a” ed addolcire la “erre”… » sorrise l’uomo, lasciando risplendere una fila di bianchi denti fra le labbra d’ebano « Ma qui a sud quasi nessuno lo dice correttamente. »
« Conosco un uomo di Shar’Tiagh che gestisce una locanda a Kriarya… » commentò ella, iniziando lentamente a muovere in maniera ritmica e rotatoria le spalle, per sciogliere la muscolatura irrigiditasi nella prolungata immobilità « Credo di aver lottato non meno di sei mesi prima di capire come chiamarlo senza storpiature, non che ad altri o a lui stesso fosse altrimenti importato. »
« Non sono shar’tiagho… » precisò il marinaio « Vengo da un po’ più a nord… ma non posso che apprezzare il gesto di rispetto che vuoi offrire nella corretta pronuncia dei nomi. »
« Sai… non mi piacerebbe sentirmi chiamare “Maida”, “Meddia”, “Midia” o in altri strani modi, come del resto mi è già successo. » spiegò rivolgendosi verso il proprio interlocutore, iniziando in quelle parole a muovere il capo, piegandolo da una spalla all’altra al fine di distendere la muscolatura del collo « E per questo preferisco imparare le pronunce corrette… Av’Fahr. »
« Quasi giusto questa volta… » le concesse egli, guardandola incuriosito da quei strani movimenti « Non pensavo che vi fossero shar’tiaghi proprietari di locande nella città del peccato. » aggiunse poi.
« E’ una persona in gamba… » sorrise ella, piegando il braccio sinistro dietro alla propria schiena dall’alto e tirandolo delicatamente con la mano destra dal basso lungo la propria colonna vertebrale « Una fra le migliori persone che io conosca, escludendo ovviamente Salge. »
Dopo un momento di silenzio, l’uomo riprese parola, come incerto sull’esprimersi o meno: « Senti… posso farti una domanda forse indiscreta? »
« Basta che non mi chiedi dettagli in merito a “quella volta”… » rispose scherzosamente, sottintendendo il riferimento all’aneddoto per cui il capitano l’aveva resa celebre, mentre invertiva il braccio destro ed il sinistro nella posizione dietro la schiena.
« “Quella volta” penso che chiunque fra noi avrebbe dato non meno di sacco d’oro per esserci… » ridacchiò egli, scuotendo poi il capo « Niente di tutto questo, comunque: mi stavo domandando… ma che diavolo stai facendo? »
« E’ solo un po’ di esercizio fisico… serve per sciogliere la muscolatura e renderla più elastica, meno tesa, riducendo così il rischio di stiramenti, crampi ed altri inconvenienti simili… » spiegò ella, sorridendo tranquilla « E’ una pratica che mi insegnò tempo fa un mio maestro d’armi. »
« Ahhhh… » esclamò l’uomo, per dimostrare di aver compreso.
« Ora, per esempio, sto coinvolgendo tutta la muscolatura delle spalle… vedi? » continuò la donna, voltandosi per mostrargli la schiena e la muscolatura coinvolta in quel momento, in un misto di tensioni e distensioni sotto la di lei pelle chiara.

Av’Fahr studiò con interesse sincero la situazione e poi, decisamente incuriosito da quelle parole che normalmente gli sarebbero apparse quasi ridicole ma che pronunciate da una donna di quella fama non dovevano di certo esserle, appoggiò le cime a cui si stava dedicando per cercare a sua volta di porsi in una simile posizione. La muscolatura dell’uomo, però, era tanto sviluppata, tanto piena e vigorosa, da renderlo contemporaneamente incredibilmente legato nei propri movimenti: sicuramente se avesse indossato una casacca in quel momento l’avrebbe distrutta nell’esplosione di forme che il tentare quel gesto causò sul di lui busto, mentre le mani condotte dietro la di lui schiena, nonostante l’impegno, non riuscirono a raggiungersi, non poterono fisicamente essere in grado di congiungersi, separate da un’eccessiva distanza.

mercoledì 19 marzo 2008

069


« N
on ti avevo sentita arrivare… » commentò Midda, con simulata tranquillità nella voce, rimproverandosi interiormente di essersi fatta cogliere tanto alla sprovvista.
« E’ normale… i rumori di fondo a bordo di una nave sono tanti e distraggono facilmente. » sorrise sinceramente Berah verso di lei « Vedrai che in un paio di giorni ti sarai nuovamente abituata ed i tuoi sensi torneranno ad essere fini come sempre. »
« Comunque non ho detto nulla che non potesse essere ascoltato... » annuì la mercenaria « Credo che tu sappia già tutto di me, vero? »
« Sì. » confermò serenamente la marinaia « Anche se ammetto di non averti mai immaginata così. Prima non mentivo nel complimentarmi con te… sei una donna di rara bellezza. »
Quelle parole colsero nuovamente in contropiede la donna guerriero, che non seppe in un primo momento come replicare salvo poi recuperare lucidità di pensiero e rispondere con tono scherzoso: « Detto da una come te non so se considerarlo un complimento o un’offesa… »
« Una come me? » domandò l’altra, non comprendendo cosa ella intendesse dire.
« Credo di non dover essere io a sottolineare le virtù indiscusse del tuo aspetto fisico. » sorrise sorniona la prima.

A quell’affermazione, fu il turno di Berah di ritrovarsi senza un’immediata possibilità di risposta, osservando prima Midda, poi se stessa ed infine anche Camne, forse a chiederle qualche opinione in merito. Ma nessuna voce le venne in soccorso e così, da sola, dovette riprendere in qualche modo a sua volta il dialogo altrimenti interrotto.

« Tu stimi il mio aspetto fisico? » domandò la figlia del mare, rivolgendosi alla propria interlocutrice.
« Non vedo ragioni per non farlo. » confermò ella, iniziando a ritrovare migliore controllo di sé in quella conversazione, grazie al punto portato a segno « Come diceva anche Camne sei una donna molto bella, fuori e probabilmente anche dentro. Non invidiare tanta grazia sarebbe da presuntuosi… »
« Sei schietta nei tuoi giudizi. » sorrise l’altra, accarezzandosi l’avambraccio destro con la mano sinistra, segno di un imbarazzo non dichiarato « Salge aveva ragione in questo… »
« Mi dispiace se il mio ricordo può averti causato dei fastidi. » intervenne la donna guerriero, sincera in quell’affermazione.
« No… non ti preoccupare. » scosse il capo la seconda « Salge è il miglior uomo che mi sia mai capitato di incontrare e non mi ha mai fatto sentire come se vivessi alla tua ombra… al contrario, però, sono io che non sono riuscita ad evitare di farlo. »
« Non comprendo… perché? »
« Non c’è una ragione razionale… » fece spallucce ella, appena imbarazzata « Non ho potuto però evitare di paragonarmi ogni giorno con l’idea che mi ero fatta di te… e cercare in ogni modo di essere tua pari, seguendo le tue orme. »
« Spero che tu non creda che Salge abbia bisogno di questo per amarti… » scosse il capo Midda, quasi dispiaciuta a quella scoperta « Ti prego… non cercare di essere come me: io non sono un buon esempio. Anzi… dovresti essere tu per me un punto di riferimento, non il contrario. »
« Ora sono io a non comprendere… » replicò Berah « Perché dici questo? »
« Perché Salge ha scelto te e tu lo hai accettato. »

Quelle parole costarono alla donna guerriero molto più di quanto non avrebbe mai ammesso. Perché in quella frase ella stava esplicitamente ammettendo un proprio errore, uno sbaglio del suo passato che forse non si era perdonata, nel quale la di lei vita aveva preso una piega nuova, una strada diversa: se solo avesse avuto il coraggio, avesse avuto la forza di cedere al proprio cuore, ai propri sentimenti, la sua vita sarebbe stata completamente un’altra e non avrebbe probabilmente subito la triste evoluzione poi conseguita.
Midda non odiava la propria esistenza, non detestava il proprio lavoro, non si riteneva frustrata da ciò che il destino le aveva riservato e le poteva ancora offrire. Ma, al tempo stesso, non poteva e non voleva augurare di ripercorrere quella stessa via a nessun’altra donna al mondo, tantomeno a chi a lei si offriva in maniera apparentemente onesta e generosa, laddove al contrario avrebbe avuto ogni ragione per non volerla neanche incontrare.

« Queste tue parole significano molto per me. » commentò dopo un lungo istante di silenzio la marinaia « Ti ringrazio per esse… »
« Ora però basta con i salamelecchi. » sorrise la mercenaria, a rompere l’atmosfera malinconica creatasi « Siamo due donne adulte, affascinanti e capaci di tenere testa a qualsiasi idiota ci si possa parare di fronte… che sono questi discorsi pesanti? »
« Dici che dovremmo metterci a spettegolare su Salge? » propose Berah, accogliendo la nuova piega scherzosa del dialogo proposta dalla guerriera.
« Ovviamente sì. » strizzò ella il proprio occhio sinistro, verso l’altra « Scommetto che quella canaglia vi ha raccontato in ogni minimo dettaglio la battaglia di Meriath ma non ha mai accennato a quando si fece incastrare da due prostitute, ritrovandosi nudo ed incatenato ad un letto gettato in mare… »

Camne strabuzzò gli occhi all’immagine così descritta, mentre la seconda donna si aprì in un largo sorriso malizioso, socchiudendo appena gli occhi con fare felino.

« In effetti non mi pare di aver mai sentito questa storia… » commentò accarezzandosi appena il mento con la punta delle dita della mano destra.
« Lo immaginavo. » sorrise con un’espressione fra il divertito ed il sadico la donna guerriero « E dubito anche che vi abbia narrato di quando non comprese di essersi sposato con la figlia di un capotribù nelle isole centrali: credo che il padre della fanciulla voglia ancora la sua testa come ornamento per la propria cintura. »
« E’ per questo che rifiuta da sempre missioni verso quella zona! » esclamò Berah, scoppiando a ridere a quelle parole « Credo proprio che tu ed io diverremo buone amiche, Midda Bontor! » aggiunse poi, tendendo verso la donna le proprie braccia.
« Concordo! » rispose ella, sinceramente felice di aver già chiarito ogni cosa con la nuova compagna, in previsione del lungo viaggio che le avrebbe viste vivere spalla a spalla in uno spazio decisamente stretto per contenere anche dei dissensi o delle stupide gelosie « Anche se credo che Salge non sarà affatto contento di questa alleanza… non immagini quanto abbia da raccontarvi su di lui! »

E tutte le presenti in quella cabina, Camne inclusa, non poterono che ridere di cuore alla prospettiva dei giorni che le avrebbero attese nella navigazione verso nord, ricche di divertenti aneddoti, di sano divertimento e di un po’ di tranquillo e cordiale cameratismo, come solo la Jol’Ange sapeva garantire al proprio equipaggio.