11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

sabato 26 aprile 2008

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« O
ra! »

Hayton, alcalde della città di Konyso’M, con quel grido dette il segnale che tutti stavano attendendo per scatenare l’offensiva finale contro l’ultima nave pirata ancora integra: in realtà ben pochi erano sopravvissuti al di lui fianco aspettando quell’ultima parola e, fra loro, molti non sarebbero stati vivi ancora a lungo. Ma a quel semplice suono, simile ad un ruggito primordiale, le lampade incendiarono il combustibile che nera aveva reso la superficie del mare, trasformando in un istante l’acqua in fuoco. Non un’esplosione seguì quel gesto quanto l’accensione di un innaturale incendio sopra le onde, che nulla avrebbe potuto soffocare e che avrebbe consumato nel proprio calore tutto ciò con cui sarebbe giunto a contatto. Più vasta di qualsiasi altra precedente nube, la fumata nera che avvolse la fregata in quell’incendio intossicò i polmoni dei predoni, ora folli nel terrore più puro per quel rogo in cui erano stati condannati: solo i più freddi e coraggiosi fra loro ebbero l’audacia di gettarsi in mare, a sfidare le inestinguibili fiamme accese sotto di loro nella consapevolezza che solo oltre la superficie avrebbero potuto trovare salvezza nell’acqua pura, ammesso ma non concesso che lì giunto sarebbero poi riusciti a nuotare fino all’esterno di quella macchia ardente trattenendo il respiro.

Sulla costa, al molo della città, tutti i presenti lì radunati osservarono con entusiasmo e con orrore quello spettacolo terribile e stupendo: la gioia di quella visione era data dalla consapevolezza che il nemico era stato quasi abbattuto e che, qualsiasi cosa fosse accaduta, il loro futuro si sarebbe deciso su quella stessa sabbia impregnata ora di pece nel momento in cui i sopravvissuti fossero giunti a riva; il raccapriccio che essa scatenava nasceva dalla comprensione del destino a cui tutti i pescatori partiti pochi minuti prima al fianco dell’alcalde si erano votati, escludendo forse qualsiasi possibilità di ritorno. A loro, ai giovani, agli ultimi baluardi della resistenza dell’isola, era in quel nero fumo affidato il compito di onorare la memoria dei caduti, nell’impedire ai predoni di portare a termine i propri piani di morte, nell’ostacolare i pirati nel loro proposito di sterminio per essi stessi, di furto per tutto ciò per cui i loro morti avevano lottato e si erano sacrificati.
Il primo ad accorgersi che la battaglia, però, era ben lontana dall’essere terminata fu proprio colui a cui sarebbe dovuto essere dedicato quel giorno, nel momento in cui, facendo ritorno verso i compagni radunati sulla costa dal centro della città, ebbe modo di scorgere qualcosa che gli gelò il sangue nelle vene: un gruppo di nove scialuppe stava raggiungendo l’isola, attraccando su un versante coperto nella visuale dal punto in cui tutti erano raccolti. Impossibile dire a quali navi essi potessero essere fuggiti o da qualsiasi altra direzione essi fossero giunti ed, in realtà, neanche importante era la consapevolezza di quell’informazione: i predoni del mare, sicuramente in misura minore di quanto essi avrebbero temuto, erano comunque giunti fino all’isola e stavano sbarcando ignorati da chiunque fra loro.

« Alle armi! » urlò il giovane, con tutta la forza che possedeva in corpo, gettandosi in corsa verso i propri compagni « Pirati! I pirati sono giunti! »

Ma come potevano più di cento giovani uomini, per quanto volenterosi, sostenere l’attacco offerto da oltre una sessantina di assassini e tagliagole della peggiore specie? Come potevano quelle nuove vittime sacrificali tenere testa ai proprio trucidatori, rimasti soli e privi di qualsiasi guida, privi di qualsiasi esperienza bellica?
Spinti solo dal proprio ardore, incapaci nella maggior parte dei casi anche solo a reggere una spada o una picca in mano, gli ultimi difensori dell’isola si offrirono ai propri avversari con ingenuità disarmante, combattendo con tutto il coraggio, tutto l’ardore che avevano in corpo, sicuramente maggiore di quanto mai quegli aguzzini avrebbero avuto, ma assolutamente inefficace al semplice fine di sopravvivere. I bucanieri, che del resto non si sarebbero fatti scrupoli a massacrarli in un panorama consueto, si avventarono contro di loro con una furia animale, selvaggia, incontrollata, facendo saettare le proprie armi di ogni origine e foggia, mutilando arti, tranciando teste, squartando ventri, scorticando corpi del tutto indifesi davanti a loro. Quella che era iniziata sulla spiaggia, lontana dalla trappola che con tanta premura gli autoctoni, non era una battaglia ma una vera e propria carneficina: come animali condotti al macello, così gli uomini di Konyso’M, vennero affrontati dai loro naturali nemici, che impietosi non concessero alcuna tregua, non permisero alcuna possibilità di salvezza.
Mab’Luk, insieme ad una dozzina di compagni ed amici, fratelli di vita da sempre, tentò di mantenersi in una posizione compatta, ad imitazione di quelle che erano i canti ascoltati da bambino e narranti le grandi guerre del continente: là dove nelle sonate e nelle leggende quei momenti potevano apparire gloriosi ed entusiastici, nella realtà concreta l’orrore era tale da non permettere neppure la possibilità di perdere i sensi di fronte ad esso, superando ogni capacità di gestione o di rifiuto, inconscio o conscio. Egli avrebbe voluto svenire, avrebbe desiderato lasciarsi andare sperando in una morte rapida ed indolore, nonostante il volto della propria amata fosse sempre davanti ai di lui occhi, nonostante ciò avrebbe significato perdere per sempre la speranza di sposarla e di vivere con ella, ma in quel momento non gli era concessa neanche quella soluzione: l’orrore che lo dominava, costringeva il suo corpo a muoversi incessante, cercando di difendersi, tentando di offendere il proprio nemico. Nessuno dei pirati davanti a lui aveva un volto o un corpo ai suoi occhi: nella follia che dominava la sua mente in quel momento, essi apparivano simili a leggendari demoni immortali ed anche laddove, per rari colpi di fortuna, le armi che reggeva fra le mani arrivavano a scalfirli, a ferirli, egli non riusciva ad accorgersene. In compenso, quello stesso orrore, quella stessa paura incontrollabile, irrefrenabile, pulsava nelle di lui vene una quantità di adrenalina tale da non permettergli di accorgersi degli innumerevoli tagli, delle sempre crescenti ferite che stavano venendo aperte sulla sua stessa pelle, facendo sgorgare abbondante il suo sangue a bagnare la sabbia bianca sotto di lui. Ma per quanto egli ed i suoi compagni potessero combattere, per quanto la paura più viva si potesse impossessare dei loro corpi spingendoli oltre ogni limite stabilito, essi non erano immortali e, soprattutto, non erano guerrieri: la violenza incessante degli attacchi da parte dei predoni non concessero loro respiro e, dopo un tempo tanto breve eppur eterno ai loro sensi, essi soccomberono di fronte ai propri avversari, crollando morenti a terra.
In quegli ultimi spasmi di vita, prima che per l’ultima volta le sciabole, le lance, le mazze dei pirati potessero essere calate sopra la sua testa, il giovane promesso sposo riuscì a scorgere, nella nebbia sanguigna che copriva i suoi occhi, una figura femminile che, simile a dea della guerra, si avventò contro i pirati, brandendo una lunga spada nella mancina ed un pesante martello da fabbro nella destra. In ella, Mab’Luk riconobbe la straniera che aveva levato dalle acque del mare e che, improvvisamente risvegliatasi, era stata richiamata alle armi, all’azione, nel momento della maggiore necessità non diversamente una figura eroica mitologica: nonostante le numerose ferite su tutto il di lei corpo, i movimenti della donna furono rapidi, precisi, efficaci, fendendo con la lama dagli azzurri riflessi l’aria e gli avversari e spaccando con il martello crani ed ossa, senza alcun sentimento di pietà, senza alcuna incertezza. Gli occhi di lei, chiari tanto da apparire simili a ghiaccio, non mostrarono debolezze, non mostrarono dubbi: una contro cinquanta, ella non offrì movimenti di ritirata, non si concesse indugi, continuando ad avanzare in quella selva di umani corpi, falciati come grano maturo, spezzati come delicati fuscelli.
Il giovane non riuscì credere a ciò che i suoi stanchi occhi gli stavano suggerendo, ai deliri che ritenne derivati dalla mente provata, dalle carni lese e sanguinanti: stava sicuramente sognando in un’ultima, inconscia ed impossibile ricerca di salvezza per sé e per i propri amici fraterni, proiettando le proprie fantasie a creare chi non poteva esistere, chi non avrebbe mai potuto giungere in loro aiuto.

« Heska… » sussurrò, sentendo le ultime forse rimastegli abbandonarlo « … perdonami. »

Ed, in quel difficile respiro, l’oblio l’accolse in un abbraccio di tenebre e pace.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Eccola!!!! :) :) :)

Solo un dubbio.
La spada "dai riflessi azzurrini" è una semplice spada trovata sul posto, come il martello, giusto?

Sean MacMalcom ha detto...

Potrei essere criptico e dire "Bohhhhh..."... :))
... ma non lo farò! :D

Hai ovviamente visto correttamente. ;)
Non a caso il titolo alternativo di questo episodio sarebbe stato "Per una spada" e non a caso Midda era stata lasciata nella bottega di un fabbro! :D