11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

venerdì 7 novembre 2008

302


S
ettima prova: il sacrificio.

« Ed ora? » domandò Be’Wahr, osservando l’abisso oscuro davanti a loro.

Una vita avrebbe dovuto essere offerta quale macabro tributo al meccanismo di sicurezza ideato da coloro che secoli prima si erano proclamati custodi della corona della regina Anmel, di quell’artefatto tanto potente, tanto pericoloso, al quale solo ad un animo non oscurato dalla bramosia di potere avrebbe avuto diritto di possesso, avrebbe potuto ottenerlo. Non il coraggio, non la forza, non la temperanza, non la destrezza, non la saggezza, non la rettitudine: nessuna fra le precedenti prove avrebbe mai soddisfatto realmente la ricerca di tutti i requisiti di colui che avrebbe avuto diritto su quella reliquia e sul carico di responsabilità che attraverso essa sarebbero derivate. Il coraggio avrebbe potuto anche essere la virtù dei folli, la forza avrebbe potuto derivare dalla semplice brutalità, la temperanza non sarebbe mai mancata a chi avrebbe avuto desiderio di imporre il proprio dominio su ogni forma di vita del creato, la destrezza avrebbe potuto caratterizzare un gatto ancor prima di un uomo, la saggezza sarebbe potuta essere acquisita con la maturità e l’esperienza da chiunque, la rettitudine sarebbe sempre rimasta una virtù, un valore troppo soggettivo ancor prima che oggettivo: solo il sacrificio sarebbe potuto essere l’unica reale chiave d’accesso a quell’energia antica, un sentimento sincero, un’azione personale e non falsa o di convenienza come quella che per molti avrebbe previsto di immolare altre vite ancor prima della propria.

« Ed ora… » sussurrò la Figlia di Marr’Mahew, nel riprendere la domanda posta dal biondo.

Midda osservò a lungo i propri compagni. In quegli ultimi mesi aveva imparato ad apprezzarli, si era spesso sorpresa ad ammirarli: certo non erano mancati gli scontri, era anche stata ferita dalle loro opinioni, dai loro sentimenti, ma al tempo stesso da essi aveva potuto apprendere molte cose. Per certi versi, in ognuno di loro, ella era in grado di ritrovare una parte di sé, del proprio passato, per proprio presente e, forse, anche del proprio futuro: innegabile, del resto, era come nessuno fra i di lei compagni avesse la sua età, avesse vissuto quanto aveva vissuto lei, avesse goduto di ciò che lei aveva avuto la possibilità di godere. Dove per lei, nella media comune del loro mondo, erano maggiori i ricordi che avrebbe potuto conservare nel proprio cuore rispetto alle esperienze che avrebbe avuto ancora da vivere, per ognuno di loro ancora molte sarebbero potute essere le avventure da affrontare, le imprese da compiere, ammesso ma non concesso che fossero stati sufficientemente in gamba da resistere ai mille pericoli dell’esistenza, da distinguere in quale missione potersi avventurare ed a quali sarebbe stato meglio rinunciare.
In confronto ad essi, a quella specie di innocenza che ancora riusciva a cogliere nei loro occhi, nei loro cuori rispetto al proprio cinismo troppo spesso imperante, troppo spesso soffocante attorno alle di lei emozioni, ella non poteva fare a meno di sentirsi incredibilmente vecchia, appartenente ad una generazione ormai destinata all’estinzione: non che la vita le fosse venuta a noia, non che il desiderio di nuove sfide in lei fosse scomparso, ma ben sapendo a quale destino uno fra loro avrebbe dovuto inevitabilmente condannarsi per il successo di quella missione, per il recupero del diadema, non riusciva razionalmente immaginare nessuno meglio di lei per simile gesto.

« … tocca a me. » concluse ella, riportando lo sguardo al vortice di tenebre .

Menzogne.
Stava davvero cercando di ingannare se stessa? Stava davvero tentando di mentire alla propria mente, al proprio cuore, al proprio animo, nel volersi offrire un’immagine migliore rispetto a quanto altresì era?
Difficile a dirsi.

« No! » esclamarono gli altri, quasi in coro nell’allungare le mani verso di lei per trattenerla.

Nei di lei pensieri non potevano fare a meno che risuonare le parole di Be’Sihl, la di lui cupa rassegnazione di fronte alla di lei ripartenza e nel confronto con l’ipotesi che Kofreya, ed in particolare Kriarya, potesse essere spazzata in conseguenza della violenza della guerra, annientata sotto l’azione di Y’Shalf: il suo rapporto con il locandiere era sempre stato particolare, unico per certi versi, laddove pur sentendosi legata profondamente a lui, pur apprezzandolo ed ammirandolo, e pur non essendoci particolari impedimenti fra di loro, mai avevano… aveva permesso alla loro relazione di sfociare in qualcosa di diverso dalla semplice amicizia, dalla stima e dall’affetto reciproci. Di questo ella non si era mai posta domande, non si era mai posta dubbi o incertezze ma, forse ed invece, avrebbe dovuto, avrebbe dovuto evitare di dare per scontato la loro reciproca presenza in eterno: quello, in effetti, da sempre si proponeva quale uno dei suoi principali errori nel confronto con le persone a cui si sentiva legata, come Be’Sihl e molti altri assieme a lui. Quanta gente era morta senza che lei ne avesse avuto per anni, decenni addirittura, notizia? Quanti amici, quanti amanti, aveva perduto senza avere la possibilità di offrire loro un ultimo saluto? Davvero il di lei desiderio di sacrificio nasceva dal desiderio di salvezza per i propri compagni di ventura o, forse, esso derivava dalla volontà di trovare una via di fuga da tutto quello, una scappatoia da un mondo con cui non riusciva a stare alla pari o, più semplicemente, non desiderava stare alla pari? Era coraggio, il suo, o vigliaccheria? O, ancora, ella desiderava trovare nella condanna a cui sarebbe andata incontro la voglia, l’occasione di poter affrontare l’esistenza stessa in modo diverso?

« E’ il mio destino… è la mia vita… » sorrise amaramente, guardando uno alla volta i visi dei tre fratelli d’arme in quella missione.

Si sarebbe esiliata per sempre da tutto ciò che conosceva, da tutto ciò che amava, dalla vita stessa, ma in tale esperienza avrebbe probabilmente potuto maturare una consapevolezza diversa, una maturità che non sentiva di aver raggiunto. In tal modo, con simile predisposizione d’animo, avrebbe dovuto affrontare quel momento, vivere quell’esperienza: non come una condanna, ma come l’inizio di una nuova avventura, una nuova impresa diversa da tutto ciò che mai avrebbe immaginato, da tutto ciò a cui era abituata. Del resto tale era da sempre stata la di lei natura, tale era da sempre stato il di lei animo, nella ricerca di nuovi orizzonti, di nuove sfide: al mondo aveva già dato ampia dimostrazione di poter sopravvivere ad ogni insidia, ad ogni prova… che senso avrebbe avuto ritirarsi di fronte a questa prova, a questa nuova possibilità?

« Non ne vale la pena, Midda. Non vale la pena morire per una missione… » cercò di negare Carsa, stringendola per il braccio mancino con le proprie mani.
« Non morirò. » scosse il capo la donna, ora parlando quasi dolcemente « Non intendo morire. E di questo posso darti la mia parola… »
« Cosa stai dicendo? » domandò nuovamente la voce dell’altra, ora non provenendo da colei che pensava di avere di fronte, ma da un mondo esterno, da una realtà diversa da quella in cui era immersa.

Ed il sogno venne interrotto, concludendosi in virtù dell’intervento della di lei giovane compagna, sopraggiunta accanto all’improvvisato giaciglio su cui in quella notte aveva cercato riposo, riparandosi sotto ad una delle coperte che avevano condotto con loro, sui cavalli: la mano di Carsa si poneva realmente appoggiata al di le braccio, ma non per stringerla, non per trattenerla, quanto piuttosto per scuoterla, per ridestarla dolcemente da un sonno che aveva avvertito essere agitato per merito di parole che erano state pronunciate nella notte kofreyota ed alle di lei orecchie erano giunte ponendola in guardia.

« Cosa stai dicendo, Midda? » insistette ella, osservandola con sguardo turbato.

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