11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

giovedì 31 dicembre 2009

720


« S
e questo è il trattamento che riservi ai tuoi amici, forse mi sarebbe convenuto continuare a fingere di esserti nemica… » rispose la giovane dalla pelle color della terra, aggrottando la fronte con fare apparentemente ironico, ma sostanzialmente spaventato, all’idea di un eccessivo prolungamento per quella tortura psicologica e fisica.

Consapevole dei numerosi equilibri in gioco, delle varie forze coinvolte in quella incredibile partita a chaturaji con pedine umane, per lei era stato paradossalmente indispensabile posticipare la partenza dalla città rispetto all’immediatezza programmata dalla propria salvatrice, al fine di riservare loro una possibilità di sopravvivenza, apparentemente ubbidendo alla propria mecenate, ma sostanzialmente operando per la loro stessa salvezza. Se solo, intatti, a seguito del successo riportato nel suo stesso recupero dal patibolo, avessero tentato di raggiungere il porto o, peggio ancora, le mura della città, tutti loro si sarebbero semplicemente e naturalmente gettati fra le braccia delle guardie cittadine, che, con discrezione assoluta e coordinamento impeccabile, erano state poste in assedio attorno al capannone all’interno del quale il gruppo di fuggiaschi aveva trovato temporaneo rifugio: al contrario, nel momento stesso in cui ella si fosse impegnata a ottemperare ai dettami stabiliti dalla volontà di colei che tutta quella trappola aveva abilmente programmato fin nel più piccolo dettaglio, in effetti, una diversa serie di possibilità sarebbero state dischiuse innanzi a loro, per il loro stesso avvenire, ove proprio quel magazzino non sarebbe dovuto essere considerato qual teatro previsto per la conclusione del loro tragitto, quanto semplice passaggio intermedio, tappa oltre la quale sarebbero stati condotti dall’intervento di Onej’A. Un’azione, quella dell’uomo, da non intendersi però quale reazione di avversione dello stesso maggiore nei confronti di lady Lavero, come era stato ingannevolmente loro proposto essere, quanto piuttosto quale atto di fedele collaborazione verso la stessa.
Sebbene l’ex-ufficiale dell’esercito kofreyota, qualche tempo prima, fosse realmente rimasto vittima del potere della nobildonna, perdendo in conseguenza di ciò il proprio ruolo fra le guardie della città, egli non aveva posto alcuna esitazione, alcuna obiezione, nel contrattare, con la responsabile della propria stessa distruzione sociale, un’occasione di riscatto, la possibilità di riottenere la propria precedente posizione, i propri privilegi originali, accettando in questo il prezzo della vita di Midda quale costo da pagare. Un tributo, quello sì accordato, che sarebbe dovuto essere considerato, effettivamente, tutt’altro che grave anche per un uomo d’onore come egli si era sempre proposto essere, là dove, in fondo, ella mai era stata giudicata qual diversa da una pirata, là dove, in verità, solo in tal visione d’insieme, in quella nuova interpretazione dei fatti anche il comportamento dello stesso Onej’A avrebbe finalmente dimostrato una maggior coerenza, una reale logica innanzi alla sua attenzione, più di quanto, al contrario, non sarebbe potuto essere nell’ipotesi di un’alleanza fra loro, la quale, pur spronata da un avversario comune, sarebbe apparsa ugualmente e inevitabilmente in disaccordo con ogni principio proprio di quell’individuo, di quella figura tanto salda nei propri valori morali.

« Ringrazia tutti i tuoi dei di essertela cavata con poco. » obiettò la donna guerriero, raggiungendo in tali parole l’ingresso alla stiva della nave e prestando, in ciò, particolare attenzione per evitare di veder la propria compagna rovinare al suolo in conseguenza di un movimento inatteso sotto ai loro piedi « Se non ti avessi considerata quale amica, dopo tutto ciò che hai combinato ti avrei dovuta fare a pezzi… »

A conclusione di tale piano, tanto apparentemente caotico, e pur perfettamente ordinato, così come ordito dall’abile mente della propria ideatrice, tutti i pezzi sulla scacchiera sarebbero dovuti essere mossi per intrappolare Midda, procedendo, nel migliore dei casi, al suo arresto o, in alternativa, alla sua fredda esecuzione, e ritrovando quale attore principale, interprete unico di ciò, proprio Andear Onej’A.
In quella che sarebbe risultata essere la versione ufficiale dei fatti occorsi, pertanto, egli si sarebbe dichiarato quale sopraggiunto in quelle stanze giusto in tempo per poter sorprendere nuovamente in esse, in quello spazio nel quale ella già aveva precedentemente consumato un efferato crimine, l’omicidio della stessa nobildonna, la mercenaria, lì chiaramente, evidentemente ritornata nella sola volontà di sottrarre illegalmente uno dei numerosi tesori propri dell’ipoteticamente defunta signora di quell’intero complesso, poco sarebbe importato se per semplice piacere personale o, piuttosto, dietro commissione esterna.

« Ancora con questa storia?! » esclamò l’altra, innalzando per un istante gli occhi al cielo, a dimostrare tutta la propria evidente pazienza nei confronti dell’interlocutrice « Sei una vecchietta e, se solo avessi voluto, ti avrei potuta battere anche con una mano legata dietro la schiena… »

Nel rispetto completo delle regole della città di Kirsnya, pertanto, Midda sarebbe stata condannata a morte, Onej’A sarebbe nuovamente asceso agli onori della cronaca cittadina, e tanto a lady Lavero, quanto a Carsa, sua esecutrice, sarebbe stata riservata l’opportunità di continuare a giostrare nell’ombra, così come evidentemente preferito da entrambe, lontano dai clamori della ribalta e, in ciò, da eccessive attenzioni che pur sarebbero potute risultare compromettenti ancor prima che effettivamente utili. Ma, sfortunatamente per l’aristocratica, e ancor più per il maggiore, ritrovatasi ormai costretta a non poter rimandare ancora il proprio reale tradimento la giovane mercenaria aveva rotto violentemente lo schema prefissato, garantendo, in ciò, possibilità di fuga per se stessa e per la propria compagna, quasi nel compensare, immediatamente, il debito del quale pur si sarebbe dovuta sentire obbligata in conseguenza al proprio stesso salvataggio.

« Certo. Assolutamente. Indubbiamente. Hai ragione da vendere. » confermò con fare ironico la Figlia di Marr’Mahew, spintonandola, ora, nella direzione della cuccetta assegnata alla stessa compagna, lasciandola ora libera di arrangiarsi nel mantenere il proprio equilibrio o, in alternativa, nel ruzzolare in terra se non vi fosse riuscita « Però ricordati bene che la prossima volta che, per aiutarmi, mi trascinerai ancora in una follia quale quella che abbiamo vissuto in questi giorni, neppure Thyres in persona potrà proteggere il tuo bel visetto dal vedersi completamente rimodellato da un paio delle mie più dolci carezze… » ricordò, indicandola nel mentre di tali parole con l’indice della propria destra, in nero metallo, a sottolineare il senso pieno di quella minaccia.

Carsa sorrise nell’osservare l’amica, la compagna, con i propri grandi occhi castani. Un sorriso sincero, un sorriso autentico, quello sì offerto, non volto a prenderla in giro, non animato da intenti canzonatori, quanto più da una sincera gratitudine, un cortese affetto, non dimentico dell’impegno reale posto da parte della medesima in suo aiuto, in suo soccorso: a poco sarebbe dovuto importare, in effetti, la reale natura della sua condanna, prima, o del suo tradimento, poi, entrambi fittizi, entrambi semplici menzogne, là dove, in risposta agli stessi Midda si era pur posta realmente in gioco, mettendo in dubbio il proprio futuro solo per concedere a lei una speranza in tal senso. Un gesto, un riconoscimento, dopotutto, che non sarebbe potuto essere considerato dissimile, estraneo, da quello che già tempo prima, nel corso della missione di recupero per la corona della regina Anmel, la stessa donna guerriero aveva voluto offrire tanto a lei stessa, quanto ai loro due compagni, Howe e Be’Wahr, nell’essere pronta al sacrificio per loro.

« Perché lo stai facendo? » domandò, con dolcezza nella voce, trasparente di eguale stato interiore nel rapporto con quella figura a sé tanto amica « Perché stai impegnando tanto in me? Non ho fatto nulla per meritarmi questo tuo rispetto… questo tuo affetto. Ma, nonostante tutto, non hai esitato, non hai avuto incertezze a correre nuovamente in mio soccorso appena ne ho avuto la necessità… »

La Figlia di Marr’Mahew non rispose subito a tale questione, non offrì rapidamente la propria voce, dove superficiale, retorica, sarebbe potuta essere qualsiasi asserzione in quel momento.
In verità, quanto ella si era proposta disposta a fare nei riguardi della propria compagna sarebbe potuto essere considerato di gran lunga superiore a ciò che chiunque sarebbe stato pronto a compiere per un proprio familiare, un proprio fratello, un proprio genitore, un proprio figlio, ove nel loro mondo, nella loro realtà, effimero sarebbe dovuto essere giudicato qualsiasi legame, qualsiasi rapporto, non solo fra mercenarie quali esse erano, ma anche fra persone comuni, le quali difficilmente non avrebbero trovato un giusto, e tutt’altro che eccessivo prezzo, alla vita di chiunque. Forse, il suo comportamento avrebbe potuto trovare giustificazione nel suo stesso passato vissuto in mare, nella sua formazione alla vita di gruppo, alla comunione con un equipaggio, fratelli e sorelle di fatto ancor prima che di sangue. Forse… impossibile a dirsi con certezza, però.

« Non lo so. » ammise alla fine, offrendo il proprio sguardo di ghiaccio pur, ora, non così freddo, non così innaturale e inumano qual solitamente sarebbe potuto apparire « Sinceramente non lo so. Probabilmente hai ragione nel considerarmi una vecchietta… »

La giovane sorrise ancora, poi spingendosi verso di lei per abbracciarla, senza malizia, a permettere a quel gesto, a quell’atto apparentemente tanto comune e pur, propriamente, carico di significati, di infiniti messaggi non verbali, di farsi carico di tutta la sincera gratitudine, l’affetto forse, di cui mai sarebbe stata in grado di offrire adeguata espressione a voce, di cui mai avrebbe potuto, altrimenti, rendere partecipe la propria compagna e amica.

« Grazie… di tutto. » sussurrò, così a lei unita, in un sussurro tanto flebile da risultare difficilmente udibile persino alla stessa controparte « Le mie preghiere, da oggi in avanti, saranno elevate agli dei affinché questo tuo sentimentalismo, queste tue emozioni, non ti possano mai tradire, non ti possano mai permettere, un giorno, di essere vittima di chi, indegno delle stesse, potrebbe ordire a tuo discapito fruttando quella che potrebbe essere giudicato segno di debolezza ancor prima che di una straordinaria forza. »
« Prega, piuttosto, per coloro che in tal senso penseranno di agire, amica mia. » rispose Midda, scuotendo appena il capo e scostandosi da lei « Perché, allora, la stessa Marr’Mahew, dea della guerra, avrà ragione di temere la mia ira… »

mercoledì 30 dicembre 2009

719


M
algrado la propria naturale ritrosia verso il mare e, in conseguenza, verso la navigazione, caratteristica della maggioranza degli uomini e delle donne, di tutti coloro che non avevano avuto occasione di nascere e crescere sotto la sua benedizione, Carsa Anloch non poté negare al proprio cuore, al proprio animo, una certa soddisfazione, un sincero sollievo, nel ritrovarsi a osservare lo sconfinato e apparentemente omogeneo orizzonte, delineato dall’unione fra le acque e i cieli, dal ponte della Har’Krys-Mar in occasione di un nuovo tramonto.
Il sole, arrossato oltremisura, stava allora iniziando lentamente a immergersi nell’oceano infinito, a scomparire in esso, bramoso di raggiungere il proprio giusto riposo così come sarebbe stato ogni uomo, donna, animale o vegetale dell’intero Creato al calare delle tenebre, per rigenerare le proprie energie, il proprio vigore, prima dell’inizio di una nuova giornata, prima della ripresa del proprio impegno, del proprio lavoro. Il tramonto, sì presentato, non avrebbe dovuto essere considerato quale un evento particolarmente straordinario, non avrebbe dovuto essere giudicato quale un accadimento nuovo, verso il quale mai la giovane donna guerriero, in passato, aveva avuto opportunità di contemplazione, neppure nella più circoscritta situazione lì presentata, lì offerta, in quell’incontro fra il fuoco del maggiore astro del cielo e le acque dei mari, ove pur di simile visione ella aveva avuto più volte possibilità di godere dalla costa, così come, in fondo, sarebbe stato visibile anche dalla stessa Kirsnya. Ciò nonostante, l’essere a propria volta immersi in quelle acque, isolati in tal modo dal mondo intero, lontani dalla terraferma e da ogni umana civiltà, non avrebbe potuto mancare di conferire a quella visione un valore assolutamente diverso dal solito, nuovo e, in verità, quasi entusiasmante: in effetti, anche dal punto di vista della mercenaria dalla pelle color della terra, sarebbe potuto essere tutto perfetto se non fosse stato per il malessere del quale, suo malgrado, era divenuta vittima dal momento stesso in cui aveva posto piede a bordo di quella nave, disagio in conseguenza del quale, ormai, il suo stomaco si era completamente rivoltato così tante volte da farle, purtroppo, perdere ogni possibilità di conteggio a tal riguardo.
Uno spettacolo, quello del tramonto, che avrebbe dovuto essere quindi considerato, nonostante tutto, quasi un danno collaterale, ove la sola ragione per la quale ella si era sospinta verso il ponte della nave, verso quel parapetto a picco sul mare, avrebbe dovuto essere ricercata nella volontà di riversare in mare le conseguenze di un ennesimo e violento attacco di vomito…

« Dopotutto, credo che potrò fare a meno di spaccarti la faccia… » ridacchiò Midda Bontor, giungendo immediatamente accanto all’amica « Sembra proprio, infatti, che gli dei del mare stiano impegnando le proprie energie a riversare in tuo contrasto tutta la loro indole vendicativa in mia vece. »
« Spiri… spiritosa… » gemette la giovane, storcendo le labbra a quella comparsa « Potrei iniziare veramente a odiarti per tutto questo… sai? »
« Quante storie per un po’ di nausea. » sorrise l’altra, sorniona, ciondolando accanto alla compagna con fare quasi giocoso, maliziosamente impegnata, in effetti, a non offrire alcuna stabilità visiva all’amica per incentivarne, ancor più, il già disastroso malessere su di lei imperante.

Se crudele, forse, avrebbe potuto essere giudicato l’impegno, la volontà, nella Figlia di Marr’Mahew, a non concedere alla propria sorella d’arme una speranza di tregua, forse tanta brutalità avrebbe potuto essere considerata quasi magnanimità alla luce delle spiegazioni da lei stessa ottenute nel corso della mattinata ormai lontana, dal momento in cui avrebbe potuto essere giustificabile anche un comportamento peggiore, a offrire equo compenso per quanto Carsa si era pur prodigata di compiere per quello che aveva definito qual bene comune. Dalla voce della giovane, nelle ore antecedenti, era stata infatti proposta una nuova chiave di lettura utile a reinterpretare tutti eventi di quegli ultimi giorni, originale, diversa da quella che già Andear Onej’A aveva tentato, confusamente, di imporre all’attenzione della propria avversaria temporaneamente e falsamente eletta al ruolo di alleata: un’analisi dei fatti, quella così offerta, che sicuramente era parsa più solida rispetto a ogni proposta precedente ma che, nonostante tutto, non aveva pienamente soddisfatto la donna guerriero, al punto da spingerla, in un desiderio di umana vendetta, a incentivare il malessere proprio della compagna ancor prima che aiutarla a superarlo.

« Ti stai divertendo… » la accusò la giovane, distogliendo rapidamente lo sguardo da lei solo per piegarsi ancora verso il mare, in un gesto più psicologico che pratico là dove, ormai, già da qualche ora dal suo stomaco non sarebbe potuta essere riversata che bile.
« Assolutamente no. Lo sto facendo solo per il tuo bene. » negò l’altra, ironica, salvo poi comunque arrestare il proprio modo ondulatorio e tendere le proprie mani a circondare le spalle della compagna, per aiutarla a reggersi, a ritrovare un proprio equilibrio.

Secondo quanto proposto, e non diversamente rispetto alle spiegazioni precedentemente a lei offerte, tutta la questione relativa all’imprigionamento e alla condanna a discapito di Carsa sarebbe dovuta essere considerata effettivamente quale una semplice messa in scena, un’abile recita in cui tutti si erano impegnati secondo direttive stabilite da lady Lavero, al fine di spingere Midda stessa a porsi in trappola, a infrangere, nuovamente, le leggi proprie della capitale, in modo tale da vanificare l’effetto della precedente amnistia riconosciutale in virtù del proprio successo nel recupero della corona della regina Anmel.
L’aristocratica, infatti, non aveva accettato di buon grado l’interferenza della donna nella questione della fenice, e, in questo, aveva deciso di sfruttare la propria posizione, il proprio potere, per estrometterla dai giuochi, per negarle ogni futura possibilità di intromissione nei propri affari. Sì conscia del particolare legame di rispetto, di fedeltà, che avrebbe costretto la Figlia di Marr’Mahew a intervenire in soccorso della compagna d’arme, la nobildonna kofreyota non si era però limitata a coinvolgere la mercenaria semplicemente nell’evasione della presunta condannata ma, ancor peggio, aveva voluto renderla formalmente colpevole del proprio omicidio, riservandosi, come già in passato, una nuova occasione di presunta morte, tale da permetterle, in ciò, di liberarsi addirittura della spiacevole attenzione che si era resa conto riversare attorno alla propria figura dalla propria ricomparsa sulla scena politica della capitale.

« Andiamo… dai. » la invitò con delicatezza nella voce, a dimostrazione di quanto la propria volontà di vendetta nei confronti della giovane avesse già trovato la soddisfazione richiesta « Ti riaccompagno sotto coperta. »
« Comunque faresti solo bene a divertirti a mio discapito: dopotutto me lo merito. » sussurrò Carsa, affidandosi così alla guida della compagna in quel lento tragitto verso il ventre della nave.
« Oh… ma non ti preoccupare per questo. » sorrise la mercenaria, sorreggendola, quasi trascinandola di peso, attraverso il ponte, facendo attenzione in ciò a non ostacolare l’azione, il movimento, di alcuno fra i numerosi marinai lì impegnati nelle consuete attività utili a governare una nave « Il viaggio è ancora molto, molto, ma veramente molto lungo. »

Nella volontà di non rinnegare Midda, di non abbandonarla, nell’essere animata da ragioni del tutto similari a quelle che pur non avrebbero permesso all’altra di lasciarla morire in conseguenza della condanna impostale dai giudici di Kirsnya, nonché nella consapevolezza di come, con la propria collaborazione o in assenza della medesima, la nobildonna non avrebbe evitato di condurre a termine il proprio piano, la propria ricerca di sangue a discapito della donna guerriero, Carsa aveva dovuto rendere proprio, fino all’ultimo, un ruolo di tradimento a suo discapito, solo per poter essere libera di agire, al momento migliore, per disimpegnare se stessa e la propria compagna dalla morsa ordita a discapito della medesima, e poter riuscire, così, a sfuggire da quella spiacevole trappola in cui, in un modo o nell’altro, la Figlia di Marr’Mahew avrebbe inevitabilmente dovuto ricadere per saziare la sete di vendetta propria di lady Lavero.

martedì 29 dicembre 2009

718


« T
hyres… »

Nessuno, in quel particolare e pericoloso frangente, avrebbe potuto prevedere quale obiettivo finale avrebbe effettivamente saziato la sete di sangue di quell’arma, di quella pesante ascia: non Midda, che pur a quello strano e letale giuoco si era prestata in qualità di complice; non lady Lavero, presunta spettatrice di quello spettacolo, che pur aveva incaricato di uccidere la Figlia di Marr’Mahew; non altri, ipotetici testimoni di tanta violenza, di tanta ira, apparentemente volta verso chi, ai piedi di quella figura simile a boia, inerme stava presentandosi, proponendosi quale perfetta vittima sacrificale di una spiacevole venerazione della stessa morte. Solo a Carsa, nel proprio ruolo di attrice protagonista di quella scena, sarebbe allora forse stata riservata coscienza nel merito del proprio bersaglio, nell’ipotesi, tutt’altro che scontata, che quella mercenaria avesse effettivamente deciso a chi volgere la propria fedeltà, a chi riconoscere la propria fiducia, fra chi più volte presentata, proclamata, qual propria sorella in arme, e chi, altresì, accettata qual propria padrona, propria mecenate, anche in opposizione, in aperto contrasto alla prima.
E dove quei momenti, gli attimi fuggenti caratteristici di quell’azione, parvero interminabili, forse eterni, nel poter rivivere tutta la propria intera esistenza se non, addirittura, l’intera storia dell’umanità nel tempo stesso di quella parabola, del lungo e pur rapido arco tracciato dall’ascia della giovane donna, la sua conclusione apparve, paradossalmente, istantanea, subitanea, non concedendo, quasi, la possibilità di poter effettivamente comprendere come quell’arma avesse potuto spostarsi dalle mani della sua proprietaria al centro del petto di una terza figura, rimasta in ombra fino a quel momento, un’immagine esterna alla schiera di tutti gli ipotetici protagonisti coinvolti in quel letale spettacolo: il maggiore Andear Onej’A.

« Via da qui! » ordinò la donna dalla pelle color della terra, tendendo il braccio destro verso la compagna per concederle aiuto, retorico ancor prima che pratico, per rialzarsi da terra « Dobbiamo scappare… presto! »

Quasi letteralmente trascinata dalla compagna, a Midda non poté restare altro da fare che osservare gli effetti del colpo a sé promesso, a sé destinato, agire sul corpo di quell’uomo, di quell’ex-ufficiale dell’esercito kofreyota e delle guardie cittadine di Kirsnya, al quale era stata negata persino la possibilità di intuire la propria stessa fine, di gemere per la propria condanna, nel mentre in cui, crollando a terra, un abbondante flusso di sangue dalla sue labbra si riversò sul pavimento a lui antistante.
Molte, a fronte di simile sviluppo, di tale inattesa svolta in quella già confusa vicenda, sarebbero potute essere le domande che, in quel momento, avrebbero potuto emergere prepotentemente alla sua attenzione, innanzi al suo intelletto, pretendendo di poter ottenere delle spiegazioni approfondite, serie, razionali, a giustificare quanto stava avvenendo, i continui tradimenti di cui si stava ritrovando partecipe, se non, addirittura, sprone, ragione principale, senza alcuna propria volontà in tal senso. Ciò nonostante, in quanto guerriera, in quanto mercenaria, ella era naturalmente in grado di apprezzare i particolari frangenti nei quali, innanzi a qualsiasi filosofia, sarebbe dovuta essere posta la pratica, l’azione: così, rimandando ad un momento migliore, a un luogo più appropriato, ogni richiesta di spiegazioni, la donna prese rapidamente il controllo della situazione e, in ciò, tornò, per la seconda volta in due giorni, a volgere il proprio sguardo alla stessa finestra attraverso la quale già si era riservata occasione di fuga da quelle stesse stanze.

« No! » la bloccò Carsa, stringendo con prepotenza, con forza, il suo braccio destro in nero metallo per trattenerla, nell’intuirne la volontà, il desiderio « Ti stanno già attendendo con delle barche, pronte ad attaccarti non appena tenterai di tuffarti in acqua… »

Un vivo vociare proveniente dall’unico ingresso a quelle camere, purtroppo, si propose qual dimostrazione di come, anche su quel fronte, numerosi sarebbero dovuti essere conteggiati i nemici in loro attesa, gli ostacoli preposti a impedire loro ogni possibilità di fuga, facendo apparire quella situazione, malgrado tutto, quale una trappola dalla quale non sarebbero potute evadere, non senza un impiego massiccio di forze, di energie, utile ad aprire loro un varco attraverso le carni di chiunque si fosse loro contrapposto.

« Abbiamo alternative? » domandò Midda, aggrottando la fronte e storcendo le labbra per la totale assenza di tempo a loro disposizione per riorganizzare le idee.
« Tu sarai anche una figlia del mare… ma, per me, già aver affrontato ed essere sopravvissuta all’acqua di un fiume è stata un’esperienza tutt’altro che gradevole. » replicò l’altra, scuotendo il capo, nel rievocare quanto loro accaduto durante la missione per il recupero della corona della regina Anmel « Non puoi chiedermi di gettarmi là fuori nell’oscurità della notte. »

Per quanto assolutamente all’oscuro nel merito delle dinamiche che lì avevano condotto Onej’A al proprio incontro con il destino, la Figlia di Marr’Mahew non avrebbe potuto evitare di ritenere come, potenzialmente, in loro contrasto, in loro opposizione, nel percorso più naturale, più razionale, si stessero accumulando le forze proprie dell’intera capitale, lì radunate per pretendere la testa di colei che sarebbe stata indicata quale responsabile tanto per il reale attentato al palazzo di giustizia, quanto per il fittizio omicidio della nobildonna proprietaria di quell’intero complesso. Di fronte a tale eventualità, all’ipotesi di dover dichiarare guerra a un’intera città, l’azzardo pur riservato loro in quel volo, in quel tuffo nell’oscurità della notte e del mare, non avrebbe potuto evitare di essere considerata da parte della donna guerriero, nuovamente, quale quella a loro più favorevole, nonostante la ritrosia dimostrata da parte della compagna.

« Ti sto domandando un atto di fede, sorellina. » corresse ella, rinfoderando la propria spada nel dirigersi verso la finestra in questione, senza fretta e senza flemma, per riconoscere comunque all’altra possibilità di riflessione, di ragionamento attorno a quella sua proposta « Mi ero ripromessa di portarti in salvo fuori da questa città e non sono mai venuta meno a un impegno preso… soprattutto con me stessa. »
« Ma… » tentò di obiettare la giovane, in un innato, atavico timore per il mare, pressante in lei nonostante il suo carisma di donna guerriero, la sua indole di combattente, capace di farle affrontare anche l’impossibile considerandolo pari a una quieta normalità.
« Mi prenderò cura io di te. » invitò Midda, sorridendo e tendendo la propria mano all’altra « Anche perché, una volta in salvo, mi dovrai fornire molte spiegazioni per evitare che possa cambiare i tuoi tanto gradevoli connotati a suon di schiaffi, per l’assurda giostra in cui mi hai trascinata. »

Alle spalle dei quattordici cadaveri accumulati in corrispondenza dell’area d’ingresso a quelle camere, una nuova fiumana di volti e di armi si impose all’attenzione della giovane mercenaria dalla pelle color della terra, la quale, privata qual pur si era ritrovata ad essere della propria principale arma, non poté oggettivamente considerare un numero eccessivo di alternative quali offerte al proprio intelletto, alla propria capacità di giudizio: dal momento in cui, ormai, la sua scelta era apparsa chiara, trasparente, in quel gesto di rivolta contro Onej’A, lì sopraggiunto insieme alle forze dell’ordine cittadine per procedere all’arresto della Figlia di Marr’Mahew, ella avrebbe potuto soltanto affrontare quella barriera umana o, in alternativa, affidarsi alla propria compagna, a colei che, per l’ennesima volta, era generosamente apparsa disposta a riconoscerle il proprio perdono nonostante la pericolosa confusione in cui, senza alcuna esitazione, l’aveva gettata.
Così, costretta dal fato a offrire il proprio miglior viso in contrasto al peggior gioco che mai avrebbe potuto riservarsi, Carsa si mosse rapida fino a Midda, già salita sul cornicione di quel varco, afferrando il braccio tesole con il proprio, prima, e, poi, addirittura abbracciandola completamente, quasi aggrappandosi a lei simile a una bambina fra le braccia materne.

« Se sopravvivremo, potrai prendermi a schiaffi per tutto il tempo che vorrai… » sussurrò, fissando i propri occhi castani in quelli azzurro ghiaccio dell’altra « Hai la mia parola! »

lunedì 28 dicembre 2009

717


« H
ai appena impegnato le tue energie per uccidere tredici disgraziati. Sei ferita. E hai ancora intenzione di sfidarmi? » domandò l’altra, aggrottando la fronte al proposito sì dichiarato da parte dell’avversaria « Ti prego, Midda, dimostra un po’ di buon senso e accetta di morire con dignità… »

Tutt’altro che vana avrebbe dovuto essere considerata l’asserzione formulata da parte della giovane, là dove, effettivamente, la donna guerriero non era uscita completamente illesa dall’ultimo scontro, in conseguenza alla violenta carica imposta dalle cinque guardie poi comunque uccise senza esitazioni: nel disordine di quel confronto, di quella pur mortalmente pericolosa insidia costituita dalle lame dei suoi avversari, propostesi in ogni dimensione e foggia, infatti, uno stiletto era riuscito a superare le sue difese e ad anticipare le sue offese, ferendola in maniera non letale, e pur tutt’altro che piacevole, sul fianco destro. Un’ingenuità, quella della quale ella non avrebbe mancato di rimproverarsi a tempo debito, che, nella perdita di sangue derivante da quel taglio, non profondo e neppure superficiale, l’avrebbe inevitabilmente e lentamente indebolita, negandole pertanto l’assoluta efficienza della quale avrebbe pur avuto bisogno per competere in maniera equa con un’avversaria del livello di Carsa, tanto nel desiderio di preservarne la sopravvivenza, tanto nell’eventualità opposta di distruggerla, di annientarla.

« Fin troppi, in passato, sono stati coloro che hanno commesso l’errore di sottovalutarmi, di considerarmi ormai inerme vittima del fato. » rispose la Figlia di Marr’Mahew, concentrandosi al fine di ignorare il dolore derivante dalla propria ferita e, soprattutto, di mantenersi all’erta nei confronti della propria antagonista, la quale avrebbe potuto scagliarsi in sua offesa in un qualsiasi momento « Non essere tanto desiderosa di aggiungere anche il tuo nome al loro lungo elenco… »

Quasi non fossero state neppure interrotte dall’irruenza di quell’intervallo forzato, dall’inatteso avvento dei tredici che pur avevano sperato di poter veder riecheggiare la propria fama, la propria gloria, in ogni provincia e regno di quell’angolo di mondo, qual conseguenza della vittoria su una figura tanto famosa e temuta, per un istante, per un fuggevole momento le due donne ripresero il loro combattimento esattamente là dove era stato disturbato, temporaneamente sospeso. Le due armi ripresero, in ciò, a muoversi con agilità, con rapidità, con precisione straordinaria nelle proprie traiettorie, rivelando però, proprio in tanta maestria, tanta abilità, una nuova verità prima misconosciuta e ora, altresì, assolutamente netta, definita, intellegibile quasi stesse venendo gridata a gran voce.
Se fino a prima di quell’intervallo, di quel momento di pausa fra le due contendenti, solo le offensive di Midda erano state abilmente condotte nella volontà di evitare, ancor prima che di colpire, la figura avversaria, le sue membra, il suo esile e agile corpo, ora anche gli attacchi di Carsa si proponevano animati da eguale sentimento, simile emozione, definendo, in questo, una nuova e maturata consapevolezza da parte della stessa giovane mercenaria, non più animata da un folle e letale desiderio nei confronti della compagna, della sorella di un tempo, quanto, piuttosto, da altro.

« Cosa accade? » sussurrò la donna dagli occhi color ghiaccio, quasi inudibile, nell’evadere da un nuovo fendente che mai avrebbe effettivamente sfiorato le sue carni neppure se fosse rimasta immobile nella posizione precedentemente occupata « Perché ora…? »
« Ella ci osserva. » replicò con medesimo tono la sua controparte, non più acerrima rivale, ora, ma fedele complice « E non desidero che comprenda che il nostro combattimento è già finito. »

Comprendendo immediatamente il desiderio sì espresso, la mercenaria si disimpegnò rapidamente dalla compagna, per poi gettarsi in un nuovo attacco, una nuova offensiva, ora di affondo, che pur mai avrebbe potuto giungere al suo petto, al suo cuore, sebbene in tal direzione si dimostrasse diretta.
Per ragioni di cui ella non aveva ancora piena consapevolezza, la sua amica, nemica e, ora, nuovamente amica, sembrava temere l’eventualità in cui lady Lavero avrebbe potuto prendere coscienza di come il loro scontro fosse terminato, e, sebbene non riuscisse, in cuor suo, a escludere in maniera arbitraria l’eventualità di una nuova trappola, di un nuovo inganno ordito da chi, comunque, della menzogna e della dissimulazione aveva fatto il proprio scopo di vita, non volle rinunciare a riconoscere all’altra una possibilità, fosse anche solo per dare un senso a tutta la fatica, a tutto l’impegno fino a quel momento posto nel loro scontro al fine di non ucciderla.

« Prego Thyres, per il tuo bene, che questo non sia l’ennesimo tentativo di pormi in scacco o, questa volta, nulla frenerà più i miei attacchi… » promise, ancora in un lieve alito di voce, nell’essere così tornata in sua prossimità.
« Forse sarebbe meglio che tu mi uccidessi, in verità. » replicò Carsa, storcendo le labbra verso il basso, apparentemente sincera nel severo giudizio in proprio stesso contrasto « Reggimi il giuoco… ora muoverò l’impugnatura dell’ascia contro il tuo viso. »

Avvertita per tempo, Midda accompagnò il movimento di quella nuova, fittizia offensiva da parte della propria controparte allo scopo di simulare le conseguenze di un colpo a proprio discapito, un inatteso, primo e concreto successo in proprio contrasto, sbalzandosi all’indietro e lasciandosi ricadere, in ciò, a terra, come fosse rimasta quasi stordita in conseguenza di tanto impeto.
Sebbene avrebbe dovuto comunque considerare l’ipotetica fedeltà dell’altra nei propri riguardi quale assolutamente incerta, ella volle collaborare con quell’iniziativa, con quella proposta, nell’assecondare quella particolare messa in scena ove, mantenendo i propri sensi all’erta, avrebbe potuto ottenere dalla medesima una riprova forse definitivamente utile per decidere se offrire perdono o condanna nei riguardi della compagna. Se, infatti, a fronte di un nuovo tranello ordito per pretendere la conclusione della sua stessa esistenza, ella avrebbe potuto reagire con sufficiente prontezza, rapidità, da stroncare ella stessa ogni ambizione, ogni speranza, nella controparte, condannandola all’oblio eterno, in caso contrario, nel momento in cui quella volontà di collaborazione, di riscatto dalla trama intessuta da lady Lavero fosse risultata reale, ella avrebbe potuto indirizzare la propria ira, il proprio desiderio di vendetta nella giusta direzione, non colpendo colei che era stata semplice strumento a suo contrasto, quanto, piuttosto, mirando direttamente alla mente, all’intelletto che tale mano aveva coordinato.

« Muori, cagna! » gridò Carsa, avventandosi contro di lei, nel levare la propria arma sopra il capo allo scopo di caricarla con il maggior impeto possibile, con la maggior energia che mai avrebbe potuto esserle propria, in quello che, apparentemente o realmente, avrebbe potuto essere il colpo di grazia in contrasto alla Figlia di Marr’Mahew, a concludere in maniera definita quella battaglia durata fin troppo a lungo.

Attimi eterni furono quelli che parvero caratterizzare l’ampia parabola tracciata da quell’arma in contrasto alla mercenaria dagli occhi color ghiaccio, in sua opposizione, nell’incertezza di qual intento, effettivamente, stesse muovendo quella pesante ascia verso il suo corpo. Ella, certamente, avrebbe ancora levare il proprio braccio ad arrestare il corso di quell’immane violenza, lasciando libera, in questo, la propria spada di sollevarsi e penetrare, senza la benché minima pietà, il ventre della controparte, nel momento stesso in cui ella, cercando la sua morte, avrebbe chiarito il proprio animo, le proprie vere intenzioni. Ciò nonostante, indubbio sarebbe dovuto essere considerato l’azzardo intrinseco in istanti tanto fuggevoli, tanto rapidi e caratterizzanti un’insana danza con la morte quale quella che pur aveva accettato di ballare, tale da costringerla, dopotutto, a invocare la propria dea affinché non l’abbandonasse proprio in quel momento, affinché il suo benevolo sguardo non le fosse interdetto proprio in quella corsa sul filo del rasoio…

domenica 27 dicembre 2009

716


L
a mercenaria, volgendo nella direzione di quella carica il proprio sguardo, i propri occhi color ghiaccio, non dimostrò alcun sentimento di timore, di ritrosia, nel confronto con quell’immagine che in molti, nel raccomandare immediatamente l’anima ai propri dei, avrebbero ritenuto altresì decisamente preoccupante, tale da considerare in serio dubbio la propria sopravvivenza, fosse anche solo per l’impeto di simili membra contro il proprio corpo, forme assolutamente, inevitabilmente, più fragili rispetto a quelle. Al contrario, così come già compiuto in precedenza, non volle neppure attendere l’arrivo di quei tre uomini contro di sé, rinunciando a impostare una qualsiasi posizione di guardia e, nuovamente, preferendo porsi a sua volta alla carica in loro contrasto, anticipando, in ciò, il momento pur ineluttabile di quella collisione. Nel compiere ciò, ella non si riservò l’occasione di essere semplice vittima di tanta irruenza, quanto, piuttosto, di diventare protagonista della stessa, gettando, all’ultimo momento, il proprio corpo a disporsi orizzontale, a rotolare, letteralmente, in contrasto alle gambe dei tre nemici, per travolgerli quasi fosse il tronco di un albero lanciato contro di loro: impossibilitati a prevedere tale sviluppo, simile improbabile strategia nella propria avversaria, i tre non poterono, allora, fare altro che inciampare in quel corpo, rovinando rumorosamente a terra e, loro malgrado, risultando in conseguenza a totale disposizione della stessa donna guerriero, ritrovatasi libera di recuperare la posizione eretta e, subito dopo, di imporre su tutti e tre l’annunciata, e pur sinceramente scongiurata, conclusione delle loro stesse esistenze.

« Otto andati, cinque in attesa… »

L’improvvisa inversione di quelle cifre, protagoniste del tragico conteggio così proposto dalla Figlia di Marr’Mahew, ora, non poté evitare di iniziare a preoccupare seriamente i pochi sopravvissuti.
Privati dell’entusiasmo iniziale, della convinzione dimostrata poc’anzi, prima di quella drastica riduzione delle proprie fila, essi si guardarono allora l’un l’altro, cercando di comprendere, in silenzioso confronto, quale soluzione avrebbe potuto riservare, per loro, la migliore probabilità di sopravvivenza, fra le sole due alternative sì presentate in quel momento. Posti, pertanto, in una condizione di dubbio tutt’altro che retorico, tra l’ipotesi di gettarsi stolidamente in contrasto a quella signora della guerra, rischiando di essere da lei subito uccisi, e quella di ritirarsi, solo rimandando, in ciò, una punizione sicuramente letale che pur non avrebbe mancato di incombere su di loro in conseguenza di tanta pavidità, di simile fallimento, i cinque dimostrarono sufficiente maturità, da tentare di ricavarsi una terza soluzione, cercare di crearsi un’alternativa a loro più favorevole di quelle presenti, nel coinvolgere, in tal senso, a simile proposito, colei che, troppo frettolosamente, pocanzi avevano escluso da quella giostra.

« Carsa! » invocò uno di loro, nel rivolgersi verso la mercenaria dalla pelle color della terra « Per Gorl… aiutaci! Fai qualcosa… »

Rimasta in disparte fino a quel momento, la giovane donna aveva fatto proprio il ruolo di silenziosa spettatrice, assistendo con serenità, con indifferenza, quasi, all’inno alla morte scandito, con quei semplici ed eleganti gesti, dalla propria compagna, dimostrandosi, in ciò, in apparenza quale remissiva, quasi in esplicita conseguenza degli ordini ricevuti, dell’invito a porsi da parte là dove non era riuscita ad offrire soddisfazione per il proprio operato alla propria signora, a colei che la fine di Midda Bontor aveva freddamente decretato. In verità, però, estremamente diverso sarebbe dovuto essere considerato il motivo alla base di tanta tranquillità, di tanta quiete dominante nel suo animo, ove in un’altra situazione similare, pari a quella, difficilmente avrebbe accettato che un’accozzaglia di carne da macello, qual solo sarebbe potuta essere considerata quella costituita dal gruppo di guardie, potesse arrogarsi il diritto di rimproverarla o, peggio ancora, di sollevarla da un incarico nel compimento del medesimo, nel mezzo di un duello quale quello che pur aveva iniziato con la propria controparte. Dal momento in cui, altresì, ella si sarebbe potuta definire qual assolutamente consapevole delle potenzialità caratteristiche della propria avversaria, a differenza di quei tredici stolidi, Carsa era stata, così, fin da subito certa di come la l’esistenza in vita di quel gruppo non si sarebbe protratta a lungo, la loro presenza non avrebbe rappresentato ancora per molto motivo di disturbo nel combattimento lasciato in sospeso.
Posta, allora, a confronto con quella richiesta di supporto, di aiuto, la sola reazione, che poté essere propria della mercenaria dalla pelle color della terra, fu quella di un’esplosione di sincera ilarità, in una fragorosa risata che riecheggiò con tono quasi lugubre in quell’ambiente colmo di sangue e morte.

« Aiutarvi? Io?! » sorrise, scuotendo il capo in risposta « Ma come? Io, che sono solo una delusione, dovrei accorrere in vostro supporto? In vostro aiuto? No, no… non scherziamo. » negò con vigore, levando le mani innanzi a sé, come a proteggersi da simile eventualità « Non desidero assolutamente rischiare di offrirvi danno con la mia goffaggine: molto meglio che possiate essere liberi di agire senza interferenze da parte mia, dove in fondo ve la state cavando egregiamente per quanto appare evidente! »
« Lurida cagna traditrice! » replicò un altro, storcendo le labbra in conseguenza di quella risposta « Così riveli finalmente la tua vera natura! Tu non hai mai voluto contrastare la tua amichetta… »
« Ti prego: per rispetto verso il tuo stesso intelletto, abbi la bontà di tacere. » richiese ella, coprendosi per un istante gli occhi con la mano destra, quasi a voler palesare evidente imbarazzo per quella situazione « E’ allucinante quanto stai cercando di proporre a tua vana difesa. »
« Basta! » ordinò con vigore, con energia, la voce della Figlia di Marr’Mahew, intromettendosi in quel dialogo e pretendendo, nuovamente per sé, l’attenzione negatagli « Affrontarmi e morire… o fuggire e vivere. » sentenziò, nel disporsi pronta nuovamente all’azione, al combattimento, così come era aveva già dato ampia riprova di essere nonostante l’affaticamento conseguente al prolungato impegno con Carsa « A voi la scelta… »

Con otto compagni già cadavere innanzi al loro sguardo, probabilmente, chiunque avrebbe offerto loro assoluta comprensione in caso di fuga, di ritiro da quel confronto: ciò nonostante, forse vittime di una follia collettiva, di un’isteria di massa, tutti e cinque tentarono un’ultima offesa nei confronti della mercenaria, avventandosi su di lei contemporaneamente e sperando, in questo, di potersi riservare vita ancor prima di gloria. Tale speranza, però, si infranse come fragile imbarcazione contro l’immane potenza delle onde dei mari, l’incomparabile forza delle acque infinite degli oceani, capaci di spezzare chiunque, in esse, avrebbe osato avventurarsi senza il giusto rispetto, senza la necessaria comprensione dei limiti oltre i quali non potersi spingere.
Fredda, controllata, inumana e fiera presenza eretta fra quelle cinque ostie prive di coscienza sulla propria reale e sacrificale essenza, ella primeggiò senza fatica alcuna, senza impegno di sorta, non avendo interesse a trattenersi, non avendo necessità di riservare vita invece di imporre morte. Privata di ogni inibizione, spogliata di ogni prudenza che pur aveva, e avrebbe forse ancora, caratterizzato il suo scontro con Carsa, la donna guerriero non ebbe difficoltà a concludere quanto iniziato, a portare a termine quanto annunciato, prima, decapitando due avversari e infrangendo un terzo cranio a mani nude e, subito dopo, trapassando un cuore da parte a parte nel mentre in cui una carotide veniva estratta dal collo di propria pertinenza. Una strage, quella da lei sì pretesa e ottenuta, che non le offrì soddisfazioni, che non le concesse alcuna gioia, ma che, in maniera rapida e quasi indolore, chiuse definitivamente la parentesi aperta dall’arrivo di quelle stolide presenze in suo contrasto.

« Ora torniamo a noi… » commentò, risollevandosi da quei cadaveri, aprendosi un varco fra quei corpi morti per poter riportare la propria attenzione verso la sola interlocutrice cercata in quella notte « … e, per Thyres, sbrighiamoci, dove non ho tutta la notte a disposizione solo per te! »

sabato 26 dicembre 2009

715


Q
uale assurda, paradossale, sarebbe probabilmente dovuta essere considerata, da parte della donna, l’eventualità nella quale le proprie parole sarebbero state effettivamente ascoltate, prese in considerazione da coloro verso cui erano state offerte, l’occasione nella quale le guardie a sé contrapposte avrebbero offerto sufficiente attenzione a quel contesto, a quella particolare situazione e, ancor più, alle sue protagoniste, in modo tale da comprendere quanto sarebbe stato per loro maggiormente saggio, prudente, indicato, desistere dal proposito altresì dichiarato qual proprio, da quell’offensiva che non avrebbe potuto portare loro alcuna conseguenza utile al di fuori della morte. Quale rara, del resto, sarebbe purtroppo dovuta essere considerata, nella maggior parte degli esponenti della razza umana, fra cui, sicuramente, anche coloro schieratisi in sua opposizione, la possibilità di valutare con giudizio, con equilibrio, una situazione di pericolo anche dove tanto esplicitamente presentata, imposta innanzi a ogni senso, a ogni percezione, dove anche indicata come tale a chiare lettere, impossibili da equivocare, come anche in quel momento stava dopotutto avvenendo.
Per questo, per tali spiacevoli verità difficilmente negate dall’azione dei mortali, sebbene indubbiamente sconsigliato e, addirittura, intimato in senso contrario, quelle guardie non diedero riprova di voler ascoltare le parole da lei offerte, non vollero riservarsi alcuna occasione di dubbio, dichiarandosi al contrario forti di una stolida certezza, di un pericoloso coraggio, atto unicamente a sospingerli verso un fato di rovina per loro ormai già stabilito, già sentenziato nel momento stesso in cui la loro avversaria aveva offerto loro la propria voce.

« Cagna maledetta! » esclamarono molti elementi del gruppo, a dimostrazione di tale ineluttabilità del fato o, forse, dell’idiozia propria del genere umano, tale da rendere incomprensibile in conseguenza di quale divino amore l’intera umanità fosse stata in grado di sopravvivere fino a quell’era, ad un’epoca tanto avanzata.

E nel mentre in cui, i primi caduti, nel senso stretto di tal termine, in questo caso e per loro fortuna, ancor prima che in senso lato, stavano cercando di risollevarsi da terra, scaraventando via la sedia prima adoperata contro di loro e muovendosi in maniera confusa, agitata, tale da ostacolarsi vicendevolmente piuttosto che aiutarsi in tal comune obiettivo, gli altri loro compagni, ancora in piedi, non vollero riservarsi più alcuna possibilità di esitazione, alcuna incertezza. In tal modo, totalmente dimentichi della presenza di Carsa, nell’essersi ormai proclamati quali nuovi avversari per l’antagonista pocanzi propria della medesima, essi si slanciarono con foga, con passione, in contrasto a quella nemica, colei per pretendere la morte della quale erano evidentemente stati coinvolti in quella faccenda, colei che, peggio ancora, tanto aveva avuto piacere di deriderli, di umiliarli con un gesto come quello appena compiuto, colei che, dopotutto, aveva però anche cercato di avvertirli nel merito della sola sorte che sarebbe stata loro riservata in conseguenza di un’azione tanto irruente.
Loro malgrado, però e purtroppo, la verità pur privata di ogni considerazione, la minaccia pur rinnegata dal loro stesso raziocinio, non avrebbe potuto considerarsi qual effimera, qual semplice espressione della vanità della mercenaria che a tal riguardo aveva mosso la propria voce, quanto più una sincera previsione nel merito di quanto, inevitabilmente, si sarebbe loro riversato contro: la furia incontenibile, inarrestabile di una donna guerriero già entrata nel mito per le proprie imprese, per le proprie gesta, per la propria ferocia, ove richiesta, ove necessaria, ove inevitabile qual allora.

« Peggio per voi. » sussurrò ella, storcendo le labbra e gettandosi, a propria volta, nella medesima direzione da loro intrapresa, se pur in senso contrario, non per sfuggire a quello scontro ma, anzi, nella volontà di anticiparlo, quasi fosse una semplice formalità, un’inutile rito da ottemperare prima di poter tornare a dedicarsi all’interesse primario, lo scontro lasciato in sospeso a causa di tale interruzione.

Iniziando, oggettivamente, a risentire della stanchezza derivante dal confronto con l’amica, con la compagna, per quanto non provasse alcun piacere nell’imporre gratuitamente la morte sui propri avversari, soprattutto ove esplicitamente a sé inferiori, come solo si sarebbero potute considerare quelle guardie, Midda non avrebbe avuto comunque ragione di riservarsi l’opportunità di tutelare quelle esistenze dal momento in cui alcuno fra i propri nuovi antagonisti sembrava effettivamente preoccuparsi in tal senso, interessarsi a simile riguardo. In conseguenza di simile considerazione, ogni gesto, ogni azione, anche dove apparentemente banale, proposta dalla mercenaria, si dimostrò, al contrario, volta esclusivamente all’uccisione di ogni propria controparte, di ogni avversario che non avrebbe dimostrato alcun buon senso nell’evadere da quel confronto prima di pagare con la propria vita il prezzo di tanta sciocca e vana audacia.
Il primo sangue venne, allora, preteso dalla lama dagli azzurri riflessi della spada bastarda, la quale, mossa con abilità straordinaria dalla mancina della sua proprietaria, sventrò, prima, con un montante e, subito dopo, con un fendente, due diversi avversari in corsa contro di lei, aprendo i loro addomi quasi fossero semplici bisacce colme d’oro sotto la sapiente azione di un abile ladro, senza che ad alcuno dei due potesse essere offerta possibilità di comprendere quanto stesse accadendo. Subito dopo, levandosi in un’intento ora difensivo, l’arma arrestò la discesa di una pesante mazza diretta contro il capo della Figlia di Marr’Mahew, nel contempo in cui il suo pugno destro, ora privo di freno rispetto alla propria consuetudine, al proprio abitudinario impiego, si scagliò con violenza contro il volto dell’aggressore, una donna in questo caso, frantumandone le ossa con irruenza tale da negarle, istantaneamente, ogni speranza per un domani.

« Tre andati, dieci in attesa… » conteggiò la dominatrice di quella battaglia, di quel confronto quasi privo di significato nella rapidità del proprio stesso sviluppo, in un sussurro più rivolto a sé che ai propri avversari, i quali non poterono, comunque, ora ignorare il significato proprio di tali parole, di simile, tragica affermazione.

Con tre compagni già caduti nel giro di pochi istanti, pochi fuggevoli momenti dall’apertura di quel conflitto, al contingente di guardie lì accorse non poté essere negato un momento di stupore, di sorpresa, che pur non degenerò, ancora, in uno stato di panico, in un terrore incontrollato e incontrollabile, tale forse da spingerli a ricercare salvezza nella fuga. Al contrario, dando dimostrazione di possedere sufficiente sangue freddo, autocontrollo, essi decisero di riversarsi con maggiore furia, con maggiore determinazione nel contrasto alla mercenaria, forti, in fondo, di una superiorità numerica ancora innegabile e potenzialmente schiacciante: così, altri due, un uomo e una donna, tentarono su fronti opposti di pretendere la vita di quella nemica indubbiamente straordinaria, attaccandola contemporaneamente con l’azione di una spada e un’alabarda, mirando la prima al collo, sul fronte anteriore, e la seconda alle gambe, sul fronte posteriore, tale da non concederle possibilità né di saltare, né di abbassarsi per sfuggire a quella morsa schiacciante.
Midda, confermando come la freddezza intrinseca nei propri occhi di ghiaccio sarebbe dovuta essere considerata anche caratteristica fondamentale del suo stesso animo, non si permise alcuna incertezza, alcuna esitazione in quella situazione, schierando rapidamente, istantaneamente, la propria lama a difesa delle gambe e il proprio destro a protezione del collo. Bloccando, in tal modo, entrambi i colpi diretti contro di sé, subito dopo ella si rigirò, con incredibile agilità, nel pur minimo spazio loro sì sotteso, imponendo, in ciò, una duplice e violenta torsione tanto alla spada quanto all’alabarda avversarie, tali da strapparle dalle mani dei rispettivi proprietari, senza riservare loro alcuna possibilità di opposizione, di reazione, prima di condannarli, inevitabilmente, a morte.

« Cinque andati, otto in attesa… »

In un lasso di tempo tanto breve da aver appena concesso, al gruppo ricaduto a terra sotto l’impeto della sedia lanciata dalla mercenaria, di recuperare pienamente la posizione verticale, già nel numero di cinque, come giustamente sottolineato in quel conteggio in costante e macabro aggiornamento, sarebbero dovute essere considerate le vittime della furia di quella donna esaltata quale figlia di una dea della guerra propria del culto di un arcipelago a ponente di quelle coste, non potendo negare, in ciò, credito a tale divino proclama, a simile reputazione. Ciò nonostante, ancora non sazi, evidentemente ancora non sufficientemente provati dall’elegante brutalità propria di quella figura, un altro gruppo di tre elementi cercò duello, scontro, illudendosi, forse, di poterla travolgere con la propria mole, ove tutti loro fisicamente imponenti, colossi di carne e ossa facenti sfoggio di una muscolatura quasi oscena nel proprio eccesso.

venerdì 25 dicembre 2009

714


U
na straordinaria e numerosa rappresentanza della popolazione maschile, non solo di quella capitale ma di tutto il regno e, probabilmente, anche di molti regni confinanti, avrebbe probabilmente pagato cifre ragguardevoli per assicurarsi il diritto a seguire il duello in corso fra Midda e Carsa, ove l’azione incessante e sì mortale, quale indubbiamente sarebbe dovuta essere considerata quella proposta dal loro confronto, dal loro continuo scontro, acciaio contro acciaio, carne contro carne, sarebbe potuta esser interpretata più prossima a una sensuale danza d’amore ancor prima che, effettivamente, a una competizione al termine della quale, apparentemente inevitabilmente, una delle due parti in causa avrebbe dovuto perdere la vita.
L’armonia che ognuna delle due donne, infatti, era in grado di trasudare in ogni proprio gesto, in ogni proprio movimento, in un’offesa o in una difesa, in una parata o in un affondo, si imponeva, infatti, in maniera tanto straordinaria da arrivare persino a negare la truce essenza di quell’incontro, richiamando immediatamente alla mente di qualsiasi ipotetico osservatore l’immagine di y’shalfiche danzatrici, capaci di incantare con i movimenti dei propri corpi, dei propri arti e dei propri ventri, qualsiasi spettatore. Un malcapitato che si fosse così ritrovato ad assistere a quel confronto, che si fosse posizionato in quel mentre di fronte a loro, sarebbe inevitabilmente stato condannato a smarrire, in tutto quello, ogni percezione del tempo e dello spazio e, persino, della propria stessa vita, della propria intera esistenza, maturando quale proprio unico desiderio quello di gettarsi a propria volta fra quei corpi, fra quelle membra, per unirsi ad esse con incedere a dir poco folle, disperato, ricercando fra loro la vita, dove pur avrebbe potuto trovare solo la morte. Quando la lama della spada bastarda della mercenaria dagli occhi color ghiaccio precipitava sul corpo della propria avversaria, tracciando parabole così precise, tanto nette, da ritenere impossibile un fallimento in tali gesti se non per esplicita volontà della medesima, da considerare assurda l’eventualità che ella avrebbe mai potuto errare se non, semplicemente, perché non interessata a condurre effettivamente a termine il roprio attacco, non la volontà di un atto di forza, di una barbara violenza, sarebbe potuta essere interpretata in tal movimento, qual, al contrario, sarebbe dovuto essere giudicato, quanto un complesso, estasiante corteggiamento, non diverso da quello sarebbe stata in grado di offrire la delicata e leggera mano di un appassionato amante su quelle medesime forme, su quello stesso corpo. Egualmente, alla prima opposta e pur complementare, quando l’ascia della giovane donna guerriero dalla pelle color della terra, sì pesante e distruttiva nella propria intrinseca natura, nella propria primordiale essenza, veniva sospinta a porre in essere ampie evoluzioni in conseguenza delle quali qualsiasi collo sarebbe potuto esser troncato di netto, qualsiasi arto sarebbe potuto esser mutilato senza alcuna esitazione, senza alcuna pietà, nessun fantomatico spettatore di quel confronto, di quel duello, avrebbe potuto provare emozioni quali orrore, spavento, disgusto addirittura, per tanta foga, per tanta avversione, impossibile da ritenere effettivamente tale nel confonderla, piuttosto, con l’affanno di un amante verso la propria compagna, la dolce ricerca d’amore di calde braccia verso un corpo appassionato e loro invocante con tutto se stesso. Persino le violente scintille, le cascate di luce puntualmente derivanti dall’incontro fra quei metalli, sembravano piuttosto volte a scandire il dolce ritmo di una danza, di un balletto, se non, addirittura, di un incontro amoroso, ancor prima che di porsi qual conseguenza di una distruttiva, incontenibile brutalità, circondando due meravigliosi corpi impossibili da associare a qualsiasi altra idea, a qualsiasi altro concetto, al di fuori della passione, esterno alla sensualità.
Purtroppo, dove anche tale chiave di lettura avrebbe potuto traviare completamente molti giudizi, molti intelletti pur normalmente straordinariamente razionali, entrambe le parti in causa, le donne guerriero, le mercenarie lì coinvolte, non avrebbero potuto negarsi assoluta e chiara consapevolezza di quale sarebbe dovuta essere considerata la sola, unica, effettiva interpretazione di ciò che stava accadendo, dell’effettiva natura del loro confronto, del loro duello, non lasciandosi ingannare dall’incanto dei propri reciproci movimenti, dalla sensualità intrinsecamente presente tanto nell’una quanto nell’altra. Se elegante, delicato, dolce quasi, sarebbe potuto esser considerato ogni movimento di quelle lame, di quelle forme, di quei muscoli, altrettanto impietoso e funesto tutto ciò sarebbe dovuto esser considerato, nella certezza che se solo, effettivamente, una di loro fosse riuscita a giungere a segno, colpendo l’avversaria come sarebbe dovuto avvenire, alcuna speranza sarebbe stata poi offerta alla medesima, annichilendo ogni ipotesi di futuro, di domani, in quel medesimo istante.

« Non sei stanca, sorellona? » schernì Carsa, tentando di abbattere, nuovamente e pur senza successo, la propria ascia sul corpo avversario, nella volontà di spezzarlo, di infrangerlo, quasi esile arbusto sotto i violenti colpi del taglialegna « Alla tua età, certi sforzi dovrebbero essere proibiti, ove, priva dell’energia, della forza tipica di noi giovani, potrebbero costarti molto caro. Non lo sai? » asserì, facendosi giuoco, in tal modo, della differenza di età pur presente fra loro.
« Se solo io fossi stanca, tu saresti già morta. » negò Midda, continuando a insistere su quel concetto estremamente semplice, anche dove tali parole non sembravano poter ottenere il benché minimo riscontro dalla controparte, non sembravano voler essere accettate quali reali, quali sincere.

Ove l’ennesima risposta colma di sarcasmo pur sarebbe immediatamente stata proposta dalla giovane mercenaria così come era avvenuto fino a quel momento, dando ragione di proseguo in maniera costante, ritmica quasi, a quella che sarebbe, presto, sarebbe potuta essere considerata una sfida eterna, nel pareggio, nell’equilibro esistente fra le forze coinvolte, come sarebbe rimasto almeno fino a quando la Figlia di Marr’Mahew non si fosse decisa a pretendere la vita della propria avversaria come, con gesto di trasparente affetto verso di lei, stava ancora rimandando, nel riconoscerle indubbio valore in tutto ciò, un evento inatteso pretese la totale attenzione di entrambe le donne impegnate in quell’assurda giostra.
Evento che, nella fattispecie, corrispose ad una terza voce a loro estranea…

« Peccato per voi, però, che ci sia qualcun’altra che sta iniziando a essere stanca di tutto questo. »

Entrato fino a quelle camere dall’unico ingresso lì presente, e pur ignorato fino a quel momento, nell’attenzione assoluta e reciproca che tanto Midda quanto Carsa avevano posto una nei confronti dell’altra isolandosi a vicenda dall’intero mondo circostante, un variegato gruppo di guardie, tredici per l’esattezza, si stava mostrando armato oltremodo e pronto a generare nuova offensiva, ad aggiungere ulteriore violenza a quella già in atto all’interno di quelle mura: non uniformi proprie della città di Kirsnya caratterizzavano quel contingente, delineando così quegli uomini e quelle donne quali guardie private, nulla di diverso da soldati di ventura in effetti, chiaramente impegnati al servizio della sola padrona di tutto quel complesso, colei che pur si era, nuovamente, impegnata a inscenare la propria morte, forse nel solo scopo di poter porre in trappola la donna guerriero dagli occhi color ghiaccio.

« Che accade? Perché siete qui? » domandò la giovane dalla pelle color della terra, palesando in ciò una chiara sorpresa per quella presenza inattesa anche da parte sua.
« Come ho già detto, una persona sta iniziando a essere stanca di tutto questo… » ripeté il portavoce di quel gruppetto, posto appena innanzi ai propri compagni « La stai deludendo, Carsa: è già la seconda volta che ti ha concesso possibilità di duello contro questa cagna, e, nuovamente, non stai off … »

Ma, prima che quella frase potesse essere portata a compimento, una pesante sedia in legno finemente lavorato, venne scaraventata in contrasto a quella figura, travolgendo lui e i suoi compagni quasi fosse la carica scatenata di un toro furioso: in sei, in conseguenza diretta degli effetti di quell’azione, rovinarono a terra, nessuno fra loro riportando danni gravi ma tutti, chiaramente, feriti nell’orgoglio per quell’offensiva tanto banale ma di fronte alla quale pur si erano dimostrati apparentemente indifesi.

« Sto già sinceramente impegnando tutte le mie forze per evitare di uccidere questa stupida. » proclamò la Figlia di Marr’Mahew, sola artefice di quell’attacco volto, evidentemente, a intimidire i propri avversari ancor prima che a ucciderli « Tornate immediatamente sui vostri passi… o, sul mio amore per Thyres, vi giuro che questi saranno i vostri ultimi istanti di vita! »

giovedì 24 dicembre 2009

713


N
el momento in cui, allo sguardo del giovane, venne però offerta l’immagine di una nuova serie di marinaresche presenze, nove in tutto, ferme in immobile attesa al termine del molo che stava percorrendo nel corso di quella fuga, di quel tentativo d’evasione, egli temette di essere, suo malgrado, giunto alla fine della propria corsa, del proprio impegno, sincero e assoluto, a evitare un qualsiasi scontro aperto. E così, nel ritrovarsi apparentemente impossibilitato a qualsiasi altra reazione, a qualsiasi altra alternativa al di fuori di quella di una battaglia, pur non desiderata, pur non ricercata, egli non si ritrasse, non si concesse indugi di sorta, estraendo, prontamente, il proprio pugnale e preparandosi ad aprire, grazie all’acciaio del medesimo, un varco in quel muro di carne, una via verso la libertà altrimenti negatagli.

« E’ questi colui che cerchiamo, Lesia? » domandò uno degli esponenti del nuovo gruppo, con tono sufficientemente alto da essere tranquillamente distinto anche dallo stesso scudiero, in corsa contro di loro.
« Scopriamolo… » rispose il giovane sì interrogato, un marinaio poco più che coetaneo rispetto al soggetto di quel loro discorso, di quello scambio di opinione, caratterizzato da una pelle scura, bruciata dal sole, e da una contrastante accoppiata di capelli rosso fuoco e grandi occhi verdi « Sei tu il giovane asceso al servizio della Figlia di Marr’Mahew?! » domandò, poi, chiaramente rivolgendosi nella direzione del ragazzo.

Quella richiesta sì diretta, esplicita, aperta nei suoi confronti, apparentemente sincera per quanto ingenua, colse impreparato Seem, il quale, arrestandosi per un fuggevole istante, non riuscì a decidere se tal questione derivasse da un tentativo di inganno a suo riguardo o, al contrario, da sentimenti ben diversi, forse, paradossalmente, addirittura votato al suo soccorso.
Come sarebbe, però, potuto essere possibile che qualcuno lo avesse effettivamente rintracciato per offrirgli il proprio aiuto? Come sarebbe potuto essere possibile che tanta divina provvidenza gli stesse venendo offerta in maniera così gratuita e tempestiva al momento adatto, dopo tanti insuccessi fino a quel momento accumulati nella ricerca di un delinquente sufficientemente collaborativo da portarli in salvo?
Purtroppo per lui, nel particolare frangente in cui si stava ritrovando ad essere non avrebbe potuto riservarsi una parentesi di tempo, utile alla riflessione, estremamente ampia, né avrebbe potuto concedersi la possibilità di una prolungata esitazione, ove, altrimenti, tanto spreco di risorse avrebbe immancabilmente comportato spiacevoli conseguenze, innanzitutto facendogli perdere l’iniziativa d’offesa che pur, forse, avrebbe potuto riservarsi in quel duello e poi, peggio ancora, lasciandolo chiuso all’interno di una morsa, di una letale stretta rappresentata dall’azione di due diversi gruppi di marinai, i primi dietro di sé e, ora, questi altri innanzi a lui. Se effettivamente, per qualche assurda ragione, qualcuno fra i capitani da lui in precedenza contattati, avesse mutato il proprio pensiero, il proprio giudizio, inviando quel gruppetto in sua ricerca, in suo recupero, al contrario, nell’impegnarsi ad aprire il conflitto nei loro riguardi avrebbe, altrettanto inevitabilmente, perduto ogni possibilità di aiuto, di collaborazione della quale, forse, il fato aveva voluto offrirgli occasione, riconoscergli merito. Un dilemma, quello così impostogli, del quale avrebbe volentieri fatto a meno ma, di fronte al quale, non avrebbe potuto evitare di prendere posizione, di esprimere tempestivamente un giudizio, prima di donare ad altri la possibilità di scegliere in sua vece.

« Sono io. » confermò, serio nel proprio tono, non desiderando palesare il proprio dubbio interiore, la propria incertezza di fronte a quell’inatteso colpo di scena « Ma se, voi e i vostri compagni, credete di potermi catturare tanto facilmente, sappiate che sarà mia premura porvi rapidamente in confronto con tutti gli dei a voi più cari… »
« Il mio nome è Lesia, e servo, quale secondo in comando, il capitano Cor-El Va’Reann a bordo della Har’Krys-Mar. » si presentò il nuovo interlocutore, aprendosi in un sorriso cordiale verso di lui « Sono qui per offrire a te, e alla tua signora, tutto l’aiuto di cui possiate aver bisogno… »

Quasi a voler porre alla prova quell’ultima affermazione, quell’introduzione tanto meravigliosa, allo sguardo dello scudiero, da non sembrar vera, da assomigliare al frutto di un crudele sogno in contrasto alla realtà che lo avrebbe potuto ritrovare quale vittima di uno storico nemico del suo cavaliere, i cinque marinai impegnati nel suo inseguimento raggiunsero, in quel momento, il piccolo raduno sì creatosi, osservando con esitazione gli altri presenti, volti chiaramente a loro estranei e, in questo, potenzialmente avversi.

« Questo ragazzino è nostro. Chiunque siate, non intromettetevi o sarà peggio per voi… » suggerì il portavoce dei subordinati a capitan Lehn-Ha, lasciando comparire fra le proprie mani una corta lama ondulata, a voler sottolineare, attraverso quell’immagine, il concetto sì proposto in maniera più esplicita.
« La matematica non è il vostro forte, immagino… » sorrise Lesia, scuotendo il capo « Noi siamo in dieci e voi solo in cinque. » enumerò, includendo nel conteggio a proprio favore anche la figura di Seem, arruolato d’ufficio fra le loro fila in contrasto a quell’ormai stolida minaccia « Abbiate la decenza di ritrarvi, finché siete in tempo. »

Silenzio calò in quella notte fin troppo agitata, fin troppo caotica nel confronto con il momento di riposo, di ristoro e recupero che avrebbe altresì dovuto rappresentare, nel mentre in cui le due fazioni sì createsi stavano, reciprocamente, valutando le opzioni loro offerte, le alternative loro riservate. Lo squilibrio di forze esistente fra le due rappresentanze di diversi comandanti, probabilmente fra loro mai stati antagonisti in passato e, pur, ora tali diventati nello schierarsi idealisticamente in siffatta maniera attorno alla figura della Figlia di Marr’Mahew, chi in suo antagonismo, chi in suo aiuto, appariva effettivamente retorico, tanto ovvio da non poter essere oggetto di discussione, di dubbio, nel ritrovare proprio nel supporto offerto al giovane scudiero la maggior forza, il maggior potere, le maggiori possibilità di vittoria.
Ciò nonostante, sebbene assolutamente e indubbiamente consapevoli della propria posizione di inferiorità, non desiderando demordere, non volendo fallire e ritornare, in ciò, a mani vuote dal proprio capitano, i cinque tentarono di percorrere una via diversa, un percorso alternativo a quello dello scontro diretto, ugualmente utile a giungere al loro obiettivo.

« Forse non sapete, sciocchi, che questo moccioso è un pericoloso ricercato, un terrorista coinvolto negli attentati che la capitale ha appena subito. » lo denunciarono, sperando in tal modo di riuscire a far demordere da eventuali intenti soccorritori i nuovi giunti « Cedete il passo e, soprattutto, il ragazzo se non desiderate esser incriminati a vostra volta. O siete così poco affezionati al vostro capitano, chiunque egli sia, da volerlo spingere verso le celle di Kirsnya?! »
« In verità, il nostro capitano è già stato, suo malgrado, ospite del sistema carcerario di questa capitale e, da tal spiacevole situazione, ha ottenuto libertà, evasione, solo grazie all’intervento di colei alla quale, questo “terrorista”, ha giurato fedeltà… » commentò Lesia, apparendo ancora assolutamente tranquillo in quella situazione, per nulla intimorito dal confronto con gli avversari sì presentatigli innanzi « E poi, prima di proporre intimidazioni di sorta, abbiate, per lo meno, il pudore di poterle attuare, di poterle vedere realizzate, nel caso in cui i vostri interlocutori possiedano un briciolo di intelligenza da non accogliere qual oro colato ogni singola sillaba pronunciata dalle vostre labbra. »
« Cane… » sussurrò il portavoce del gruppo al servizio di Lehn-Ha, intuendo ove il giovane marinaio volesse andare a parare.
« Incontrare un gruppo di pirati che minaccia il ricorso alle autorità è quanto di più paradossale mi sia mai stato concesso di ascoltare… » concluse, allora, esplicitando quanto prima solo accennato « Ed ora, prima che possa essere proprio nostra premura, nostro interesse, quello di denunciare voi e colui innanzi agli ordini del quale vi dimostrate orgogliosi di poter agire, vi invito nuovamente a dimostrare un pur effimero, fittizio sentimento di decenza, tale di ritirarvi prima di rischiare di dar origine a uno scontro che non potreste mai vincere… »

mercoledì 23 dicembre 2009

712


P
er chiunque fosse nato e cresciuto in una città abitata, interamente, da mercenari, assassini, ladri e prostitute, non sarebbe stato semplice o immediato riadattarsi ad un contesto di quella comunemente nota come civiltà, con la presenza di numerose leggi formali spesso prive di valori sostanziali, e pur necessarie da conoscere, e da rispettare, per il quieto vivere, per permettere alla società, così come intesa in tali frangenti, di proseguire nel proprio corso. Così era stato anche per Seem, nato e cresciuto nella capitale kofreyota conosciuta come città del peccato, riportando estrema difficoltà, fin dall’inizio, nell’essere costretto a trovare confronto con mondo regolato in siffatta e complicata maniera. E se, in Kriarya, città del peccato, solo oro e morte si proponevano quali valori di universale intendimento, impossibili da fraintendere, da disconoscere, ai quali ogni pensiero, ogni logica, ogni raziocinio volgeva la propria più completa attenzione, in Kirsnya, attorno a simili principi pur universali, pur non disconosciuti, vigeva una miriade interminabile di usi e costumi accessori, fronzoli privi di effettiva utilità e, in questo, tali da confondere la percezione stessa della realtà, definendo in ciò arbitrariamente concetti quali “giusto” e “sbagliato” senza, però, offrire loro una concreta chiave di lettura, di interpretazione.
Sulla base di simili presupposti riuscire a individuare anche un solo, singolo candidato ideale per l’evasione necessaria alla sua signora e a se stesso da quelle mura, non si sarebbe potuta considerare qual impresa ovvia, banale, come inizialmente lo stesso giovane si era erroneamente permesso di giudicare, peccando di eccessivo entusiasmo per l’incarico ricevuto, per quanto domandatogli. In un ambiente simile a quello da lui denominato casa, infatti, egli non avrebbe potuto avere dubbi di sorta nel merito dei propri interlocutori, della loro affidabilità nei riguardi del compito loro da assegnare, ove, nel riconoscimento di un’adeguata ricompensa, chiunque sarebbe stato disposto anche a condurre in salvo l’assassino della propria stessa famiglia, madre, moglie o figlia. In un contesto quale quello in cui si era ritrovato ad essere catapultato, nell’affiancare, nel servire il proprio cavaliere, invece, egli avrebbe dovuto confrontarsi con situazioni decisamente più ambigue, figure probabilmente più pericolose, perché magari legate a quella particolare città da vincoli diversi da quelli di un semplice ed effimero rapporto commerciale. A peggiorare tale spiacevole realtà dei fatti, poi, egli non avrebbe potuto ignorare come, suo malgrado, si sarebbe dovuto considerare potenzialmente ricercato dalle autorità locali, perseguibile al pari del peggiore dei criminali in una città regolamentata da una ferrea disciplina, da un senso fin troppo estremo, al punto tale da risultare corrotto, della giustizia: per quanto il suo volto, la sua identità, il suo profilo non fossero noti o appariscenti similmente a quello della propria signora, infatti, lo scudiero avrebbe dovuto obbligatoriamente muoversi con estrema prudenza, quieta pazienza, preventivando un alto numero di insuccessi e di, necessarie, rapide ritirate strategiche nel confronto con sguardi eccessivamente indiscreti, domande particolarmente insidiose, potenzialmente lesive non solo per il successo della sua missione, ma, anche, per la sopravvivenza propria o di colei che aveva pur giurato di proteggere e servire.
Così, proprio nel mentre in cui Midda Bontor, suo cavaliere, si stava impegnando nello scontro con colei volontariamente e impropriamente proclamatasi qual sua nemesi, al giovane Seem stava venendo imposta, dal fato e, purtroppo, anche dalla sua stessa goffaggine, la necessità, l’urgenza di una spiacevole fuga, una rovinosa, e pur necessaria, corsa, utile a porre maggiore spazio possibile fra sé e cinque uomini facenti parte dell’equipaggio di una nave da lui sciaguratamente contattata.

« Idiota… imbecille… bestia… » non stava mancando di rimproverarsi aspramente, cercando nel contempo di separarsi dai propri inseguitori, di perderli nella notte kofreyota, fra i numerosi moli del porto « Se non ti ammazzerà lei, sarà meglio per te provvedere autonomamente in tal senso, così da liberare il mondo dalla tua inutile e parassitaria presenza… stupido che non sei altro… »

Probabilmente, se solo non avesse proposto, in prossimità della conclusione della trattativa, il particolare riferimento a colei di cui era intermediario, semplice rappresentante, il nome della propria signora, egli avrebbe anche potuto portare a termine un ottimo accordo con il proprietario di quell’ultimo vascello da lui preso in esame, dal momento in cui questi si era rivelato essere, indubbiamente, più prossimo al ruolo di pirata che di semplice contrabbandiere o, ancora, di un innocuo mercante, e, in questo, una scelta decisamente affidabile per il particolare servigio di cui avrebbero avuto esigenza. In tal caso, con il proprio silenzio, però, il giovane avrebbe semplicemente posticipato la violenta e spiacevole reazione, di cui ora stava vivendo sulla propria pelle gli effetti, a un momento futuro e, sicuramente, meno idoneo. Per questo, proprio in quanto perfettamente conscio di simile e forte ragione così come lo era del resto stato in ogni precedente trattativa di quella lunga e complessa notte, anche in quell’ultimo frangente, egli aveva giudicato più costruttivo accettare il rischio rappresentato dal proporre riferimento chiaro al proprio cavaliere, rischio che, invero, avrebbe anche potuto contenere, avrebbe anche potuto ridurre o, addirittura evitare, in quell’ultima occasione, se solo si fosse riservato maggiore attenzione al nome del proprio stesso interlocutore, colui presentatosi qual capitan Lehn-Ha.
Tutt’altro che sconosciuto, infatti, quell’appellativo avrebbe dovuto risultare alle sue orecchie, al suo intelletto, emergendo in maniera forte, addirittura allarmante, fra quelli che ancora erano pochi ricordi della propria vita accanto alla Figlia di Marr’Mahew. In particolare, se solo si fosse concesso maggiore elasticità mentale, avrebbe dovuto immediatamente individuare un collegamento, una connessione, con la loro prima, vera avventura insieme, quand’ancora ella non aveva formalizzato il proprio consenso ad accettarlo quale scudiero al proprio fianco: in quell’occasione, nel corso di un viaggio a Seviath, uno fra i maggiori porti della principale penisola tranitha, altri uomini, offrenti riferimento, fedeltà a quel medesimo nome, li avevano attaccati in pieno giorno, nello stolido desiderio di trascinare, con prepotenza, la mercenaria alla presenza del loro capitano. Desiderio che, ovviamente, si era risolto in una completa disfatta per gli stessi…

« Che io sia maledetto per la mia ignoranza, per la pochezza propria del mio vocabolario! » proseguì egli, sempre più insoddisfatto nei propri stessi confronti « Non riesco a trovare altri termini utili ad insultarmi. Neppure in questo riesco a essere utile. »
« Prendetelo… non deve scapparci! » incalzò la voce di uno dei suoi inseguitori, in un retorico sprone rivolto ai propri stessi compagni « Il capitano lo vuole per giungere a quella cagna tranitha! »

A Seem, in effetti, ben poco, o, per meglio dire, assolutamente nulla, era stato concesso di conoscere nel merito delle esatte origini dell’antagonismo esistente fra la propria signora e quel pirata, appartenendo simili vicende a un passato troppo ricco di avventure, eccessivamente ricolmo di aneddoti per poter essere tutti noti, conosciuti, tramandati, persino in riferimento ad una figura comunque leggendaria qual sarebbe dovuta essere considerata quella di Midda Bontor.
Pur considerando quella sincera e completa ignoranza nel riguardo di eventi a lui oggettivamente esterni e pur non ignorando la continua e ininterrotta sequela di accuse e insulti rivolti contro di sé e il proprio intelletto, egli non si sarebbe mai potuto ritenere tanto sciocco da non comprendere quanto negativo sarebbe potuto essere diventare oggetto, ragione di ricatto a discapito della sua signora. Solo per questa ragione, ancor prima di arrestarsi, di fermare i propri passi ed affrontare i propri nemici per difendere l’onore del proprio cavaliere sì leso da termini tanto offensivi, insultato senza alcun riguardo da parte di quei marinai, egli avrebbe quindi dovuto offrire la propria premura, il proprio interesse, al non lasciarsi catturare da loro, non potendo permettersi alcun azzardo qual, inevitabilmente, sarebbe stato uno scontro in quel momento, confronto che, forse, avrebbe anche potuto ipotizzare di vincere, ma nel merito del termine del quale, comunque, alcuna certezza gli sarebbe mai potuta essere offerta.

« Giuro che me la pagherete… » si ripromise, con volontà tutt’altro che retorica, tutt’altro che vana in tale impegno, là dove, per quanto conscio dell’attuale priorità, non avrebbe potuto ignorare o dimenticare la violenza sì verbalmente espressa contro il proprio cavaliere.

martedì 22 dicembre 2009

711


« T
hyres… »

Raramente Midda era solita rivolgersi alla propria divinità prediletta al fine di innalzare in tal senso una qualche reale invocazione d’aiuto nei propri riguardi. Del resto, pur ammettendo l’esistenza della dea, ove oggettivamente a tal riguardo non avrebbe potuto proporre alcuna particolare riprova, la stessa figura superiore, immortale, così distaccata e lontana dalle beghe dei comuni mortali, non avrebbe probabilmente e fortunatamente avuto alcun interesse a stendere il proprio sguardo direttamente nei suoi particolari confronti: probabilmente in quanto, indubbiamente, molteplici, numerosi oltre ogni umana possibilità di conteggio, si sarebbero dovute considerare le creature, umane e non, a lei facenti riferimento; fortunatamente in quanto, per suo modo di vedere, sarebbe stato sempre meglio, per un uomo o donna di umana natura, non attrarre l’attenzione degli dei verso di sé, dal momento in cui, insieme a tale sguardo, sarebbero inevitabilmente derivate responsabilità, se non più specificamente problemi, di cui chiunque avrebbe preferito persino ignorare la possibile esistenza. Ciò nonostante, interminabile sarebbe potuto essere il conteggio del numero di volte in cui, a ragione o a torto, Midda aveva impegnato la propria voce nello scandire quelle singolari sillabe, a volte in scatti di rabbia, altre in momenti di stupore, altre ancora per sincera disperazione o, più banalmente, addirittura qual riempitivo, espressione gergale da utilizzare per da sfogo a qualsiasi genere di emozione con un solo termine che avrebbe potuto contenere il tutto e il contrario di tutto. E anche in quell’occasione, con quel sussurro, la donna guerriero non cercò, in effetti, un aiuto divino in proprio favore, quanto semplicemente sfogo per una sincera frustrazione interiore, conseguente all’aspro confronto esistente fra ciò che sapeva che avrebbe inevitabilmente dovuto compiere e ciò che, al contrario, desiderava ardentemente non dover essere costretta a fare, giudicandolo, dopotutto, quale errato nella propria stessa formulazione d’intenti.
Nei pochi attimi che separarono il suo corpo, le sue difese, dalla furia dell’avversaria, ella dovette rapidamente scegliere, valutare qual soluzione abbracciare, certa di quanto, in ogni caso, si sarebbe ritrovata ad essere sconfitta anche ove, ricorrendo alla fredda efficacia della propria lama, avesse posto fine a quel confronto, a quel duello: perdita e non vittoria, invero, ove avrebbe visto negata la propria autodeterminazione, la propria libertà di giudizio, di pensiero, di azione, nel vedersi forzata la mano dall’irruenza, dalla cieca follia della propria controparte. Ma se, posto in similare posizione, il suo scudiero era pur stato da lei stessa perdonato per aver abbracciato la via più semplice, la soluzione più immediata, ella non si sarebbe offerta eguale generosità, magnanimità, se si fosse bagnata le mani di quel sangue in maniera tanto banale, in conseguenza di un’azione che pur non avrebbe, oggettivamente, dovuto sopraffarla se solo fosse stata realmente meritevole del proprio nome, della propria fama. E così, al fine di non esser costretta a convivere con il rimorso per non aver osato di più, per non essersi spinta oltre, nonostante tutto il pericolo che da ciò sarebbe potuto derivare, ella volle ignorare l’ipotesi dell’omicidio della compagna, o ancora presunta tale, in favore di un diverso arrangiamento.
Soluzione, quella da lei sì voluta, che la costrinse, allora, a concentrare tutta la propria attenzione, tutta la propria agilità, non tanto nel contenere quella foga, tanta animosità, come già era occorso in precedenza, quanto piuttosto per evadere da essa, scivolando lateralmente all’ultimo istante concessole e donando, in questo, solo una ciocca di capelli corvini al taglio incredibilmente affilato di quell’arma, quand’essa piombò su di lei con una traiettoria diagonale, dall’alto in basso, da mancina a destra.

« Maledetta cagna… » esclamò Carsa, esprimendo tutta la propria disapprovazione per tal mancato risultato.

Prima che, però, un quarta e subitanea offensiva potesse essere valutata contro di sé, la Figlia di Marr’Mahew, ritrovatasi accucciata a terra in conseguenza del proprio gesto di fuga dall’arma nemica, decise di riservarsi, a propria volta, occasione d’attacco, facendo perno sulle proprie mani e ruotando con forza, con vigore, il proprio corpo, al fine di poter spingere entrambe le gambe, prima piegate al petto, ad estendersi in contrasto al volto avversario, colpendola con i propri piedi al mento non diversamente da come un cavallo imbizzarrito avrebbe fatto nei confronti di un avventato domatore avvicinatosi, sbadatamente, alla sua posizione dalla direzione errata.
Impossibilitata a prevedere, ad attendersi una risposta tanto immediata al proprio attacco quando questo non ancora aveva avuto possibilità di giungere a termine, alla mercenaria dalla pelle color della terra non fu riservata altra soluzione al di fuori di quella rappresentata dal subire passivamente tanta forza, dovendo, in ciò, ringraziare tutti i propri dei protettori di averle posto in contrasto una donna priva di calzari robusti quali, anche solo, i propri. Se, infatti, la donna guerriero, ai propri stivali di pelle morbida, legati attorno agli stessi arti inferiori, avesse preferito scarpe più rigide, con dure suole a protezione delle piante dei propri piedi, il bel viso a cui, in fondo, Carsa era pur affezionata sarebbe stato inevitabilmente compromesso, leso in maniera irreversibile dall’azione di tanta forza, di simile foga. Così, invece, ella si ritrovò vittima solo di un forte colpo, non dissimile da quello di un pugno montante, che quasi la stordì, sbalzandola all’indietro, senza imporle, però, alcun danno permanente, alcuno sfregio se non, eventualmente, nel proprio stesso orgoglio.

« Il tuo consueto buon gusto sta iniziando pericolosamente a scemare verso insulti di bassa lega, amica mia… » commentò Midda, tornando a rialzarsi in piedi in un gesto elegante, ricco di grazia, quasi quanto appena compiuto fosse stato un passo di danza e non un colpo deciso ed attuato nel frangente delineato da pochi, rapidi battiti di cuore, in lotta contro il tempo stesso ancor prima che contro la propria avversaria.

Alla giovane, similmente colpita, furono allora necessari diversi istanti per riuscire a riprendere controllo sulla propria coscienza, sulla propria lucidità, istanti in cui la sua antagonista avrebbe anche potuto ucciderla, se solo avesse voluto, ma che, invece, la ritrovarono in perfetta salute, illesa al di fuori della violenza riversata contro il proprio mento e che, per poco, non le era costata un paio di denti.

« Stupida. Esiti invece di uccidermi ogni qual volta ti è offerta occasione di farlo… » sussurrò, asciugandosi un rivolo di sangue che pur aveva sporcato, in quel momento, le sue labbra, per un naturale graffio riportato all’interno della propria bocca, ferita tanto minimale da non poter neppure essere considerata tale in quel frangente di pericolo mortale.
« E questo non ti spinge a sospettare qualche strana e impensabile verità, qual, per esempio, che io non abbia desiderio di pretendere la tua vita?! » replicò l’altra, scuotendo il capo e, in ciò, tornando ad assumere posa di guardia, dal momento in cui, sebbene la sua pazienza non si era ancora completamente esaurita al punto tale da spingerla ad un’offensiva letale, ella non avrebbe voluto rischiare di farsi cogliere impreparata sotto un profilo meramente difensivo.
« Parli con la falsità di un serpente… e ti muovi anche con la sua stessa agilità e velocità… » definì Carsa, tornando ad impugnare la propria ascia con entrambe le mani « E’ giusto, pertanto, che tu possa morire come un serpente, schiacciata a terra sotto il mio calcagno! »

L’ennesima carica a suo discapito fu così tentata a conclusione di quelle stesse parole, ritrovando la Figlia di Marr’Mahew pronta ad accogliere tanta violenza e, pur, a respingerla, quasi ella non fosse antagonista di carne e ossa, di sangue e calore umano, quanto più telo elastico, nel contrasto al quale qualsiasi azione sarebbe stata inevitabilmente respinta, con più enfasi in reazione tanto maggiore si fosse dimostrata quella in azione.

« Ancora una volta, Carsa… desisti finché sei in tempo. Desisti prima che io non sia più in grado di controllare la mia forza, la mia spada, negandoti in un sol istante, in un sol fuggevole momento, ogni gioia e ogni dolore, ogni desiderio e ogni paura. »

lunedì 21 dicembre 2009

710


« M
adornale errore. » sorrise la donna guerriero, nel nascondere dietro a quell’apparente tranquillità, quiete, l’inevitabile ripercussione dolorosa che, ancora una volta, tanta foga aveva imposto nel confronto con i suoi muscoli, con la sua spalla, offrendo in ciò dimostrazione di quanto fosse, del resto, abituata a tali sensazioni, al punto da considerarle, non a torto, indicatori indispensabili di quanto ancora la vita le appartenesse dove solo ai morti o ai moribondi non sarebbe stato concesso di avvertire la sofferenza, il male fisico.

Parole da considerarsi tutt’altro che vane, quelle sì allora pronunciate, ove, immediatamente, la sua lunga e fredda lama, caratterizzata dal colore dello stesso mare dell’azione del quale dopotutto essa era frutto, venne portata a contatto, nel proprio taglio, nel proprio letale filo, con il tornito, elegante e sottile collo di Carsa, esposto, in maniera forse imprudente, nel corso di quel secondo attacco, un’azione dalla quale, ora, non le sarebbe stata più concessa possibilità di ritiro, di rapida evasione come era stato in conseguenza al precedente tentativo d’offesa, all’ultima violenza ipotizzata ai danni della compagna.

« Sarebbe sufficiente una sola, leggera, torsione del polso per strapparti la vita dal corpo. » sottolineò Midda, con tono che, nonostante la voluta inespressività, risultò assolutamente e tremendamente lugubre i virtù dei significati associati naturalmente a tali significanti, tutt’altro che equivocabili, fraintendibili.
« L’ennesima egocentrica dimostrazione di superiorità nei miei confronti? » obiettò l’altra, ora con rabbia palpabile, chiaramente percettibile, dando riprova di non voler accogliere il messaggio pur di speranza che avrebbe dovuto intuire nel proprio essere ancora in vita, nel proprio non essere già stata freddamente massacrata qual, probabilmente, avrebbe anche meritato in conseguenza delle proprie azioni, del proprio atteggiamento nei confronti dell’ex-compagna d’arme.
« Sei folle… » sussurrò, cedendo, per un istante, allo sconforto nel proprio tono, nelle spontanee note intrinseche nella propria stessa voce, qual conseguenza di tanta ferrea ostinazione nel pregiudizio espresso dalla controparte.
« Se vuoi uccidere qualcuno, fallo, senza perdere tempo, senza perderti in sciocche chiacchiere! » le raccomandò ella, subito dopo, in un consiglio tutt’altro che stolido, tutt’altro che superfluo, che pur la mercenaria dagli occhi di ghiaccio non avrebbe ignorato se solo, effettivamente, le sue azioni fossero state conseguenza di un tale desiderio « O potresti non avere più a disposizione una tale fortuna… »

Consapevole di non poter correre rischi, di non doversi effettivamente preoccupare per la propria sopravvivenza, dove appariva evidente quanto non vi fosse, in quel momento, effettivo desiderio di omicidio ad animare le azioni della donna guerriero, in un’incoerenza che non volle però impegnarsi ad analizzare, Carsa si sottrasse rapidamente al contatto con quella spada bastarda, disimpegnandosi per la seconda volta da quel confronto e, ora, imponendo una certa distanza fra sé e la propria avversaria, nella volontà di riordinare le idee, di pianificare una strategia d’attacco migliore rispetto a quelle fino a quel momento ricercate, rivelatesi, purtroppo per lei, sostanzialmente prive di possibilità di vittoria in conseguenza dell’implicita, e pur assoldata, differenza esistente fra loro nella reciproca confidenza con l’arte della guerra e i suoi meccanismi.

« Razza di stupida. » domandò la donna guerriero, aggrottando la fronte con espressione di disprezzo in reazione a tanta negativa e ingiustificata animosità nei propri riguardi « Se ti avessi voluto uccidere saresti già morta nel momento stesso in cui ho varcato quella soglia. Possibile che tu non lo riesca a capire? Che cosa ti sta accadendo? Qual demone si è impadronito della tua volontà, del tuo intelletto, costringendoti a tanta cecità? A tanta sordità? »
« Non credi di star pretendendo troppa importanza attorno al tuo nome? Non credi di star eccedendo nell’autocelebrazione della tua gloria? » replicò l’altra, ancora con tono chiaramente accusativo verso di lei « Nel momento in cui qualcuno non è d’accordo con te, non si prostra innanzi ai tuoi piedi, merita forse di essere considerato folle, stupido o posseduto da un’influenza oscura… ti rendi conto dell’egocentrismo proprio di tale posizione da te assunta? »
« Non mi sono mai considerata dotata di particolare pazienza e, a quanto sembra, ti stai ponendo di particolare impegno per esaurire quella che ancora mi è propria… » sussurrò allora, socchiudendo gli occhi nello squadrare malamente la figura di colei che un tempo la definiva qual propria sorella e che, ora, con tanta veemenza si imponeva contro di lei.

La premura riconosciuta dalla Figlia di Marr’Mahew in quell’ultimo avviso, in effetti, si sarebbe dovuta considerare quale un cortesia, un segnale di sincero affetto, di cui ben poche persone al mondo avrebbero potuto farsi vanto, fregio, dal momento in cui assolutamente reale, concreta, fondata, sarebbe dovuta essere giudicata l’autocritica così formulata nel merito della pazienza propria della medesima.
Senza pur ignorare la virtù che, in tal senso, le apparteneva, nel suo sapersi negare qualsiasi impulsività, qualsiasi emotività, nel confronto con un pericolo, con un nemico, con una situazione innanzi alla quale chiunque altro si sarebbe facilmente lasciato dominare dall’ansia, conseguente alla paura o all’ira, ella non si sarebbe potuta definire qual abituata a offrire eccessiva sopportazione nei riguardi del proprio prossimo. E se, come in quel caso, qualcuno avesse insistito tanto per essere accolto da lei qual nemico, prima o poi tale sarebbe inevitabilmente stato considerato, risolvendo, in ciò, definitivamente ogni questione, ogni dubbio, ogni incertezza.

« Non mi riservare alcun riguardo, Midda. » le raccomandò allora Carsa, scuotendo il capo e tornando ad assumere una postura di guardia, nello spingere, nuovamente, la pesante ascia in una serie di straordinarie evoluzioni nel prepararsi ad una terza carica, a un nuovo attacco « Ove io non ne riserverò alcuno a tuo favore, a tuo vantaggio… »
« Desideri danzare con il fuoco e pur non ti rendi conto del suo calore. » definì la donna guerriero « Non so per quanto ancora sarò in grado di trattenere il mio istinto, per quanto ancora sarò in grado di riservarti una qualche speranza di futuro… rinsavisci, quindi, finché te ne è concessa l’occasione. Te ne prego. »

Lasciando roteare, a propria volta, la lunga lama della spada bastarda attorno al proprio corpo, in un gesto di risposta a quello avversario ancor prima che in una qualche ricerca di equilibrio con quella forma per lei amica, compagna fedele, con agilità, con eleganza e destrezza impareggiabili, ella si riportò, a propria volta, a una posizione di preparazione allo scontro, non rinnegando, nei propri gesti, quanto proposto dalle proprie parole, nell’essere, suo malgrado, psicologicamente sempre più prossima a decretare la fine di colei che, fino a quella capitale, era paradossalmente giunta per salvare, graziare da un fato di morte.
La terza carica, a quel punto, si impose con violenza che nulla avrebbe avuto da invidiare alle precedenti, con irruenza tale da apparire derivante non da una figura esile ed elegante qual indubbiamente sarebbe dovuta essere considerata quella della mercenaria dalla pelle color della terra, quanto più da una figura a lei superiore, quantomeno in mole: quasi le ali tatuate dietro la schiena della stessa si fossero, improvvisamente, materializzate, spiegandosi in un’ampiezza decuplicata rispetto a quella sì tratteggiata su quella morbida, vellutata epidermide, ella apparve prossima ad un predatore dei cieli, una regale aquila, forse, in picchiata nella direzione del proprio obiettivo, della propria prossima vittima. L’ascia, nel contempo di tale azione, di simile movimento, non si concesse la benché minima tregua, non si riservò alcuna possibilità di rallentamento nella propria continua rotazione, impegnandosi, ora, in traiettorie irregolari, indubbiamente complesse da gestire per la stessa Carsa e, ancor più, estremamente difficili da poter seguire e prevedere per la sua avversaria, ritrovatasi, in ciò, privata della possibilità di impostare la propria difesa, erigere barriere a protezione del proprio corpo. Una posizione estremamente spiacevole, quella così riservata alla Figlia di Marr’Mahew, dalla quale, nella volontà ancor presente in lei di non infliggere eccessivo danno alla propria nemica, non sarebbe probabilmente riuscita a uscire illesa.

domenica 20 dicembre 2009

709


P
roprio quell’ascia, in verità, sarebbe dovuta essere considerata non quale una presenza casuale al suo fianco, la scelta di un’arma fra molte altre che avrebbero potuto accompagnarla, quanto, piuttosto, la sola lama che ella avrebbe mai desiderato a propria difesa, a propria protezione. Certamente, essa non sarebbe dovuta essere ritenuta quale la sola arma che ella avrebbe saputo utilizzare, essendo, nella propria pur completa preparazione da guerriera, nella propria variegata esperienza da mercenaria, stata naturalmente formata all’utilizzo di qualunque arma, nota e ignota, necessariamente capace di adattarsi a qualsiasi situazione senza alcun ostacolo: altrettanto certamente, però, essa sarebbe dovuta essere ritenuta quale la sola che ella avrebbe gradito sempre vicino a sé, che a sé era solita associare.
Proprio quell’ascia, quasi in esplicita e diretta conseguenza all’ultimo scambio di parole fra la stessa giovane e la sua controparte, venne allora liberata dal proprio supporto in cuoio, al solo fine di poter essere presentata all’avversaria qual stretta fra le mani della proprietaria, a chiara riprova di quanto ella fosse ora decisa a tentare nuovamente, attraverso l’uso della medesima, di imporre la propria fama, la propria gloria, sull’avversaria.
Un quadro, un’immagine che non sarebbe potuta essere confusa, equivocata, qual semplice civetteria, nel risultare, piuttosto, indubbio segnale di pericolo rivolto a chiunque avesse osato porsi in suo contrasto.

« Mi spiace che tu voglia questo. » scosse il capo Midda, sincera in simile affermazione pur proposta, ancora una volta, con freddezza assoluta, inumana « Conosci la mia forza e sai bene che, se costretta, non esiterò a pretendere la tua vita qual pagamento per tanto ardire… »

Sebbene la Figlia di Marr’Mahew, fino a quel momento, si fosse dimostrata più propensa al dialogo che allo scontro fisico, tutt’altro che ingenua ella sarebbe dovuta essere considerata, ben lontana dall’accettare di porsi a disposizione di ogni desiderio avversario, di qualsiasi sua volontà in propria opposizione, senza reagire, senza offrir reale battaglia. Così, prima ancora che l’ascia potesse completare il percorso fra la schiena della controparte e le sue stesse mani, ella già mostrò la propria spada, la propria lama dagli azzurri riflessi, pronta all’azione, levata innanzi al proprio corpo per poter difendere il proprio stesso domani e, se necessario, negare quello della compagna, per salvare la quale pur era arrivata a porre in pericolo la propria stessa esistenza.

« Non cercare di impormi colpe che non mi competono: tu sei la sola artefice della tua stessa fine, Midda Bontor. » decretò la giovane dagli occhi color della terra, votando, in tali termini, in favore della morte della propria compagna, di colei accanto alla quale, un tempo sarebbe stata forse disposta anche a sacrificarsi.

Quasi neppur fosse stata forgiata in pesante metallo, quasi banalmente essa fosse semplice gioco per bambini, ancor prima che letale arma da guerra, la pesante ascia da battaglia, che qualsiasi guerriero, anche uomo dal fisico possente scolpito quale roccia marmorea, non avrebbe mancato di impugnare con entrambe le mani per poterla adeguatamente gestire, condurre verso la propria destinazione designata, restò sì gestita tanto dalla destra quanto dalla mancina della mercenaria, ma con un’eleganza di movimenti, una maestria di gesti, tale da far ritenere tal strumento composto forse d’aria, o tutt’al più di nebbia, ove in alcun altro caso sarebbe stata accettabile tanta energia in un corpo sì visivamente esile. In contrasto a ogni possibile stereotipo, a ogni comune pregiudizio, Carsa aveva effettivamente scelto quel particolare strumento di morte quale il proprio compagno preferito, il proprio complice prediletto, ignorando più consuete spade o pugnali, probabilmente giudicati più prossimi a lei, allo scopo di sfruttare, nel corso di uno scontro, anche il fattore sorpresa che sarebbe così derivato, che immancabilmente avrebbe conquistato la psiche nemica nel coglierla tanto a proprio agio nel maneggiare qualcosa di simile con apparente innocenza, semplicità, leggerezza. In verità, nella propria maturata esperienza, nella propria sviluppata confidenza con quelle forme, ella poneva uno sforzo assolutamente minimale nel movimentare simile mole, sfruttando il peso della medesima arma a proprio favore, a proprio vantaggio per spingerla, infine, contro il proprio avversario di turno, anche con maggiore foga, con maggiore violenza di quanto altrimenti non sarebbe riuscita a imporre. Da un fine pratico, pertanto, ancor prima che semplicemente scenico, sarebbero dovute essere considerate conseguenti simili e continue evoluzioni, perfette, sì, nella volontà di sovrastare psicologicamente un avversario, e pur fondamentali, ancor prima, per imporre ai propri attacchi la forza utile a renderli privi della necessità di un secondo impegno, nel non riservare alcuna possibilità di sopravvivenza dai medesimi.
Per propria fortuna, in quel frangente di scontro, Midda si propose più che abituata a tale spettacolo, così da non lasciarsi sorprendere dal medesimo e dal costringersi alla necessaria prudenza, ben consapevole di come non avrebbe potuto più rialzarsi se fosse stata abbattuta da un impeto simile, dalla forza di quell’ascia in continua rotazione fra le mani della propria controparte, attorno al quell’apparentemente delicato corpo quasi fosse un velo, parte di una qualche danza esotica. E quando, priva di pietà, di esitazioni, di incertezze, quell’affilata lama venne indirizzata verso il suo capo, con un movimento dall’alto verso il basso tale per cui il suo intero corpo sarebbe potuto essere spezzato letteralmente in due, la donna levò rapida e decisa la propria difesa, confidando che, come già sempre in passato, la sua lega, frutto di segreti tramandati da generazioni e accessibili solo a pochi eletti, figli del mare, l’avrebbe ancora potuta proteggere, arrestando l’irruenza di quell’altresì irrefrenabile fendente.

« Thyres… » gemette, assorbendo nei muscoli, nelle articolazioni delle proprie braccia e spalle, la violenza dell’incontro fra le due armi, tale da scatenare una vera e propria pioggia di scintille attorno a loro, una cascata incandescente a testimonianza della forza propria di tanta violenza.
« Raccomandarti alla tua dea non ti servirà questa volta. » negò l’altra, storcendo le labbra verso il basso.

Rinunciando immediatamente alla posizione guadagnata, Carsa si disimpegnò dall’avversaria con rapidità, facendosi indietro nella consapevolezza di non poter competere, a livello fisico, con la Figlia di Marr’Mahew e, in ciò, di poter solo porre il proprio fato in dubbio nel restare altrimenti concentrata in un equilibrio di forze quale quello così creatosi, che mai sarebbe riuscita a mantenere, a protrarre a lungo. Un errore, in effetti, quello da lei in tal modo evitato, proprio della maggior parte degli avversari maschili della stessa mercenaria dagli occhi color ghiaccio, abituati a considerarla debole, se non addirittura inerme, nel proprio confronto, in risposta ad un proprio fendente, salvo accorgersi troppo tardi del proprio madornale errore, generalmente in concomitanza con il momento in cui un pugno di nero metallo si spingeva a bloccare il loro diaframma negando ogni speranza di respiro con un gesto deciso, puntuale, preciso nella scelta del loro bersaglio. Nella volontà, però, di donare alla controparte alcuna possibilità di reazione ai propri attacchi, la giovane dalla pelle color della terra tornò, immediatamente, a far roteare la propria ascia, questa volta in movimenti a dir poco incredibili, da saltimbanco, attorno al proprio busto, caricando in ciò quella pesante lama dell’energia cinetica sufficiente, utile a cercare in nuovo confronto con l’avversaria, ora dirigendosi, più semplicemente, in direzione del suo fianco destro.
Se solo quel nuovo tentativo fosse giunto a segno, la vittima di tanta furia sarebbe risultata sventrata di netto, privata della possibilità di trattenere all’interno del proprio corpo le stesse viscere e, così, condannata ad una morte tremendamente dolorosa, priva di ogni pietà, di ogni compassione. Ma, ancora una volta, per propria esclusiva fortuna, Midda riuscì a intuire e prevenire quel nuovo attacco, l’obiettivo finale di quella danza, stendendo immediata, rapida, decisa, l’unico scudo con il quale, da oltre dieci anni, era solita proteggere il proprio corpo da ogni sorta di attacco, il proprio arto destro, sì privo di vita, sì privo di ogni sensibilità e calore umano, e pur, per questo, candidato perfetto per tal compito, per simile incombenza, negando nella propria solidità, nella propria forza, ogni speranza di offensiva propria di colei proclamatasi tanto appassionatamente quale sua antagonista.