11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

sabato 24 gennaio 2009

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C
on la paradossale lucidità che ora mi sta distinguendo in questa analisi sulla mia vita, sul mio passato e, soprattutto, su come io sia giunto in questa situazione, non posso evitare di ritenere innegabile che la mia stessa esistenza, nonché la mia considerazione sul mondo e sulle sue dinamiche, si sarebbero proposte decisamente diverse se solo avessi avuto modo di incontrare quell’uomo qualche anno prima, entrando immediatamente alle sue dipendenze invece di finire sotto il controllo dell’allora mio defunto ex-tutore. Per quanto, del resto, mi fossi aggrappato con forza ai miei sassi, ai valori in essi rappresentati, la società mi aveva inevitabilmente corrotto nel periodo trascorso insieme a lord Cemas, allontanandomi da tutti quei principi per i quali ero precedentemente fuggito di casa, rinnegando addirittura mia madre e le mie origini: ideali dei quali Be’Sihl, invero, si propose quale incarnazione perfetta.

« Ehy, ragazzo. Non mi sembri in gran forma… »

Tali furono le prime parole che egli rivolse verso di me, cogliendomi decisamente debole ed affamato a frugare fra i rifiuti abbandonati come consuetudine in un vicolo non lontano dalla sua locanda, nella speranza di trovare qualcosa su cui poter mettere i denti che non fosse già stato opzionato da qualche ratto. O, forse, proprio nel desiderio di agguantare qualche topo da potermi riservare quale pasto… ora sinceramente mi viene difficile ricordare con precisione e non credo sia rilevante ai fini di questa cronaca.

« Me lo dicono in molti, signore… ma non commettere l’errore di lasciarti ingannare dall’apparenza. » risposi con tono fin troppo ardimentoso, nella volontà di difendermi attraverso esso da possibili guai nel non comprendere quanto, in quel momento, essi fossero l’eventualità più distante da me « Se desideri rischiare la tua vita intralciando il mio cammino, sei libero di farlo. Ma ritengo corretto informarti che, al di là di quello che tu puoi credere, io sono veramente… »

… ridicolo.
Non riesco a pensare ad attributi diversi per descrivere l’atteggiamento che assunsi in quell’occasione.
Anzi, in effetti me ne vegono in mente molti, ma fra tutti “ridicolo” è probabilmente quello più cortese.
Del resto, sebbene sia una giustificazione estremamente blanda per perdonare il mio comportamento in quel momento, ero solo un ragazzo impaurito all’interno di una città nella quale anche il più feroce degli assassini non avrebbe osato permettersi l’imprudenza di abbassare la guardia, laddove avesse avuto desiderio di conservarsi in vita e, possibilmente, in salute.
Per quanto evidentemente non avrei mai potuto offrire timore a nessuno con simile presentazione, nel mostrarmi impegnato in una così disperata ricerca, cos’altro avrei potuto fare? Cos’altro avrei potuto dire?

« Non vedo signori qui attorno. » affermò sorridente e tranquillo il locandiere, voltandosi ad enfatizzare il concetto appena espresso in una fittizia ricerca di eventuali destinatari per l’appellativo « E se desideri spacciarti per uno spietato assassino, un pericoloso criminale, forse sarà meglio che tu inizi ad evitare di adoperare tanta reverenza verso uno sconosciuto… »
« C-come? » domandai, spiazzato da quella replica serena, da simile placida reazione, già temendo, nonostante tutto, una risposta violenta alla mia insolenza.
« Mi hai chiamato “signore” prima di minacciarmi: pensi davvero che qualcuno potrebbe prendere seriamente la minaccia offerta da un ragazzino che fruga fra i rifiuti e si premura di riconoscere con un titolo di rispetto i propri possibili avversari? »

Nessuna osservazione avrebbe potuto distruggermi più di quella offertami con tanta naturalezza, tanta semplicità in quel momento, soprattutto perché quanto da lui denotato si poneva, assolutamente e tristemente, vero: avevo cercato di apparire minaccioso, pericoloso, e stupidamente mi ero rivolto alla mia controparte con fare da servo.

« Non sono un ragazzino. » riuscii a rispondere, dopo un lungo momento di incertezza, cercando di dissimulare, dietro apparente stizza per l’utilizzo di quel termine, le reali emozioni di rabbia che non potevo evitare di provare contro me stesso per l’errore compiuto.
« Ti domando scusa, allora, per aver affermato il contrario. Non era mia intenzione recarti offesa… » replicò l’altro, ancora a me sconosciuto, con serena fermezza, quasi inquietandomi nella dimostrazione di una tale tranquillità, insolita per chiunque all’interno di Kriarya.
« In effetti mi sono avvicinato a te unicamente nella speranza di poter richiedere il tuo aiuto. » aggiunse poi, con sguardo sornione.

Devo ammettere che la scelta di quelle parole si rivelò ineguagliabile.
Nell’ipotesi irreale che altri si sarebbero potuti prefiggere di raggiungere il suo medesimo scopo nei miei confronti, essi avrebbero probabilmente offerto il proprio aiuto invece di richiedere il mio, ponendosi pertanto in posizione di superiorità se non, addirittura, di arroganza tale da spingermi a rifiutare ogni speranza di salvezza, per quanto altre vie non mi fossero altresì offerte. Con furbizia, invece, egli non solo si dimostrò in grado di concedermi il proprio aiuto, ma ci riuscì senza neppure farmi pesare la cosa: nel modo in cui aveva descritto la situazione, infatti, il locandiere si conquistò immediatamente la mia simpatia, riconoscendomi la possibilità di un ruolo di importanza in qualcosa. Inutile pertanto sottolineare come non occorse molto per convincermi ad accettare l’occasione offertami innanzi. Un abbondante vitto, dove qualsiasi quantità di cibo in quel momento mi sarebbe apparsa enorme, ed un più che regale alloggio, in paragone con lo scantinato nel quale ero vissuto fino a quel momento, richiesero da me semplicemente l’impegno a prestare quotidiano servizio al fianco del mio benefattore, aiutandolo nella gestione della locanda. Ed in questo, egli non mi pose mai quale suo subordinato, per quanto a tutti gli effetti lo fossi, quanto come amico, compagno di viaggio, in una svolta del tutto nuova ed inattesa per la mia esistenza.

Non mi occorse molto tempo prima di comprendere come il lavoro presso Be’Sihl fosse del tutto diverso dal precedente: per quanto inizialmente sarebbe potuto essere considerato simile, esso si dimostrò ben presto essere indiscutibilmente migliore, soprattutto laddove nello svolgimento del medesimo non mi venne mai richiesta una lunga serie di attività collaterali altresì impostemi al servizio di lord Cemas. Dove il mio ex-tutore, infatti, non si era mai fatto scrupoli a spingermi sempre in incarichi tutt’altro che gradevoli, come quelli relativi allo smaltimento dei corpi dei suoi avversari, volendo in tal modo fare di me, a suo dire, un “vero” uomo, il mio nuovo benefattore si propose con una benevolenza ed una cortesia straordinaria, accogliendomi a sé più generosamente e calorosamente di quanto mai avrebbe potuto fare un mio ipotetico e reale padre. Altri garzoni erano stati assunti già prima del mio arrivo, così altri vennero presi successivamente: ciò nonostante credo di poter affermare, senza falsa modestia, che nessuno fra essi dimostrò mai tanta fedeltà e tanto impegno quanta ne offrii io. Diviso fra il timore di portare ad eventuali ripensamenti il mio nuovo padrone per ciò che mi aveva donato, e che non desideravo assolutamente perdere, ed il senso di gratitudine che inevitabilmente sentivo nei suoi confronti, posi da subito mente, anima, cuore e corpo nell’assolvimento dei miei compiti, riservandomi solo il minimo riposo indispensabile e non concedendomi alcuno svago esternamente alla vita della locanda.
A differenza dei miei compagni, in fondo, io ero tutt’altro che bramoso di avventure, di esperienze emozionanti, avendone già vissute fin troppe in quegli ultimi anni, almeno dal mio personale punto di vista. Ciò che tutti gli altri lamentavano essere un’esistenza abitudinaria, piatta, sempre uguale a se stessa, per me si propose come tutto ciò che mai avrei potuto desiderare.
Almeno fino al giorno in cui, alla locanda di Be’Sihl, fece ritorno una figura già nota a molti ma, per me, ancora sconosciuta: Midda Bontor, donna guerriero.

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