11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

www.middaschronicles.com
il Diario - l'Arte

News & Comunicazioni

E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

sabato 7 febbraio 2009

394


U
na notte come altre, sul tardi, quando ormai l’atmosfera caotica del locale stava cedendo il passo alla quiete del riposo, uno dei miei compagni mi raggiunse, afferrandomi per un braccio ed indirizzando con un cenno del capo la mia attenzione verso lo scantinato, dove erano conservate un minimo di scorte alimentari, utili per la gestione quotidiana della locanda.

« Il padrone ti vuole in magazzino! » mi comunicò, con tono piatto, quasi indifferente.
« Be’Sihl?! » domandai, stranito.

Tutt’altro che chiare mi si stavano proponendo le ragioni di una simile richiesta e, con essa, come egli potesse essere finito lì sotto, nel momento in cui ero convinto fosse ancora nelle cucine: sicuramente avrei dovuto dimostrare maggiore senso pratico, diffidenza e spirito di sopravvivenza nel non credere a quelle parole, ponendole in dubbio…

« Quanti altri padroni conosci? » rispose l’altro, con retorica nella voce, scuotendo il capo ed allontanandosi con fare distratto da me, per tornare a servire ai tavoli.

… ma per quanto gli allenamenti con Degan si stessero proponendo più che utili alla mia formazione, alla mia crescita e maturazione, ben lontano risultavo ancora dall’essere sostanzialmente mutato rispetto a quanto ero stato in passato, conservando erroneamente una spiacevole ingenuità di fondo.
Mai avrei potuto credere come all’interno di quelle mura del male mi sarebbe potuto essere addotto, da troppi anni abituato a ritenere quella quale un’oasi di pace, lontana dalla violenza altresì imperante nella città del peccato. Purtroppo, però, quella sera dovetti ricredermi.

« Be’Sihl? »

Scendendo nel magazzino della locanda, mi ritrovai inizialmente accolto in un ambiente insolitamente in ombra, come se ogni lampada normalmente presente fosse stata spenta per evitare di concedermi una completa visuale su di esso e per quanto tutto ciò non mi piacesse, non ebbi ancora sufficiente malizia per preoccuparmi, per porre in dubbio le parole rivoltemi dal mio compagno, da colui che lì mi aveva invitato a muovermi. Domandai del locandiere, del mio benefattore, richiamando il suo nome quasi timoroso che ad egli fosse accaduto qualcosa di spiacevole: alcuna risposta, naturalmente, mi venne offerta se non il suono cigolante prodotto dalla chiusura della soglia alle mie spalle, in cima alle scale che avevo appena percorso, segnale di una trappola ormai scattata a mio discapito.

« E’ inutile che lo chiami… » pronunciò una voce a me ben nota, identificabile in quella di Paluk, uno degli altri giovani impiegati nella locanda « … egli è troppo indaffarato in questo momento per preoccuparsi per la tua assenza. E la tua voce non riuscirà a raggiungerlo neanche quando griderai… »
« C-cosa succede?! » chiesi, non riuscendo stupidamente a cogliere immediatamente una situazione fin troppo chiara, evidente, trasparente innanzi al mio sguardo, pur negato dalle tenebre attorno a me.
« Succede che ci hai stancato… » rispose una voce diversa, eppur a sua volta conosciuta, riferibile ad un altro dei miei compagni o presunti tali fino a quel giorno, Vias, nel mentre in cui una delicata fiammella si propose sulla punta di una lampada ad olio a voler concedere un barlume di chiarezza in quell’oscurità, fisica e metaforica « Tu e il tuo comportamento da figlio prediletto, da principe ereditario: chi credi di essere per poter agire in questo modo? »
« Io… non comprendo. » replicai, sincero in simile ammissione, osservando tre volti che, nello spazio comunque ristretto offertoci nel magazzino, si dimostrarono attorno a me, a circondarmi.
« Non comprendi? » ripeté, con evidente disprezzo, chiara derisione nel proprio tono, rivolgendosi a me colui che fino a quel momento ancora non si era espresso, Veran « Oh… povero… povero bambino innocente. »
« Lavori la metà rispetto a chiunque fra noi e vieni trattato in egual modo se non, addirittura, meglio. » cercò di spiegarmi Paluk, scuotendo il capo « Be’Sihl si rivolge a te quasi come ad un figlio e tu ti permetti di osservarlo come un padre… ma chi ti ha concesso simile diritto? Chi ti ha nominato signore del castello, sovrano di tutti noi, poveri dementi al tuo confronto? »
« E tutto questo per cosa, poi? » incalzarono, ancora, sempre più stretti attorno a me « Solo perché un giorno sei riuscito ad impietosire la cagna del padrone ed hai dichiarato di volerne diventare lo scudiero? Ma se non sai neanche essere uno sguattero… »

Fu allora che feci quanto non avrei mai pensato, prima di quel giorno, di essere in grado di fare, spingendomi contro quella che in passato era stata la mia natura, forse il mio stesso credo di vita, nel mantenere un basso profilo, nel non cercare il confronto, nel rifiutare l’idea di poter emergere al di sopra del rango che gli dei mi avevano imposto.
Reagii.
Non saprei dire se ciò che avvenne fu in conseguenza dell’insulto verso Midda, disprezzo che alcuno fra quei tre esseri insignificanti avrebbe avuto coraggio di esprimere in sua presenza, della pianificata offesa verso me stesso, atto più vicino al loro modo di essere, o, forse, per entrambe: quello di cui sono certo, però, fu come tutti gli insegnamenti offertimi nelle ultime settimane dal mio mentore, in quel frangente, parvero trovare per la prima volta una ragione d’essere, una concretizzazione, spronando la mia mente a non lasciarsi prevaricare da ciò che mi stava circondando, dalla trappola in cui comprendevo di essere caduto e dal fato che temevo potesse presto imporsi su di me. Il mio corpo, muovendosi con consapevolezza prima ignota, in conseguenza dei numerosi duelli con Degan, formulò azioni che, in me, lentamente e faticosamente stavano divenendo sempre più familiari, sempre più consuete, all’interno di quel lungo cammino intrapreso al fine di diventare un guerriero ed uno scudiero.
Con un movimento inatteso, imprevedibile da parte dei miei tre avversari i quali, del resto, avevano probabilmente immaginato di prendere parte ad un pestaggio e non di certo ad uno scontro vero e proprio, il mio pugno destro si diresse verso il collo di uno fra loro, Veran credo, a me quasi frontale, mentre la mia nuca, piegandosi all’indietro, andò ad impattare con violenza contro il naso di colui che mi aveva tentato di prendere alle spalle, forse Paluk, in una reazione istintiva ancor prima che consapevole: due furono le grida, corali, che così si levarono attorno a me, proponendosi alle mie orecchie quali una meravigliosa sinfonia di potere, che mi galvanizzò facendomi sentire come mai mi ero sentito prima. Rapido e controllato, mossi il mio corpo a cercare anche il mio terzo nemico, raggiungendo il suo costato con la forza del mio ginocchio, riproponendo qualcosa che già nel passato recente io stesso avevo provato a mie spese nel subire un colpo simile dal mio maestro, utile a lasciarmi piegato a terra per oltre un quarto d’ora senza fiato né volontà di respirare.

« Piccolo figlio d’un cane… » gemette Paluk, offrendo chiaro segno di rapida ripresa dal mio attacco, evidentemente non sufficientemente efficace rispetto a quanto avrei desiderato, a quanto sarebbe stato in grado di offrire il mio mentore al mio posto « Volevamo solo darti una lezione, ma dopo di questo affronto è meglio per te che inizi a rimettere la tua anima agli dei in cui credi… »

Lo scontro, che per un istante avevo creduto, mi ero illuso, che potesse concludersi rapidamente, in realtà stava solo avendo inizio… e con esso i guai per me.

Nessun commento: