11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

lunedì 31 agosto 2009

598


« C
hi va là? » domandò, in maniera estremamente diretta la mercenaria, già sguainando la propria lama per essere pronta ad offrire la giusta accoglienza a chiunque fosse giunto in cerca di problemi.
« Seem, mia signora! » rispose la voce dello scudiero, inattesa in quel frangente e, per questo, per un estemporaneo momento neppure riconosciuta, là dove lontana dai pensieri di tutti i presenti.
« Thyres… » commentò ella, dopo essersi resa conto dell'identità del loro ipotetico avversario, scuotendo il capo con disapprovazione per quegli eventi « Rammenti ancora la raccomandazione che mi desti tempo fa nel merito delle porte chiuse, vero? »
« Sì, così come non ho dimenticato la tua contrarietà ad una mia simile presa di libertà nei tuoi confronti. » confermò egli.

Uno scambio rapido di battute, tale per il quale a Midda fu concessa occasione di comprendere come il ragazzo fosse giunto lì per propria spontanea iniziativa e non, eventualmente, in cattiva compagnia, tale da porli in pericolo di vita. Ciò nonostante, ella non avrebbe mai raggiunto la propria matura età, non avrebbe mai superato il traguardo dei tre decenni di vita, se si fosse concessa tanto confidente nei confronti dell'onestà del prossimo, tanto ingenua nei confronti di tutti i possibili nemici che mai avrebbe potuto incontrare pur non riconoscendoli: avendo, altresì, fatto della paranoia non semplicemente uno stile di vita, una filosofia di pensiero, ma addirittura una vera e propria arte, la mercenaria era sempre stata in grado di difendere il proprio naturale, e pur mai ovvio, diritto ad un nuovo risveglio, ad assistere ad una nuova aurora, castigando severamente, in ciò, chiunque avesse osato proporsi in direzione contraria a tal traguardo. Per simili ragioni, e non dimenticando come, in quel momento, si sarebbe dovuta considerare in un territorio ancor più ostile di quanto mai sarebbe stata la stessa città del peccato, ella preferì seguire la via della prudenza nell'aprire quella soglia, non disponendosi frontalmente ad essa e, soprattutto, non ponendo nuovamente a riposo la propria lama.
Fortunatamente per tutti, però, oltre la porta aperta solo la figura attesa del giovane figlio di Kriarya si propose innanzi al loro sguardo, e questi, dimostrando una certa ansia, non esitò un solo istante ad entrare rapidamente nella stanza, richiudendo poi la soglia alle proprie spalle con altrettanta premura.

« Che cosa ti è passato per la mente? » lo rimproverò, subito, Howe, dimostrando di non aver gradito tanta intraprendenza ora da parte del giovane, in contrasto agli accordi tacitamente formulati « Ti sentivi forse solo?! »
« Mia signora… » esordì egli, disconoscendo qualsiasi attenzione nei confronti dell'uomo e volgendosi, con assoluta dedizione, verso il proprio cavaliere « Domando venia per la mia irruenza, ma sono latore di notizie importanti, che potrebbero cambiare completamente le sorti di questa missione, almeno così per come concepita fino ad oggi. »

A differenza dello shar'tiagho, la mercenaria aveva avuto già occasione di scoprire, comprendere come, al di là di possibili, erronei e pur umani preconcetti basati sull'apparenza di quell'impacciata e pur volenterosa figura, Seem difficilmente avrebbe rischiato di incorrere nelle ire di colei da lui considerata quale propria signora per questioni minoritarie, prive di valore, oggettivamente giudicabili quali futili. Pertanto, dove egli aveva corso il rischio rappresentato da quel gesto, indubbiamente consapevole di quanto stupido sarebbe potuto essere per lui risalire alla loro stanza, le ragioni che lo avevano spinto in tal senso, verso simile e proibita direzione, avrebbero dovuto vedere riconosciuto loro almeno il beneficio del dubbio, nel concedergli, in ciò, attenzione ed ascolto.

« Innanzitutto, a meno che non vi sia un imminente pericolo per le nostre vite, calmati. » gli richiese, con tono autorevole e pur dolce, nel volergli imporre la calma ed, al contempo, sottolineare nella direzione degli altri spettatori presenti il suo desiderio di concedergli l'interesse da lui domandato « Lo sai che, quando ti agiti, finisco con non comprendere più di cosa si stia parlando… »
« Ancora le mie scuse. » chinò il capo egli, con lieve imbarazzo in conseguenza di quel rimprovero « La mia enfasi si è proposta sicuramente quale eccessiva, ma non priva di giuste motivazioni. »
« Illustracele. » lo invitò ella, bloccando la porta già da lui richiusa e, solo allora, rinfoderando la propria lama dagli azzurri riflessi « Non nego curiosità a tal proposito. »
« L'indizio che ci ha condotti fino a questa città corrispondeva a: "La dimora del dominatore". Non è forse vero? » richiese, quale semplice conferma dove già certo di simile dettaglio « Nella comune ignoranza su un determinato particolare, il pensiero di tutti noi… anzi, il vostro in effetti, dove personalmente neppure avrei immaginato l'esistenza di questa capitale… si è spinto verso Kerrya, dimora dei monarchi di Kofreya. »
« Potresti, per carità divina, condurre le tue parole verso qualcosa che non ci sia già noto? » incalzò Howe, ritrovando parola per un lieve istante, il tempo necessario alla donna guerriero per imporgli nuovamente il silenzio con uno sguardo serio e privo di possibilità di replica.
« E' così. O almeno credo, dove non riesco a cogliere l'accenno all'ignoranza che, immagino, chiarirai a breve. » definì ella, donando allo scudiero la convalida da lui ricercata « Prosegui. »
« L'ignoranza verso la quale desideravo porre attenzione, non qual volontà d'offesa ma quale semplice constatazione della realtà, dei nostri limiti, deriva dalla non conoscenza, o forse, per qualcuno di voi, dalla dimenticanza, dell'esistenza di un particolare luogo, in questa stessa provincia, non lontano da questa città, definito esattamente dai termini propri dell'indicazione da noi raccolta: "La dimora del dominatore". » spiegò il giovane, non evitando un ampio sorriso di soddisfazione, in conseguenza di simile rivelazione.
« Come?! » esclamò Be'Wahr, non riuscendo a tacere, a mantenere il silenzio nel quale si era comunque concesso fino a quel momento, non volendo dimostrare di esprimere giudizi di sorta nei confronti del giovane o, forse, sinceramente non esprimendone alcuno.
« Nella storia di Kofreya è esistito, a quanto pare, un sovrano famoso per essere riuscito, più di chiunque altro, ad imporre stabilità e forza ai nostri da sempre critici confini, in particolare trasferendo il conflitto con Y'Shalf da un'aerea più settentrionale ad una più meridionale. »

Nell'ascoltare la spiegazione offerta dal proprio scudiero, Midda Bontor non poté che offrire un amaro sorriso a quelle parole, a quella sincera e pur erronea esplicazione nel merito delle ragioni dello spostamento di quel fronte bellico, inizialmente concentrato su Krezya e solo successivamente stabilizzatosi su Kriarya, dove continuava anche allora a perseverare. Ella stessa aveva avuto occasione, in tempi recenti, di scoprire la verità celata dietro a tale scelta, e da simile rivelazione non era riuscita ad uscire propriamente vincente, sacrificandosi qual sposa di una semidivinità oscura avente purtroppo dimora proprio nella zona in questione. Ma dalla conoscenza di tali dettagli, di simili particolari, alcuno dei presenti avrebbe potuto trarre beneficio di sorta, e, consapevole di ciò, la donna guerriero preferì non offrire sfogo alla propria mestizia, non intervenendo a correggere quella cronaca e limitandosi ad incoraggiare con lo sguardo il giovane a proseguire in essa.

« Nella tradizione propria di queste terre forse troppo lontane psicologicamente, ancor più che fisicamente, da Kriarya per concedere anche a noi tale conoscenza, al nome di tale sovrano è stato associato l'attributo di dominatore, nel volergli assicurare eterna memoria per i propri meriti. » spiegò Seem, ormai giunto alla conclusione del proprio resoconto « E, al luogo dove egli aveva stabilito la propria roccaforte, nei giorni più intensi del proprio regno, ancora oggi si suole riferirsi come a "La dimora del dominatore", per quanto non siano rimasti nulla che poche semplici pietre. »
« Per Lohr! » commentò lo shar'tiagho, sinceramente spiazzato da quelle rivelazioni inattese, soprattutto da parte di quel ragazzo « Ma tu come avresti fatto a scoprire tutto questo?! »
« Poco fa ho avuto modo di sentir parlare un gruppo di guardie nel merito dei propri piani, in previsione del loro prossimo giorno di riposo… e provate ad indovinare dove erano intenzionate a trascorrerlo, con le proprie famiglie? »

domenica 30 agosto 2009

597


E
ntrare all'interno della città si sarebbe potuta considerare la fase più semplice di quanto sarebbe stato loro necessario compiere, almeno nella volontà di seguire la sola indicazione raccolta, per la quale si erano già spinti a tanto.
Nel considerare quale loro nuova meta "la dimora del dominatore", infatti, i quattro avventurieri non si sarebbero dovuti limitare ad entrare all'interno di Kerrya, ma avrebbero dovuto anche raggiungere fisicamente il palazzo reale, sperando in esso di trovare non solamente l'ennesimo nuovo indizio quanto piuttosto proprio lo stesso Sha'Maech, possibilmente desideroso di concedere loro ogni spiegazione su quell'assurdo giuoco nel quale aveva voluto trascinarli. Ipotizzare, però, di poter giungere all'interno degli edifici ospitanti i monarchi di tutta Kofreya, si sarebbe dovuto considerare quanto meno assurdo, nel particolare contesto in cui si erano venuti a ritrovare, la condizione d'allarme in cui le guardie sembravano essere offerte loro. Dove, infatti, anche solo per giungere all'interno di quelle triplici mura era stato imposto loro tanto impegno, tanto rischio, ad aggirare ogni possibilità di controllo, ogni occasione di verifica e condanna a loro riguardo, dirigere i propri passi verso la sede del potere centrale e sovrano, il fulcro più importante e protetto di tutta quell'intera città, avrebbe potuto essere inteso quale una volontà suicida, un desiderio di morte inequivocabile.
Nel considerare le implicazioni derivanti da quel loro obiettivo, nella collegata esigenza di agire con giudizio e non con impulsività, i quattro ancor prima di offrire preoccupazione alle ipotetiche modalità in cui impegnare i propri successivi sforzi, per raggiungere quello stresso traguardo, deviarono i propri pensieri, la propria attenzione, i propri interessi verso esigenze più immediate e, in verità, non meno importanti per garantire il mantenimento della loro sopravvivenza, della propria libertà, lontani dalle possibilità di condanna delle guardie che, nonostante tutto, non avrebbero di certo ignorato la loro presenza entro quei confini se solo ne avessero avuto evidenza, riprova. Per tale ragione, dopo aver celato le fattezze dietro ampli mantelli e cappucci, i tre clandestini furono accompagnati dalla loro personale e fasulla sentinella fino ad una locanda, la prima che incontrarono lungo il proprio percorso, pagando in maniera fin troppo generosa i proprietari affinché la loro quiete potesse essere garantita e, successivamente, trasferendosi in una sola, comune camera eletta a loro rifugio per quella notte. E al fine di non insospettire alcuno con un atteggiamento troppo solidale a semplici viandanti, nonché con la richiesta di un alloggio per sé che in quella città avrebbe dovuto vivere in conseguenza del proprio abbigliamento, Seem fu costretto a lasciare i propri compagni, per restare nel salone principale della locanda, a consumare lì, nella tranquillità di un angolo, la propria cena, attendendo l'evolversi degli eventi.
Paradossalmente, però, fu proprio quella per lui considerata quale una spiacevole separazione, la seconda nel corso della giornata, ad offrire al giovane l'occasione per dimostrarsi ancora una volta straordinariamente utile per la propria signora e per i due fratelli, in una benevolenza del fato, nei suoi riguardi, a dir poco incredibile, tale da far assumere un significato estremamente forte alla estemporanea riflessione espressa in sua compagnia dalla Figlia di Marr'Mahew nel merito della sua fede e di come essa avrebbe probabilmente presto trovato ragione di svilupparsi, in maniera del tutto spontanea.

« Allora… come ci aveva del resto avvertito anche il locandiere, c'è un solo, splendido letto a due piazze… chi ci dorme? » domandò Howe, sorridendo con aria maliziosa e sorniona.
« Pensi veramente che ci potremo riservare il lusso di riposare questa notte?! » replicò Be'Wahr, aggrottando la fronte « Domani dovremo prendere d'assalto uno dei palazzi meglio custoditi di questo angolo di mondo e sottolineare come ancora ci occorra un piano sarebbe vana retorica… »
« D'accordo, allora mentre tu rifletti sul piano, Midda e io occuperemo il letto. » propose lo shar'tiagho, mostrando in un amplio sorriso una lunga fila di denti candidi.
« Howe… » lo richiamò il biondo, con tono di rimprovero.
« Non essere permaloso: non volevo di certo offenderti suggerendo l'ipotesi che tu potessi utilizzare quello strano e ammuffito organo che ti porti in giro quale contrappeso all'interno della scatola cranica. » sorrise, divertito « So che per te sarebbe un evento straordinario, ma… »
« Howe. » intervenne ora la voce della donna guerriero, nel mentre in cui i suoi occhi color ghiaccio non offrirono scampo all'interlocutore così ripreso « So che non desideravi di certo offendermi suggerendo l'ipotesi che tu potessi utilizzare quello strano e ammuffito organo che ti porti in giro quale contrappeso all'interno dei pantaloni... ma cerca di conservare una qualche forma di decenza, per tuo stesso amor proprio. » definì, parafrasando la stessa sentenza dall'altro utilizzata nei confronti del fratello.
« Ehy… cosa vorresti dire?! » contestò stizzito l'uomo, nel mentre in cui Be'Wahr non poté evitare di scoppiare in una fragorosa risata per l'affondo verbale portato a segno dalla compagna « Solo perché, durante il lavoro, cerco di mantenere una serietà professionale, e per questo tu non hai mai avuto occasione di vedermi all'opera, non significa che sia un eunuco… »
« Hai appena pronunciato due parole di troppo, che non ti si addicono assolutamente: serietà e professionale. » incalzò ella, ridacchiando a sua volta « Peccato non ci sia anche Carsa… lei si che saprebbe metterti a posto. »
« Non tirarla in ballo, per carità di Lohr. Ci mancherebbe solo lei, ora come ora. » esclamò l'uomo, levando le mani al pensiero del quarto componente del loro gruppo originale, probabilmente impegnata, in quel momento, in qualche altra avventura in una diversa parte del paese o del continente.
« In effetti stare vicino a lei è come, per un assetato, essere posto a fianco di una brocca d'acqua avvelenata: una frustrazione priva d'eguali. » concordò il biondo, in riferimento alle preferenze sessuali della donna assente.
« Certo che, a volerla dire tutta, non mi è sembrato che si sia dimostrata particolarmente schizzinosa quando, per il bene della missione, si è dovuta portare a letto un uomo, per quanto attempato… » osservò Howe, ora rivolgendosi verso il fratello per trovare in lui sostegno.
« Beh… ma lo sai come è fatta, con quella sua filosofia dell… »
« Tempo! » richiese la mercenaria, intervenendo fra i due prima che il discorso potesse degenerare di più di quanto non fosse già in quel momento « Lasciamo i pettegolezzi per momenti migliori, che ne dite? » invitò, osservandoli entrambi, uno alla volta « Credo che sia lontano da ogni dubbio come ognuno sia libero di scegliersi i compagni o le compagne di letto che preferisce e Carsa, in questo, non fa eccezione. »

I due fratelli, quasi come bambini riportati all'ordine dall'intervento di un genitore, restarono per un lungo istante in silenzio, esitando ad esprimersi là dove non sarebbe mai stato loro desiderio mettere a rischio il rapporto creatosi fra loro, così come quello creato con la compagna assente ed, in quel momento, oggetto del loro discorso, alla quale non avrebbero mai mancato di offrire tutto il proprio rispetto al di là delle eventuali e facili ironie di discutibile gusto che avrebbero mai potuto proporle e di fronte alle quali, se solo fosse stata presente, di certo non avrebbe mancato di rispondere anche in maniera fisicamente animata.

« Quindi… » tentò di riprendere voce Howe, levando di nuovo lo sguardo verso Midda « Se a tutti è offerto il diritto di disporre degli amanti che più possano aggradare… vuol dire che questa notte dormiremo davvero insieme?! Non vorrai negarmelo, spero… sarebbe dispotico. »
« Ma io sono tirannica per mia intrinseca natura, non te lo hanno mai detto? » rispose ella, scuotendo il capo e pur non nascondendo in ciò un sorriso divertito per la grottesca insistenza dell'uomo « E se an… »

Ma la frase non fu terminata, dove la voce della donna venne interrotta da un insistente bussare sulla porta d'ingresso a quella loro camera, facendo dimenticare immediatamente ogni scherzo, ogni lazzo, e riconducendo tutti e tre gli inquilini della medesima alla serietà, nell'incognita rappresentata da quell'inatteso evento.

sabato 29 agosto 2009

596


« A
desso non esagerare. » commentò lo shar'tiagho, aggrottando la fronte in conseguenza di tali parole « Mi sono limitato a riconoscere il fatto che tu non sia un peso per la nostra comune amica… non che tu sia addirittura utile a qualcosa. » volle definire, in un tono che, comunque, lasciò trasparire un desiderio di scherzo, di gioco celato dietro a tali termini, in un canzonare, in uno schernire del tutto similare a quello con il quale normalmente si volgeva verso il fratello.
« Là è la corda per proseguire… » indicò il ragazzo, rammentandosi di non poter sprecare eccessivamente tempo in chiacchiere come, altrimenti, stavano facendo « Non possiamo sostare troppo a lungo o rischieremo di essere scoperti. »
« E' tutto come da programma? » si informò l'uomo, prima di incamminarsi in tal senso, in simile direzione.
« Entrambe le corde fra le mura sono in posizione… manca solo quella a discendere, ancora arrotolata per non rischiare di destare sospetti. Come da programma. » confermò annuendo, e segnalando con un movimento della mano la necessità di andare oltre « Avanti… e cautela. »

Strattonando allora la fune rivolta verso l'esterno della città, Seem segnalò agli altri la possibilità di riprendere l'arrampicata lungo quel fronte, ora che il primo fra loro era già proseguito oltre.
E per quanto nessuno fra loro, nella sola eccezione della donna guerriero, avrebbe potuto farsi vanto di essere un figlio del mare, con i vantaggi, in termini di confidenza, derivanti dall'esperienza sulle navi con funi e cime di ogni genere, come già lo stesso scudiero e Howe avevano dato riprova, anch'essi non avrebbero potuto avere nulla di cui rimproverarsi a livello di preparazione atletica in tal senso. Così, in un tempo decisamente breve nel considerare la scalata proposta da quelle alte barriere in pietra compatta, anche il biondo capo di Be'Wahr fece capolino fra i merli di quella prima tappa, offrendo il proprio cordiale sorriso a colui che lì lo stava attendendo.

« Tutto bene? » si limitò a domandare in un sussurro, con evidente intento retorico dove la loro presenza in tal punto si sarebbe dovuta già considerare trasparente a tal riguardo.
« Alla perfezione. Sono ufficialmente arruolato nella guardia cittadina, anche se nessuno sa il mio nome… » commentò con ironia, dovuta in quel momento, al paradosso rappresentato degli eventi occorsi.
« Grandioso! » espresse l'altro, sorridendo « Ora sta tutto ad offrire le dimissioni dal tuo precedente incarico… i miei migliori auguri, perché con un datore di lavoro come il tuo ne avrai sinceramente bisogno! »
« Aspetto che salga e provo a dirglielo. » concluse lo scudiero, nel sottolineare in quelle parole l'esigenza a non arrestare quell'infiltrazione clandestina « Howe dovrebbe già essere prossimo alla discesa: prosegui in quella direzione… » indicò infine.

Non attendendo, allora, alcuna risposta, il giovane concesse di nuovo, e per l'ultima volta, il segnale di via libera, ora rivolto alla propria signora.
Se solo non fosse stato, umanamente e comprensibilmente, agitato, Seem avrebbe forse potuto trovare diletto nel tener conto del tempo di risalita della Figlia di Marr'Mahew nel confronto con quello dei due fratelli, per comprendere quanto la sua esperienza per mare avrebbe potuto effettivamente offrirle vantaggio in una situazione simile a quella. Purtroppo, però, si sarebbe dovuto già considerare quale incredibile il mantenimento, da parte sua, di un minimo autocontrollo, di una razionalità utile a consentirgli di essere lì, in quel preciso momento, a concedere attuazione alla strategia ideata dalla donna medesima. Per questo, quindi, non ebbe occasione di osservare come ella impiegò un tempo inferiore alla metà rispetto a quello proposto da parte di coloro che l'avevano preceduta in quello stesso cammino, scavalcando poi con agilità il bordo delle mura per andarsi a posizionare, senza dimostrare il minimo affaticamento, accanto al proprio scudiero, sorridendo quasi divertita.

« I miei più vivi complimenti, ragazzo mio. » si congratulò, sottovoce, nel mentre in cui la sua mancina operava ad arrotolare rapidamente ed efficientemente la corda attorno al proprio braccio destro, metallico, recuperandola per lasciar sparire, in ciò, ogni traccia del loro passaggio, non desiderando ritrovare, al mattino seguente, un'intera città posta in allarme « Un ottimo lavoro. »
« Ti ringrazio, mia signora. » chinò, allora, il capo, nell'accettare con un sentimento sicuramente più ricco, un'emozione decisamente più appagante, quel riconoscimento offertogli ora da lei « Se solo avessi creduto nella loro esistenza, avrei pregato gli dei nella speranza di non deluderti. »
« Vedrai che, continuando a restare al mio fianco, con il tempo, imparerai a ringraziare una qualche divinità per i momenti di gioia… e ad imprecare contro di essa per quelli di difficoltà… » osservò ella, con tono tranquillo « Ora inizia ad andare. Ti seguo a ruota… »
« Non è più prudente che sia io l'ultimo? » propose egli, scuotendo il capo per quanto non desiderando, ovviamente, offrire negazione in replica ad una richiesta del suo cavaliere « Potrei avere maggiori possibilità di accampare scuse a giustificazione della mia presenza qui, rispetto a te. »

Midda inarcò il sopracciglio mancino, quello attraversato brutalmente dalla stessa cicatrice che ne solcava da tempi remoti il viso, a quell'affermazione, a quella richiesta, non offrendo comunque immediata replica alla stessa nel voler, evidentemente, prendere in considerazione ogni implicazione della logica da lui proposta.
Solo dopo un lungo istante, in cui il tempo parve perdere significato fra i due interlocutori, ella decise di accettare la posizione espressa dalla controparte, levandosi nuovamente in piedi e prendendo, comunque, possesso della fune arrotolata per alleggerire il ritorno del giovane, almeno nei limiti di tale fardello.

« Fai in fretta. » raccomandò, prima di gettarsi quasi di corsa in direzione della seconda corda, il primo dei due effimeri ponti posti a concedere loro tale passaggio.

E dove, prima di lei, già Howe e Be'Wahr avevano percorso quell'eguale via, quello stesso cammino, quasi nell'indifferenza del ragazzo lasciato dietro di loro, il quale non avrebbe avuto alcuna ragione per apprezzare le loro movenze, il loro incedere, Seem non poté distogliere lo sguardo dal corpo della propria signora nell'istante stesso in cui si accorse della postura da lei adottata in preparazione a tale sfida, dall'esito pur non scontato. Se, infatti, i due fratelli, al pari dello scudiero, si erano lasciati appendere con braccia e gambe alla corda, muovendosi poi con costanza ma naturale lentezza lungo la stessa, Midda Bontor volle probabilmente offrire l'ennesima riprova della propria nomea, della propria fama, gettandosi in quella che sarebbe potuta quasi essere considerata una corsa al di sopra del minimale sostegno lì espresso.
Un'azione, la sua, degna dei più grandi acrobati, dei più sprezzanti e coraggiosi funambuli, che vide i suoi piedi procedere senza la minima esitazione nonostante l'oscurità della notte, le sue gambe muoversi agili e rapide in un'apparente incuranza nel confronto del pericolo di morte certa rappresentato dal vuoto sotto di sé. Un'azione, la sua, che nel confronto con situazioni più estreme, più incontrollabili quali sarebbero stati simili passaggi compiuti fra le estremità dei più alti alberi di una nave, avrebbero inevitabilmente dimostrato le proprie ragioni, la propria forza, ora nel confronto con una realtà assolutamente stabile, quieta, pacifica, animata solo da una leggera brezza serale e nulla più.

« A volte, mia signora, credo che tu sia la principale riprova per la quale dovrei convincermi dell'esistenza di una qualche divinità superiore… la sola che, mai, potrebbe averti concesso tanta grazia e tanta maestria. » non evitò di commentare, in un alito, il giovane, rivolgendosi in effetti al nulla innanzi a sé dove la propria ipotetica interlocutrice, là dove mai avesse avuto il coraggio di esprimersi in maniera tanto spudorata nei suoi confronti, ormai si era perduta lontano dal raggio d'azione del suo sguardo, probabilmente ormai già sulla seconda linea di mura se non, addirittura, diretta verso la terza.

venerdì 28 agosto 2009

595


L
a constatazione del giovane scudiero, nel merito dell'ipotetica e non eccessiva difficoltà a lui stesso riservata nella volontà di procurarsi quanto necessario prima del tramonto, non si rivelò quale assurdamente speranzosa, impropriamente fiduciosa nella buona sorte.
In effetti, la predominante presenza di guardie e la confidenza da parte delle medesime in una città sostanzialmente tranquilla, abituata a chinare il capo di fronte ad ogni angheria ed a non offrire la pur minima azione, il più vago pensiero in contrasto alle leggi locali, concesse a Seem una libertà di azione quasi paradossale, per quanto ovviamente non gratuita, in un risultato che non sarebbe da lui mai potuto essere raggiunto se non in conseguenza di un coraggio, di una forza d'animo sconosciuta ai più. Nell'avanzare, infatti, a testa alta attraverso le vie proprie dei controllori di quell'urbe, dei guardiani di quella capitale, penetrando in una delle loro numerose sedi sparse all'interno di ogni quartiere dimostrando un'aria assolutamente tranquilla, totalmente confidente di sé e della correttezza delle proprie azioni, il ragazzo offrì riprova di come l'addestramento ricevuto dal suo maestro, dal suo mentore, volto a temprare il suo spirito allo scopo di concedergli saldezza, fermezza anche dove altri avrebbero ceduto in preda al panico, non era stato tempo sprecato, non era risultata quale un'esperienza fine a se stessa.

« Salute. » lo aveva, addirittura, apostrofato un inatteso interlocutore, nel coglierlo vagante attraverso i corridoi di quella struttura, nella ricerca delle stanze, degli spogliatoi, dove avrebbe potuto trovare l'uniforme da lui ricercata « Tutto bene? »
« Certamente. » aveva risposto, allora, con sufficiente prontezza, tendendo addirittura un braccio in avanti, verso l'uomo, a dimostrare in tal gesto una confidenza che da un estraneo a quegli ambienti non avrebbe dovuto potersi attendere « E' una splendida giornata oggi, non trovi? » aveva proseguito, non eccellendo in originalità nel concedere tale espressione e, ciò nonostante, dimostrandosi sufficientemente credibile nella propria fasulla sincerità.
« Quanto entusiasmo… » aveva allora denotato l'altro, ricambiando il saluto propostogli, nello stringere con la propria mano il braccio dell'altro nel tempo in cui il giovane agiva in eguale misura nei suoi confronti « E' il tuo primo giorno di servizio, non è vero? »
« E' così evidente? » aveva replicato Seem, sorridendo con aria imbarazzata, in un'interpretazione che era certo gli sarebbe valsa il plauso della sua signora se solo ella avesse potuto vederlo all'opera.
« Non tanto. Ma ho un ottimo spirito di osservazione… » aveva minimizzato la guardia, desiderando concedersi scherzosamente nei riguardi del suo nuovo collega « Diciamo solo che sembri essere leggermente spaesato. Stai cercando qualcosa in particolare? »
« Eh… mi hanno detto di venire da questa parte, per ritirare la mia divisa. O, almeno, credo che fosse questa la direzione indicatami… ora come ora non saprei dirlo. »
« Non ti preoccupare… ti accompagno io. » si era, allora, candidato volontariamente l'altro, proclamandosi quale sua guida in quel dedalo di corridoi « E non ti preoccupare se per queste prime settimane dovrai sorbirti sempre il turno di notte: superata la gavetta avrai sicuramente occasione di riservarti gli spazi ed i tempi che più ti saranno graditi. In fondo siamo così in tanti che non manca di certo la copertura reciproca… non trovi? »

In virtù del sentimento di sicurezza derivante da quel loro effettivamente innaturale numero, le guardie pur severe nei propri controlli, pur fiscali nell'attuazione della legge, pur dittatoriali nell'imposizione dei propri voleri sul resto della popolazione a loro sottoposta, arrivavano a riservarsi la possibilità di ingenuità imperdonabili, leggerezze estreme, come quella che aveva veduto Seem non solo sottrarre indebitamente quell'uniforme ma essere, in ciò, del tutto e per tutto accolto dal sistema stesso, nel quale, se solo avesse voluto, avrebbe probabilmente potuto inserirsi completamente, in maniera del tutto esterna ad ogni possibilità di sospetto, ad ogni dubbio. E proprio su quella stessa, non ingiustificata ma non giustificabile, modestia nel confronto con le proprie responsabilità, con il proprio compito, la Figlia di Marr'Mahew aveva fondato, pur giocando in azzardo, una parte fondamentale del proprio piano, della propria strategia, certa di come non solo il proprio scudiero sarebbe riuscito a procurarsi quanto necessario, quanto da lei richiesto, ma sarebbe anche riuscito ad approntare la via utile al loro ingresso clandestino entro quelle mura.
Non deludendo la propria signora, al tramonto il giovane si propose fra i merli delle mura più interne, trasportando con sé, sulle proprie spalle, quattro ingombranti e pesanti rotoli di corda, così come da disposizioni ottenute. Complice sicuramente il proprio abbigliamento, nonché il minor livello di sorveglianza di quella barriera più protetta, egli non aveva riscontrato alcun problema a giungere fino a quel punto, considerabile il più propizio nel disporsi al centro di quel particolare lato del decagono tracciato dalle medesime mura, tangente ad ogni raggio visivo delle sentinelle poste comodamente nelle torrette di guardia presenti. Per quanto, infatti, Kerrya fosse tanto controllata, tanto protetta, ponendosi sicuramente lontana da ogni possibilità di attacco da parte di grandi eserciti, nel proprio sistema di sicurezza essa si stava dimostrando vulnerabile nel confronto all'azione di un manipolo scelto, uomini e donne perfettamente addestrati dalla propria stessa esperienza ancor prima che da una formazione canonica, un'élite quale, indubbiamente, non sarebbe potuta che essere considerata quella della squadra di mercenari radunata in un tempo passato dalla volontà di lady Lavero.

« Per questo genere di cose non hai avuto il tempo di formarmi, mio buon maestro… »

Tale fu il sussurro che Seem si concesse di proporre al quieto vento della notte, nello spingere il proprio ricordo alla figura di Degan, colui che gli aveva permesso di diventare ciò che era diventato e che, probabilmente, mai si sarebbe aspettato di ritrovarlo, un giorno, a gettare una corda con rampino a coprire la distanza posta fra due mura concentriche, nel voler creare, fra esse, un passaggio, un ponte utile a concedere al proprio cavaliere il passaggio. Ciò nonostante, lo scudiero compì tale incarico e, dopo aver coperto quel primo tratto, con coraggio e forza di volontà, compì anche il secondo richiestogli, a congiungere anche il successivo livello difensivo con quello intermedio, completando il precario percorso così tracciato a superamento di tutte le tre fila di mura nell'unica direzione rimasta a loro disposizione dopo l'esclusione di ogni altra possibilità: quella del cielo.
Giunto infine, forse più inconsciamente che consapevolmente, dove il suo raziocinio altrimenti gli avrebbe dovuto imporre puro terrore per quanto si era riservato di fare, alle mura più esterne, nell'esatto punto del ritrovo concordato con la propria signora ed i due fratelli, egli si premurò di fissare con cura una terza corda, penultima coinvolta in quella strategia, ad uno dei merli a lui prossimi, prima di farne calare l'altra estremità lungo il bordo della parete, per spingerla a raggiungere il suolo e, in ciò, i suoi compagni in attesa della stessa.
Un gesto, quello così conclusivo della sua parte dell'opera di infiltrazione all'interno della città, che non lo ritrovò privato di qualsiasi riconoscimento, di ogni meritato complimento, dove, addirittura, fu per voce di colui che fino a quel momento gli aveva concesso minor fiducia che tale giusto compenso gli venne tributato.

« Per Lohr… ce l'hai fatta, ragazzo. » sussurrò Howe, raggiungendolo per primo sulla cima di quelle mura « Devo essere sincero con te: non ci avrei scommesso un soffio d'oro. E, ciò nonostante, ci sei riuscito. Probabilmente mi sono sbagliato ad averti mal giudicato, considerato solo quale un peso per una donna del calibro di Midda Bontor… »
« Probabilmente dovrei ritenermi leso, ancor prima che onorato, da queste tue parole, per la scarsa fiducia che mi avevi voluto riconoscere. » rispose allora Seem, superando la propria solita timidezza, il proprio consueto imbarazzo, probabilmente quale conseguenza dell'adrenalina presente in quantità tutt'altro che minimali nelle sue vene, nel suo sangue in quel momento « Ma preferisco limitarmi ad esser lieto di queste tue parole ed accoglierle quali l'inizio di un nuovo livello di rapporto fra noi… »

giovedì 27 agosto 2009

594


D
ue furono le ore richieste a Seem per completare il tragitto preposto fra quelle tre cinte murarie, per superare le ulteriori due porte che lo attendevano a seguito del primo posto di blocco. E in quelle due ore, egli ebbe modo di comprendere pienamente il significato dei discorsi, delle testimonianze concessegli dalla sua signora e dai due fratelli nel merito di quella città, dei suoi particolari criteri di giudizio, della severità delle sue leggi. Anche alle porte di Kriarya, dopotutto pur una delle capitale del regno, infatti, non erano mai mancati dei controlli ad opera di esponenti dell'esercito, a prevenire possibilità di infiltrazioni y'shalfiche in conseguenza della particolare posizione di frontiera di quell'urbe, ma nessuno fra gli stessi avrebbe mai potuto far vanto di raggiungere quello stesso livello di paranoia, al punto tale da far supporre come, oltre quelle triplici barriere, alcun controllo sarebbe poi stato ulteriormente offerto. Vana illusione, però, sarebbe stato esprimere una tale considerazione, dove la severità dei controlli proposti sulla tre soglie si sarebbe potuta considerare semplice preambolo, introduzione, alla più completa, e quasi folle, situazione presene all'interno di quell'immensa capitale.

« Ma quanti sono? » non riuscì ad evitare di sussurrare, a denti stretti, nell'osservare l'abnorme quantitativo di guardie poste a controllo di quelle vie, di quella città « Inizio a comprendere perché Kofreya sta perdendo la guerra contro Y’Shalf: tutti i suoi soldati trascorrono la propria vita entro queste uniche mura… »

Ovviamente, come egli stesso non ne avrebbe potuto negare piena coscienza, la sua si sarebbe dovuta considerare un'esagerazione, un eccesso verbale conseguenza dello stupore, della sorpresa nel confronto con una tanto elevata presenza di sentinelle. Ciò nonostante, però, nella propria intrinseca espressione di paradosso, quell'affermazione non si sarebbe potuta ugualmente negare un fondo di verità, nel ritrovare lì radunate effettivamente forze tali da poter ipoteticamente rappresentare un notevole valore sottratto a quelle che sarebbero dovute essere considerate le reali linee difensive del regno. Con un rapporto praticamente paritario fra abitanti locali e militanti in quell'improprio esercito, Kerrya si sarebbe potuta considerare a ragion veduta quale una delle capitali maggiormente controllate di quell'intero angolo di continente, dove anche altre sedi di famiglie reali, di sovrani e regnanti, non avrebbero mai potuto far sfoggio di un tale dispiegamento di forze, di un simile spreco di uomini e donne al solo scopo di mantenere un clima marziale all'interno di quello che, ben presto, anche al giovane scudiero sarebbe apparso quale un ambiente fin troppo ristretto.
Nel considerare una tale situazione di partenza, un simile ambiente entro il quale muoversi ed operare, i termini dell'incarico propostogli dalla sua signora si sarebbero potuti considerare estremamente complicati, richiedendogli certamente più di quanto ella mai avesse domandato in passato. Purtroppo, non mancando ormai molto al tramonto, minimo si sarebbe dovuto considerare il tempo ancora offertogli per procurarsi gli elementi necessari all'attuazione della tattica elaborata dalla Figlia di Marr'Mahew, strategia tutt'altro che priva di rischi e pur, forse, con maggiori possibilità di successo nel confronto ad ogni altra possibile alternativa.

Nell'esigenza di dover, infatti, penetrare all'interno di quella città senza seguire consueti canoni, varie erano state le idee formulate di rito e, purtroppo, scartate nel portare obbligatoriamente a quell'ultima soluzione.
Per passare attraverso le porte apparentemente loro interdette, la donna ed i due fratelli avrebbero potuto tentare la via del travestimento, dell'inganno, celandosi dietro le spoglie di lebbrosi, di mendicanti o, anche, di circensi. Purtroppo, però, i primi sarebbero stati immediatamente allontanati nel prevenire un eventuale contagio all'interno della città più importante del regno, i secondi avrebbero seguito eguale sorte nel non voler accettare figure del genere a turbare il possibile sguardo del sovrano, ed i terzi avrebbero potuto trovare possibilità d'ingresso solo in occasione di una qualche festa, celebrazione, ricorrenza a giustificarne la presenza, purtroppo assenti in quel particolare periodo.
In alternativa, sempre nella volontà di oltrepassare quelle soglie, Seem avrebbe potuto agire similmente a quanto già aveva compiuto, nel penetrare all'interno della città allo scopo di sottrarre indebitamente da essa un qualche carro, conducendolo all'esterno e concedendo, in tal modo, al proprio gruppo, quello stesso quale possibile mezzo nel quale nascondersi e poter oltrepassare i controlli nel momento in cui i legittimi proprietari del medesimo lo sarebbero venuti a domandare. Purtroppo, però, dove anche la dinamica di un tale piano avrebbe potuto offrire adeguati frutti, alcun genere di mezzo di trasporto avrebbe potuto tanto ingenuamente riattraversare i controlli delle triplici mura senza essere, per tempo, posto sotto esame, nell'unica, ipotetica, eccezione di un carro di morti o di un carro di letame, i quali, altresì, non avrebbero avuto reale ragione per essere ricondotti colmi all'interno città nel destinare il proprio carico proprio all'esterno della capitale.
Altra possibilità, sempre a prevedere un passaggio nella via loro proibita, sempre celati all'interno di un carro, sarebbe stata quella che avrebbe previsto la presenza, entro le mura della capitale, di un qualche contatto, un amico, possibilmente contrabbandiere, ricettatore, il quale dotato di speciali mezzi di trasporto con scompartimenti nascosti, a prova di controllo, avrebbe potuto essere convocato dal giovane scudiero e condotto, così, ad un incontro all'esterno della città con il resto del gruppo. Purtroppo, però, dove anche, ancora una volta, simile strategia avrebbe potuto dimostrarsi vincente, in quel momento stava venendo loro meno l'elemento fondamentale, rappresentato da quella amicizia, da quel contatto all'interno dell'urbe, troppo controllata, eccessivamente vittima di uno stato marziale, da non poter prevedere alcuna reale possibilità di insediamento per simili figure, fiorenti in ogni altra capitale, in ogni diverso contesto.
Nel negare una via diretta attraverso le porte, pertanto, il gruppo avrebbe potuto cercare di penetrare passando sotto la città, nello sfruttare un qualche impianto fognario o idrico ricavato nei sotterranei della medesima, utili a garantirne il civile e quotidiano funzionamento, la vita sociale al suo interno. Purtroppo, però, tali particolari non si concedevano propri dell'architettura, dello stile di vita kofreyota a differenza di altri regni forse, in ciò, più progrediti, più interessati al mantenimento dell'igiene pubblica, preferendo porre i propri rifiuti in accumulo ai bordi delle strade, o nei vicoli, fino a quando essi non si sarebbero proposti in misura tale da non essere più sopportabili dagli abitanti e, in ciò, condotto ad immense discariche esterne alle città, dove venivano posti a bruciare in fornaci create sfruttando gli avvallamenti naturali del terreno ed alimentate, in tal modo, quasi perennemente, ad ardere senza tregua quasi fossero le fiamme della fucina di un fabbro.
Avendo, così, negato tanto l'eventualità di un accesso diretto, attraverso le pur numerose porte di quelle mura, e l'ipotesi di una penetrazione dal basso, ad aggirare ogni possibilità di controllo, l'ultima ed unica alternativa, per quanto pericolosa e non priva di incognite nella propria prospettiva di successo, avrebbe dovuto considerarsi la sola attuabile ed, in ciò, quella da attuare, come, effettivamente, egli era stato coinvolto a operare, allo scopo di rendere quel piano, quella strategia possibile.

« Devi "solo" procurarti una divisa delle guardie cittadine… e quattro, lunghe e robuste funi… » ripeté, sottovoce, nel rievocare i termini dell'incarico affidatogli, gli obiettivi della prima parte di quella sua missione, da attuare prima del calare delle tenebre « Mia signora… ma tu domandi l'impossibile, te ne rendi conto? »

Una sentenza, quella di disappunto emessa nei confronti di Midda, della quale Seem domandò intimamente subito perdono, rimproverandosi di aver posto in dubbio le scelte di colei che aveva giurato di servire, alla quale, del tutto volontariamente, aveva scelto di affiancarsi. Dove ella gli aveva affidato tale compito, evidentemente, era pur sicura che egli non avrebbe mancato di soddisfarla e, pertanto, giunto quale era fino a quel punto avrebbe fatto meglio a lasciar perdere ogni recriminazione per focalizzare la propria attenzione, il proprio interesse, le proprie energie sul conseguimento dell'obiettivo finale.

« In fondo… » cercò di consolarsi, rivolgendosi a se stesso « Con un numero tanto elevato di guardie non dovrebbe rivelarsi impossibile procurarsi una delle loro uniformi… »

mercoledì 26 agosto 2009

593


S
eem non si sarebbe assolutamente potuto definire dispiaciuto per la fiducia riconosciutagli dalla propria signora, dimostrata dall'incarico che ella aveva voluto assegnargli, il compito che gli aveva voluto riservare ponendolo quale risorsa fondamentale per la riuscita di quella loro impropria missione, quell'avventura pur iniziata e ciò nonostante ancora non perfettamente compresa da alcuno dei partecipanti, nel proprio obiettivo, nei propri limiti, nei propri pericoli. E sebbene lo scudiero mai si sarebbe potuto dichiarare contrariato dalla scelta della Figlia di Marr'Mahew nei suoi riguardi, difficilmente egli avrebbe comunque potuto altrimenti palesarsi quale entusiasta per quella stessa decisione, che sulle sue spalle, a suo discapito, stava ponendo fin troppa responsabilità, molta più di quanta non ne avrebbe gradita. In fondo, però, quelle sarebbero dovute essere considerate le regole di quel gioco, del fato che egli stesso aveva voluto riservarsi il giorno in cui aveva scelto di porsi al fianco di una mercenaria di quello stampo, di quel livello, e nella volontà di conservare tale incarico, tale ruolo, il giovane avrebbe dovuto apprendere quanto prima come essere confidente con tali situazioni, là dove, in caso contrario, difficilmente avrebbe potuto perdurare a lungo in una vita come quella così ricercata.
A piedi, solo, e totalmente disarmato, a confronto con una realtà per lui completamente nuova ed inesplorata, il ragazzo di Kriarya si era nuovamente avvicinato alla capitale del regno di Kofreya, la stessa dalla quale poco prima aveva dovuto cercare rocambolesca fuga insieme ai propri compagni, per giungere a presentarsi alle guardie di Kerrya, nella speranza di riscuotere un successo migliore rispetto a quello precedentemente ottenuto. La scelta nei suoi confronti, in verità, si era presentata quale retorica, scontata, dove se poteva permanere nel loro gruppo un dubbio nel merito di chi avesse attratto l'attenzione e l'offesa di quelle sentinelle al loro primo tentativo d'approccio, incerti fra la figura più nota di Midda Bontor e quelle pur riconoscibili dei due fratelli, Howe e Be'Wahr, alcuna ipotesi sarebbe potuta essere sprecata in tal senso verso di lui, volto assolutamente anonimo, sconosciuto, vergine nei confronti dell'intero mondo e non solo di quella particolare provincia o urbe. Consapevole di ciò, e di come, nella rapidità con cui si erano susseguite le azioni nel corso del loro primo tentativo, impossibile sarebbe stato per le guardie aver colto una qualche sua immagine chiara, distinguibile, tale da poterlo porre in pericolo, Seem avrebbe dovuto procedere con assoluta fiducia nelle proprie possibilità, nel proprio indubbio successo, e pur, umanamente, non si sarebbe mai potuto sentire tale.

« Fermo. » intimò uno dei suoi possibili avversari, in realtà proponendo verso di lui la medesima procedura di rito che il giovane aveva visto applicata a tutti coloro che prima del suo turno si erano presentati innanzi a quell'ingresso « Nome e città natale. »
« Seem, di Kriarya. » dichiarò sinceramente, nell'ubbidire alle indicazioni fornitegli dalla sua signora, la quale non aveva ritenuto sussistere alcuna ragione per mentire a tal riguardo.
« Kriarya? Provincia o città? » domandò, aggrottando la fronte di fronte a quel pur particolare nome.
« Città. » confermò lo scudiero, con trasparente ingenuità in tale affermazione.
« Vieni dalla città del peccato?! » incalzò, a quel punto, il suo interlocutore, ponendo per un istante in secondo piano le proprie consuete questioni nel ritrovarsi evidentemente sorpreso da quell'affermazione, palesando come non si concedessero, evidentemente, molti i viandanti diretti a Kerrya e provenienti proprio da tale capitale o, quantomeno, non fossero in molti tanto schietti dall'ammetterlo così direttamente.
« Sì, sono nato e cresciuto entro tali mura. Vi sono problemi a tal riguardo, signore? » chiese il ragazzo, offrendo una genuinità tale che difficilmente avrebbe potuto attrarre sospetto, anche nel più paranoico dei controllori « Ho sempre creduto di essere anch'io kofreyota. »
« No, no. Nessun problema. » negò l'altro, scuotendo il capo « Solo personale curiosità… Professione. »
« Sguattero. » dichiarò, ora omettendo parzialmente la realtà, dove in passato aveva sì prestato per lungo tempo la propria manodopera come garzone ma, ormai, quello sarebbe dovuto essere considerato quale un capitolo concluso della propria vita.
« Impiegato a Kriarya? » cercò conferma.
« Sì, presso la locanda di Be'Sihl Ahvn-Qa. La conosci? »
« No. Non sono mai stato nella città del peccato. » rispose la guardia, ritornando poi alla propria consuetudine « Ragione del viaggio. »
« Sto cercando una persona. » ammise, tornando ora a concedere totale sincerità nelle proprie risposte.
« Tempo di permanenza previsto. »
« Non più di una settimana. » definì, ancora una volta secondo le indicazioni ricevute in precedenza dalla propria signora e, nonostante ciò, realmente speranzoso in tal senso, dove se tale previsione fosse stata confermata avrebbe significato che ogni loro piano sarebbe andato a buon fine entro i termini stabiliti.
« Armi. »

Quella domanda, che sarebbe potuta essere considerata sciocca e superficiale da parte di chiunque non si fosse mai presentato innanzi a quelle triplici mura, dove, in apparente assenza di controllo, basandosi semplicemente sull'onestà del dichiarante, estremamente semplice sarebbe stato per chiunque mentire e celare delle armi di varia natura nell'accedere alla città, si sarebbe altresì successivamente rivelata quale, forse, una delle più importanti fra quelle rivolte in simile, rapida accettazione anagrafica. Dove, infatti, sul nome, sulla provenienza, sulle motivazioni della visita in città e sulla permanenza all'interno della stessa, chiunque avrebbe potuto esprimere il falso senza che tali fandonie potessero essere facilmente smentite, una pur minima omissione nel merito di una qualche arma condotta con sé sarebbe stata rapidamente svelata con un controllo fisico, una verifica diretta quale quella che li avrebbe attesi tutti nello spazio d'interconnessione fra le due mura più esterne. E, proprio in conseguenza di quanto veritiera e completa sarebbe stata in grado di dimostrarsi quell'ammissione, la sorte dell'ipotetico visitatore sarebbe stata decisa, nel bene o nel male.
Il contenuto delle risposte a quelle domande, tanto vincolante per garantire al giovane una possibilità di ingresso in città, contemporaneamente a tal dialogo, stava in effetti venendo posto a verbale, per iscritto, da un collaboratore delle guardie selezionato proprio quale edotto nell'arte di leggere e di scrivere, per lo svolgimento di tale incarico, per tale ruolo. E quel documento, riassuntivo e pur unico descrittivo nel merito della persona, al termine di quel confronto, sarebbe stato immediatamente condotto al gruppo di controllo successivo, oltre quella prima soglia, dove un altro incaricato, con competenze specifiche simili a quelle del redattore originale del testo, si sarebbe predisposto per interpretarlo e garantire attraverso lo stesso, in tal modo, l'integrità di quelle informazioni, la correttezza delle indicazioni ottenute e la conferma dei controlli eventualmente necessari per averne trasparenza.

« Nessuna, signore. » affermò, del resto inviato in tal modo dalla propria signora proprio al fine di superare senza il minimo ostacolo quei controlli, quelle verifiche.
« Qualcosa da dichiarare? » richiese, ormai giungendo al termine della completo, e pur rapido, interrogatorio.
« Nulla. »
« Bene così. » proclamò la guardia, non avendo ulteriori questioni da porre all'attenzione del giovane « Segui il resto del flusso verso il secondo posto di blocco, dove saranno proposte ulteriori verifiche. » indicò, preannunciando l'inevitabile proseguo « E buona permanenza in città. » concluse, beneaugurante verso il ragazzo, così apparentemente inoffensivo e onesto per quanto frutto del seno di una capitale quale Kriarya.
« Grazie. » concluse allora il giovane, offrendo un lieve sorriso verso il proprio interlocutore prima di avanzare nella direzione mostratagli.

Superato quel primo livello di controlli, lo scudiero della Figlia di Marr'Mahew si concesse, per un istante, di sentirsi positivamente eccitato, in conseguenza della relativa tranquillità con cui ogni operazione si era svolta fino a quel momento, offrendo ragione alle previsioni della sua signora.
Proseguendo di quel passo, ed evitando di donare il pur minimo sospetto alle guardie che successivamente avesse avuto modo di incontrare, egli sarebbe riuscito a giungere all'interno della città nel rispetto del piano elaborato. E solo a quel punto, in verità, sarebbero iniziati i veri problemi… le reali difficoltà per quella sua personale missione.

martedì 25 agosto 2009

592


« P
er dirlo in parole semplici e inequivocabili… via di qui! » esclamò Midda, tirando con forza le redini della propria equina cavalcatura, tanto da farlo alzare sulle zampe posteriori nell'arrestare di colpo la propria avanzata.
« Non avrei saputo esprimermi in maniera più coincisa. » concordò Howe, intraprendendo il medesimo gesto proposto dalla compagna, pur senza imitarla dove a lei del tutto contemporaneo.

Una raffica di dardi saettò, in quel mentre, vicino a loro e, fortunatamente, la maggior parte degli stessi si dimostrò rivolta ad un bersaglio troppo in alto, e tutti gli altri ad uno eccessivamente in basso, per riuscire a colpirli, nella naturale incertezza intrinseca in quel primo tentativo, nelle offensive iniziali altresì necessarie ai loro inattesi avversari per riuscire a calibrare in maniera appropriata le proprie armi e la propria mira. E dove, da un lato, nella propria esperienza, nella propria confidenza con simili situazioni, almeno tre dei quattro elementi di quel gruppo di avventurieri si dimostrarono già consapevoli di quanto quel primo attacco non avrebbe dovuto preoccuparli, non sarebbe dovuto riuscire a giungere loro, sul fronte opposto essi stessi si concedevano con altrettanta sicurezza certi di come, al secondo tentativo, le loro probabilità di uscirne ugualmente illesi si sarebbero drasticamente ridotte, tendendo a scomparire completamente in conseguenza di un terzo e letale attacco.
Per tale ragione, prima ancora di concedere ai propri nemici tale generosa possibilità, avrebbero fatto meglio a porre la maggior distanza possibile fra loro e gli stessi, al fine di garantirsi una speranza di sopravvivenza.

« Via… via! » insistette la Figlia di Marr'Mahew, costringendo il proprio cavallo a voltarsi con rapidità, per riprendere il cammino interrotto in senso opposto « Di mio ho un pessimo rapporto con le frecce… e non ho alcun desiderio di fare la fine del puntaspilli. »

Be'Wahr e Seem, pur laconici, silenziosi nel confronto con i propri compagni, imitarono con altrettanta efficienza e prontezza quanto suggerito dalla donna e dallo shar'tiagho, voltando a loro volta i propri animali e spronandoli in quella ritirata, in quella fuga dalla città neppur visitata.

« Che Lohr vi maledica, figli d'un cane rabbioso… » proclamò Howe, nell'avvertire la seconda raffica di dardi, fortunatamente rimasta troppo indietro rispetto a loro, ormai prossimi a lasciare il raggio d'azione di quelle armi « Avreste per lo meno potuto farci entrare, prima di scacciarci! »

Introdotta con tanto spiacevoli parole, infatti e forse proprio in conseguenza delle medesime, quella capitale non aveva voluto concedere loro neppure la possibilità di avvicinarsi, neppure l'occasione di violarne le mura, penetrando in esse nella ricerca di Sha’Maech. Ed al gruppo, ipoteticamente innocente, giudicato quale colpevole ancora prima che potesse aver occasione di guadagnarsi simile condanna, così, non fu concessa altra alternativa rispetto a quella ripiegata così cercata.
Solo quando il profilo di quelle torri si concesse sufficientemente distante dalla loro visuale per non rappresentare più un pericolo, i quattro iniziarono a rallentare l'andatura dei propri animali, osservandosi, in ciò, prudentemente alle spalle per comprendere se non stessero addirittura venendo inseguiti, se i loro avversari non avessero paradossalmente deciso di abbandonare le proprie posizioni di guardia solo per poterli riprendere, completando quanto iniziato con quell'irrazionale offensiva. Fortunatamente e prevedibilmente, però, nessuno si mostrò dietro di loro, sulle loro tracce, e, per questo, essi poterono addirittura arrestare il modo prima frenetico dei cavalli, a concedere il riposo purtroppo loro negato in quella inattesa esigenza di fuga.
Fu allora che, dopo tanta quiete, il biondo decise di proporre nuovamente la propria voce alle orecchie dei compagni, per definire chiaramente la domanda sulla quale tutti loro, comunque, già stavano impegnando il proprio interesse, la propria attenzione, il proprio tentativo di raziocinio.

« Perché accidenti ci hanno attaccato?! » esclamò, rivolgendosi, nella fattispecie, a tutti ed a nessuno, in quella che forse sarebbe dovuta essere considerata quale retorica fine a se stessa.
« Vi siete forse dimenticati di dirmi qualcosa, quando poco fa vi ho chiesto se avevate dei conti in sospeso a Kerrya? » domandò la donna guerriero, senza malizia o rimprovero nella propria voce, ma semplicemente animata dalla volontà di comprendere cosa fosse accaduto.
« Potremmo farti la stessa domanda, lo sai? » replicò lo shar'tiagho, storcendo le labbra a quell'accusa, per quanto non apertamente presentata quale tale « In fondo sei tu quella più famosa, fra tutti noi… »
« E non sono diventata famosa accumulando taglie sulla mia testa. » sottolineò ella.
« Certo… e quelle che la nostra cara lady Lavero ha fatto eliminare a Kirsnya? Quelle per le quali hai perso il tuo bel braccio destro? » incalzò Howe, aggrottando la fronte.
« Per Thyres… ma perché ad ogni dannata discussione fra noi devi tirare fuori questo argomento?! » rispose, ora indispettita, non gradendo di certo il riferimento diretto alla propria menomazione, alla mutilazione da lei subita in conseguenza di un'accusa di pirateria dalla quale si era sempre dichiarata innocente.
« Ed allor… » tentò di riprendere lo shar'tiagho, salvo essere ora interrotto dal fratello.
« … allora basta! » si impose Be'Wahr, portando il proprio cavallo fra quelli dei due litiganti, a volersi porre fisicamente quale divisione fra loro « Se vogliamo andare avanti non possiamo evitare di fidarci gli uni degli altri… e fidarci significa anche accettare l'eventualità che ora vi pare tanto assurda, quella secondo la quale siamo stati tutti sinceri, e qualcos'altro di esterno è invece intervenuto a compromettere il nostro approccio alla capitale. »

Un momento di silenzio calò allora nel gruppo, quiete derivante dall'imbarazzo ancor più che dalla riflessione, dove alcuna esigenza di meditazione sarebbe stata loro richiesta in quel momento, nell'accogliere inevitabilmente quali corrette quelle parole, quello sfogo da parte del biondo. Né Midda né Howe, in coscienza, avrebbero potuto negare la veridicità di quell'opinione, consapevoli, ancor più, che qualsiasi discussione nel merito delle cause di quanto occorso, ormai non avrebbe potuto ugualmente portare a nulla di costruttivo, ad alcuna risposta utile.

« Hai ragione… » ammise, per primo, l'uomo, annuendo e dimostrandosi, in ciò, tutt'altro che soddisfatto « Purtroppo hai ragione, per quanto mi indisponga doverlo ammettere. »
« E' corretto. » confermò, subito dopo, anche la donna, aprendo un lieve sorriso nei riguardi del compagno, per quanto a sua volta non paga di aver subito, a ragion veduta, quel richiamo proprio innanzi al proprio scudiero, per il quale ella sarebbe dovuta concedersi quale esempio ed ispirazione « A meno di non voler rinunciare a comprendere dove Sha’Maech sia finito o, comunque, dove ci voglia condurre con questa assurda caccia al tesoro, ora non è il momento di perderci in futili discussioni, quanto piuttosto quello di impegnarci a trovare una via alternativa per entrare nella città più protetta dell'intero regno… »
« E' impossibile penetrare in Kerrya senza il benestare della guardia cittadina. » negò, allora, Howe, non desiderando dimostrarsi belligerante nei suoi confronti e, pur, non potendo evitare simile commento « Lo sai... »
« Ogni impresa che merita di essere ricordata, nell'essere cantata dai bardi, esaltata nelle leggende, è sempre stata considerata impossibile fino al giorno in cui qualcuno è riuscito in essa. » definì la Figlia di Marr'Mahew, proponendosi, sebbene senza alcun desiderio di egocentrismo, quale esempio evidente, trasparente di tale teorema « Anche questa non sarà diversa. »
« E, poi, sapete… » proseguì, concedendo ora un ampio sorriso sornione, malizioso, nel voltare il proprio sguardo verso il giovane Seem « … spesso le partite più complesse di chaturaji riescono a trovare soluzione grazie all'intervento di un piccolo pedone, capace di spingersi là dove altri pezzi non riescono a giungere. »

lunedì 24 agosto 2009

591


« S
iamo già stati entro quelle mura… e, fortunatamente, non abbiamo avuto problemi di sorta con le autorità locali. » annuì lo shar'tiagho, nell'offrire conferma alla richiesta della propria compagna « E tu? »
« Eguale situazione anche per me. » replicò ella, con tranquillità, non potendosi che ritenere soddisfatta da quella loro ammissione « Un incarico semplice che non mi ha procurato alcun genere di contrasto con la popolazione del posto. »
« Quindi non dovremmo avere nulla di cui temere. » concluse Be'Wahr, prendendo parola e donando un ampio sorriso ai presenti « Possiamo proseguire… »
« Ma… di cosa avreste dovuto avere timore? » domandò lo scudiero, osservando spiazzato i propri compagni di viaggio, tre indomiti ed audaci avventurieri, mercenari la cui fama era ormai stata associata al ritrovamento della corona della regina Anmel dopo il superamento di immensi pericoli nel confronto con i quali anche i guerrieri più coraggiosi avrebbero avuto ragioni per cui ritrarsi « Non credo di riuscire a comprendere. »

Osservandosi per un istante a vicenda, la donna e i due fratelli restarono per un lungo momento incerti sul riprendere parola, sulla reale necessità di offrire le spiegazioni richieste dal giovane, il quale avrebbe trovato da solo tutte le risposte a tali dubbi non appena fosse stato posto a diretto contatto con la realtà di quella particolare capitale. Ciò nonostante, per quanto entro poco tutto gli sarebbe potuto apparire chiaro come era stato a tutti loro in occasione del primo incontro con quelle mura e le particolari leggi lì vigenti, Midda decise ugualmente di concedere quanto da lui invocato in quelle ultime parole, nel voler prevenire l'eventualità in cui, involontariamente, il proprio scudiero avrebbe potuto comunque porli tutti in seri problemi…

« In molti ritengono che sia la città del peccato il centro più pericoloso del regno, entro i limiti del quale, soprattutto per un estraneo, per qualcuno esterno a quella originale concezione di convivenza civile, risulti improbabile anche solo il pensiero di avventurarsi, di spingersi in banale ricerca di quieto riposo. » espresse con tono tranquillo, moderato, in un preambolo retorico dal punto di vista di chi in tale urbe era nato e cresciuto, e pur necessario per comprendere pienamente i risvolti del discorso che sarebbe ad esso seguito « In verità, però, sarebbe più corretto considerare proprio Kerrya nel fregio di tale titolo, di simile vanto. »
« Impossibile… » commentò, sinceramente stupito, il giovane, non volendo di certo negare le parole della propria signora ma incontrando un serio ostacolo nell'accettare la realtà da lei così presentata.
« Kriarya è indubbiamente una città colma di pericoli, selvaggia, incontrollata ed incontrollabile, all'interno della quale dietro ad ogni angolo, oltre ogni incrocio, potrebbe essere offerto l'ultima e mortale sfida da parte di un volto non conosciuto, mai visto prima, e pur invocante la tua morte per semplice diletto personale. » proseguì la mercenaria, trascurando l'opposizione formulata dal proprio scudiero.
« Ma, al di là di ogni pessima nomea a tal riguardo, nella tua città natale è possibile non solo sopravvivere ma anche vivere, ricavarsi un ruolo e, addirittura, una reale indipendenza, come è stato in grado di compiere Be'Sihl con la sua locanda, ad esempio. In fondo è sufficiente comprenderne i ritmi, accettarne i principi così apparentemente lontani da quelli comunemente considerati normali e, invece, semplicemente più onesti, trasparenti là dove solitamente si dimostrano altrimenti celati, dissimulati dietro altri nomi e false ipocrisie. » sottolineò, con un aperto sorriso, ricercando con lo sguardo l'approvazione dei due fratelli, meno confidenti rispetto a loro con simile realtà e pur non del tutto estranei ad essa da non poter comprendere o condividere le parole da lei proposte.
« In Kriarya, a differenza di altre città, di molte capitali, non vi sono pregiudizi, non esistono moralismi capaci di porsi troppo semplicemente quali strumenti di condanna, soprattutto ritrovandosi gestiti dalle mani di emeriti idioti, generalmente assurti al potere non in conseguenza di reali meriti, di sincero valore, quanto piuttosto della capacità di asservirsi al potente di turno, assecondandone il volere e brillando, in ciò, solo della sua luce riflessa. » definì ella, con chiaro apprezzamento per quella caratteristica della città del peccato « Sei d'accordo con queste mie parole? »
« Io… credo di sì… » tentennò il ragazzo, incerto nel merito di ciò a cui stava pur acconsentendo, in parte smarrito nel monologo concessole dalla sua signora.
« Bene. » sorrise la donna guerriero, riprendendo il discorso « Considera allora Kerrya quale l'esatta antitesi rispetto a Kriarya e comprenderai l'ambiente che ci attende oltre quelle triplici mura. »
« In Kerrya, in conseguenza della presenza della famiglia reale e della naturale esigenza di protezione per la stessa, la legge è considerato l'unico valore. Un concetto, forse, non errato nella propria intrinseca natura, quanto piuttosto nella propria attuazione, come del resto sono la maggior parte di quelle che solitamente vengono considerate quali buone intenzioni da parte dell'umanità. » incalzò, seria in viso nello storcere, poi, le labbra verso il basso « Con il pretesto di far rispettare la legge, nonché di difendere i monarchi, i feudatari locali, innanzitutto, ed i membri stessi della guardia cittadina, in secondo luogo, si sono arrogati, nel corso del tempo, la possibilità di instaurare un regime militare totalitarista, come in alcuna altra area di tutta Kofreya sarebbe potuto essere accettato o tollerato, neppure nella pur xenofoba Kirsnya. »
« Sono loro, i feudatari ed ancor più le guardie cittadine, a gestire il buono ed il cattivo tempo all'interno dell'urbe… » intervenne Howe, nell'offrire, ora, la propria testimonianza a sostegno del discorso condotto dalla compagna « Un solo sguardo, una sola intonazione di voce, scandita o proposta in termini a loro non congeniali, possono essere in grado di trasformare, innanzi al giudizio della città e dei suoi tutori, anche il più innocuo degli artigiani, il più sciocco dei mercanti, in un crudele e spietato assassino, un nemico dell'ordine civile, dei monarchi lì imperanti. »
« Nemico che, come tale, deve essere necessariamente perseguito, catturato e, generalmente, condannato nel minor tempo possibile, senza concedere alcun beneficio del dubbio, senza neppure informarlo nel merito delle ragioni che potrebbero offrire significato a tale sentenza. » concluse il biondo, unendosi ai compagni con la propria voce.
« Comprendi ora il perché della nostra esitazione innanzi a questo paesaggio, a simile panorama? » chiese al proprio scudiero la Figlia di Marr'Mahew, con trasparente retorica nel non attendersi alcuna conferma a tal riguardo.

E, difatti, Seem tacque, non solo comprendendo ma anche condividendo la preoccupazione, il timore che prima aveva animato la propria signora ed i due fratelli, e per il quale, affrettatamente, aveva offerto giudizio negativo verso di loro, dubitando del loro valore, della loro virtù, del loro coraggio.

Avendo così chiarito ogni questione, dubbio nel merito della pericolosità di quella loro nuova meta, pur tanto splendente, luminescente, affascinante nella propria fama e ricchezza, i quattro compagni poterono infine riprendere ad avanzare, nella speranza che gli dei potessero riconoscere loro sufficiente benevolenza da concedere, anche in questa nuova occasione di visita, la possibilità di entrare ed uscire senza inconvenienti da quelle mura.
Purtroppo qualcuna fra le divinità a loro pur care, in quel momento, si propose evidentemente quale distratta, se non addirittura loro avversa, nel non permettere neppure agli stessi neppure di avvicinarsi alla porta verso la quale avevano diretto i propri cavalli senza, in ciò, porre in chiara agitazione le guardie.

« Non mi piace… » suggerì lo shar'tiagho, verso i propri compagni, nel cogliere quei movimenti sospetti, trasparenti di inquietudine da parte delle sentinelle della capitale.
« Cosa te lo fa pensare? » domandò Be'Wahr, accanto al fratello, nell'offrire suo pari tutta la propria attenzione verso l'incognita che, nonostante tutto, quegli uomini e donne avrebbero rappresentato per loro.

E nel momento in cui gli stessi custodi di quelle soglie imbracciarono e puntarono, con incredibile ed affannosa rapidità, le proprie balestre nella direzione del gruppetto a cavallo, la risposta a quella richiesta si ritrovò, suo malgrado, a essere anticipata.

domenica 23 agosto 2009

590


K
errya: il centro di Kofreya.

Definito tale non solo in conseguenza della posizione fisicamente occupata all’interno del territorio nazionale, dei confini del regno, quanto piuttosto per il potere politico che in essa, in quella magnifica, storica capitale, ritrovava il proprio fulcro, il proprio cardine.
Sebbene, infatti, il feudalesimo imperante all’intero di quello stato offriva idealmente, e sostanzialmente, una divisione del potere, della forza politica fra numerosi vertici, l’insieme dei valori, dei principi, delle tradizioni che mai sarebbero potute essere dissociate all’immagine di una famiglia reale, rappresentava ancora e, nonostante tutto, un innegabile valore aggiunto per quella città, per quella capitale, tale da renderla, soprattutto agli occhi dei ceti inferiori, un riferimento insostituibile, irrinunciabile. Così, se il re, la regina, i principi e le principesse ereditarie, al pari di tutti i membri della corte, per le leggi dai loro stessi antenati emanate, non avrebbero potuto accampare alcuna pretesa neppure all’interno delle mura di quella stessa urbe, dove la gestione della medesima Kerrya era affidata ad altri feudatari, ad altre figure preposte a preoccuparsi del mantenimento dell’ordine, del vivere civile in quell’area, tutti loro, coloro che avessero potuto far vanto di possedere sangue reale all’interno delle proprie vene, allo sguardo dell’opinione pubblica erano ugualmente rispettati ed ammirati, paradossalmente molto più di quanto non lo sarebbero potuti essere in un sistema di potere assoluto, accentrato nelle loro mani. Ogni problema, ogni giudizio, ogni sentenza proposta anche dal più povero artigiano, contadino, allevatore, per quanto privo di qualsiasi istruzione, di qualsiasi formazione, in effetti, sarebbe ricaduto, inevitabilmente, non a discapito degli illuminati monarchi, di coloro che, quasi prossimi agli dei, si ponevano ben lontani dal poter essere colpevolizzati a tal riguardo, quanto piuttosto agli ultimi signori, i più umili fra i nobili, gli estremi più sfortunati di quella classe sociale che il fato aveva voluto, comunque, ergere a superiore. Un sistema, pertanto, nel quale neppure i più elevati, i più privilegiati fra i feudatari avrebbero accettato di mantenere eccessiva responsabilità nelle proprie mani, nella consapevolezza del peso che ne sarebbe potuto conseguire innanzi agli occhi della popolazione, dei propri sudditi, ed il rischio continuo ed assillante di essere deposti in conseguenza di un atto di rivolta, dal basso, o di una nuova scelta, dall’alto.
La scelta di tale città quale sede del potere politico, in realtà, non si era mai proposta qual casuale, non si era mai concessa qual fine a se stessa. Kerrya, infatti, fra tutte le capitali kofreyote, fra tutte le grandi città del regno, si proponeva essere la sola che mai era giunta a conoscere gli orrori della guerra, l’odore della morte in immense distese di cadaveri al di fuori delle proprie mura. Favorita innanzitutto dalla propria posizione fisica, lontana da ogni confine, da ogni possibile fronte di battaglia, quell’urbe, con i propri abitanti, si era da sempre limitata ad ascoltare il clamore della guerra pur mantenendola lontana da sé, dalle proprie mura, dai propri edifici. Gli orrori della morte derivanti da quella follia della quale, nonostante tutto, l’umanità non sembrava riuscire a farne a meno, a Kerrya erano stati soltanto descritti, semplicemente riportati dai cantori, dai bardi, nelle loro cronache, nei loro poemi, risultando in ciò quali effettivamente estranei ad una reale possibilità di comprensione, trasformando le stragi in semplici numeri, il dolore e la pena dei soldati in banale e distaccata lirica, che mai sarebbe potuta essere apprezzata nella propria tremenda essenza. Anche in conseguenza ciò, probabilmente, si sarebbe potuto considerare originato il desiderio di conquista, di guerra, che da sempre aveva animato i cuori dei monarchi di Kofreya, non spinti verso tal cammino da ideali di religione e di tradizione, quale altrimenti si proponeva essere quello dei propri vicini gorthesi i quali della lotta avevano fatto un criterio di elevazione sociale e personale, quanto piuttosto da bramosia di mero arricchimento, di semplice espansione: ignorando il reale prezzo delle loro decisioni, di quell’assurda sete di potere, per i sovrani del regno era purtroppo eccessivamente semplice agire in maniera tanto stolida, comandando sui propri generali ed inviando i propri eserciti alla morte certa, tanto irrimediabile nella propria intrinseca essenza quanto effimera nel valore per la quale si poneva quotidianamente essere richiesta e tributata.
Benché quella capitale mai avesse avuto modo di conoscere il reale significato della guerra, la triste condanna derivante da una tale piaga, nel restare pur fedele all’architettura propria del regno, allo stile dominante in quel territorio, non una singola barriera poligonale si poneva eretta a difesa dell’urbe quanto, addirittura, una serie di ben tre mura concentriche, a racchiudere una serie di alte torri, edifici tendenti con fiero sprezzo al cielo, quasi anche tale territorio potesse essere conquistato dai mortali ai quali, altresì, era stato da sempre interdetto dagli dei. Erette su una base decagonale, le mura realizzate in pietra, con uno spessore ed un’altezza stupefacente, superiore a quelle di qualsiasi altra città kofreyota, proponevano ognuna cinque porte, disposte con voluta e pratica disarmonia le une rispetto alle altre, le esterne rispetto a quelle più interne, per offrire maggiori potenzialità in contrasto ad ipotetiche, e pur mai condotte, offensive in contrasto alla città. Chiunque avesse cercato di penetrare all’interno di quel triplo perimetro, oltre a dover affrontare tre diversi livelli di protezione, avrebbe dovuto anche confrontarsi con simile inconveniente, la scomodità derivante da tale proposta. Purtroppo, però, nel confronto con una realtà decisamente più serena rispetto a quella che avrebbe potuto caratterizzare altre capitali, più esposte al conflitto in corso con Y’Shalf o al pericolo di altri ipotetici avversari, da sempre quelle cinte pur tanto efficienti, accuratamente studiate, si erano donate quali un inutile tedio, fastidio, rallentamento per tutto il traffico che, quotidianamente, desiderava varcarle, per accedere o fuoriuscire da un centro tanto importante, fondamentale per la vita di quella provincia oltre che dell’intero stato. Ma, nella pur innegabile esigenza di sicurezza per quella che era la sede della famiglia più importante del regno, quelle quindici porte si ponevano tutt’altro che trascurate, abbandonate a se stesse, accentrando invece ai propri lati, lungo i propri bordi, un numero straordinario di guardie: e non comuni mercenari, per quanto il ricorso a simili professionisti fosse tutt’altro che disprezzato nel territorio del regno, quanto piuttosto soldati regolari, esponenti veterani dell’esercito, che soli avrebbero potuto garantire totale fedeltà e sicurezza ai monarchi, per una questione di principio ancor prima che did denaro, controllando con serietà, dedizione, impegno e pazienza priva di eguali l’usuale flusso di persone in transito entro le aree di propria competenza.

In conseguenza di tanta importanza per la capitale del regno, e tanta sicurezza posta attorno alla stessa, nell’intento di prevenire ogni possibile ingresso non gradito, quando i tre mercenari e lo scudiero giunsero in vista delle alte torri caratterizzanti il suo profilo, la sua forse blasfema sfida verso l’infinito ed il divino, non poterono evitare di arrestare i propri cavalli, il proprio avanzare in tale direzione.
Per quanto, infatti, alcuno fra loro avesse precedenti di ordine legale entro quei confini, conti in sospeso che avrebbero potuto ostacolare il loro ingresso in città, proseguire a cuor leggero verso la stessa, confidando semplicemente sulla buona fede dei propri compagni senza porre loro alcuna questione a tal riguardo, sarebbe potuto rivelarsi un eccesso del quale, successivamente, tutti loro avrebbero potuto avere di che pentirsi.

« Eccoci arrivati. » commentò Howe, prendendo per primo parola nel rompere il silenzio che aveva inevitabilmente colto tutti loro nel confronto con quel particolare panorama « Non è poi cambiata negli ultimi anni. Non trovi Be'Wahr? »
« E’… immensa… » osservò Seem, con sincera ingenuità dove, per quanto fosse nato e vissuto pur all’interno di una grande capitale quale oggettivamente era anche la città del peccato, egli non aveva mai avuto occasione di confronto con un centro di estensione pari a quello che ora gli si stava stagliando innanzi.
« E anche decisamente pericolosa. Forse molto più di Kriarya… » denotò Midda, aggrottando la fronte, nel scegliere quale riferimento proprio il territorio natale del giovane, nella volontà di concedergli una chiara comprensione del genere di sfida che avrebbero dovuto affrontare.
« Non è possibile, mia signora. Ti stai facendo gioco di me! » contestò lo scudiero, scuotendo il capo.
« Non lo farei mai su un argomento tanto serio. » negò ella, storcendo le labbra verso il basso « A tal proposito: Howe, Be'Wahr… credo che già sappiate cosa sto per chiedervi, vero? »

sabato 22 agosto 2009

589


N
el notare una particolare luce di comprensione nello sguardo del proprio scudiero, la donna guerriero interruppe immediatamente la spiegazione che si stava pur impegnando ad offrire loro, la propria lezione, così come era stata impropriamente e scherzosamente definita dallo shar'tiagho, per concedere spazio di parola al giovane, per dargli occasione di definire quanto da lei introdotto fino a quel momento.

« Seem? » lo interrogò, invitandolo in tal modo ad esprimersi liberamente.
« Cambiando stanza ogni giorno, e pretendendo di sceglierla in base al proprio arbitrario piacere, egli ha dettato un ordine numerico preciso, al quale poter associare determinati caratteri per formare un messaggio! » rispose prontamente egli, nel voler offrire trasparenza al proprio ragionamento, a quanto da lui dedotto nel mentre di quelle sue ultime parole « E' così, mia signora? »
« Non avrei saputo esprimere il concetto con termini più azzeccati. » annuì ella, sorridendo con soddisfazione per l'acume, per la prontezza intellettuale ancora una volto dimostrata dal pur inesperto, impreparato ragazzo accolto sotto la propria ala protettiva.
« Err… quale concetto? » domandò, al contrario e pur legittimamente, Be'Wahr, aggrottando la fronte nel non aver potuto ovviamente seguire l'evolversi improvviso ed accelerato di quel discorso, nell'assenza delle informazioni basilari a tal riguardo altrimenti in possesso dello scudiero.
« Scusatemi… nonostante il lungo preambolo sono riuscita a saltare alcuni particolari fondamentali. » rispose la mercenaria, verso il biondo « Abbiamo infatti recentemente scoperto come, nel mentre della propria permanenza in questa locanda, Sha’Maech ha voluto cambiare la propria stanza ogni notte, operando con particolare impegno al fine di costringere il proprietario a concedere esaudimento a tale desiderio. E, come ha appena spiegato Seem, così facendo egli ha voluto affidarci il proprio messaggio, confidando nuovamente nella mia presenza, come già richiesto nel corso della recedente tappa, affinché esso potesse essere interpretato anche per voi, zoticoni che non siete altro! »
« Zotico a chi? » esclamò Howe, simulando una voce impastata dal sonno.

Fingendo di riprendersi da un attimo di torpore, da un momento di sonno incontrollabile ed irrefrenabile, l'uomo si scosse vistosamente dall'angolo in cui si era lasciato precipitare, mugugnando confusamente e levando il proprio sguardo verso l'interlocutrice, come a seguito di un richiamo nella sua direzione.

« Dicevi, scusa?! » incalzò, ricorrendo ancora al medesimo tono e sbattendo, nel mentre, le palpebre con aria confusa, disordinata.
« Che spiritoso… » commentò la mercenaria, sollevando una delle sacche facenti parte del proprio bagaglio da un angolo della stanza, allo scopo di lanciargliela contro quale oggetto contundente, per quanto troppo morbida e leggera per poter rischiare di arrecare un qualche danno.
« Ma… che ho fatto? » si oppose l'altro, alzando le mani per proteggersi da quell'attacco « Non stavo dormendo… assolutamente no… e sei hai avuto quest'impressione ti sei sbagliata… sì sì! » protestò, con esasperazione grottesca nel proprio tono di voce, nel voler canzonare la propria compagna.
« Be'Wahr… ti prego, almeno tu concedimi soddisfazione. » invocò la donna, scuotendo il capo nel rivolgersi, ora, verso il biondo.
« Mi spiace di non poterlo fare, dove se affermassi di aver compreso tutto, mentirei spudoratamente. » ammise l'altro, stringendosi nelle spalle e mostrando un largo sorriso colmo di sincero imbarazzo « Però il concetto generale, a grandi linee, mi è chiaro… »
« Oh… ma quello è chiaro anche a me. » confermò Howe, sornione « Credo sia a tutti chiaro come quel vecchio pazzo si stia impegnando a porre in luce tutti i nostri limiti, divertendosi a posizionare Be'Wahr e me pendenti dalle tue labbra, esattamente come nel dipinto che ci ha visti tutti ritratti. »
« Non posso evitare che concordare sebbene, almeno sotto un punto di vista meramente personale, non posso neanche negare di ritrovarmi più che favorevolmente coinvolta nell'avventura a scopo didattico che egli sembra aver realizzato apposta per voi due. » riconobbe la Figlia di Marr'Mahew, franca nel proprio commento « Senza dimenticare come tutto questo sembri voler concedere anche al mio giovane scudiero la riprova di quanto determinate nozioni, fra cui leggere, scrivere e far di calcolo, si pongano più che necessarie anche per un gruppo di mercenari nostro pari. »

I tre esponenti del sesso maschile, presenti in quell'area ristretta, non poterono allora evitare di sentirsi particolarmente coinvolti nel confronto con tale considerazione, chinando lo sguardo nel riconoscere tacitamente di non avere possibilità alcuna di difendersi da un simile giudizio, assolutamente corretto nella propria formulazione.
Tutti loro, più o meno impavidamente, avevano offerto scherno all'idea del valore intrinseco in tali capacità, in simili doti, considerate estranee alla vita di un guerriero, di un avventuriero, al ruolo, alla professione che ognuno fra loro aveva scelto per sé, per la propria esistenza. E, impietosamente, il fato, o gli dei, nel riconoscerne l'esistenza, avevano prontamente deciso di dimostrare quanto tale sprezzo avrebbe dovuto essere giudicato errato, sbagliato nella propria stessa definizione di fondo.

« Al di là di ogni analisi nel merito delle ragioni per le quali Sha’Maech abbia orchestrato tutto questo, ipotesi che resteranno fini a se stesse se non riusciremo a ritrovarlo e a interrogarlo personalmente a tal riguardo, quel che deve essere chiaro è come egli ci ha voluto offrire una nuova indicazione, ancora nel merito alla sua destinazione così come era già stato presso la sua stessa bottega. » definì Midda, non desiderando far gravare eccessivamente sui propri compagni di ventura quanto appena espresso, non ricercando assolutamente in loro una qualche umiliazione ma, piuttosto, un desiderio di crescita personale, di maturazione.
« Anche questa volta, il nostro buon amico ha voluto non rendere palese tale informazione… » proseguì, nel riprendere il concetto appena espresso, cercando di proporlo con termini più elementari e non fraintendibili, tali che potessero essere finalmente compresi anche dai due fratelli senza più possibilità di dubbio « … e per raggiungere tale scopo ha affidato il proprio messaggio non tanto da un lenzuolo, ad una pergamena o ad un pezzo di legno, come invece tanto ci siamo inutilmente impegnati a ricercare nei giorni scorsi, quanto piuttosto alle proprie stesse azioni, ai propri movimenti fra una stanza e l'altra nel periodo in cui egli ha soggiornato in questo stesso edificio. Gesti che hanno scandito, senza ulteriori ambiguità, una meta chiara verso la quale indirizzare il nostro cammino. »
« Quale? » cercò di richiedere, nuovamente, lo shar'tiagho, per quanto ormai fosse tutt'altro che speranzoso di ottenere risposta da parte sua.
« Testualmente: "La dimora del dominatore". » lo accontentò, al contrario, la compagna, non avendo più ragioni, ormai, per negare loro tale informazione, per rimandare nuovamente la definizione di quella nuova destinazione.
« Kerrya! » esclamò il biondo, cogliendo immediatamente il riferimento posto in tali parole « Sha’Maech ha scelto la via del fiume per risalire verso la capitale di tutta Kofreya… la dimora del sovrano e della sua famiglia! »
« Per la divina pazienza di Lohr… » esclamò Howe, levando le mani al cielo « E ci voleva tanto per arrivare a dircelo?! Abbiamo impiegato quasi meno tempo per recuperare la corona della regina Anmel che per ottenere quattro semplici termini da parte tua… »
« Non esagerare, ora. » lo rimproverò ella, sollevando il proprio indice mancino a richiedere maggiore quiete da parte dell'interlocutore « Ammetto di averla voluta prendere un po' larga, ma… »
« Un po' larga?! » la interruppe egli, non potendo evitare di scoppiare a ridere « Per carità… non oso immaginare un preludio meno conciso di quello che ci hai offerto. » sottolineò, scuotendo il capo « Ora, ti prego, potresti anche offrici risposta alla domanda iniziale? Quando partiamo? »
« Oh… beh… ma questo, ormai, dovrebbe essere assolutamente evidente. » sorrise Midda, sollevando le spalle nel voler minimizzare la questione « Non trovi? »

venerdì 21 agosto 2009

588


L’
espressione dipinta sul viso della mercenaria nel momento in cui si ricongiunse ai propri compagni, si concesse tanto trasparente nella propria soddisfazione da richiedere solo una semplice domanda, che le venne proposta praticamente all’unisono dai due fratelli: « Quando partiamo? »

Innanzi al sentimento da lei trasmesso, infatti, alcun dubbio sarebbe potuto essere ipotizzato, alcuna incertezza avrebbe potuto trovar ragion d’essere, escludendo in ciò non semplicemente la curiosità nel merito di come ella avesse ottenuto le informazioni delle quali abbisognava, o di come fosse riuscita a comprendere il messaggio loro rivolto da parte di Sha’Maech, o, ancora, della destinazione dell’inevitabile nuovo viaggio che li avrebbe così visti coinvolti. Incedere in tali questioni, in simili domande, avrebbe probabilmente significato porre in dubbio i risultati da lei raggiunti, mettere in discussione la sua bravura, atto da considerarsi quasi blasfemo del quale nessuno fra loro avrebbe voluto certamente averne la pur minima responsabilità.
Ciò nonostante, la Figlia di Marr’Mahew parve non voler concedere loro tanto immediata soddisfazione, dimostrando altresì di volersi impegnare nel guidarli attraverso lo stesso percorso razionale da lei condotto. Un gesto, una modalità, che qualcuno a lei estraneo, non confidente con la sua natura ed il suo carattere, avrebbe potuto considerare quale ricerca di autocelebrazione, ma che, in verità, avrebbe dovuto essere interpretato come trasparente di volontà estremamente diverse, come ella stessa, probabilmente, non avrebbe poi mancato di chiarire in maniera esplicita.

« Quanta fretta. » scosse il capo, negando immediatamente la stereofonica questione propostale « Non vi interessa neppure sapere dove dovremo andare, questa volta? »
« Per Lohr… » gemette Howe, lasciandosi crollare contro una parete, esausto, come del resto non avrebbe potuto ovviare di essere suo fratello o anche la loro stessa interlocutrice, per quegli ultimi giorni trascorsi tanto inutilmente « Come riesci ad utilizzare ancora un simile termine, dopo che per una settimana ci siamo ritrovati intrappolati in mezzo al nulla e senza alcun reale scopo? »
« Se ci avessero rinchiusi all’interno di una prigione, in effetti, avremmo avuto maggiori possibilità di svago rispetto a questa locanda. » concordò Be’Wahr, inevitabilmente costretto a concedere ragione all’altro « Parlare di fretta, in questa situazione, ha sinceramente un che di paradossale… »
« Thyres… ed io che credevo di aver a che fare con due rudi mercenari. » scherzò la donna guerriero, sorridendo maliziosa e sorniona « A quanto pare mi trovo a discutere con una coppia di smidollati che preferiscono elencare con fierezza le ragioni del proprio vittimismo ancor prim… »
« D’accordo! D’accordo! » la interruppe lo shar’tiagho, levando le proprie mani in segno di resa « Facciamo come desideri tu: dopotutto è sufficiente che, in un modo o nell’altro, si riesca a salutare quanto prima queste quattro mura… »
« Dove dovremmo andare, questa volta? » domandò il biondo, in immediata conseguenza dell’affermazione del fratello e nel riprendere le stesse parole da lei richieste poc’anzi.
« Se insistete tanto… beh… stando alle indicazioni offerteci da Sha’Maech… » riprese a parlare, salvo immediatamente interrompersi come distratta da un pensiero fugate, da una memoria quasi dimenticata « Ehy! Ma non mi avete neppure chiesto come sono arrivata ad ottenere questo messaggio… » denotò, nuovamente divertita da quel ludo, non diversamente da un predatore felino innanzi a una coppia di innocui topini di campagna.

Per un istante, in entrambi i fratelli, l’istinto, naturale e condivisibile, fu quello di reagire verso la compagna con un insulto, in risposta a tanta spudoratezza da parte sua nei loro confronti, a quel suo farsi giuoco di loro in sola conseguenza della forza a lei attribuita dall’informazione posseduta, da quel dato non scontato per il quale già troppo tempo era stato investito, per non dire sprecato. Consapevoli però di come, ancora una volta, cercare di opporsi a quella volontà non avrebbe potuto concedere loro alcun reale risultato, limitandosi a prolungare altresì l’agonia derivante da simile stato, i due si guardarono l’un l’altro, silenziosamente votando, in tal modo, per mantenere la calma e riconoscere alla mercenaria quanto da lei voluto, non avendo del resto numerose alternative dalla propria.

« Grazie. » sorrise ella, apprezzando la collaborazione donatale con tanta disponibilità da parte dei compagni « Come, purtroppo per voi, non sapete, non volendo offrire tempo o importanza all’arte della lettura o della scrittura, a nozioni così elementari e pur rare in questo nostro mondo, alla base del linguaggio verbale con il quale comunichiamo sono delle parole, un insieme di suoni che, secondo determinati canoni, possono essere addirittura posti per iscritto, attraverso caratteri particolari, segni prestabiliti. »
« Dei… la lezione, no… vi prego. » rantolò Howe, chinando il capo fra le gambe nel supplicare pietà in conseguenza di quanto da lei proposto con tale preludio.
Midda, però, non concesse soddisfazione al proprio compagno e, indifferente alle sue lamentele, proseguì tranquilla: « Così come non tutti i linguaggi verbali sono uguali, anche il linguaggio scritto cambia da zona a zona, da nazione a nazione, da realtà a realtà, e con esso, addirittura, anche i caratteri fondamento del medesimo. » spiegò, tranquillamente, quasi si fosse preparata da tempo quella particolare spiegazione ora loro offerta « Nel continente di Hyn, ad esempio, si ricorre a particolari segni definiti ideogrammi, con i quali non si rappresenta un suono, non si compone una parola, ma si vuole indicare un concetto, un’idea. »
« E, poi, hai anche la faccia tosta di arrivare a rimproverarci per la nostra ignoranza… » commentò lo shar’tiagho, a sua volta non desistendo dall’offrire la propria idea, la propria opinione « Sei consapevole che con certi discorsi non potrai mai convincere qualcuno ad apprendere volontariamente, per proprio interesse, simile arte? »
« In Qahr, differentemente, i caratteri, ai quali si ricorre per mantenere in maniera imperitura, o quasi, un testo, nello scriverlo fra le pagine di un libro, cercano di catturare l’essenza stessa del suono delle nostre parole, arrivando in alcune aree a scindere il medesimo nella forma più elementare, di vocali e consonanti, mentre qui in Kofreya, così come nelle aree limitrofe suddividendole in sillabe e riportando ogni sillaba su carta attraverso un simbolo univoco, impossibile da confondere o da errare. » proseguì la donna, non donando la pur minima attenzione al proprio compagno ed al suo tentativo di disturbo.
« Quando scrivi, quindi, riporti su carta gli stessi suoni che noi emettiamo nel parlare? » domandò, invece, conferma Be’Wahr, forse sinceramente interessato al discorso, più per diletto proprio, derivante dalla necessità di ottenere da una necessità, quale quella, una qualche virtù « E’ più semplice rispetto ad un… ideogramma? »
« Non credo di aver le competenze per esprimere un giudizio a tal riguardo. » replicò ella, ora concedendo sì spazio al biondo, in conseguenza di una questione pur pertinente con il discorso in atto « Sicuramente il nostro metodo di scrittura assorbe materia prima, carta innanzitutto, in quantità fisicamente superiori rispetto ai nostri vicini di Hyn. Allo stesso modo, però, un nostro carattere può servire per dar vita ad un numero praticamente illimitato di parole, combinandosi ad altri suoi simili, e suggerendo, in questo modo, un impegno estremamente minore di fronte alla duplice scelta fra l’apprendere un linguaggio scritto. »
« Tutto questo, cosa ha a che fare con noi? » richiese la medesima Figlia di Marr’Mahew, nel voler ora anticipare le richieste inderogabili dei propri compagni « Anche nostri caratteri, per quanto numericamente inferiori agli ideogrammi, possono essere, e spesso vengono, riordinati secondo una convenzione nota, tale per la quale è possibile conteggiare uno ad uno i medesimi… assegnando, parallelamente, loro un valore numerico, matematico. »

Fu allora, ancor prima che la sua signora potesse avere modo di proseguire con le proprie spiegazioni, che Seem offrì evidenza di esser finalmente giunto, a sua volta, alla soluzione di quel secondo enigma, per quanto ovviamente privo delle conoscenze, delle competenze specifiche utili a poter decifrare quanto lasciato loro da Sha’Maech, effettivamente non all’interno delle camere, nel rispetto delle parole già anticipategli dalla stessa Midda.

giovedì 20 agosto 2009

587


S
eguendolo in silenzio, nonostante la volontà di meglio comprendere le ragioni dell’entusiasmo a stento frenato nel ragazzo e trasparente al proprio sguardo che ormai aveva iniziato a conoscere il medesimo, a interpretare le sue emozioni ancora prima che potessero essere espresse, la Figlia di Marr’Mahew pazientò fino a quando entrambi non raggiunsero l’esterno della locanda, e non si allontanarono, in tal modo, da potenziali orecchie indiscrete.
Solo allora, abbandonando la maschera di serenità dietro la quale si era celata nella conversazione con Aliha, ella lasciò spazio ad una sincera stanchezza, nell’essere ormai quasi al limite della propria sopportazione ove mai, come in quegli ultimi giorni, si era dovuta impegnare in conversazioni futili, in quell’indolente ozio che non mancava di permeare il tempo dedicato a quei dialoghi. Per quanto, infatti, non avrebbe voluto offrire alla propria allegra e socievole interlocutrice alcuna colpa per tanto entusiasmo, non avrebbe ugualmente potuto ignorare come neppure quando, qualche mese prima, si era spinta in missione, sotto copertura, oltre il confine y’shalfico, celandosi sotto un burqa e dimostrandosi al mondo quale una comune serva, aveva preso parte a discorsi tanto privi di sostanza, fini a se stessi e in naturale contrasto a qualsivoglia utilizzo del proprio intelletto. Ed ella, nonostante tutto, non si sarebbe mai potuta considerare il genere di persona adatta per tali rapporti, per simili conversazioni, in contrasto con il suo stesso spirito, il suo reale stato d’essere.

« Non ho idea di cosa tu voglia… ma a prescindere da questo: grazie! » commentò, sincera nei confronti del proprio scudiero « Non credo di aver avuto mai tanta voglia di abbracciare qualcuno come quella che ho vissuto nel momento in cui hai deciso di interromperci. » aggiunse, sorridendo sorniona verso l’altro.
« Eppure, mia signora, apparivi tanto coinvolta… appassionata quasi. » osservò il ragazzo, aggrottando la fronte ed assumendo un’espressione nella quale sarebbe stato impossibile comprendere quanto egli fosse sincero e quanto, invece, potesse star scherzando « Per un istante ho anche pensato di lasciar perdere. »
« Per quanto io solitamente ti inciti ad agire in maniera opposta, di fronte a certe elucubrazioni ti invito sinceramente ad evitare di pensare, ragazzo mio! » esclamò ella, dando riprova di temere sinceramente l’eventualità di esser ancora rinchiusa insieme alla cameriera « Aliha è una splendida ragazza, dolce, disponibile, sicuramente affettuosa anche, ma ha tanto, tanto, tanto bisogno della compagnia di sue simili, con le quali trovare sfogo, distrazione… e, per Thyres, io ho fortunatamente smesso di esserle coetanea almeno due o forse tre lustri or sono. »
« Comprendo. » annuì egli, apparendo al contrario non completamente convinto da quella spiegazione ma, evidentemente, ritenendo non sufficientemente importante o tuile smarrirsi in approfondimenti a tal riguardo in quel momento.
« In merito a quale argomento volevi offrirmi parola, Seem? » riprese la Figlia di Marr’Mahew, nel riportare l’attenzione verso le cause che potevano averlo sospinto cercarla, a raggiungerla e, così, pur involontariamente a salvarla con quell’interruzione non sperata.
« Pur non avendo posto alcun impegno in tal senso, credo di aver ottenuto, poco fa, un’informazione chiave nel merito di quanto da te ricercato in questi ultimi giorni. » sorrise, allora, non sforzandosi di celare la propria soddisfazione in tal senso, in conseguenza di quell’affermazione e della possibilità stessa di offrirla alla propria signora.
« Parli seriamente?! » domandò, come sufficiente retorica dove non avrebbe mai potuto considerare menzognero il proprio attuale interlocutore, neppure per giuoco verso di lei.
« Mia signora… » scandì egli, a negare l’eventualità opposta con definito orgoglio, dove non si sarebbe mai concesso di scherzare su una simile questione, ben sapendo quanto la stessa stesse facendo uscire di senno la medesima ed i loro due compagni.
« E… quindi? » insistette ella, a non perdere l’occasione di scoprire di più a tal riguardo, ritrovandosi, suo malanimo, ad essere particolarmente intollerante nel confronto con inutili chiacchiere in conseguenza di quelle da lei già eccessivamente subite.
« Il locandiere, riferendosi a Sha’Maech, ha sottolineato un comportamento particolarmente originale da parte sua, il quale, in riferimento al genere di persona che mi avete descritto in questi giorni, mi ha lasciato pensare ad un messaggio nascosto, un riferimento celato non diverso da quello posto all’interno del dipinto, per quanto ancor meno appariscente… »

Così dicendo, il giovane riportò al proprio cavaliere dettaglio preciso delle parole utilizzate dall’uomo per descrivere il comportamento adottato dal bizzarro ospite, sottolineando il dettaglio rappresentato dalla volontà di quest’ultimo di poter scegliere personalmente, ogni giorno, una diversa camera nella quale pernottare.
Ascoltando in silenzio simile rapporto, Midda non mancò di aprirsi in un ampio sorriso, le ragioni del quale specificò immediatamente al termine delle spiegazioni offerte dallo scudiero.

« Mio caro Seem… qualsiasi cosa mai degli sciocchi hanno affermato in passato o potranno mai sostenere in futuro nel merito della tua intelligenza, presta attenzione a non offrirvi mai alcun peso, alcuna importanza. » commentò la mercenaria, allungando la propria mancina ad appoggiarsi, con aria di complicità, sulla spalla dell’altro « Non so se te ne rendi conto, ma non hai solo ottenuto un indizio importante… hai addirittura risolto l’enigma che tanto ci stava assillando! »
« Ho fatto… cosa? » chiese il ragazzo, non cogliendo come potesse essere riuscito in tanto senza neppure essersene accorto, dove sì aveva compreso di aver raccolto informazioni utili ma non di certo essere giunto alla soluzione « Mia signora… anche ammettendo che Sha’Maech abbia effettivamente sparso dei messaggi nelle varie stanze, non è improprio ipotizzare tanta vittoria? »
« In verità, se gli dei vorranno concedermi ragione nel merito dell’intuizione da te offertami, credo proprio che risulterà chiaro come Howe e Be’Wahr abbiano sprecato il loro tempo nel perquisire l’intero edificio. » sorrise lei, scuotendo il capo « Perché, questa volta, il vecchio saggio non ha affidato le proprie indicazioni ad un qualche oggetto all’interno delle camere, quanto piuttosto alle camere stesse… »
« Nonostante il tuo complimento, non credo di star comprendendo. » ammise il giovane, nel riconoscere il proprio limite, per quanto, nelle parole della donna, fosse stato lui stesso a permettere il raggiungimento di tale risultato.
« Vi spiegherò tutto a breve… ora vai a cercare dove si sono cacciati quei due. Appuntamento in camera mia fra un quarto d’ora. » sancì la donna, voltandosi per fare ritorno verso la locanda.
« Sì, mia signora. » recepì immediatamente l’altro, senza offrire la minima incertezza a tale comando, salvo poi dimostrare comunque curiosità nei confronti di quel comportamento « Se mi posso permettere… dove stai andando, ora? »
« A scambiare due parole con il locandiere e la sua protetta. » non nascose ella, proseguendo nel proprio cammino « E’ giunto il tempo di svelare alcune piccole verità fino ad ora tenute celate e di parlare un linguaggio universale, che certamente non mancheranno di comprendere e di apprezzare nel fornirmi le risposte che cerco… »

Inutile sarebbe stato per lo scudiero, in quel mentre, a quelle parole, spingere eccessivamente oltre il proprio interesse a tal riguardo, dove le successive azioni che la sua signora non avrebbe mancato di porre in essere si offrivano già più che chiare, distinte, perfettamente delineate per lui, in conseguenza alla propria maturata confidenza con le politiche della medesima, delle consuete vie entro le quali ella era solita spingere le proprie azioni. Solo due, in fondo, erano i linguaggi che Midda Bontor era solita considerare universali, impossibili da fraintendere per chiunque, uomo o donna, giovane o anziano, colto o ignorante, ricco o povero, entrambi caratterizzati da un metallo, freddo nel proprio apparire e pur sempre incredibilmente appassionato nel proprio concedersi. Da un lato l’acciaio delle armi, simbolo non solo della brutalità ma anche, più semplicemente, del timore suasivo; dall’altro l’oro delle ricompense, solo apparentemente meno coercitivo rispetto al primo e pur ugualmente, se non addirittura superiormente, convincente nel proprio diletto.
E, in quel particolare frangente, per quanto privo di conferme da parte dell’altra, egli si poneva sufficientemente sicuro nel ritenere come ella avrebbe scelto la via dell’oro a quella dell’acciaio.