11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

mercoledì 30 settembre 2009

628


D
i fronte a tal nome, solo due categorie di persone non si sarebbero tratte indietro, non avrebbero ritirato gli insulti tanto sfrontatamente offerti invocando il perdono e la compassione nella mercenaria, nella speranza che ella potesse concedersi con sentimento sufficientemente positivo da offrire loro salva la vita: gli ubriachi o gli stupidi.
Ai primi, la coscienza nel merito del pericolo effettivamente rappresentato da quel possibile scontro, dal duello che sarebbe risultato inevitabile quale conseguenza di tanto ardire, sarebbe potuta essere considerata negata dagli effetti disinibitori dell'alcool, nella propria intrinseca capacità ad offuscare il consueto raziocinio, arrivando in ciò a permettere a qualcuno di trattare una donna guerriero di tale fama qual una semplice prostituta di basso borgo. Una giustificazione labile, tutt'altro che solida o incontestabile, ma pur sempre rappresentativa di una possibilità di condono nei loro riguardi, nel non riconoscerli quali effettivamente colpevoli delle proprie azioni.
I secondi, al contrario, per quanto tutt'altro che ignari del rischio corso, si sarebbero comunque proposti in similari termini là dove spinti in tal senso, probabilmente, dalla speranza di ottenere una vittoria su un'avversaria di quel rango, di dichiarato prestigio, per poter godere, in ciò, dei benefici che da un'uccisione tanto celebre avrebbe potuto loro concedere. Privi di ogni ipotesi di assoluzione, pertanto, essi sarebbero inevitabilmente stati in conseguenza di tale dolo, non più minimizzabile nell'effimera a pur concreta attenuante rappresentata dall'alcool ma, al contrario, accentuabile nella pessima aggravante costituita dalla perfetta consapevolezza di quanto desiderato.

« Potrebbe essere anche la moglie del re in persona… ma ai miei occhi è e resta una vacca, destinata dagli dei ad esser montata senza alcuna pietà da qualsiasi maschio sufficientemente virile per farlo! » replicò l'uomo, rivolgendosi verso coloro che avevano tentato di porlo in guardia, con un gesto della mano destra volto ad allontanarli simbolicamente, a imporre loro di tacere dove tali opinioni non erano state richieste né sarebbero potute esser gradite.

Probabilmente, paradossalmente, fu proprio quell'ennesimo insulto, quel nuovo scortese apprezzamento rivolto nei riguardi di colei promossa quale oggetto dei suoi desideri, a riservare allo sprovveduto una possibilità di sopravvivenza, sancendo da parte sua l'appartenenza più alla prima fazione che alla seconda, nella volontà non tanto di ucciderla, quanto più in quella di abusare di lei. Nella medesima direzione, non a caso, si mossero anche le sue mani, non ricercando il contatto con la propria arma, una corta spada lasciata appoggiata al tavolo dal quale si levò, quanto piuttosto bramando l'incontro con i seni della donna, tendendosi nella loro direzione senza dimostrare la pur minima cognizione nel merito del reale pericolo che avrebbe potuto correre.
La possibilità di sopravvivenza riconosciutagli a sua insaputa qual conseguenza di tal atto, però, non derivò tanto da una generosità da parte della mercenaria, da un'indulgenza da lei donatagli in virtù della propria impossibilità all'autocontrollo, quanto, piuttosto, nella totale inutilità della vita o della morte di quell'individuo agli occhi della medesima donna, dall'assoluta assenza di un qualche tornaconto nel permettergli di godere di una nuova alba così come nel negargli tale possibilità. Nella propria professione, e più in generale quasi quale principio regolatore della propria intera vita, colei a cui era stato attribuito il nome di Figlia di Marr'Mahew, non era solita impegnarsi in qualcosa che non le avrebbe potuto offrire guadagno personale, un riconoscimento, materiale o, anche solo, puramente morale, tale da coprire lo spreco di energie che le sarebbe stato richiesto per agire in un senso piuttosto che in un altro. Per tale ragione, quindi, e non per un qualche particolare e filosofico apprezzamento nei riguardi della vita, soprattutto della vita di idioti, stolidi individui quale quello ora presentatole innanzi, anche la forse superflua esistenza di molti che contro di lei si erano osati schierare era stata comunque mantenuta tale, e non troppo presto condotta alla propria pur naturale conclusione. Ma di ciò, di quel suo particolare comportamento, di quella sua singolare linea di pensiero, in quel particolare momento, né il suo avversario, né tanto meno i suoi involontari spettatori avrebbero potuto avere la benché minima idea.
E per questo, soprattutto coloro che, attorno a loro, stavano osservando con il fiato sospeso il compiersi di un destino considerato qual già segnato, non avrebbero mai potuto prevedere come ella, invece di estrarre la spada, in un gesto per il quale avrebbe avuto tempo più che adeguato, di limitò a sposarsi lateralmente, a scansarsi dalla traiettoria percorsa dall'uomo, lasciandolo andare a spingersi oltre di lei, con le proprie braccia ancor tese e le mani frementi nell'idea di un contatto con lei.

« Rinuncia. » suggerì ella, semplicemente, verso il proprio avversario, o presunto tale per quanto indegno di un tal titolo, nel non offrire ancora alcun gesto in sua opposizione.

Immobili, silenti, restarono anche i due accompagnatori della mercenaria, le due figure distintamente maschili, per quanto avvolte da pesanti cappe, che insieme a lei erano entrate nella locanda, animate, in tanta quieta tranquillità, dalla certezza di come alla loro camerata non sarebbe mai stato necessario un loro intervento, soprattutto nel confronto con un così banale avversario.

« Fai la ritrosa con me, razza di cagna deforme? » domandò, insoddisfatto, l'uomo, nel voltarsi con una certa prontezza verso di lei, nella volontà di ritrovare occasione per il contatto mancato, per quell'unione tanto rapidamente smarrita fra loro « O sei dovuta spostarti in conseguenza del peso che ti sbilancia tanto gravemente in avanti. »

Un secondo tentativo d'attacco, un secondo movimento destinato a raggiungere l'obiettivo mancato nel precedente, venne nuovamente offerto dall'ubriaco, nuovamente costretto al fallimento da una seconda, banale, evasione da parte della donna guerriero, che lascio l'individuo libero di spingersi, in un incredibile giuoco del fato, in un'assurda giostra, a ritornare esattamente là da dove si era mosso, fallendo nuovamente nella propria volontà e, per questo, traendo ragione di frustrazione, di ira, sentimenti purtroppo per lui esaltati a dismisura da parte dell'alcool presente nel suo corpo.

« Maledizione! Per Gorl! » invocò egli, nuovamente volgendosi a lei, ancora comunque disarmato, probabilmente ben lontano dal maturare un qualsiasi pensiero di bellicosi propositi nei suoi riguardi « Vuoi cercare di stare un istante ferma?! »
« Midda? » domandò, allora, una delle due figure accanto a lei, come ad assicurarsi della volontà della compagna di non ricorrere a sua volta all'utilizzo delle armi per porre rapida conclusione su quella faccenda.
« Non ti preoccupare, Be'Wahr. La pioggia mi ha infreddolito le ossa… » commentò ella, aggrottando la fronte, in distratta risposta a tale richiesta « Un po' di movimento non potrà che farmi bene… e questo giuggiolone sembra volersi proporre con insistenza proprio a tal fine. »
« Come mi hai chiamato? » domandò l'uomo, sgranando gli occhi nel ritrovarsi, inaspettatamente, oggetto di un commento da parte di colei che avrebbe dovuto, a suo avviso, limitarsi ad offrire le proprie compiacenti forme sotto l'azione e la bramosia del suo tocco.
« Giuggiolone… per tua fortuna. » insistette la donna, sorridendo sorniona nell'abbassare il proprio cappuccio dietro il collo e nel liberare, in ciò, il proprio capo da quell'ormai inutile presenza « Avanti, giuggiolone. Questa volta non mi sposterò. Hai la mia parola… »

Confuso, forse indispettito e pur eccitato, incerto nel merito della reale volontà che avrebbe dovuto essere considerata responsabile per quell'invito a lui offerto, l'uomo, nella pur abbondante offerta di alternative a quel monotono e vano tentativo verso di lei, votò in favore di un terzo atto, forse illudendosi che, in quell'ultima affermazione, ella avesse voluto finalmente accettare la resa di fronte ai suoi desideri, alle sue voglie.

martedì 29 settembre 2009

627


P
arole estremamente semplici, addirittura definibili quali consuete, innocenti forse, furono quelle che vennero scandite con placida tranquillità e un tono estremamente gelido, non dissimile dal ghiaccio che sembrava costituire lo stesso sguardo di quella particolare attrice, nel confronto con le quali il silenzio si propose quindi inevitabile, attraendo l'attenzione di tutti, l'interesse se non anche il timore di ognuno, verso chi le aveva pronunciate.

« Credo di non aver inteso… »

Nel corso di quel pomeriggio tardo primaverile, inizialmente tranquillo, sereno, un violento temporale si era scatenato sull'intera zona, sull'estesa area del confine montano fra il regno di Kofreya e quello di Gorthia, territorio per propria natura già isolato dal resto del mondo, posto esternamente alle normali attività umane. Per tale ragione, nell'impossibilità di contrastare quella pioggia, non solo fastidiosa ma addirittura pericolosa, dove essa si stava concedendo incessante, senza apparente volontà di tregua, forse non desiderando dimostrare la pur minima speranza di conclusione, tale da trasformare ogni sentiero in un pantano, ogni mulattiera in una possibile trappola mortale, a tutti i viaggiatori presenti in quella particolare regione non era stata proposta altra alternativa al cercare rifugio nell'unico luogo attrezzato per tale scopo da tutti loro raggiungibile.
In un contesto similare, di quel genere, naturale sarebbe dovuto essere considerato, probabilmente, un clima di tensione, di frustrazione, nella consapevolezza di come ognuno dei presenti, uomini o donne, mercanti o mercenari, soldati o artigiani che fossero, aveva dovuto rinunciare, almeno temporaneamente, alla prospettiva di raggiungere prima di sera la meta che inizialmente si doveva essere prefisso, all'idea, addirittura, di fare ritorno alle proprie case. Ma dove anche, fortunatamente, fino a quel momento la situazione era riuscita a mantenersi in toni civili, in termini forse non universalmente apprezzati e pur sopportati, il subentrare di tre nuove figure, di un piccolo e sconosciuto gruppetto appena sopraggiunto all'ingresso del locale, sembrava aver aggiunto il proverbiale elemento di instabilità, quel soffio di effimero ed involontario peso pur sufficiente a demolire il già fragile equilibrio lì presente.
In verità, comunque, non ai tre stranieri avrebbe dovuto essere addotta la responsabilità per l'improvvisa tensione creatasi, per l'improvvisa, se pur attesa, perdita di serenità che aveva coinvolto l'intero ambiente, quanto piuttosto a chi, stolidamente o, forse, vittima di troppo alcool in corpo, si era premurato di accogliere i nuovi giunti con parole tutt'altro che cordiali, soprattutto nei confronti dell'unica donna presente fra loro. Il "fraintendimento" dalla sua stessa voce appena dichiarato, infatti, si era posto quale reazione diretta ad un apprezzamento non esattamente velato o raffinato appena espresso da uno degli avventori di quella locanda, il quale aveva dimostrato in termini tutt'altro che ambigui un interesse nei confronti delle sue forme, della generosità delle curve dei suoi seni e dei suoi fianchi, proporzioni tutt'altro che celate dai suoi abiti pur integrali, dai suoi vestiti pur completi nella propria presenza, la stoffa dei quali, però, era divenuta particolarmente attillata in conseguenza dell'effetto dell'acqua, della pioggia da tutti loro subita.

« E' quasi ovvio che una vacca come te non abbia compreso. » rise sguaiatamente il disgraziato autore di tanto elegante componimento, nel rinunciare alla possibilità di tacere, all'occasione di porre fine a quella questione, che pur ella si era impegnata a volergli riconoscere, così come tutti avrebbero potuto testimoniare « Gli dei hanno concentrato ogni tua possibile dote nella coppia di guanciali che gravano sotto al tuo collo… e non di certo all'inutile ornamento, comunemente noto qual capo, posto sopra allo stesso. »

Il soggetto principale interprete di tale scena, evidentemente, era stato troppo coinvolto dall'oggetto del proprio desiderio, così a suo modo esaltato, dal non riuscire a offrire la pur minima attenzione ad altri dettagli assolutamente indicativi dell'identità di colei verso la quale stava vaneggiando, quali sarebbero potuti essere considerati i suoi occhi, il suo stesso volto o, ancor più evidenti, le sue braccia.
Nonostante un cappuccio verde, parte integrante della casacca da lei indossata, celasse parzialmente una folta e disordinata capigliatura corvina, il viso della donna si concedeva del tutto trasparente, definito all'illuminazione della locanda al contrario, per esempio, di quello dei suoi due accompagnatori, entrambi stretti diversamente da lei all'interno di voluminose cappe, a protezione dalla pioggia. In simile scenario, pertanto, i suoi occhi azzurro color ghiaccio richiedevano coatta ammirazione, nell'essere forse animati da luce propria, al contempo meravigliosi e pur intrinsecamente pericolosi, simili ad una straordinaria chimera, capace di irretire e, subito dopo, di straziare senza la minima pietà. Posti al centro di pelle chiara, di un naso ornato da una spruzzata di efelidi, essi si dimostravano comunque umani, mortali, nella riprova offerta da una lunga e impietosa cicatrice, la quale segnava in maniera indelebile quello stesso viso nel suo lato mancino, in un marchio per il quale la maggior parte degli individui avrebbero trovato di che vergognarsi ma del quale ella, invece, sembrava addirittura esser fiera, giungendo a trasformare in tale carisma una bruttura in un'esaltazione per la sua guerriera beltà.
In aiuto di chiunque non fosse già stato in grado di riconoscerla dal viso, pur tanto inconfondibile, caratterizzato similmente da particolari unici, gli arti superiori di quella figura sarebbero stati entrambi utili a permetterne comunque un'univoca identificazione, svelate nelle proprie caratteristiche dal non essere coperte dalla pur minima presenza di stoffa, fin dall'altezza delle spalle in giù, quasi un'eventuale velo, un ipotetico manto similare a quello pur adottato dai suoi compagni, sarebbe potuto essere le lei ragione di ostacolo, di imbarazzo. Il mancino, nella fattispecie, sembrava volersi riservare il diritto di rimembrare un'origine qual figlia del mare per lei, probabilmente proveniente dalle isole meridionali dei numerosi arcipelaghi costituenti il regno di Tranith, nei propri numerosi, complicati, fitti tatuaggi tribali in colori azzurri e bluastri, a rappresentazione forse di qualsiasi concetto e di nessuna realtà in particolare. Il destro, parallelamente, appariva invece a dimostrazione del suo presente guerriero, della sua combattiva natura, risultando allo sguardo qual celato sotto un'armatura di nero metallo dai rossi riflessi, un'arma e una protezione, per lei, sempre presenti, in verità inscindibili dal suo corpo, dove posti in sostituzione, in surrogato, di un intero avambraccio amputato anni prima, in ottemperanza ad una condanna per pirateria da lei sempre rinnegata, mai accettata.

« Purtroppo per te, ora ho inteso perfettamente… » sancì la donna, scuotendo appena il capo ancora gocciolante per l'acqua della pioggia che ancora non aveva abbandonato la sua figura, nonostante ormai fosse al riparo, fosse protetta dal temporale rimasto all'esterno di quelle mura, ostacolato dal tetto posto sopra tutti loro.

Nella tesa e del tutto fittizia tranquillità di quell'ambiente, quelle nuove parole, ancora tanto minimali, semplici nella loro scelta e composizione, risultarono senza fatica, senza impegno ancora quali trasmissive di un messaggio univoco, non volto alla banale minaccia, quanto più tremendamente ad una naturale, spontanea constatazione di fatto, la retorica di una realtà già definita per quanto, forse, non ancora apprezzata da colui che l'aveva invocata, che l'aveva tanto insistentemente richiesta con la propria mancanza di giudizio.
Praticamente tutti, in effetti, avevano riconosciuto fin dal primo istante l'identità di quella donna, dove la sua nomea, la sua gloria, era ormai diffusa in quelle terre da diversi anni, ad opera dei bardi che attorno alle sue imprese, alle sue gesta, sembravano trovare in maniera estremamente elementare di che cantare, di che animare le proprie ballate. Molti gli attributi per idealizzarla, variegati gli aggettivi per onorarla, dove addirittura, in quegli ultimi anni, ella era stata addirittura innalzata, nell'esaltazione di un giusto tributo offertole dagli abitati di un'isola a ponente di Kofreya, ad un rango di semidivinità, attribuendole il posto di progenie della dea della guerra, Figlia di Marr'Mahew. Uno solo, però, era il nome a cui ella era solita rispondere…
… un nome entrato nel mito, nella leggenda.
… un nome che, qualcuno, all'interno della folla presente in quella locanda, non mancò di sussurrare, con doveroso rispetto.

« … ella è… Midda Bontor… »

lunedì 28 settembre 2009

626


A
ll'alba il campo della Confraternita, o ciò che ne restava in conseguenza della battaglia di quella notte, fu dismesso ed i guerrieri, uomini e donne che essi fossero, si prepararono a ripartire.
A rallegrare i loro animi, i loro cuori, nonostante le cerimonie funebri che li avevano pur visti coinvolti nell'inizio di quello stesso nuovo giorno e nonostante l'esito tutt'altro che positivo per la missione, per l'impresa che si erano riservati, era la consapevolezza di come la fama per quanto occorso, per l'uccisione della gargolla, li avrebbe comunque accompagnati, avrebbe reso, forse, i loro nomi qual protagonisti di qualche ballata, in una rimarcata vittoria morale nei confronti della loro quasi prigioniera Midda Bontor.
Nella lunga via verso la costa occidentale, probabilmente per l'ultima volta, si sarebbe ancora posta qual loro guida, qual loro condottiero, la figura di Carsa Anloch, colei che, per quanto esterna alla Confraternita, ai suoi parametri di formazione e giudizio, si era dimostrata comunque essere una figura sufficientemente carismatica da conquistarsi il loro rispetto. Un sentimento da lei conquistato tanto per il carisma dimostrato, per la forza d'animo con cui aveva diretto quella loro missione cercando di agire con maggior giudizio possibile, come il rapimento del vecchio saggio aveva dimostrato, nel non voler rischiare vanamente le vite di alcuno fra loro; quanto più, forse, per la sfida che ella stessa non aveva mancato di proporre alla Figlia di Marr'Mahew, accentrando su di sé, piuttosto che su altri, l'onere, ancor prima dell'onore, di quell'incontro, differentemente da quanto avrebbe scelto di fare qualsiasi altro comandante, troppo attaccato alla vita ed alla volontà di vivere per porsi in gioco in maniera tanto plateale contro un'avversaria di quel livello.
Non tutti i presenti in quell'area, in quella circondario di Krezya, si dimostrarono però entusiasti della partenza programmata dalla mercenaria, dove nel loro piani, nelle loro speranze, si era posta, altresì, un'alternativa diversa…

« Vieni con noi… ci divertiremo. » insistette, per l'ennesima volta, Be'Wahr, cercando di forzare la volontà della compagna in tal senso « Sarà come ai vecchi tempi… come durante la ricerca della corona della regina Anmel… »
« Basta… te ne prego. » replicò ella, scuotendo il capo e levando, ancora, le mani a rifiutare tale proposta « E' da quasi un'ora che stai cercando di convincermi… ed è da quasi un'ora che ti sto dicendo che, questa volta, la mia strada è un'altra. »
« Se non sbaglio, però, la tua missione si è appena conclusa. » osservò Howe, più per solidarietà verso il fratello che per una sincera apertura verso la donna in questione, non avendo ancora accettato il suo precedente "tradimento", per quanto improprio sarebbe stato il ricorso ad un simile termine.
« Accidenti. » esclamò la mercenaria, sorridendo sconsolata e alzando lo sguardo al cielo, quasi a ricercare nell'infinità di quello spazio senza limiti un aiuto, forse ad invocare tacitamente gli dei per ottenere da loro un aiuto in contrasto a tali compagni, difficili da accettare quali avversari ma, effettivamente, ancor più ingestibili quali alleati, soprattutto in momenti quale quello attuale « Eppure dovreste essere felici per un mio rifiuto: una testa in meno con cui spartire la ricompensa che riuscirete a trarre da tale avventura, ammesso che vi sia effettivamente essere dell'oro da dividere ad attendervi in questa… nera piramide, ovunque essa sia. »
« Le ricchezze, a detta di Sha'Maech, non mancheranno, dove anche ci trascinassimo dietro il tuo esercito personale. » osservò Midda, aggrottando la fronte « E poi, qual mercenaria, non ti si addice tanta generosità. Non trovi? »
« Sentite… davvero… non ho assolutamente nulla contro di voi. O contro questa missione, ammettendola definibile in questi termini. » cercò di chiarire per l'ultima volta Carsa, contenendo un senso di esasperazione derivante da quell'assurda insistenza « Però, ci tengo a sottolinearlo, anche lo stesso Sha'Maech, e correggimi se erro, al nostro primo incontro ha dimostrato vivo stupore nel vederci tutti riuniti insieme… dove in contrasto con il mio carattere… e quello, fino ad allora, dimostrato da Midda. Riconoscetemi, pertanto, la possibilità di agire in maniera indipendente questa volta. Tanto, ammesso di sopravvivere ognuno alla propria stessa esistenza, sono convinta non ci mancheranno altre occasioni d'incontro… »

Lo scudiero, poco distante dal gruppetto, posto accanto al sapiente quasi sua scorta personale, stava seguendo con mal celato interesse quel dialogo, quel dibattito, dal quale per ovvie ragioni era comunque escluso ma, in merito alle dinamiche del quale non avrebbe potuto negare curiosità. Sebbene avesse, in passato, avuto già occasione di considerare quei quattro mercenari quali una squadra, nella loro prima visita a Kriarya nel corso della loro precedente avventura, quand'ancora egli non era nulla di più di un garzone presso la locanda di Be'Sihl, in seguito agli sviluppi dimostrati nel corso degli ultimi giorni non avrebbe mai creduto possibile il sussistere di un simile spirito di gruppo, di una tale volontà di coesistenza, esterna ad ogni sua possibilità di comprensione, di raziocinio.

« Come è possibile? » sussurrò verso l'uomo a lui prossimo, cercando nella sua esperienza, nella sua già comprovata saggezza, una qualche risposta chiarificatrice dei propri dubbi « Poche ore fa la mia signora e Carsa sembravano essere pronte a sgozzarsi a vicenda… ed ora appaiono quali due sorelle. »
« Ragazzo mio: benvenuto nel magnifico mondo del mercenarismo… » rispose l'interrogato, con medesimo tono, nel non voler disturbare in quelle parole il confronto verbale a loro prossimo « Non coltivare l'illusione che ogni soldato di ventura si ponga parimente a colei che definisci qual tua signora dove ella, in verità, si concede esser un'eccezione, non una regola. »
« Ma… a questi livelli? » sottolineò il giovane, volgendosi verso l'interlocutore, non per porre in dubbio le sue parole quanto, piuttosto, per ricercare da esse maggiore dettaglio.
« Per quanto non voglia lasciarlo trasparire, imponendosi sovente una maschera di indifferenza, di freddo distacco dalla realtà e dalle persone a sé vicine, Midda è sempre stata, e sempre sarà, una figlia del mare, abituata per propria natura, per proprio istinto, a ricercare in una famiglia, quali inevitabilmente sono tutti gli equipaggi, la possibilità di essere completa. » cercò, allora, di esplicitare, offrendo riferimento a realtà al contempo trasparenti e pur tutt'altro che facilmente intellegibili, come solo sarebbe potuto risultare un enigma nel momento della sua stessa risoluzione « Nel momento in cui la possibilità di una simile esistenza, di una tale vita, le è stata negata, ella ha ricercato in altri cammini, in altre vie, la possibilità di quella pienezza venutale meno… diventando, almeno in apparenza, colei che oggi tu sei abituato a conoscere. »
« Io… avevo notato una certa predilezione per il mare… ma non ho supposto, non ho pensato a nulla del genere. » osservò Seem, ascoltando con stupore, quella spiegazione « Ma… perché? Perché ha dovuto rinunciare a ciò che la rendeva felice? Chi l'ha costretta? »
« Mi spiace, ma non è mio compito offrire risposte là dove ella, per prima, non dimostra desiderio di rimembrare certi eventi del proprio passato, certi momenti della propria giovinezza… » si rifiutò Sha'Maech, in conseguenza a quell'ulteriore richiesta di dettaglio, di approfondimento, che stava iniziando a tendere in maniera eccessiva in uno specifico in cui non desiderava impegnarsi, per rispetto verso la medesima donna guerriero « Se avrai fortuna, se saprai tener fede al ruolo che hai ricercato con tanto impegno, giovane scudiero, forse un giorno sarà lei stessa a spiegarti qualcosa in più… a scostare, pur di poco, il velo che ora preferisce mantenere ben teso, dove ancora capace di condurle solo nuovo dolore e tragedia ad ogni occasio... »

Fu la voce dello shar'tiagho, però, ad intromettersi un quel loro dialogo quasi privato, personale, parallelo a quello fino ad allora condotto da fra i quattro cavalieri e conclusosi, ormai, con la medesima situazione da cui tutto aveva avuto origine, nel domandare l'attenzione della coppia, nel richiamarli al contesto dal quale, involontariamente, avevano finito comunque per separarsi.

« Ehy… chiacchieroni. » invocò, avvicinandosi alla coppia « Spero per voi che non vi fosse spirito di congiura dietro a tanto riserbo. » commentò, con un tono a metà strada fra il serio e il faceto, evidentemente desiderando evitare quella possibilità pur senza impegnarsi nella formulazione di accuse che sarebbero potute apparire troppo gravi a discapito di entrambi.
« Carsa ha, quindi, deciso di non unirsi a voi? » si informò lo studioso, non volendo offrire importanza agli impliciti concessi dall'uomo, per i quali, dopotutto, non avrebbe potuto negare una certa responsabilità, in conseguenza al giuoco nel quale aveva deciso di coinvolgere il gruppo a loro insaputa.
« Tu che ne pensi? » replicò il biondo, aggregandosi a sua volta al discorso condotto in tale frangente secondario, indicando alle proprie spalle le sagome delle due donne impegnate in un sincero saluto, sufficientemente amichevole da vederle concedersi il braccio destro e, pur, ugualmente distaccato nel rifiutare l'eventualità del ricorso ad entrambi gli arti in tal senso.

« Mi spiace, ovviamente, per quanto, effettivamente, tale conclusione si sarebbe potuta considerare prevedibile… » si concesse di esprimere la Figlia di Marr'Mahew, rivolgendosi alla compagna, forse amica, o nemica, in un rapporto tutt'altro che scontato, soprattutto nei sentimenti dell'altra, così contrastanti, di difficile interpretazione anche innanzi al suo giudizio, al suo sguardo solitamente confidente con la comprensione degli animi umani, dei cuori e delle menti dei propri interlocutori, anche occasionali, dei propri avversari, anche effimeri e non duraturi.
« Ti prego di credermi se insisto nel ritenere di avere ottime ragioni per non accompagnarvi. » sorrise la mercenaria dai capelli castani, con tono gentile « E non pensare che voglia trarti in inganno… per quanto io possieda molti volti, anche la mia parola è solo una e, come ho promesso, la fenice non avrà da temere danno, non da parte mia per lo meno. »
« Ti credo… e ti ringrazio. » annuì la donna dai capelli corvini e dagli occhi azzurri, color ghiaccio, liberando il braccio della stessa dalla propria presa.
« Un giorno, però, mi spiegherai per quale ragione hai deciso di ergerti a difesa di una tale creatura? » propose Carsa, con sincera curiosità a simile riguardo, verso tale ragione « Perché, invero, ancora non credo di averlo compreso… »
« Lo farò. » confermò Midda « Anche se, in tutta franchezza, spero di aver agito con eccessiva prudenza, con paranoica cautela, dove, in caso contrario, quel giorno dovremo fare i conti con il peso della responsabilità delle nostre avventate azioni, della stolida bramosia di vittoria, di successo ad ogni costo. »

domenica 27 settembre 2009

625


« E
ora? »

Una formulazione estremamente semplice per intendere una realtà decisamente complessa. Una questione proposta da una mercenaria ad un'altra mercenaria; da una donna stanca ma armata della propria recuperata spada, nella mancina, e dell'ascia illegittimamente sottratta, nella destra, ad una donna stanca ma apparentemente indifesa; da un guerriero affiancato da pochi, selezionati compagni, a un comandante circondato da un piccolo ma entusiasta esercito, rinvigorito dalla vittoria appena riportata, dal trionfo appena ottenuto.
Era evidente, palese, come chiunque fra i membri della Confraternita lì presenti, che già avrebbero potuto farsi, e si sarebbero sicuramente fatti, vanto per la sconfitta della gargolla, avrebbero sinceramente gradito poter associare alla gloria di quella notte anche quella che sarebbe potuta derivare dal predominio su Midda Bontor, sulla Figlia di Marr'Mahew, rappresentante in terra della dea della guerra che chiunque avrebbe voluto piegare alla propria forza, alla propria supremazia, ascendendo in tal modo ai più alti onori della cronaca, assorbendo, istantaneamente, il retaggio proprio della medesima, dove se anche ella era stata in grado di vincere su zombie, negromanti, chimere e tifoni, chiunque l'avesse abbattuta avrebbe dimostrato di essere superiore a tutto ciò. Del resto, al di là di simile, ovvia retorica, si poneva ugualmente evidente come tutto sarebbe stato unicamente affidato al raziocinio di una singola persona, di colei che era stata posta, temporaneamente, a capo di quel gruppo e che sola avrebbe potuto decidere se condannare la stessa figura che, oggettivamente, le aveva appena fatto dono della vita, salvandola dalle grinfie dell'artefatto abbattuto.
Impossibile, pertanto, sarebbe stato definire quale piega avrebbe potuto prendere quel momento, quale strada sarebbe potuta esser favorita dagli dei e, ancor prima, dagli uomini, nel sancire, attraverso la risposta a quell'apparentemente banale domanda non solo il fato delle forze coinvolte ma, anche, di tutto ciò che era stato e che sarebbe potuto essere, soprattutto nell'ottica della missione che aveva visto incaricati Carsa e la Confraternita, dove, chiaramente, mai Midda Bontor, e in conseguenza i suoi compagni, avrebbero consentito agli stessi di raggiungere la fenice, di attentare alla sua esistenza.
A lungo perdurò il silenzio, una quiete surreale che alcuno avrebbe osato interrompere, che alcuno avrebbe supposto di spingersi a violare, dove un qualsiasi atto in tal senso sarebbe risultato blasfemo, un oltraggio alla sacralità di quel confronto. Gli occhi dell'una immersi negli occhi dell'altra si ponevano quale una frontiera da non osare oltrepassare, quale un limite oltre il quale alcun uomo o donna avrebbe dovuto spingersi, nel naturale e dovuto rispetto per la forza dell'una ed il coraggio dell'altra, per l'incredibile energia presentata ad un estremo e il tenace orgoglio dimostrato sull'altro.
E quando una delle due parti, quella più giovane, meno votata alla guerra, interruppe simile confronto, poche parole di rimprovero non poterono essere evitate…

« Hai rovinato la mia ascia. »
« Eh?! » esclamò un coro di dozzine di voci, colte in contropiede da quell'affermazione, da quell'esordio, o forse conclusione, del tutto inattesa.
« La lama… il suo filo… è distrutto… scheggiato in maniera indecente. » argomentò, allora, Carsa, osservando la propria arma ancora nelle mani della compagna « Non avresti potuto prestarci maggiore attenzione, accidenti a te? »
« Scusa se ho voluto salvarti la vita… » replicò Midda, aggrottando la fronte a quella constatazione « La prossima volta sarà mia premura custodire la tua ascia ancor prima che usarla per liberarti da un avversario… » commentò, osservando l'oggetto al centro di tale confronto per poi scagliarlo in avanti, verso il suolo ai piedi della compagna, con trasparente indifferenza.
« Se fosse stata la tua tanto amata spada non ti saresti espressa in questi termini! » scosse il capo la mercenaria posta a comando della Confraternita dalla volontà di lady Lavero, chinandosi a raccogliere quanto restituitole in simile gesto « Non a caso hai preferito lasciarla a terra, al tuo… scudiero, invece di rischiare di doverla usare per liberarmi. »

Attoniti non poterono che essere gli sguardi di tutti i presenti a quella discussione, a quel confronto ora quasi infantile, un litigio fra due bambine per un balocco offerto in prestito e trattato in malo modo prima della propria restituzione.
E gli stessi Howe e Be'Wahr, che fra tutti si sarebbero potuti considerare più vicini alle due donne, avendo condiviso con loro un certo tempo, la durata di una complessa avventura, chinarono il capo, sconsolati, quasi imbarazzati, per la piega assunta da una situazione che avrebbe dovuto considerarsi tragica e che, assurdamente, stava degenerando nel grottesco.

« Signora? » tentò di richiamare uno dei guerrieri della Confraternita, nel rivolgersi verso il proprio condottiero, colei designata per tale ruolo per quanto esterna alla loro organizzazione « I tuoi ordini? »
« Avanti… esprimiti. » incitò la Figlia di Marr'Mahew verso la propria nemica, o amica, difficile a definirsi, cogliendo la richiesta espressa dal giovane così intervenuto « I tuoi ordini quali sono? »

Carsa strinse le labbra in un'espressione di evidente stizza, di contrarietà per quanto si stava ponendo obbligata a compiere, là dove, ormai, riprendere la contesa con la propria compagna sarebbe stata una scelta del tutto fine a se stessa, non più motivata da un reale sentimento, da un sincero valore come, fino a poco prima, avrebbe potuto illudersi sarebbe potuta essere.
Un lungo sospiro, per tal ragione, si concesse qual preludio al riproporsi della sua voce…

« Il tempio della fenice è protetto da trappole mortali… che costerebbero la vita di troppi uomini, di troppe donne, come già avvenne al precedente tentativo della Confraternita di espugnarlo. » dichiarò, con tono forte, vivo, affinché le sue parole potessero giungere anche negli estremi più lontani del campo « Inoltre forze oscure tramano attorno a questo luogo, come tutti noi abbiamo potuto appena constatare. »
« Lady Lavero, la nostra mecenate, non ha tenuto conto di troppi fattori, di troppi dettagli, nell'organizzazione di questa missione… e la ricompensa promessaci non può esser sufficiente a coprire l'investimento in termini di vite umane che ci sarebbe richiesto se proseguissimo in questa direzione. » proseguì, osservando nuovamente la propria compagna, nel voler dimostrare, nonostante quella sconfitta, una propria pur presente dignità « In assenza di un supporto adeguato, qual solo potrebbe essere quello dell'unica donna che sia mai sopravvissuta a tutto questo… e di un cifra migliore, a riconoscimento dello sforzo richiestoci… io abbandono l'incarico. Sono una mercenaria e, dopotutto, questa possibilità è intrinseca al mio ruolo, alla mia professione. »

Tutti loro, in fondo, erano mercenari e, come ella aveva giustamente appena ricordato, il limite stabilito alla loro fedeltà terminava esattamente là dove un pur minimo ed ulteriore sforzo non avrebbe potuto trovare sufficiente pagamento. E, fino a prova contraria, a nessuno fra loro era stata promessa una retribuzione utile a spingerli a porsi in contrasto non solo ai pericoli rappresentati da quel tempio dimenticato, nel confronto con il quale già troppe vittime erano state mietute, ma anche a quelli offerti da un potere quale quello che doveva aver donato vita alla gargolla, un imprevisto in opposizione al quale ulteriori vittime erano state mietute, senza onore, senza gloria, simili ad animali portati al macello.

« Ma… » tentò, ugualmente, di obiettare una voce, nel gruppo della Confraternita, forse spinto da un sentimento di eccessiva fedeltà nell'esecuzione dei propri ordini, dei termini del proprio contratto.
« Signori… signore… io ho parlato unicamente in mia vece, a titolo personale. » replicò Carsa, immediatamente, a voler chiarire la situazione « Ognuno di voi è, naturalmente, libero di proseguire nella direzione che più lo aggraderà, anche sprecando la propria vita nelle profondità del delubro ricavato sotto i nostri stessi piedi… o, più semplicemente, facendo ritorno, insieme a me, a Kirsnya, nel riservarsi la possibilità di partecipare a nuove avventure, vivere nuove imprese, nuove occasioni nelle quali ricercare oro e gloria, sopravvivendo abbastanza da poterne godere. »

sabato 26 settembre 2009

624


C
osì invocata, così richiesta, con forza, con prepotenza quasi, l'ascia si abbatte senza ulteriori indugi, senza altre attese sulla superficie di solida roccia della coda di quella creatura, di quella statua animata, cercando di infrangerne la struttura cristallina, sperando di violarne la compattezza. Gesti decisi e precisi, quelli condotti dalla mercenaria, volti non tanto a ferire la propria avversaria, a provocare dolore là dove, probabilmente, mai essa ne avrebbe potuto provare, quanto piuttosto a costringerla a riportarle al suolo, a riavvicinarsi al terreno, nella privazione di quello che confidava essere un'estremità necessaria al mantenimento del volo, alla prosecuzione di qualsiasi ipotetico tragitto.
E la gargolla, in un primo istante del tutto indifferente a quella presenza non prevista, a quell'ulteriore carico inatteso, offrì dimostrazione di non gradire tanto accanimento, di non accettare simile affronto, probabilmente conscia di come, effettivamente, quella strategia avrebbe potuto dare i propri frutti. Ma per quanto essa tentasse di liberarsi dalla presenza della dona guerriero, per quanto le sue zampe inferiori cercarono di negarle quella presa a cui si era, invece, affidata, la Figlia di Marr'Mahew non demorse, non le concesse alcuna possibilità in tal senso, stringendo con le proprie dita di metallo la superficie in pietra di quel corpo senza alcuna remora, continuando a percuotere ritmicamente il proprio obiettivo, con solerzia non inferiore da quella che avrebbe offerto un fabbro nel confronto di caldo metallo appoggiato sopra la propria incudine.

« Continua così… dannazione… continua così! » incitò Carsa, con fiera soddisfazione nel rilevare l'insoddisfazione dimostrata alla propria carceriera, il tormento pur difficilmente espresso dal volto scolpito della propria controparte, così lontano da qualsiasi sentore di umanità e di mortalità e, nonostante tutto, in grado di lasciar trasparire un sentimento di disappunto per quanto stesse accadendo.

Senza requie, né desiderio alcuno in tal senso, il braccio mancino della mercenaria, con i propri complessi tatuaggi tribali, mostrò i muscoli delicatamente celati sotto la pelle madida di sudore, guizzare con energia, con costanza pur sempre crescente nell'azione in corso, nell'impegno intrapreso, nella volontà di piegare con la forza del metallo, dell'acciaio di quell'ascia, persino la solidità della pietra.
Sebbene solo poche scaglie, pochi frammenti fino a quel momento avevano accettato il proprio fato, si era piegati innanzi alla sua volontà, ella continuò imperterrita, a denti stretti, non riservando per sé alcuna energia, non precludendosi alcuno sforzo, ignorando ogni inevitabile contraccolpo subito dalle proprie membra, ogni reazione violenta impostale dalle proprie stesse azioni. E neppure il dolore che vivo si distribuiva in tutto il suo braccio, e in parte della sua spalla, giungendo nelle ossa, nelle articolazioni stesse, con la sensazione di infiniti aghi conficcati in lei ad ogni movimento, ad ogni colpo, servì ad invitarla a desistere, rendere meno aggressiva, meno decisa la propria offensiva. Al contrario, ella parve coartarsi ad aumentare la stretta della propria mano attorno a quell'impugnatura ad ogni istante trascorso, ad ogni ulteriore momento di disagio per simili sensazioni, come se da esse traesse paradossalmente uno sprone a proseguire in tal senso ancor prima che ad arrendersi.
La distanza dal suolo, nel mentre di quella pericolosa battaglia, non si poneva effettivamente eccessiva e se solo Midda avesse desiderato, avesse voluto, avrebbe potuto anche decidere di abbandonare la presa attorno a quelle zampe, lasciandosi ricadere e, probabilmente, sopravvivendo all'impatto senza neppure troppe ossa rotte, senza rischiare di costringersi ad una fine peggiore della morte, quale sarebbe potuta essere l'invalidità per una donna quale ella era, in un mondo quale era quello in cui ella viveva. Ma, nonostante il pericolo, nonostante l'incertezza di una qualsiasi possibilità di vittoria in quel confronto, nonostante l'inimicizia che aveva contraddistinto il rapporto con Carsa in quelle ultime ore, la donna non volle abbandonare la compagna, non volle condannarla a morte come, probabilmente, sarebbe accaduto se solo si fosse lasciata andare.
In tanta fermezza, in tanta decisione, ella riuscì nuovamente a forzare il fato, a plasmare il proprio destino, con l'energia propria del proprio carattere, con l'ardimento tipico della propria natura. E la coda, alfine, cedette, costringendo la creatura a perdere quota, a riavvicinarsi, priva di capacità di controllo nel proprio volo, al terreno dal quale, invece, aveva cercato di allontanarsi fino a quel momento di allontanarsi.

« Preparati all'impatto, Carsa… » gridò la donna guerriero, avvisando la prigioniera prima di rivolgere la propria attenzione verso chiunque altro sotto di lei, incitando con poche semplici parole, innanzitutto, i propri compagni e, più in generale, chiunque potesse sentirla ad attuare il proseguo del piano in quel fuggevole e propizio frangente, prima che un qualsiasi ulteriore imprevisto potesse negare loro l'occasione così guadagnata « Ora, ragazzi… ora! »

A dozzine furono le funi gettate, in conseguenza di quell'avviso, di quella richiesta, di quell'ordine, verso l'alto, corde lunghe e robuste, dotate di rampini o contrappesi di ogni genere, che andarono senza esitazione a vincolarsi al corpo della gargolla, alla pietra ed alla terra costitutiva di quelle membra, per catturarla, per imprigionarla, traendola con la forza di numerose braccia, con il peso di diverse decide di corpi, quella creatura al suolo, a porla ad un livello paritario a quello occupato da tutti gli uomini e le donne compagni e compagne delle vittime prodotte da quell'artefatto, da quel mostro. Ed essa, pertanto, si ritrovò ad essere improvvisamente, inaspettatamente sola, nel confronto con una superiorità numerica schiacciante, tale da negarle qualsiasi possibilità di evasione, qualsiasi speranza di fuga e, in ciò, di sopravvivenza, se mai di vita si fosse potuto parlare nel particolare caso rappresentato da quell'essere. Fosse anche stata due volte superiore in altezza e peso, fosse anche stata più temibile in aspetto e possibilità di uccisione a essa offerte dal proprio creatore al momento in cui quel corpo era stato plasmato, mai essa avrebbe potuto competere contro un quantitativo tanto elevato, ed infuriato, di avversari, che incuranti di ogni possibilità di danno o morte, la attaccarono con foga priva d'eguali, smembrandola in breve in frammenti tanto minuscoli da non poter neppure offrire speranza di una qualche ricostruzione dell'opera originale, ammesso che mai, un folle, avesse voluto impegnarsi in un tal atto.

« Per l'onore della Confraternita… » esultò un giovane guerriero, sollevando verso il cielo oscuro di quella notte, ancora illuminata dalle fiamme dei numerosi roghi, due metà complementari di quella che un tempo era stata la parte principale della testa della creatura « … oaaah! »

Non Midda Bontor, non la Figlia di Marr'Mahew, ebbe pertanto occasione di imporre il proprio nome su quell'impresa, su quella conquista, sull'uccisione di una creatura rara e indubbiamente preziosa quale quella contro la quale si erano tutti battuti in quel momento, quanto piuttosto la stessa Confraternita del Tramonto, lì rappresentata dal contingente per mezzo del quale, indiscutibilmente, quella vittoria si propose tanto repentina, tanto rapida, là dove fino a poco prima lo scontro, la battaglia era apparsa del tutto impari, improbabile in una risoluzione quale quella poi raggiunta.

« Oaaah!!! » risposero, prontamente, tutti i compagni, tutti i suoi pari, esultando in quel comune coro per il valore di quell'impresa, di quel successo nuovamente proprio della loro organizzazione, della famiglia di cui erano tutti parte e per cui si fregiavano di esserlo, nell'onorare in tale trionfo anche i loro ultimi caduti, coloro che, purtroppo, non avrebbero potuto godere della luce di una nuova alba.

Certamente la donna guerriero avrebbe potuto riservarsi un ruolo a dir poco centrale nella questione, dove senza la sua coordinazione, senza il suo intervento tanto audace, probabilmente quell'avversaria avrebbe potuto sterminare ancora molti fra gli uomini e le donne lì presenti prima di essere forse abbattuta: ma in quel momento l'attribuzione di tale gloria non si poneva fra le sue priorità, non si concedeva fra le sue urgenze, dove ben diverso, verso una questione di natura assolutamente contrapposta ed indifferente a tale argomento si spinse il suo primo pensiero, la sua prima domanda, ritrovata voce e controllo al termine della lotta, in seguito alla sconfitta del mostro.

venerdì 25 settembre 2009

623


« Q
uesto è male… » commentò Carsa.

Storcendo le labbra e cercando di svincolarsi da quella morsa, altresì imprescindibile nella compattezza della pietra che ne costituiva gli arti coinvolti, la mercenaria non poté fare altro che constatare la propria pessima situazione, mantenendo ugualmente il controllo sulla propria ascia non perché, in quel frangente, particolarmente utile, ma quasi più qual talismano, centro di potere nel quale confidare per un futuro ormai sempre più incerto.
Midda, per quanto immediatamente accorsa, per quanto già proiettata nella sua direzione, giunse però troppo tardi, quando ormai tanto la gargolla quanto la sua preda si erano poste oltre alle proprie normali capacità di salto, di raggiungimento nei loro riguardi.

« E questo è molto male… » non mancò di sottolineare la vittima designata, osservando il fallimento della propria unica possibilità di salvezza.

Ciò nonostante, però, la donna guerriero non si volle arrendere, dove in tal senso avrebbe altrimenti tradito il proprio stesso nome, la propria fama, dichiarandosi tanto facilmente sconfitta nel confronto con una creatura di quel genere.

« Howe… Be'Wahr… mi serve una spinta! » gridò ella, rapidamente, nel confronto dei due fratelli.

Fortunatamente per lei, infatti, la traiettoria scelta dall'artefatto in fuga si stava ponendo prossima alla posizione attualmente occupata dalla coppia di guerrieri i quali, senza porsi esitazioni, senza incedere in dubbi, e lasciando in ciò incredibilmente stupito persino lo scudiero vicino a loro, per la subitaneità di tale atto, intrecciarono le proprie braccia in conseguenza di uno semplice sguardo, ponendosi entrambi a gambe larghe, ben piantate nel terreno e leggermente flesse, qual base d'appoggio, sostegno, per la compagna, interpretandone i desideri in una naturalezza straordinaria.
Solo per merito di tanta pronta risposta, pertanto, la Figlia di Marr'Mahew fu in grado di trovare un punto d'appoggio, un sostegno sul quale far leva, ed essere al contempo sospinta, in un nuovo tentativo di balzo verso la compagna e la loro avversaria, gettando nel contempo verso Seem la propria spada, in un tacito affido a colui che, per proprio spontaneo ruolo, avrebbe dovuto custodirla in sua ipotetica assenza.

« Immagino che questa sia dimostrazione di quanto un buon amico possa aiutarti a giungere in alto! » sorrise, nel mentre di quel suo personale volo, pregando in cuor proprio affinché anche quella seconda ipotesi d'offesa non potesse andar sprecata.

Ma tale timore non trovò, per sua grazia, conferma, ritrovandola altresì trionfante nel riuscire a raggiungere le gambe della compagna un istante prima in cui esse potessero essere troppo lontane, aggrappandosi con forza ad esse per non ricadere al suolo.

« Ehy… quelle sono mie e ci terrei a mantenerle attaccate al mio corpo! » protestò Carsa.

Un gemito comprensibile quello così offerto, a denti stretti, in conseguenza del dolore di quell'improvviso strattone verso il basso, un impulso sì necessario a concederle occasione di sopravvivenza, e pur tanto violento ed inatteso che non poté essere ignorato neppure dalla gargolla, la quale perse immediatamente quota, riavvicinandosi in maniera vistosa al suolo dal quale aveva cercato distacco.

« Forse non ti è ben chiaro… ma lo sto facendo per il tuo bene… » sottolineò l'altra, cercando una presa migliore con quegli arti inferiori, desiderosa addirittura di arrampicarsi lungo gli stessi per raggiungere una posizione migliore e, forse, addirittura, attaccare la creatura.

Quest'ultima, purtroppo, dopo il momento iniziale di sorpresa, lo sbilanciamento subito per l'inatteso aumento di carico, riuscì a ritrovare il proprio equilibrio prima che i piedi della propria nuova passeggera arrivassero a sfiorare il terreno sotto di loro, tornando a spingersi immediatamente verso il cielo nella volontà di sfuggire da altri, nuovi, possibili fardelli aggiuntivi, che, probabilmente, non avrebbe potuto sorreggere a tempo indeterminato, nonostante la propria origine sovrannaturale.

« Non ricordo se te l'ho mai consigliato prima d'oggi… ma se non l'ho ancora fatto, colgo l'occasione per suggerirti una dieta! » si lamentò, ancora, la prigioniera, agendo però, nel contempo, allo scopo di assicurare la compagna a sé, nell'intrecciare le gambe attorno al suo stesso corpo al fine di non permetterle di perdere la presa, di cadere nel vuoto e lasciarla, in ciò, abbandonata al proprio fato.
« Thyres… » sussurrò Midda, dimostrandosi per un istante spiazzata, colta in contropiede da qualcosa, che la coinvolse con trasporto emotivo tale da lasciarla immobilizzata, rapita nei propri sensi verso qualche realtà lontana.
« Per Gorl… che cos'hai?! » la richiamò, immediatamente, la compagna, non desiderando concederle possibilità di distrazione in quel momento tutt'altro che sereno.
« Niente… niente… » scosse il capo la mercenaria, cercando di ritornare con la propria consueta lucidità al presente, riprendendo da dove si era interrotta « Solo un déjà vu… come se avessi già vissuto questa stessa scena in un'altra epoca. »
« Non per apparire insensibile a questo splendida parentesi nostalgica… ma in questo frangente non mi interessa assolutamente nulla delle tue memorie presenti, passate o future! » rimproverò l'altra, tentando nuovamente di districarsi dalla presa della gargolla « Tiraci giù prima che ci pensi questo mostro a sospingerci nuovamente a terra, come ha già fatto con tutti gli altri! »
« Cerca di non dimenticarti le buone maniere, sorellina… » commentò, allora, la Figlia di Marr'Mahew.
« Per favore… » richiese Carsa, prima limitandosi a sospirare e poi arrivando a gridare, con evidente frustrazione « … tiraci giù! »
« Ecco, così va meglio. » concordò, immediatamente domandando con tono retorico « Permetti? »

Prendendo, in quelle medesime parole, dalle mani della propria interlocutrice l'ascia da lei ancora stretta con forza, la mercenaria si impose una forte spinta verso l'alto, flettendo tutti i muscoli del proprio corpo per passare dalle gambe della compagna a quelle della gargolla, appendendosi a quelle zampe posteriori con il proprio arto di metallo solo per essere libera di mirare, un istante dopo, alla lunga e fiera coda di pietra sventolante innanzi a sé, facendo roteare con padronanza assoluta l'arma nella propria mancina, pronta a colpire.

« Non rovinarla troppo, per favore… ci sono affezionata! » le domandò la legittima proprietaria della stessa, preparandosi psicologicamente al peggio non tanto per l'arma, quanto per entrambe loro, nell'inevitabile caduta che Midda avrebbe quindi provocato.
« Stai diventando troppo lamentosa, amica mia. » scherzò la donna guerriero, aggrottando la fronte « Non so se te ne sei resa conto ma ti assicuro che è così. Figurati che negli ultimi mesi ho avuto modo di conoscere una principessa, addirittura mancata regina y'shalfica, meno uggiosa di quanto non stai offrendo dimostrazione di esser tu stessa… »
« Midda… per la grazia di Gorl… colpisci questa maledetta figlia d'un cane! Falla a pezzi! »

giovedì 24 settembre 2009

622


« L
ohr… come se ciò non fosse esattamente quanto essa si sta premurando di fare verso di noi… » osservò Howe, tutt'altro che entusiasta dalla prospettiva così offerta loro, per quanto ovviamente logica nella propria semplicità, nella propria incontestabile naturalezza.
« Se hai una proposta migliore, considerami assolutamente aperta ad ogni possibile alternativa. » replicò la donna, di fronte a tale obiezione, per quanto intrinsecamente fine a se stessa e priva di una reale volontà di contrasto nei suoi riguardi.
« Ci servono corde… reti… catene… qualsiasi utensile che possa legarla… vincolarla al suolo il tempo necessario per sopraffarla. » ordinò Carsa, rivolgendosi verso chiunque attorno a sé, a portata della propria voce, offrendo in ciò la propria visione sull'argomento, nel tradurre istantaneamente le parole proposte dalla compagna in azioni pratiche, concrete, nel chiarire innanzi anche alle menti più confuse lì presenti quanto fosse necessario spingersi a fare per la sopravvivenza di tutti.

Il conflitto che fino a poco prima aveva animato i cuori e le menti delle due donne, delle due figure lì presenti evidentemente nate e formate, seppur da esperienze sicuramente diverse, per essere naturalmente dei condottieri, dei comandanti, si mostrò pertanto ormai quale completamente archiviato, forse già segregato qual parte di un passato remoto o, comunque, se anche non dimenticato, ugualmente accantonato qual argomento da riservarsi per un futuro prossimo, in funzione della necessità di fronteggiare nel presente quel pericolo comune, in conseguenza della realtà tanto violentemente propostasi innanzi alla loro attenzione nella forma di quell'avversaria che avrebbe potuto imporre drastica fine su entrambe se solo esse non avessero votato in favore di un repentino cambio di priorità.
E di tale situazione, di simile considerazione, entrambe le protagoniste, le ex-compagne divenute nuovamente parte di un'unica squadra, di una sola e compatta schiera, non poterono che prendere coscienza in maniera quasi divertita, come la stessa Figlia di Marr'Mahew non mancò di sottolineare appena ne ebbe l'occasione…

« Ammettilo che si lavora molto meglio insieme, fianco a fianco, piuttosto che come nemiche… » propose verso la donna che, pocanzi, aveva dichiaratamente desiderato la sua morte, senza eccessivi dubbi, non offrendo riprova di essersi concessa particolari perplessità.
« In effetti… forse… ho sbagliato a cercare a tutti i costi la sfida nei tuoi riguardi. » ammise l'altra, aggrottando la fronte in risposta alla mercenaria dai capelli corvini « Avrei potuto prendere in esame l'ipotesi di suggerirvi di alleavi a noi ancor prima di arrendervi nel nostro confronto, dove, secondo quanto da voi affermato, alcun mecenate si stava ponendo qual ragione vincolante per il vostro cammino… »
« Non lo avremmo mai fatto, Carsa. » negò, purtroppo, Midda, scuotendo il capo e storcendo le labbra nel sottolineare quel contrasto, la diversità di vedute nei suoi riguardi, per quanto un istante dopo, non offrì alcuna incertezza nel gettarsi in sua difesa, nello spingerla da parte a proteggerla da un tentativo d'offesa da parte della gargolla e nell'impegnarsi, in conseguenza di tale atto, in sua vece in tale duello.

La creatura, infatti, forse denotando un istante di distrazione da parte della combattente così speranzosamente braccata, non le aveva voluto concedere perdono, pietà alcuna, precipitando nella sua direzione e tendendo, in ciò, le proprie forti mani nella speranza di carpirla, di renderla qual propria nuova preda e, probabilmente, condurla poi verso il cielo ad essere libera di squartarla, di trucidarla così come era stato per le precedenti vittime da lei catturate. L'intervento della mercenaria, però, si pose quale impedimento forte, solido, verso il compimento di una simile e semplice strategia, allontanando da quella presa l'oggetto di quell'offensiva per porre in tal ruolo se stessa, tutt'altro che indifesa o impreparata, distante dal poter essere colta di sorpresa, e, ovviamente, per nulla intimorita da quell'ipotesi di scontro.
Così, ella spinse immediatamente il proprio pugno destro ad intervenire nel confronto della nuova avversaria, ancor prima persino della lama della propria spada, andando a vibrare con violenza incredibile contro il volto in pietra della controparte, in un gesto che alcuno avrebbe mai potuto avere occasione di preannunciare, se non addirittura di considerare fattibile.

« Sempre in conseguenza dell'assurdo egocentrismo che ti spinge a primeggiare, sorellona?! » rimproverò, con inaspettata ingratitudine, colei che era stata salvata da tale movimento, cercando di recuperare il proprio fronte nella battaglia, non volendo concedersi in alcuna possibile posizione di debito nei riguardi della propria salvatrice « Sarebbe così difficile, per te, ammettere di non essere la migliore… di dover chinare il capo, una volta tanto, innanzi ad un avversario meglio preparato, più forte, agile, rapido di quanto tu non sia?! »
« Per Thyres. » protestò la donna, disapprovando apertamente non solo quel richiamo tanto ingiustamente rivoltole, nonché l'intromissione dell'altra in quel combattimento, indubbiamente fattore di entropia in una situazione di propria natura tutt'altro che serena « Possibile che tu creda davvero alle idiozie dietro le quali stai continuando a celarti? »

Una nota di esasperazione, nel mentre di quella domanda retorica, permise così la trasformazione della stessa in una dichiarazione d'intenti, tale per cui Midda Bontor, gettandosi all'indietro, cercò il disimpegno dalla gargolla, al solo scopo di permettere alla medesima di restare unicamente in confronto con la propria interlocutrice, con colei apparentemente tanto bramosa di dimostrare al mondo intero le proprie capacità ritenute tutt'altro che inferiori a quelle della stessa Figlia di Marr'Mahew.
La creatura di terra e pietra, vedendo una delle proprie avversarie ritrarsi, non si spinse al suo inseguimento, concentrando, invece, tutta la propria attenzione, ogni proprio gesto verso l'unica controparte rimastagli, colei che, in fondo, essa aveva ricercato fin dall'inizio e la quale, stolidamente, aveva tanto rapidamente e superficialmente voluto esprimere giudizi verso la migliore compagna di ventura che le fosse mai stata concessa.

« Se vuoi sprecare la tua vita, libera di farlo… » definì allora la mercenaria dagli occhi di ghiaccio, non senza voluta ambiguità, non senza ricercata incertezza nel merito a quale occasione di sperpero ella stesse riferendosi con tali parole « … ma non coinvolgere, in tutto questo, la fenice. Non cercare di imprigionare una creatura superiore… divina… dove inimmaginabili sarebbero le conseguenze potenzialmente derivanti da una tale blasfemia. »

Fu allora che Carsa, nonostante l'innegabile e comprensibile posizione da ella stessa assunta fino a quel momento nel confronto con la propria compagna, di fronte all'inarrestabile desiderio espresso dalle mani frementi della propria avversaria minerale, non poté mancare di riconoscere il proprio umano limite, prima che l'orgoglio fino ad allora dimostrato potesse costarle eccessivamente caro.

« D'accordo! » esclamò, cercando a propria volta evasione da quel duello, pur senza trovarne, pur senza ottenerne la benché minima possibilità, nell'impegno riconosciutole dalla gargolla « D'accordo, maledizione! Diciamo che forse sono stata avventata nel non volerti ascolt… »

Un tardivo retrocedere, però, quello che tentò così di offrire, dove ormai ella si era eccessivamente esposta, aveva ricercato con troppa animosità quello scontro per potersi liberare con naturalezza dal medesimo. E prima ancora che quella stessa frase potesse essere conclusa, prima che alla sua compagna potesse essere riservata occasione di un nuovo intervento, ancora una volta in suo soccorso, in suo aiuto, le mani dell'artefatto riuscirono a porsi attorno alle braccia della donna eletta quale propria preda, stringendole con prepotenza e, immediatamente, iniziando a sollevarsi in volo, per allontanarsi insieme a lei dal suolo, là dove sarebbe risultata troppo esposta, troppo vulnerabile a possibili attacchi.

mercoledì 23 settembre 2009

621


I
ndubbio sarebbe allora stato un inevitabile riconoscimento verso gli uomini e le donne della Confraternita, nella volontà di offrire ad ognuno i propri meriti. Essi, ricevuti degli ordini precisi, un incarico definito, si posero infatti con assoluta solerzia nell'assolvimento di tale compito, di simile missione, concedendosi in tal frangente del tutto indifferenti alla morte che, improrogabile, continuava a piombare su tutti loro ormai con una cadenza costante, con un ritmo preciso, puntuale, scandendo fra nuove grida e nuovi cadaveri lo scorrere irrefrenabile del tempo. In una simile atmosfera, in un tale clima, molti altri, al loro posto, avrebbero probabilmente ceduto al panico, all'umano sentimento di terrore nei confronti dell'ignoto rappresentato da quell'avversario e dalla sua violenza, incontenibile ed incontrastabile: quegli uomini e quelle donne, perfettamente addestrati, formati per esser, comunque, un'élite in grado di imporsi su ogni possibile avversario, o per tentare ugualmente di agire in tal senso anche nella consapevolezza di un'estrema improbabilità di vittoria, non si concessero la benché minima esitazione, la più leggera incertezza, nella necessità di raggiungere lo scopo prefisso, obiettivo utile, del resto, a garantire loro un'occasione di sopravvivenza superiore di quanto mai sarebbe potuta essere in conseguenza ad una banale e incerta fuga.

« Non so se li hai scelti tu o se te li sei semplicemente ritrovati affidati… in ogni caso, il loro talento, la loro freddezza di fronte a quest'oscenità, è encomiabile. » non riuscì a mancare di commentare la Figlia di Marr'Mahew, esprimendo così un giusta ammirazione per quanto dimostrato da quel gruppo, da quel piccolo esercito.
« Lungi da me voler offrire appoggio alla Confraternita del Tramonto. » replicò, con tono moderato, colei così chiamata in causa, la stessa Carsa ritrovatasi ad essere, invero, comandante di quel reggimento più per fato che per propria volontà « Ciò nonostante, però, non posso che esser concorde con te, sorellona. La loro preparazione sa dimostrarsi essere superiore ad ogni mia più rosea aspettativa. »

In virtù di tanta determinazione, prima che il conteggio delle vittime potesse raggiungere la dozzina, prima che quel battaglione potesse risultare decimato dall'azione di un singolo nemico, numerose furono le cataste di legna e paglia accumulate con ordine, con cura, nella ferma volontà di non disperderne l'azione, l'efficacia, ma di poterla sfruttare al massimo, nel momento in cui il fuoco avesse iniziato a dominare con la sola e comune speranza, la preannunciata aspirazione di poter veder mutata la notte in giorno. E quando quest'ultimo iniziò a divampare, con forza, con prepotenza, la luce poté finalmente ritrovare il proprio spazio, il proprio ruolo sulle tenebre, rischiarando l'intera area di quello che prima era stato il campo da loro organizzato, eretto, ed ora praticamente abbattuto nell'organizzazione di tale scenario, e ponendo, finalmente, in evidenza la presenza del loro nemico, dell'artefatto colpevole di tanto sangue, di tanto dolore, un istante antecedente alla cattura di una dodicesima vittima, che rimase solo potenziale là, dove, gettandosi a terra e rotolando lontano, riuscì ad evitare l'offensiva avversaria, in una mossa che colse del tutto impreparata la creatura.

« Dei! » invocò Seem, in un'esclamazione spontanea ed incontrollabile, forse inevitabile nonostante il suo scetticismo di fede, nel confronto con l'immagine così concessa innanzi ai loro occhi « Come si può arrestare una bestia simile? » domandò, rivolgendosi a tutti ed a nessuno in particolare, con volontà retorica ancor prima che desideroso di una qualche risposta, nel dubbio che non esistessero possibilità in tal senso, come già aveva avuto modo di dichiarare senza troppe ambiguità lo stesso studioso.

La gargolla in questione, l'avversario preposto all'offensiva nei loro riguardi, era stata plasmata dalla propria mano creatrice, dal proprio genitore, in proporzioni estremamente massicce, tali per le quali difficile sarebbe stata accettare la possibilità che essa potesse effettivamente mantenersi in volo in semplice conseguenza della pur energica azione delle ali presenti sul proprio dorso, sì vaste, sì mirabili, e pur paradossalmente flebili nel confronto con il peso che una siffatta creatura in pietra e terra avrebbe dovuto dimostrare. Il suo busto, così come la parte inferiore del suo corpo, si concesse all'attenzione di tutti, simile a quella di animale, un enorme felino probabilmente, dimostrando membra scolpite con fierezza, intrise di una propria possanza, forza ed agilità, con estremità inferiori, zampe, leggermente sovradimensionate rispetto al resto delle sue forme, forse nel voler offrire una migliore possibilità di equilibrio, un migliore rapporto con il suolo sul quale, prima o poi, anch'essa avrebbe dovuto ritrovare contatto. Una lunga coda simile a quella di una lucertola, di un enorme rettile, si poneva accanto a quelle gambe, se tali si fossero potute definire, evidentemente nella necessità di offrire un contrappeso, una fonte di bilanciamento per quel costrutto, quella figura, probabilmente necessaria, in ciò, tanto in volo quanto a terra e, in più, forse addirittura utile qual arma offensiva, qual quinto arto, capace di colpire e ghermire non diversamente dagli altri. Più in alto, poi, le sue spalle, al pari delle braccia e delle mani, si dimostravano altresì umane, ipoteticamente maschili nella pienezza di una muscolatura ugualmente massiccia e pur flessuose, tali da non rinnegare, accanto alla forza, anche un'esigenza di libertà, di prontezza d'azione e di movimento. Il suo volto, infine, in netto contrasto con quanto offerto fino a quel momento, si donava qual indubbiamente femminile, leggermente ovale, caratterizzato da labbra carnose, un naso sottile con la punta rivolta appena verso l'alto, e corti capelli a caschetto anch'essi in pietra, utili a lasciarne completante scoperto il sottile e tornito collo. I suoi occhi, per quanto realistico, dolce, addirittura bello sarebbe potuto sembrare quel viso, erano ovviamente semplici sassi al pari di tutto l'insieme rappresentato da quel corpo, pietre prive di vita, di luce o di anima, ponendosi in ciò del tutto comparabili a quelli di una statua nell'innegabile realtà di come essa stessa, per quanto animata, e sospinta ad una disumana violenza da un'energia sovrannaturale, da una forza mistica al di là delle loro possibilità di comprensione, era e continuava a restare irreversibilmente una scultura.

« E' in conseguenza di momenti come questo che nascono le leggende… » asserì Be'Wahr, prendendo in risposta verso il ragazzo, probabilmente nel desiderio di rassicurarlo, o forse di incitarlo, per quanto la loro situazione potesse apparire spiacevole « Sopravvivremo… e così Sha'Maech avrà finalmente a disposizione una testimonianza relativa ad un evento di questo genere. »
« Affascinante. » commentò il vecchio saggio, studiando con sincero interesse, nonostante il momento tutt'altro che favorevole in tal senso, l'immagine concessagli, nella certezza di come, in fondo, anche nell'ipotesi di poter sopravvivere a quella stessa, quell'occasione difficilmente avrebbe potuto trovare possibilità di essergli nuovamente offerta, in presa diretta come stava fortunatamente o disgraziatamente avvenendo « Sembra ispirata ad una sfinge, dei regni del deserto… sbaglio, Howe? »
« Per Lohr… ma ti aspetti anche una risposta? Ma chi accidenti è mai stato in quelle terre?… io sono nato e cresciuto qui, se te lo fossi dimenticato. » replicò l'interrogato, storcendo le labbra « Non per apparire pessimista o privo di fiducia nelle tue capacità, Midda… ma se hai un piano credo che questo sarebbe il momento migliore per condividerlo con tutti noi. » incitò poi, stringendo nelle mani l'impugnatura della propria spada con energia tale da sbiancargli le nocche, per quanto naturalmente scure nella tonalità della propria pelle shar'tiagha.

La donna guerriero, la quale in conseguenza della propria nomea, delle ballate a dedicate alle proprie incredibili gesta, si poneva essere naturalmente quale fulcro dell'interesse, dell'attenzione di tutti, inclusa quella di colei che fino a poco prima l'aveva ingiustamente accusata di un eccessivo egocentrismo, si riservò un momento di silenzio, di riflessione nell'analisi, nel confronto con i fattori in gioco, cercando di porsi con lucida obiettività nella selezione dei punti di forza e di debolezza dell'avversario, nonché propri di quel piccolo esercito nel cui sperare la collaborazione non poteva ovviare, per dar vita ad una qualche strategia, ad una qualche ipotesi d'offesa che potesse donare loro una pur minima possibilità di risultato.

« Se è una statua… la tratteremo qual tale. » esclamò, infine, nel mentre in cui all'interno delle sue iridi di ghiaccio le nere pupille si contraevano fino quasi a scomparire « Dobbiamo catturarla… e farla a pezzi! »

martedì 22 settembre 2009

620


« C
he succede?! Per Gorl, che sta succedendo? » urlarono numerose voci nel gruppo della Confraternita.
« Qualcuno… è stato preso! » risposero confusamente altri.
« Chi?!... Da chi?! » richiesero ancora nuovi soggetti, desiderosi di chiarimenti e pur, al contempo, temendo una qualsiasi possibile risposta a tale interrogativo.

Prima che, però, fosse concessa ulteriori possibilità di proseguire in quel caotico dialogo fra sordi, dove nel mezzo di così tante voci l'effetto finale non si poneva essere diverso da un completo silenzio, da una totale assenza di qualsiasi suono, un tonfo sordo richiese l'attenzione delle due donne fino a pochi istanti prima in competizione fra loro, impegnate in mortal tenzone ed, ora, improvvisamente di nuovo alleate, sorelle di guerra come già erano state in passato. E i loro sguardi, in ciò, furono inevitabilmente invitati a posarsi sui resti di un corpo straziato, squartato dall'altezza del collo a quello del basso ventre, quasi fosse stato un animale, una semplice preda priva di umanità, immeritevole di qualsiasi possibile rispetto, ancor caldo, ancor pulsante di una vita ormai negatagli in maniera tanto atroce, tanto violenta che non poté trovarle impressionate, per quanto oggettivamente abituate, soprattutto la Figlia di Marr'Mahew, a sopportare immagini anche peggiori, provenienti dai campi di battaglia, dalle piane di guerra.

« Daval! » esclamò Carsa, evidentemente riuscendo ad identificare la vittima, a riconoscerla univocamente fra tutti gli uomini e le donne posti, nel frangente rappresentato da quella particolare missione, sotto la sua autorità « Ma… cosa? Da dove?! »

Un nuovo grido di terrore e pena colmò allora l'aria, imponendosi sul marasma indisciplinato di voci e richiedendo ora una sincera quiete, un'effettiva tranquillità non sinonimo di pace, non trasparente di serenità, quanto piuttosto di profondo e viscerale panico. Per quanto, infatti, tutti fossero incapaci di comprendere cosa stesse accadendo, di quale bieco maleficio potessero in quel momento essere potenziali sacrifici, di quale oscura forza divina stessero inconsciamente diventando ostie, all'attenzione di alcuno fra loro sarebbe potuta sfuggire la necessità di restare in attenta e compatta guardia, a non favorire la morte scagliata contro di loro con tanto sadismo.
Fu proprio allora, approfittando della riconquistata possibilità di farsi udire, di non sprecare le proprie parole al vento, che la voce di Sha'Maech si ripresentò nuovamente, esponendo una purtroppo netta e definita condanna su tutti loro, sul loro futuro e sulla possibilità di goderne, identificando, forse nell'analisi del primo corpo restituito dal cielo, o forse in quella della dinamica di simili attacchi, la creatura contro la quale si stavano loro malgrado ritrovando ad essere posti.

« E' una gargolla! »

Una sentenza, quella così emessa, che non offrì possibilità di dubbio nel merito della propria affermazione, per quanto, evidentemente, egli non si sarebbe potuto ritenere normalmente impegnato nel confronto con esseri di tale genere, di simile stampo.
Invero, infatti, neppure alla donna guerriero più celebre fra loro presente era mai stata offerta l'occasione di un incontro, o uno scontro, con quella particolare specie di avversario, dove pur numerosa e assortita si sarebbe potuta presentare la lista delle creature mitologiche da lei affrontate e vinte in battaglia. Per tal ragione, quindi, per quanto ella ne avesse sentito parlare, fosse in parte confidente con tale nome, pur presente in qualche ballata, in qualche leggenda, una ulteriore richiesta di approfondimento non poté essere evitata, nella consapevolezza basilare per ogni guerriero di quanto affrontare un nemico partendo dall'assenza di informazioni a suo riguardo o, peggio ancora, da erronei presupposti, sarebbe equivalso a gettarsi nella mischia con gli occhi bendati, con lo sguardo negato.

« Parla… presto! » invitò Midda, assumendo una posizione di guardia quasi radente al suolo, prossima al terreno nell'imitazione di una particolare tecnica di combattimento osservata una volta in un proprio avversario, estremamente temibile, fra l'altro, anche in conseguenza di tale particolare stile, insolito, forse elegante e quasi certamente letale « Tutto quello che sai, evitando la retorica! »
« Sono artefatti. » esordì l'uomo, immediatamente collaborativo, in un'accondiscendenza tanto subitanea, in contrasto al suo solito criterio di confronto con il prossimo, che non avrebbe potuto evitare di essere interpretata quale un annuncio verso nulla di positivo per il loro immediato avvenire « Creature di terra e pietra animate da un incantesimo, da un'energia mistica capace di infondere loro una parvenza di vita, per quanto probabilmente siano più lontani da tale concetto perfino rispetto ad un non… »

Un secondo tonfo attrasse l'attenzione di Midda e Carsa alle proprie spalle, in opposizione al punto in cui già era stato gettato un cadavere e dove, macabramente, un secondo corpo privo di vita, similmente ed oscenamente violato, venne posto innanzi al loro sguardo, forse latore di un qualche messaggio in tanta precisione, in tanta apparente cura verso di loro nel confronto con la pur numerosa folla presente.

« … morto. » sussurrò Sha'Maech, storcendo le labbra di fronte al secondo cadavere e quasi gettandosi, a sua volta, radente al suolo nel timore di poter essere scelto qual terza vittima.
« Come lo possiamo fermare? » richiese Carsa, dando riprova di non aver, a sua volta, maggiore confidenza nei confronti di un simile avversario.
« Mi spiace doverlo ammettere, ma non ho mai avuto occasione di leggere una cronaca riportante un tale dettaglio, un simile particolare, dove logica impone esser improprio sperare di uccidere qualcosa che mai è stato animato da reale vita… » rispose il sapiente, forse non soddisfacendo, in ciò, le speranze delle due donne, al pari di tutti coloro che in quel momento si ponevano in grado di udirlo, affidandosi in inevitabile conseguenza alle sue parole, alla sua saggezza, per poter sperare nella sopravvivenza.

Un terzo grido, del tutto similare ai precedenti, descrisse il rapimento di una terza vittima, un terzo corpo che presto sarebbe stato loro offerto per porre in scacco le loro stesse menti ancora prima dei loro corpi, in quell'evidente e consueta tattica di guerra per la quale atrocità quali decapitazioni ed impalamenti trovavano ragion d'essere attorno alle fortezze di frontiera, attorno alle rocche sul limitare di zone di guerra, a ricercare nella paura, nel terrore verso quel pur comune ed umano destino che tutti avrebbe accolto, prima o poi, il proprio migliore alleato nel contrasto con i propri possibili nemici.

« Abbiamo bisogno di luce! » comandò la Figlia di Marr'Mahew, cercando senza successo di perscrutare con i propri occhi azzurro ghiaccio all'interno delle tenebre attorno a loro, nella volontà di individuare il proprio avversario, per poterne seguire le mosse, anticiparne le traiettorie « Bisogna dare fuoco a tutto ciò che è sacrificabile… ad ogni catasta di legna, ad ogni scorta di paglia… è necessario trasformare questa notte in giorno, se vogliamo sperare di poterci difendere. »

Un solo istante di incertezza colse, di fronte a tale invito, gli uomini della Confraternita, là dove, invece, Seem ed i due fratelli scattarono senza incertezza nell'esecuzione di tali ordini, di quell'invito, tanto ovvio e pur, fino a quel momento, non attuato da alcuno. A giustificare tale blocco, apparentemente stolido, assurdo nel confronto con la possibilità, con la certezza della morte presente sopra di loro, sarebbe ovviamente potuto essere il loro addestramento, la loro formazione, i termini del loro incarico, che non a Midda Bontor, idealmente avversaria e prigioniera, quanto a Carsa Anloch avrebbe dovuto vedere rivolta la propria fedeltà, la propria ubbidienza.

« Per Gorl… non avete sentito?! » incalzò, pertanto, il loro diretto superiore, nel comprendere le ragioni di tale immobilità « Le nostre vite, ora, sono tutte ugualmente in gioco e non ci resta altro da fare che collaborare se vogliamo riservarci l'illusione della conquista di una nuova alba! Al lavoro… presto! »

lunedì 21 settembre 2009

619


A
ogni azione dell'una, puntuale ed immancabile, si concedeva una reazione dell'altra, vedendo le due donne in una costante schermaglia che avrebbe potuto apparire, ad uno sguardo esterno, simile ad una danza, ad un gioco, piuttosto che ad una giostra letale, nel corso della quale anche il più banale errore avrebbe potuto rappresentare per entrambe fine certa.
Per quanto consapevole di tale rischio, per quanto solitamente ingenerosa con i propri avversari soprattutto dove questi si fossero dimostrati coscienti del rischio verso il quale si stavano ostinando a spingersi, la Figlia di Marr'Mahew continuò a frenare i propri colpi, si ostinò nel non condurre mai alcuna delle proprie azioni con destrezza sufficiente a superare le difese avversarie, anche dove il fato, nonché la propria bravura, le avevano già offerto in numerose occasioni tale possibilità. Nel non voler, infatti, ancora accettare che quello scontro potesse dipendere unicamente dal libero arbitrio della propria controparte, da una sua decisa coscienza in tal senso, ella non trovava ragione per infierire, per reclamare la vita della compagna, o ex-compagna che dovesse ritenersi, come avrebbe potuto essere suo diritto fare. E nella disparità pur esistente fra loro sotto il profilo fisico, nell'analisi della reciproca formazione guerriera, della vicinanza di entrambe con la guerra e con i suoi orrori, ella restava pur in grado di gestire la situazione concedendosi simile imprudenza, riconoscendo alla propria avversaria il diritto di proseguire nella propria esistenza nonostante numerose sarebbero potute essere le occasioni di morte a lei riservabili.
Impossibile sarebbe stato, comunque, ipotizzare entro quali limiti la mercenaria al servizio di lady Lavero, in tale frangente, si sarebbe potuta definire conscia della propria effettiva situazione, fosse confidente con la propria inferiorità nel confronto della controparte e con la fine premessa a quell'intero duello, l'inevitabile conclusione verso la quale si sarebbe votata a meno di un errore da parte dell'altra, speranza priva di qualsiasi fondamento. Ma che, alla sua attenzione, fosse o non fosse definita tale ineluttabilità, alcuna differenza avrebbe potuto portare all'evolversi di quel confronto, soprattutto dove ella non stava offrendo evidenza della benché minima intenzione di ritrarsi, di retrocedere fosse anche di un sol passo dalla posizione abbracciata, dalla scelta resa propria, probabilmente anche solo per una questione di coerenza. E, così, ad ogni offesa propostole ella poneva una difesa, per poi riservarsi, in ogni occasione, la possibilità di rispondere con un proprio attacco, una speranza di porre fine a tutto quello nella vittoria sull'altra.
Non pari, e pur similmente tali rese dall'incertezza di una e nella ferma decisione dell'altra, Midda e Carsa non sembravano poter trovare occasione di prevalere l'una sull'altra o, eventualmente, di soccombere l'una sotto i colpi dell'altra, offrendo inevitabilmente, in ciò, ragione ad un conflitto che non avrebbe forse mai raggiunto una reale possibilità di conclusione.

« La vostra amica è ancora in testa nelle quotazioni… ma di poco. » osservò una voce proveniente dal gruppo della Confraternita, nel prendere parola nei confronti di coloro che fino a poco prima erano stati considerati prigionieri e che, ora, nel clima irreale rappresentato da quello scontro, si ponevano quali semplici pari, compagni di scommesse nel giro d'azzardo sorto attorno alle due donne.
« Speriamo allora che vada sotto… » osservò Howe, sorridendo sornione « Così nel momento in cui giungerà alla vittoria ci pagherete ancor di più di quanto già non ci dovrete comunque! »

Ciò che pose, altresì, fine a quanto in corso fu ciò che solo avrebbe potuto aver successo in simile proposito, nel riportare due avversarie un tempo alleate sul medesimo fronte d'azione: un nemico comune.
E di quel nuovo arrivo, solo uno sguardo ebbe modo di accorgersi fra i pur numerosi presenti, dove offerente verso il duello meno attenzione rispetto agli altri, tutt'altro che attratto da una simile e vana dimostrazione di bellicosità, caratteristica forse irrinunciabile dell'animo umano ma non per questo da lui giustificabile, da lui accettabile soprattutto in un contesto quale quello attuale, dove a poco o nulla essa sembrava essere rivolta.

« Alle armi! » invocò, improvvisa ed inattesa la voce di Sha'Maech, l'anziano saggio, il folle studioso che solo non si sarebbe mai fatto trascinare nell'ammirazione di quella continua fonte di luminose e letali scintille.

Quasi fosse una formula dotata di arcani poteri, quella semplice frase, quel richiamo apparentemente banale, riuscì incredibilmente a far leva sull'attenzione di tutti i presenti, trovando in loro, del resto, terreno assolutamente fertile dove accomunati da una medesima professione volta alla guerra, da una stessa formazione per la quale istintivo ancor prima che razionale sarebbe stato offrire risposta a quelle due parole, reazione a quel grido. Anche le duellanti, le combattenti impegnate fino a quel momento a cercare l'una soddisfazione sull'altra, esitarono, si arrestarono, di fronte a quella voce, ricavandosi una possibilità di disimpegno reciproco per riservarsi occasione di comprendere cosa potesse star accadendo, per quali ragioni potessero essere stati tutti allertati.

« Sei completamente impazzito, vecchio?! » domandò Carsa, osservandosi attorno e non riportando alcun genere di successo nell'evidenziare un qualche pericolo, una qualche possibile fonte d'offesa per tutti loro, tale da giustificare quella repentina interruzione del confronto in corso « O, forse, credevi di poter influire, in questo modo, nell'esito del… »
« Carsa Anloch. » definì egli, interrompendola con tono mortalmente serio « Ti ho sempre giudicata una donna ricca di qualità, fra cui l'intelligenza quale una delle più importanti, delle maggiori: non mi costringere a rettificare il mio giudizio a tuo riguardo in conseguenza del velo di ottusità nel quale sembri aver avvolto ogni tua capacità di raziocinio… di libero pensiero. »
« Cosa accade, Sha'Maech? » chiese, allora, Midda, perscrutando a propria volta il territorio attorno a loro, per quanto potesse essere concesso nelle tenebre della notte, senza pur ritrovare ipotesi di pericolo, di avversari tramanti nell'ombra.
« Invece di trastullarvi nel suono della vostra stessa voce, prestate per un istante attenzione a ciò che si sta imponendo quale sottofondo in contrasto alla tranquillità solitamente caratteristica dell'oscurità. » suggerì l'uomo, storcendo le labbra in chiaro segno di rimprovero, di disapprovazione non solo verso le due ma, più in generale, verso quell'intera armata, capace di farsi cogliere tanto di sorpresa come, effettivamente, stava accadendo.

In conseguenza a tale avviso, nonostante la naturale irritazione conseguente al medesimo, non una sola nuova voce si levò a colmare l'aria, nel mentre in cui dozzine di spade, alabarde, asce, pugnali e picche si ponevano fra le mani dei loro proprietari quale guardia per fronteggiare un qualsiasi pericolo, una qualsiasi offensiva loro proponibile. E nel silenzio così ottenuto, nella quiete così faticosamente conquistata, accanto al respiro dei propri vicini, dei compagni posti accanto a sé, tutti i presenti poterono udire distintamente la presenza di un altro rumore, un palpito ritmico quasi fosse quello di un cuore, sebbene estremamente diverso da quello che mai avrebbe potuto offrire un tale organo, soprattutto in maniera tanto distinta, tanto netta quale quella loro offerta.
Ma prima che chiunque fra i presenti avesse possibilità di dar voce all'interrogativo che, in maniera collettiva, animava in quel momento le loro menti, il palpito per un istante si interruppe, salvo poi riprendere con maggiore foga, maggiore violenza, nell'essere accompagnato da un nuovo grido, un urlo, ora, straziante di vivo terrore, di incontrollabile paura.

« Lohr… ma cosa? » domandò Be'Wahr, spingendosi in maniera naturale, involontaria, di schiena contro il fratello, a cercare reciproca protezione come spesso erano soliti fare nelle situazioni più complesse « Che cosa sta accadendo? »
« Mi piacerebbe saperlo… » sussurrò Howe, privo di qualsiasi volontà di scherno, ora, verso l'amico di sempre, il compagno di innumerevoli avventure, di una vita intera « Giuro su Lohr che mi piacerebbe saperlo… »

domenica 20 settembre 2009

618


U
na pioggia di scintille animò l'oscurità di quella notte, nell'incontro, nello scontro, fra il metallo della lega dagli azzurri riflessi della spada di Midda Bontor e quello meno pregiato, ma non per questo meno efficiente, dell'ascia di Carsa Anloch.
In simile confronto, se l'arma della Figlia di Marr'Mahew non avesse goduto della particolare robustezza offertale dallo straordinario procedimento retaggio dei figli del mare, sarebbe probabilmente andata in frantumi, non riuscendo a trovare occasione di opporsi alla forza, alla violenza del colpo imposto contro di sé, contro la propria sagoma tanto sottile nel confronto con quella dell'arma antagonista. Ma così non fu e, simile a pioggia luminescente fu il frutto che dalla loro unione venne concesso fra i volti delle due contendenti, donando per un istante un'apparenza quasi incantata, magica ad un'atmosfera assolutamente comune, priva di quelle frivolezze che, usualmente, abbellivano la violenza della realtà nel corso delle ballate, per non far sembrare osceno e raccapricciante quanto, invece, avrebbe dovuto risultare tale.

« Un pezzo d'oro su Midda… » propose una voce nel gruppo dei membri della Confraternita, nel contempo di simile confronto.
« Vuoi scommettere contro il nostro comandante?! » esclamò, in risposta, una tonalità diversa, esplicitando stupore per quella proposta ritenuta formalmente erronea, quasi un tradimento nei confronti del loro stesso incarico.
« Perché no? Stiamo parlando di Midda Bontor. » replicò il primo, dimostrandosi del tutto indifferente all'ipotetico e temporaneo grado gerarchico occupato da Carsa.

La donna guerriero così esaltata in quell'ultima affermazione, dopo aver mantenuto senza incertezza alcuna la propria spada nella posizione conquistata, a difesa del proprio corpo in contrasto alla pressione addotta dall'ascia, con un movimento agile e deciso guidò la lama della medesima a roteare con vigore, trascinando in tale movimento anche l'arma avversaria nel catturarne le forme, nel vincolarne l'autonomia, tentando di invertire le loro posizioni, di trasformare una difesa in un'offesa.
Carsa, tutt'altro che inesperta, ben lontano dal potersi considerare quale una sprovveduta, riuscì a reagire a tal gesto non opponendosi al medesimo ma accompagnandolo, nel disimpegnare, in ciò, la propria ascia e immediatamente ritrarsi, a porre un minimo e pur doveroso distacco fra lei e l'altra. E senza perder tempo, avendo già avuto negli istanti precedenti modo di valutare con precisione ogni possibile alternativa a lei offerta, ogni possibile azione a lei potenzialmente riservata, procedette altrettanto subitaneamente ad un nuovo tentativo d'offensiva, ad una nuova prova d'attacco, abbassando il proprio baricentro verso il suolo nel piegare la gamba destra e, in ciò, roteando rapidamente per spazzare con la sinistra gli arti inferiori della propria avversaria.

« Ci sto. Due pezzi su Carsa per quanto mi riguarda! » accordò la seconda voce prima dimostratasi, accettando l'azzardo di quella scommessa e, addirittura, spingendosi a sopravvalutare, economicamente parlando, il loro superiore, probabilmente nel non voler porre in dubbio il valore della medesima neppure in quel momento, nei termini pur estremi offerti da quel duello.

La Figlia di Marr'Mahew non volle concedere all'avversaria di trovarla impreparata a quella nuova strategia nei suoi confronti, a quella nuova mossa volta a coglierla di sorpresa, ponendosi del resto più che confidente con la medesima, dove da lei stessa attuata nell'occasione di molteplici scontri, di numerosi confronti. A tal fine, anticipando di poco il movimento della controparte, spiccò un salto, ad evitare il calcio avversario ed a spingere, il proprio corpo, in un'agile volteggio oltre alla posizione occupata dall'altra, per guadagnarsi la possibilità di coglierla ora alle spalle.
La mercenaria al servizio di lady Lavero, così evitata e superata, riuscì, fortunatamente per sé, a non lasciarsi prendere di sorpresa, a non trasformare quella che sarebbe dovuta essere una trappola rivolta alla propria controparte in un trabocchetto unicamente per sé: non arrestando la rotazione che già aveva imposto al proprio corpo al fine di mantenere il proprio sguardo sempre rivolto verso l'avversaria, ella si impegnò a propria volta in una capriola all'indietro, restando a contatto con il suolo e riuscendo, poi, a levare la propria ascia giusto in tempo per arrestare la lama della spada avversaria, diretta in propria offesa.

« Possiamo partecipare anche noi alle scommesse? » tentò di informarsi Howe, nel rivolgersi al gruppo della Confraternita, levando una mano per richiamarne l'attenzione « Per quanto mi riguarda sono pronto a mettere tre pezzi su Midda. »
« Un pezzo anche per me! » si aggregò, rapidamente, Be'Wahr, approvando il suggerimento implicito offerto dal fratello.
Uno sguardo carico di incredulità venne, però, rivolto da parte di Seem alla coppia, a laconico rimprovero per quel gesto, per quella presa di posizione probabilmente da lui giudicata quale inappropriata.
« Che c'è?! » domandò lo shar'tiagho, cogliendo il messaggio del ragazzo « Anche questo è sostegno psicologico… non trovi? »

Le due contendenti, oggetto di tanto interesse, di plauso e incitamento da parte di tutti i presenti attorno a loro, si ponevano altresì del tutto indifferenti a tali discorsi, a simili scommesse, dove impegnate in un giuoco che avrebbe potuto, in ogni istante, sancirne la morte, spiacevole e prematura conclusione delle loro esistenze che avrebbero voluto spingere, umanamente, il più possibile nel futuro.
Proprio al fine di preservare la speranza di un domani, dopo essersi difesa dall'attacco contro di lei, dopo aver arrestato la spada diretta forse al proprio capo, Carsa spinse con violenza la propria ascia verso l'alto, con entrambe le mani, a respingere la pressione imposta dall'avversaria. E Midda, sbilanciata all'indietro, fu costretta a ricercare maggiore distanza fra loro, onde evitare di essere esposta al filo di quel metallo, alla lama di quell'arma che avrebbe potuto, senza difficoltà, squartarne il ventre quasi fosse il meraviglioso trofeo conquistato da un pescatore dopo un'estenuante confronto in mare.

« Per cosa stiamo lottando, Carsa? » cercò nuovamente dialogo la donna guerriero, sperò di ottenere da lei attenzione, a superarne le barriere mentali che, in quel momento, sembravano impedirle di riuscire ad agire secondo raziocinio « Per cosa stai gettando la tua vita al vento, amica mia?! »
« Continui a presumere la tua superiorità, sorellona… e questo sarà per te rovina. » rimproverò l'interrogata, scuotendo il capo e rialzandosi dal suolo, a recuperare una postura di guardia, ad elaborare, nel mentre di quel rapido scambio di parole, nuove possibilità d'offesa verso di lei.
« Rispondimi! » incalzò la Figlia di Marr'Mahew, richiedendo da lei una spiegazione che, evidentemente, si poneva oltre le proprie capacità di comprensione.

Nel mentre di tali parole, in contrasto al tentativo di riappacificazione rappresentato dalle stesse, però, l'istinto guerriero della mercenaria prevalse per un istante sulla sua mente, sul suo controllo, incitando la sua mancina ad offrire una sequenza d'attacco nei confronti della propria avversaria, della propria ex-compagna, per quanto tutt'altro che desiderosa del suo sangue o della sua morte. Agendo meccanicamente, senza richiedere al suo intelletto alcun permesso, alcuna libertà, il suo corpo si mosse con coordinazione impeccabile, con grazia ammirabile, nel mentre in cui rapidi volteggi della lama tentavano di superare le difese puntualmente proposte dall'ascia nemica, generando nuove fontane di luce nella direzione dell'infinità celeste, quasi a competere con la fierezza della volta astrale sopra tutti loro.

« Sei ipocrita, Midda… sei ipocrita nel porti qual giudice delle mie azioni, delle missioni a cui desidero prendere parte, là dove non hai mai permesso ad alcuno di porti dei limiti, di vincolare le tue imprese leggendarie! » replicò l'attaccata, ancora una volta ricorrendo a toni inequivocabilmente di richiamo nei suoi confronti « Aver collaborato una volta con me, avermi salvato la vita, non ti ha reso mia padrona, non ti ha offerto alcun diritto su di me. E dove anche quei due sciocchi sono tanto ben disposti ad assecondarti in ogni tua decisione, non aspettarti simile comportamento anche da parte mia… »

sabato 19 settembre 2009

617


« I
prigionieri sono scappati! » si levò immediatamente una voce, a richiamare l'attenzione del campo verso quanto stava avvenendo « Alle armi! Uomini e donne della Confraternita… alle armi! »

Dove pur Midda ed i suoi compagni erano stati attenti a non creare scompiglio con la propria fuga, con l'uccisione delle guardie preposte alla loro sorveglianza ed il trasferimento fino alla tenda del comandante, ruolo in quel momento rappresentato dalla stessa Carsa, infatti, difficile, impossibile sarebbe stato riuscire a celare l'evolversi di quella situazione, nello scontro fra le due mercenarie, nel confronto fra due donne e guerriere di quello stampo.
Ma, proprio nel valore di simile momento, di tale atto, un immediato contrordine non poté che essere innalzato a negare quanto richiesto dalla prima voce, da quell'allarme lanciato con tanta solerzia e inevitabile timore, in sicura conseguenza del primo scontro avvenuto quel giorno fra i pochi mercenari senza padrone e i numerosi membri della Confraternita, nel corso del quale già troppe vittime erano state mietute fra i ranghi dei secondi che sarebbero, altresì, dovuti risultare predominanti, vittoriosi.

« Che nessuno levi la propria arma contro i prigionieri! » gridò Carsa, rialzandosi con un balzo agile in conseguenza del pur violento attacco subito, in quale, per un fuggevole istante, era riuscito a privarla persino della possibilità di respirare « Che nessuno fra voi si intrometta in questa questione! »

I primi uomini e le prime donne della Confraternita già accorsi attorno alla tenda del loro riferimento per quella missione si arrestarono immediatamente, in evidente conseguenza del proprio addestramento, della propria formazione che li aveva abituati a non disobbedire ad un ordine diretto da parte di un proprio superiore, di un proprio comandante. E così, pur frementi nel desiderio di intervenire, nel riportare l'ordine da loro stessi costituito e nel punire quel gruppo di uomini, e quella donna, per il proprio tentativo di fuga, nessuno fra loro volle essere il primo a infrangere un comando esplicito quale quello che Carsa aveva loro impartito, del tutto indifferenti, in quella particolare occasione, al fatto che quest'ultima non appartenesse effettivamente alla loro medesima gerarchia.

« Signora?! » si levò una voce, verso di lei, a richiedere maggiori dettagli, chiarimenti nel merito di un'ingiunzione assolutamente inequivocabile nella propria formulazione.
« E' una questione fra Midda Bontor e me… » definì, allora, Carsa, con serietà priva di possibilità di discussione « Che nessuno fra voi si muova o, peggio, si intrometta fra noi. »

In tale richiesta, nonostante tutti i dubbi, più o meno legittimi, che la Figlia di Marr'Mahew aveva già avuto modo di esprimere nei riguardi dei propri compagni, nel merito di un'effettiva possibilità di libero arbitrio, di controllo personale da parte di lei, ella offrì dimostrazione di quanto, anche per lei, fosse comunque tutt'altro che irrilevante la possibilità così concessale di riservarsi un'occasione di confronto con colei che il fato le aveva posto quale compagna in un'impresa passata.
Difficile sarebbe stato, comunque, comprendere il perché di tale necessità, di simile volontà, dove, in verità, sebbene mercenaria, Carsa aveva scelto di intraprendere vie d'azione ben diverse da quelle proprie dell'ex-compagna, a cui, ad esempio, maggiormente si sarebbero potuti considerare prossime figure quali quelle dei due fratelli. Per questo, dove anche indubbiamente l'eventuale uccisione della stessa da parte sua le avrebbe offerto grande fama, immenso prestigio, simili valori sarebbero poi per lei risultati del tutto inutili, privi di concrete possibilità di utilizzo nel confronto contrattuale con i propri futuri mecenati, nella sola eccezione rappresentata da una qualche sua volontà ad abbandonare i propri metodi, la propria specializzazione nella quale era riuscita, comunque, a ritagliarsi un ruolo di celebrità, per tentare di conquistare un'area totalmente diversa.
Purtroppo, però, a ben poco sarebbe stato utile sprecare tempo per cercare di acquisire consapevolezza nel merito della natura, delle ragioni, delle logiche celate dietro a simile scelta, soprattutto e paradossalmente, dal punto di vista di colei che in quel particolare frangente era, fra tutti, più interessata a ciò, per quanto mantenesse tutto tacitamente nel proprio cuore, non volendo offrire alla propria avversaria alcuna possibilità contro di lei: la stessa Midda Bontor.

« Ottimo colpo, amica mia… » commentò, poi, il comandante temporaneo di quel battaglione della Confraternita, nel tornare a rivolgersi verso la controparte « Ma avresti dovuto attaccare per uccidermi, avendone la possibilità. La tua generosità sarà la tua rovina. »
« Sai perfettamente che se io ti volessi morta, tu già lo saresti. » replicò con freddezza la mercenaria, per poi spostarsi con lo sguardo a ricercare i propri compagni ad assicurarsi nel merito della loro condizione.

Howe, Be'Wahr, Seem e Sha'Maech, per quanto tutt'altro che soddisfatti dalla spiacevole piega assunta da quella situazione, dall'allarme che aveva trasformato l'ipotesi di una quieta ritirata in quella di una nuova e violenta battaglia, si ponevano raggruppati, divisi nella propria attenzione fra il confronto fra le due donne e la massa di possibili avversari posti attorno a loro. E se i due fratelli, ma anche lo scudiero, per quanto quest'ultimo probabilmente non ne avesse ancora una reale confidenza, sarebbero stati comunque in grado di difendersi perfettamente, qualsiasi conclusione sarebbe stata decretata per quell'assurda giostra, allo studioso, al saggio involontariamente ragione di quanto stava occorrendo, sarebbe stato utile pregare gli dei nei quali non offriva eccessiva fiducia per sperare che, in ogni caso, la sua vita sarebbe stata risparmiata in conformità con l'esigenza dichiarata nel merito delle sue conoscenze, delle nozioni da lui possedute, del ruolo che, ancora, avrebbe potuto avere in quella questione.

« Te lo chiedo un'altra volta… un'ultima volta. » tentò di argomentare, riprendendo in direzione della propria avversaria « Rinuncia alla follia di questa missione. Dimentica la fenice. Nuove avventure meritano la nostra attenzione più di quanto mai potrebbe offrire tutto questo, imprese memorabili che potranno ancora vedere i nostri nomi uniti nella gloria di leggende tramandate per l'eternità. »
« E' un tentativo ignobile ed indecoroso quello che stai offrendo in questo momento, per tentare di aver salva la vita… » sentenziò Carsa, sembrando del tutto sorda ad ogni ipotesi offertale da parte della propria interlocutrice, ad ogni alternativa postale innanzi in quel momento.
« Sai che non è così. » negò Midda, scuotendo appena il proprio capo ed incalzando verso di lei, senza pur abbassare la guardia, senza pur concederle possibilità di coglierla alla sprovvista « Chiedilo anche agli altri… chiedilo a Sha'Maech: un immenso tesoro, di inestimabile valore, attende solo di essere riportato alla luce, in questo stesso momento. Una ricchezza nel confronto della quale ogni promessa di ricompensa, riservata da lady Lavero in cambio del completamento di questa tua attuale missione, apparirebbe priva di valore… »

Ma la donna dai lunghi capelli castani non volle concedere un singolo ulteriore istante di attenzione alla propria ex-compagna, sebbene parole simili a quelle proposte verso di lei avrebbero suscitato l'interesse di qualsiasi mercenario, nell'intrinseca natura di tale professione, di simile impegno. Così, Carsa caricò nuovamente in direzione di Midda, lasciando roteare attorno al proprio corpo, quasi fosse priva di peso, la pesante ascia scelta da tempo quale propria arma, propria principale compagna ed amante, la quale, con un semplice contatto, un estemporanea e quasi impercettibile carezza sarebbe stata in grado di definire con assoluta banalità la conclusione di una vita.
E alla Figlia di Marr'Mahew, per quanto sconcertata da tanta indifferenza ad ogni pur allettante proposta, per quanto dispiaciuta da simile comportamento in contrasto ai sentimenti di familiarità che si era forse voluta illudere fossero stati instaurati con quella compagnia così come era sempre stata solita ritrovare negli equipaggi delle navi da lei frequentati nel proprio lontano passato, non fu offerta alternativa rispetto al difendersi, al levare nuovamente la propria spada, nel timore, sempre più concreto, di dover essere presto costretta a non limitare più i propri attacchi, a non frenare più i propri colpi.