11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

sabato 26 settembre 2009

624


C
osì invocata, così richiesta, con forza, con prepotenza quasi, l'ascia si abbatte senza ulteriori indugi, senza altre attese sulla superficie di solida roccia della coda di quella creatura, di quella statua animata, cercando di infrangerne la struttura cristallina, sperando di violarne la compattezza. Gesti decisi e precisi, quelli condotti dalla mercenaria, volti non tanto a ferire la propria avversaria, a provocare dolore là dove, probabilmente, mai essa ne avrebbe potuto provare, quanto piuttosto a costringerla a riportarle al suolo, a riavvicinarsi al terreno, nella privazione di quello che confidava essere un'estremità necessaria al mantenimento del volo, alla prosecuzione di qualsiasi ipotetico tragitto.
E la gargolla, in un primo istante del tutto indifferente a quella presenza non prevista, a quell'ulteriore carico inatteso, offrì dimostrazione di non gradire tanto accanimento, di non accettare simile affronto, probabilmente conscia di come, effettivamente, quella strategia avrebbe potuto dare i propri frutti. Ma per quanto essa tentasse di liberarsi dalla presenza della dona guerriero, per quanto le sue zampe inferiori cercarono di negarle quella presa a cui si era, invece, affidata, la Figlia di Marr'Mahew non demorse, non le concesse alcuna possibilità in tal senso, stringendo con le proprie dita di metallo la superficie in pietra di quel corpo senza alcuna remora, continuando a percuotere ritmicamente il proprio obiettivo, con solerzia non inferiore da quella che avrebbe offerto un fabbro nel confronto di caldo metallo appoggiato sopra la propria incudine.

« Continua così… dannazione… continua così! » incitò Carsa, con fiera soddisfazione nel rilevare l'insoddisfazione dimostrata alla propria carceriera, il tormento pur difficilmente espresso dal volto scolpito della propria controparte, così lontano da qualsiasi sentore di umanità e di mortalità e, nonostante tutto, in grado di lasciar trasparire un sentimento di disappunto per quanto stesse accadendo.

Senza requie, né desiderio alcuno in tal senso, il braccio mancino della mercenaria, con i propri complessi tatuaggi tribali, mostrò i muscoli delicatamente celati sotto la pelle madida di sudore, guizzare con energia, con costanza pur sempre crescente nell'azione in corso, nell'impegno intrapreso, nella volontà di piegare con la forza del metallo, dell'acciaio di quell'ascia, persino la solidità della pietra.
Sebbene solo poche scaglie, pochi frammenti fino a quel momento avevano accettato il proprio fato, si era piegati innanzi alla sua volontà, ella continuò imperterrita, a denti stretti, non riservando per sé alcuna energia, non precludendosi alcuno sforzo, ignorando ogni inevitabile contraccolpo subito dalle proprie membra, ogni reazione violenta impostale dalle proprie stesse azioni. E neppure il dolore che vivo si distribuiva in tutto il suo braccio, e in parte della sua spalla, giungendo nelle ossa, nelle articolazioni stesse, con la sensazione di infiniti aghi conficcati in lei ad ogni movimento, ad ogni colpo, servì ad invitarla a desistere, rendere meno aggressiva, meno decisa la propria offensiva. Al contrario, ella parve coartarsi ad aumentare la stretta della propria mano attorno a quell'impugnatura ad ogni istante trascorso, ad ogni ulteriore momento di disagio per simili sensazioni, come se da esse traesse paradossalmente uno sprone a proseguire in tal senso ancor prima che ad arrendersi.
La distanza dal suolo, nel mentre di quella pericolosa battaglia, non si poneva effettivamente eccessiva e se solo Midda avesse desiderato, avesse voluto, avrebbe potuto anche decidere di abbandonare la presa attorno a quelle zampe, lasciandosi ricadere e, probabilmente, sopravvivendo all'impatto senza neppure troppe ossa rotte, senza rischiare di costringersi ad una fine peggiore della morte, quale sarebbe potuta essere l'invalidità per una donna quale ella era, in un mondo quale era quello in cui ella viveva. Ma, nonostante il pericolo, nonostante l'incertezza di una qualsiasi possibilità di vittoria in quel confronto, nonostante l'inimicizia che aveva contraddistinto il rapporto con Carsa in quelle ultime ore, la donna non volle abbandonare la compagna, non volle condannarla a morte come, probabilmente, sarebbe accaduto se solo si fosse lasciata andare.
In tanta fermezza, in tanta decisione, ella riuscì nuovamente a forzare il fato, a plasmare il proprio destino, con l'energia propria del proprio carattere, con l'ardimento tipico della propria natura. E la coda, alfine, cedette, costringendo la creatura a perdere quota, a riavvicinarsi, priva di capacità di controllo nel proprio volo, al terreno dal quale, invece, aveva cercato di allontanarsi fino a quel momento di allontanarsi.

« Preparati all'impatto, Carsa… » gridò la donna guerriero, avvisando la prigioniera prima di rivolgere la propria attenzione verso chiunque altro sotto di lei, incitando con poche semplici parole, innanzitutto, i propri compagni e, più in generale, chiunque potesse sentirla ad attuare il proseguo del piano in quel fuggevole e propizio frangente, prima che un qualsiasi ulteriore imprevisto potesse negare loro l'occasione così guadagnata « Ora, ragazzi… ora! »

A dozzine furono le funi gettate, in conseguenza di quell'avviso, di quella richiesta, di quell'ordine, verso l'alto, corde lunghe e robuste, dotate di rampini o contrappesi di ogni genere, che andarono senza esitazione a vincolarsi al corpo della gargolla, alla pietra ed alla terra costitutiva di quelle membra, per catturarla, per imprigionarla, traendola con la forza di numerose braccia, con il peso di diverse decide di corpi, quella creatura al suolo, a porla ad un livello paritario a quello occupato da tutti gli uomini e le donne compagni e compagne delle vittime prodotte da quell'artefatto, da quel mostro. Ed essa, pertanto, si ritrovò ad essere improvvisamente, inaspettatamente sola, nel confronto con una superiorità numerica schiacciante, tale da negarle qualsiasi possibilità di evasione, qualsiasi speranza di fuga e, in ciò, di sopravvivenza, se mai di vita si fosse potuto parlare nel particolare caso rappresentato da quell'essere. Fosse anche stata due volte superiore in altezza e peso, fosse anche stata più temibile in aspetto e possibilità di uccisione a essa offerte dal proprio creatore al momento in cui quel corpo era stato plasmato, mai essa avrebbe potuto competere contro un quantitativo tanto elevato, ed infuriato, di avversari, che incuranti di ogni possibilità di danno o morte, la attaccarono con foga priva d'eguali, smembrandola in breve in frammenti tanto minuscoli da non poter neppure offrire speranza di una qualche ricostruzione dell'opera originale, ammesso che mai, un folle, avesse voluto impegnarsi in un tal atto.

« Per l'onore della Confraternita… » esultò un giovane guerriero, sollevando verso il cielo oscuro di quella notte, ancora illuminata dalle fiamme dei numerosi roghi, due metà complementari di quella che un tempo era stata la parte principale della testa della creatura « … oaaah! »

Non Midda Bontor, non la Figlia di Marr'Mahew, ebbe pertanto occasione di imporre il proprio nome su quell'impresa, su quella conquista, sull'uccisione di una creatura rara e indubbiamente preziosa quale quella contro la quale si erano tutti battuti in quel momento, quanto piuttosto la stessa Confraternita del Tramonto, lì rappresentata dal contingente per mezzo del quale, indiscutibilmente, quella vittoria si propose tanto repentina, tanto rapida, là dove fino a poco prima lo scontro, la battaglia era apparsa del tutto impari, improbabile in una risoluzione quale quella poi raggiunta.

« Oaaah!!! » risposero, prontamente, tutti i compagni, tutti i suoi pari, esultando in quel comune coro per il valore di quell'impresa, di quel successo nuovamente proprio della loro organizzazione, della famiglia di cui erano tutti parte e per cui si fregiavano di esserlo, nell'onorare in tale trionfo anche i loro ultimi caduti, coloro che, purtroppo, non avrebbero potuto godere della luce di una nuova alba.

Certamente la donna guerriero avrebbe potuto riservarsi un ruolo a dir poco centrale nella questione, dove senza la sua coordinazione, senza il suo intervento tanto audace, probabilmente quell'avversaria avrebbe potuto sterminare ancora molti fra gli uomini e le donne lì presenti prima di essere forse abbattuta: ma in quel momento l'attribuzione di tale gloria non si poneva fra le sue priorità, non si concedeva fra le sue urgenze, dove ben diverso, verso una questione di natura assolutamente contrapposta ed indifferente a tale argomento si spinse il suo primo pensiero, la sua prima domanda, ritrovata voce e controllo al termine della lotta, in seguito alla sconfitta del mostro.

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