11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

www.middaschronicles.com
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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

giovedì 7 gennaio 2010

727


« N
o! »

Nonostante fosse assolutamente rispettosa dello stile kofreyota imperante nella capitale, e in questo presentasse un’architettura estremamente regolare e geometrica, priva di rotondità di sorta, la locanda di Be’Sihl Ahvn-Qa non avrebbe mai potuto essere confusa, nelle proprie forme e proporzioni, con una torre, quali invece si affermavano essere una larga parte degli edifici caratterizzanti il profilo proprio della stessa Kriarya, ove eccessivamente onerosa sarebbe altrimenti risultata nella propria stessa erezione, con un costo, invero, poi privo di senso, di utilità, dal momento in cui difficile sarebbe stato per chiunque sfruttare lo spazio sì offerto per le funzioni proprie di una locanda. Essa era stata, quindi, altresì concepita e costruita su larga base rettangolare, elevata su quattro diversi livelli, dei quali, però, soltanto tre sarebbero risultati effettivamente visibili all’esterno: il sotterraneo, interdetto al pubblico e impiegato a metà fra un magazzino e una cantina, per le scorte necessarie al quotidiano operato proprio di un simile esercizio; il piano terra, diviso tra una vasta area, un’unica grande sala, utile ad accogliere i clienti desiderosi di nutrimento o di alcool, e una zona riservata alle cucine, nonché alle camere per il padrone di casa e per i suoi garzoni; e due piani superiori, frammentati in numerosi alloggi di dimensioni variabili utili per accogliere chi desideroso di riposo e, ovviamente, disposto a pagare in tal senso.
Non eccessiva nel proprio apparire, ma neppure modesta nel confronto con un ambiente qual quello della città del peccato e con tutte le altre locande, non assenti o scarse entro quelle mura, quella presenza avrebbe dovuto essere considerata, a ragion veduta, quale motivo di sincero orgoglio per il suo proprietario, per lo stesso Be’Sihl, dove unica sarebbe dovuta essere considerata, in tutta la capitale, nel suo potersi dichiarare qual assolutamente indipendente dal controllo, dall’influenza, di uno fra i tanti signori locali, uno fra i tanti autoproclamatisi nobili al pari di lord Brote. Un’autodeterminazione, quella così a lui riservata, che non sarebbe potuta essere giudicata qual banale, qual ovvia all’interno di quel particolare contesto urbano: al di là dei suoi modi pacati, del suo aspetto medio e privo di sostanziale appariscenza, il locandiere avrebbe dovuto quindi essere considerato meritevole di assoluto rispetto, in quanto chiaramente possessore di una forza d’animo, di un carisma, sconosciuto alla maggior parte degli uomini d’arme, che solo avrebbe potuto giustificare la posizione da lui così raggiunta e strenuamente difesa nel corso del tempo.
Negli ultimi anni, accanto a lui, a supporto di tale carisma, di simile forza, quale aiuto ipotetico e pur concreto, non necessario e pur gradito, si era poi aggiunta la figura di Midda Bontor, effimera ospite di una camera, la migliore di tutta la locanda, a lei altresì perennemente riservata al primo piano della locanda, un alloggio certo ove ella, in qualsiasi momento, avrebbe sempre potuto fare ritorno quasi fosse casa propria e, in effetti, in questo considerabile il luogo per lei più prossimo alla propria casa. Una partecipazione, quella offerta dalla mercenaria a tale attività, che era considerata da molti più lesiva che utile alla locanda, là dove raramente ella risultava effettivamente presente entro quelle mura e, quando tale, si rendeva puntualmente protagonista di una qualche rissa, richiedendo pertanto, successivamente, al locandiere di intervenire a risistemare i danni conseguenti alla stessa. Ciò nonostante, al di là di sentimenti personali che comunque lo legavano a lei, Be’Sihl si era mai considerato tanto cieco, tanto stolido, tanto avventato nel proprio giudizio, da ignorare la reale utilità di una tanto forte associazione fra il proprio nome e quello della Figlia di Marr’Mahew, ove la fama della medesima era capace di imporsi quale indubbio e utile deterrente nel limitare le ambizioni di molti sulla propria locanda. Tutto questo, comunque, senza poi ignorare quanto la stessa mercenaria non avrebbe mancato, di volta in volta, di ricompensare con generosità la disponibilità e la pazienza riconosciutale dal colui riconosciuto quale il proprio locandiere preferito, ancor prima di un caro amico, per una questione che ella era solita considerare qual principio di rispetto, e non obbligo, verso i suoi riguardi, non mancando in questo sia di rifondere sempre i danni da lei o per lei causati, sia di saldare il conto perennemente aperto per l’utilizzo esclusivo delle proprie stanze.
Disgraziatamente, però, come anche il fumo ancora eruttante dalle voragini nere un tempo considerabili le finestre legate a quegli stessi spazi avrebbe potuto perfettamente testimoniare, proprio nelle camere personali della donna guerriero avrebbe dovuto essere ricercata l’origine, la genesi del devastante incendio, che, in seguito, si era esteso a tutto l’edificio, consumando quasi completamente il secondo piano e salvando solo in parte il primo. E così, nello stesso punto dove, fino alla sera prima, allo sguardo del giovane scudiero sarebbe stata offerta la metà superiore della locanda, immagine a cui sarebbe dovuto essere considerato indubbiamente legato, cara ai suoi occhi e nei suoi ricordi, ora solo un cumulo di pietre annerite dal calore si sarebbero potute imporre innanzi ai suoi occhi, non riuscendo neppure a smettere di riversare verso l’alto dei pallidi cieli quel nero, macabro fumo, quasi un funesto lamento, un grido di dolore.
Quello che, allora, nel confronto con il suo stato d’animo, con le sue emozioni, avrebbe allora dovuto imporsi a sua volta quale prossimo a un urlo, trasparente di tutta la sua rabbia e di tutta la sua pena, elevato forse in contrasto a tutti gli ignoti dei che pur non lo avevano graziato, non gli avevano riconosciuto l’aiuto richiesto, si impose fra le labbra di Seem piuttosto simile a un rantolio, a un flebile sussurro, in concomitanza con il movimento del suo capo a offrire maggior enfasi a quel pur chiaro messaggio.

« No! No… vi prego… no! » gemette, ormai prossimo a una crisi isterica.

In simile frangente, psicologico ed emotivo, una voce giunse alle sue orecchie, richiamandone l’attenzione, l’interesse e traendolo, in ciò, in salvo da una crisi interiore nella quale si sarebbe altrimenti perduto, nel confronto con quel quadro di devastazione decisamente eccessivo per lui, per la sua possibilità di gestione e raziocinio, ritrovando in esso distrutto, dopotutto, non solo il proprio presente e futuro, ma anche il proprio recente passato, gli anni migliori che gli erano stati concessi di vivere nella sua pur giovane esistenza qual garzone al servizio di Be’Sihl.

« … endio è scoppiato questa notte, un paio di ore prima dell’alba: abito qui di fronte e ho visto tutto! »

Quell’accenno di resoconto sarebbe dovuto essere allora attribuito a uno dei tanti e anonimi volti fermi lì attorno, una piccola folla di curiosi intenti a spingere il proprio interesse verso quanto occorso, per quanto chiaramente animati da sentimenti meno appassionati di quelli che dominavano il cuore del ragazzo.
Tanta furia distruttiva, del resto, sarebbe dovuta essere considerata impropria, fuori dal comune anche per una città come Kriarya, per quanto essa fosse abituata a ogni genere di violenze e di barbarie, così come altri, esterni a quelle mura, non avrebbero mancato di definirle: in questo, quindi, quell’incendio non avrebbe mancato di far parlare di sé ancora per molti giorni, forse, addirittura, settimane intere, almeno fino a quando qualche altro evento non avrebbe spostato l’attenzione della massa verso obiettivi diversi, facendo rapidamente dimenticare quanto avvenuto così come era solito avvenire.

« Uno spettacolo tremendo… eccitante e spaventoso allo stesso tempo. » continuò a narrare, con l’enfasi pur tipica di quel genere di cronache, capaci di tendere rapidamente alla leggenda se solo non vi fosse stato imposto un freno di sorta « E’ una fortuna che lo scheletro dell’edificio, e tutta la sua struttura portante, siano in pietra, altrimenti non ne sarebbe rimasto neppure il ricordo. » aggiunse, esprimendo ora un dato di fatto ancor prima che una propria memoria, là dove, effettivamente, il danno sarebbe stato ancor più ingente se l’erezione fosse stata realizzata in legno.
« Dicono che Midda Bontor sia morta… è vero?! » incalzò una seconda voce, dando spazio, in simili parole, a quello che, probabilmente, sarebbe dovuto essere considerato il principale interesse della maggior parte degli ascoltatori lì radunatisi « Bruciata viva nel suo stesso letto! »
« E’ vero che ella è morta. Io stesso sono stato fra i primi a ritrovarne il corpo carbonizzato! » affermò, quasi dimostrando orgoglio nel valore che pur, da tale esperienza, avrebbe potuto considerare proprio, nell’esser stato testimone di simile evento, probabilmente accorso sul luogo dell’incendio a offrire un inutile soccorso, unicamente a tal scopo, per potersi riservare simile opportunità negata ai più « Ma non è stata bruciata viva: era già stata assassinata prima, trafitta da una spada a lei nemica!… »

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