11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

venerdì 26 febbraio 2010

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« M
idda? » tentò di richiamarla l’uomo, nel voltarsi, nuovamente, verso di lei, notando l’espressione sul suo viso, trasparente di un sentimento ben diverso dal divertimento prima dominante nel loro dialogo.

Per un lungo istante, la mercenaria ebbe difficoltà a comprendere, con precisione, ove si trovasse o cosa stesse accadendo: se, infatti, un istante prima attorno a lei sarebbe potuta essere dipinta una meravigliosa scena di allegra festa, un attimo dopo solo l’orrore più indescrivibile sembrava caratterizzare ogni aspetto della realtà, riplasmandolo in una nuova e angosciante forma. In questo, non solo l’uomo da lei amato, che pur, come se nulla fosse occorso, stava continuando a muoversi e a parlare accanto a lei, si stava altresì offrendo con una freccia conficcata profondamente nel cranio, dando forma a una terribile maschera di morte, ma anche l’intero villaggio le stava ora mostrando un volto completamente nuovo e capace di competere degnamente con quanto da lei affrontato nella propria lunga e avventurosa esistenza, incubi di ogni sorta capaci di spingere alla follia qualsiasi sfortunato spettatore che pur ella aveva, invero, accettato quali possibili nella propria quotidianità, nel corso delle proprie missioni sempre al limite del mito.
In tal modo, bianche e basse case squadrate, dai tetti piani, accoglienti alloggi similmente modellati nel confronto naturale con un clima particolarmente arido e privo di grandi piogge o, assurdamente, neve, stavano ora venendo trasformate in tuguri amorfi, simili a semplici tumuli di pietre nere, calde in modo innaturale e capaci di concedere all’olfatto un odore del tutto simile a quello del concime, quasi fossero state ricavate nel letame ancor prima che nella pietra. In tal modo, un centinaio di persone, gioviali, allegre, piene di vita e di volontà di vivere, fra giovani e anziani, uomini e donne, tutti di etnia shar’tiagha, stavano improvvisamente risultando quali mostri osceni, dalla pelle nera, dai denti e dagli artigli affilati, dagli occhi incavati e dai corpi sottili, quasi filiformi. In tal modo, simili commensali non stavano più apparendo intenti a nutrirsi da una grande tavola, ricca di frutta, verdura, vino fresco e tenera carne, quanto piuttosto da una sorta di orrenda fossa comune, rigurgitante davanti a loro cadaveri di ogni genere, alcuni recenti vittime di morte violenta, prive del naturale colore della vita e pur, ancora, non preda della putrefazione, altre, invece, ormai salme di tempi decisamente più remoti, queste ultime addirittura litigate fra i partecipanti a quel macabro convivio, evidentemente deliziati in maniera particolare dalla decomposizione lì imperante. E, sempre in tal modo, per quanto contrariata da tanto raccapricciante spettacolo, anche la stessa Figlia di Marr’Mahew si ritrovò, inaspettatamente, a esserne parte e partecipe, potendo notare solo ora come quanto da lei precedentemente stretta fra le sue mani e considerata semplicemente quale una grande fetta di pane fresco coperta da un’interessante tritura d’olive, sarebbe altresì dovuta essere giudicata quale un piede, amputato e ricoperto di vermi.

« Midda? Stai bene?! » insistette la voce di Be’Sihl, dimostrando ora sincera preoccupazione per lei.

Per un lungo istante, un attimo fuggevole e pur tanto intenso da apparire prossimo all’eternità, tale difficoltà a comprendere la realtà sembrò negare alla donna guerriero persino la possibilità di reagire a tanto nauseante spettacolo, a simile fiera dell’orrore, in una violenta lotta, un energico confronto fra la sua metà più istintiva, capace solamente di richiederle di impugnare la spada e di allontanarsi da tanta oscenità aprendosi la via nel sangue di chiunque avesse osato sperare di arrestarla, e la sua metà più razionale, incapace di accettare che, realmente, tale immagine potesse corrispondere alla realtà e non essere, banalmente, frutto di un’allucinazione, di un altro tremendo parto di una fantasia malata al pari di quanto già occorso in quella stessa giornata. Dove, infatti, una parte di lei le gridava interiormente di alzarsi e combattere, senza freni, senza pietà alcuna, un’altra parte di lei la supplicava di restare immobile, di non arrischiarsi a commettere una sciocchezza in un contesto tanto fragile, tanto delicato, dal momento in cui se già, in una prima occasione, le era stata concessa occasione di perdono dalla follia che l’aveva dominata, ora difficile sarebbe stato per chiunque giustificare un simile comportamento, un’isteria di quel genere in un frangente di cordiale festa quale era rimasta la loro realtà sino a quel momento.
Fortunatamente, in quell’incertezza, nel blocco similmente impostole dalla propria divisione interiore, la sua parte più razionale, più logica, apparve trovare occasione di vittoria morale sull’altra metà, quando, trascorso quel lungo istante, tutto parve ritornare alla normalità, rioffrendole davanti agli occhi lo spettacolo di cui aveva goduto fino all’insorgere di quella crisi.

« Midda?! » chiamò per la terza volta il locandiere, appoggiando la propria mano, con dolcezza, sul braccio mancino di lei, per attirarne l’attenzione, per richiamarla a contatto con la realtà dalla quale sembrava essersi psicologicamente distaccata « Amore… sei sicura di stare bene? »
« Io… »

Esitò, allora, la mercenaria prima di offrire una qualsivoglia direzione alla risposta sì richiestale, sì domandatale dal compagno, e pur quasi impossibile da poter formulare, dove difficile, per lei stessa, sarebbe stato valutare il proprio grado di salute, fisica e mentale, nel confronto continuo con immagini come quelle che erano appena svanite dalla sua mente, dal suo sguardo, e che tutto avevano brevemente riplasmato come a voler offrire spazio ad un incubo allucinante e allucinato.
Se, infatti, riferire di quanto occorso avrebbe sicuramente preoccupato Be’Sihl senza, però, offrirle in ciò una qualche speranza di comprensione su quanto stesse accadendo, minimizzare la questione avrebbe, al contrario, rappresentato un’imprudenza eccessiva, nel lasciarla potenziale vittima di una qualche infermità mentale o, peggio, di un qualche complotto ordito a suo discapito, tale da procurarle simili allucinazioni e da farle credere di poter essere completamente impazzita. E proprio per questo, obbligata apparve essere, alfine, la sua unica possibile scelta di reazione a tale richiesta.

« … credo di essere, effettivamente, un po’ stanca per il viaggio e per il colpo di sole di oggi. » continuò, appoggiando la fetta di pane sul bordo del piatto in legno disposto davanti a lei, e riccamente riempito da parte dei genitori dell’uomo, desiderosi di compiacerne il palato con i propri piatti migliori, prima di alzarsi in piedi « Ho bisogno di andare a distendermi. E concedermi qualche ora di sonno. »

Silenzio calò in conseguenza del movimento della donna, ove ella sarebbe dovuta essere giudicata, a ragion veduta, coprotagonista di quella festa e in questo oggetto dell’attenzione di chiunque lì presente, per quanto fisicamente distante da lei in quella grande festa: una quiete, la loro, non nata da disappunto, come apparve evidente sui volti di tutti coloro a lei vicini, quanto più da una preoccupazione non differente da quella precedentemente espressa da parte dello stesso Be’Sihl, nel non comprendere le ragioni proprie dell’improvviso distacco dell’ospite dal banchetto e nell’interpretare non positivamente, però, quanto emotivamente dimostrato da parte proprio del locandiere, unico possibile interlocutore per la sua compagna in quel particolare contesto.

« Per favore: spiega le mie ragioni e domanda, da parte mia, perdono per questo inatteso e prematuro allontanamento da tavola, ringraziandoli, però, per tutto quanto. » raccomandò la Figlia di Marr’Mahew, offrendo poi il più sincero sorriso che il suo umore le avrebbe potuto concedere in quel momento, chinando appena il capo in segno di rispetto verso tutti i propri anfitrioni, cercando di combattere, in tal mentre, il ricordo dell’orrore appena intravisto, nel non volerlo associare a quella realtà altresì meravigliosa, gioiosa, allegra e felice che pur, si rendeva conto, di star tremendamente rovinando con il proprio comportamento « Ogni vivanda offertami è stata una vera delizia per il palato e ci tengo che sappiano quanto ho davvero apprezzato ogni cosa. »
« Ma… » cercò di obiettare l’uomo, stupito al pari di chiunque altro per una svolta tanto imprevista e, ovviamente, imprevedibile.

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