11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

domenica 25 aprile 2010

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O
gni dubbio, ogni incertezza propria della donna guerriero nel confronto con quella particolare situazione, con la quiete dimostrata dai suoi compagni in quella Grande Caccia, e con le ragioni che avrebbero potuto giustificare un simile, assurdo comportamento, dovette presto essere isolato nella sua mente, dal suo stesso raziocinio, per riconoscere priorità, importanza, a una diversa e più opprimente questione, qual quella che avrebbe visto posto in gioco, nel senso stretto del termine, il suo stesso diritto alla libertà. Costringendosi, pertanto, a ignorare ogni altra preda volontaria in quell'occasione di festa, e, ora, anche ogni cacciatore, ella volse tutto il proprio interesse verso quello che, in maniera assolutamente evidente, si candidò al ruolo di teatro convenuto per quella sfida, per quella competizione, fortunatamente per lei presentando un aspetto ben diverso dalle vaste pianure, a metà fra il verde dell'erba e il giallo della sabbia, che li avevano circondati sino a quel momento. Alle spalle dei nove drappelli colorati, ordinatamente schierati in attesa dell'inizio dei sfida, in effetti, si stava mostrando quella che sarebbe potuta esser giudicata, senza particolari eccessi, quale una grande città, una capitale o, più propriamente, le rovine di quella che, in un lontano passato, doveva essere stata un'urbe non inferiore, in ampiezza e maestosità, rispetto a quella da loro appena abbandonata.
Alte mura adornate da enormi statue, nel rispetto della natura propria di simili resti, circondavano i confini propri di quel territorio, di quell'area, non celando tuttavia, nella propria stessa decadenza, i segni del tempo e, soprattutto, di feroci battaglie delle quali si dovevano essere ritrovate, loro malgrado, a esser protagoniste, scontri, evidentemente, conclusisi non in favore dei loro stessi antichi protetti, nel mostrare feroci squarci, brecce incredibili a vedersi, probabilmente frutto dell'azione devastante di enormi macchine belliche, lungo il proprio stesso perimetro, sufficientemente ampie da poter offrire il passaggio a interi eserciti. All'interno di tale cinta, tutt'altro che capace di impedire anche solo alla vista di spingersi indiscreta in un'ulteriore analisi di quanto ora lì presente, ancora perfettamente intuibili nelle proprie forme e proporzioni, gli edifici si proponevano in condizioni tutt'altro che migliori rispetto a quelle proprie degli stessi bastioni posti qual ultimo baluardo nella volontà di difenderli dai pericoli del mondo esterno: in uno scenario composto sia da piccole abitazioni, sia da imponenti palazzi egualmente diroccati, tetti crollati, pareti distrutte, colonne divelte e statue tremendamente mutilate non avrebbero potuto concedere possibilità di dubbio sullo stato di completo abbandono proprio di un simile contesto, non più città, ma semplicemente ombra di quanto in un'epoca remota avrebbe potuto essere. E sebbene ella sarebbe dovuta essere considerata obbligatoriamente impossibilitata a esprimere giudizi sull'effettiva età di quelle rovine, o, ancor meno, delle ragioni proprie del conflitto che le aveva generate, nell'osservare l'annientamento pur esplicito da esse similmente dichiarato, anche la mercenaria dagli occhi color ghiaccio, sì estranea alla storia di quella città o di quell'intero Paese, non poté evitare di intuire le ragioni per le quali il popolo shar'tiagho avesse preferito cercare nuova speranza alle proprie esistente in un'altra città, eretta pur non lontano da quella, piuttosto che impegnarsi nel tentativo, forse comunque vano, di ripristinare quanto distrutto, di ricostruire quanto abbattuto, e condannarsi, in tal modo, a restare per sempre a contatto con i fantasmi del proprio passato, i ricordi di una guerra sicuramente spiacevole, truce e, altrettanto certamente, conclusasi non in loro favore, priva, in ciò, di qualsiasi possibilità di memoria degna di essere onorata dai posteri.
Posta innanzi a tale, inattesa, sorpresa, l'ennesima di una sequenza già eccessiva rispetto a quanto da lei sarebbe stato gradito potesse caratterizzare un banale gioco, poche strofe di una lunga e vecchia ballata sorsero quasi naturali sulle sue labbra, forse perfette per descrivere la sciagura propria di quella capitale…

Di Cargheno lasciatemi cantare
la triste storia narrata dal mare,
gloriosa città d'epoca lontana
distrutta con collera disumana.
In terra del sud, su nordica costa,
ove fiume si versa senza sosta,
venne eretta in giorni lucenti
dal fiero ardore di forti genti.

Sola colpa fu, per loro, sfidare
chi non riuscirono a superare,
civiltà crudeli e differenti
che si imposero, alfin, vincenti.
E non, dei cancelli, la fine rosta,
delle finestre, l'amena imposta,
si preservaron dall'ira malsana
che tutto spazzò come tramontana.

Nel desiderio di distruzione
che mai riconosce limitazione,
i nemici allor sparsero sale
sull'intero, di Cargheno, crinale.
Così che non un fiore, non dell'erba,
potesse crescer ancor, acciderba,
su quelle lande da lor maledette
per, di anni, settanta volte sette.

Nonostante ogni malinconica dedica a una tale rovina, l'idea, così presentatale, nell'esser posta innanzi a un'intera città quale ambientazione per quella Grande Caccia, invero, non poté evitare di stuzzicare in maniera sincera e vivace la fantasia della Figlia di Marr'Mahew, il suo desiderio di confronto in quella particolare competizione, molto più di quanto non sarebbe potuto avvenire in un qualsiasi altro contesto, qual persino quello di un'eventuali foresta, pur non facilmente reperibile entro i confini propri di quel regno.
In ciò, nonostante lo squilibrio tanto marcato esistente fra prede e cacciatori, e là presenza inattesa di un aiuto tanto impudico ai nove aristocratici ipotetici protagonisti di quell'evento, Midda fu costretta a riconoscere al popolo eletto, che tutto ciò aveva pianificato, progettato, e più volte celebrato, un certo senso dell'onore, una certa correttezza, nell'aver effettivamente riconosciuto, in simile scelta, una possibile occasione di equilibrata sfida, di sincero agonismo, senza cedere al pur umano istinto di trasformare il tutto in una completa farsa, in quella semplice e indiscriminata mattanza da lei stessa poc'anzi temuta nel concentrare la propria attenzione solo sulla composizione delle schiere avversarie ancor prima di spostare il proprio sguardo oltre le stesse. Entro quelle mura, in effetti, ai detenuti sarebbe stata concesso il favore di un terreno, di un ambiente, ricco di possibili nascondigli, di rifugi, ai quali poter fare affidamento sia nell'arrendevole volontà di attendere l'inevitabile cattura, sia in quella più combattiva di voler organizzare una qualche resistenza e, in questo, di ritagliarsi una speranza di vittoria, in beffa a ogni attesa sconfitta, disfatta, alla quale, solo, sembravano essere destinati dal costante successo proprio dei cacciatori in qualsiasi, precedente, celebrazione di quello stesso evento.
Un'occasione di equa competizione, quella lì volontariamente loro offerta e riservata, che fu sottolineata, evidenziata, esaltata ulteriormente dal successivo e immediato sviluppo della questione, nel momento in cui, a seguito di lunghi discorsi nel merito dei quali, ovviamente, Midda non ebbe alcuna possibilità di comprensione, vide comunque trasparentemente garantito, alle prede, un certo vantaggio sui propri cacciatori, in un ingresso anticipato all'interno di quelle mura, allo scopo di potersi lì meglio disperdere, e, in ciò, poter garantire un effettivo diletto in quella che sarebbe potuta finalmente apparire qual una reale caccia all'uomo.

« Che la festa abbia inizio… » sorrise, prima di slanciarsi al seguito di tutti i propri compagni.

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