11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

domenica 25 luglio 2010

926


N
ella notte successiva al rifiuto della donna guerriero di adempiere agli obblighi derivanti dal proprio contratto, due, fra i dodici mercenari incaricati dal nobile Be’Gahen di risolvere la questione Midda Bontor, non tardarono a presentarsi a lei, agendo di propria iniziativa e, ancor peggio, all'oscuro dei propri compagni di ventura, dal momento in cui tutti gli altri si erano espressi in aperto contrasto a una simile strategia, a un attacco tanto avventato.
Tanta fretta, simile urgenza, tuttavia, non fu loro ripagata, ponendoli drammaticamente a confronto con una donna, di per sé, già intimamente agitata, irrequieta e, per questo, soltanto più che felice di poter scaricare la tensione accumulata nello scontro allora offertole con una coppia di avversari tanto stolidi da poter pensare di sorprenderla con l'aiuto delle tenebre e, forse, di un suo momento di sonno. In verità, fosse anche riuscita a riservarsi una minimale occasione di riposo, difficilmente la donna guerriero avrebbe mancato di avvertire l'arrivo di coloro in tal modo candidatisi alla sua cattura, essendosi abituata, ormai da anni, a evitare di concedersi profondi distacchi dalla realtà, là dove, in tal caso, in una professione qual la sua e, soprattutto, in ambienti quali quelli da lei usualmente frequentati, difficile sarebbe probabilmente stato riservarsi una qualche successiva possibilità di risveglio, di ritorno alla veglia. E a peggiorare la già pessima situazione similmente riservata ai due sventurati, quella notte troppi pensieri si stavano impegnando a mantenerla sveglia, costringendola, nonostante un lungo bagno, necessario a liberare il suo corpo della sabbia accumulata in ogni angolo, e un'intensa attività fisica, utile a distrarre parzialmente la sua mente dai propri dubbi, dalle proprie incertezze, a rigirarsi priva di requie sul proprio scomodo giaciglio e a invocare, continuamente, il nome della propria dea prediletta per richiederne l'assistenza, l'aiuto, apparentemente indispensabile al fine di placare il proprio animo tormentato.

« Thyres… »

A impegnare la sua sinceramente stanca mente, in quella calda notte estiva, non sarebbe dovuto essere considerata semplicemente l'argomento tanto caro anche a Be’Gahee, a suo padre Be’Gahen, e ai dodici mercenari sguinzagliati sulle sue tracce, sebbene proprio con quelle preziose reliquie ella si stesse allora impegnando a giocherellare, tenendole alternativamente in equilibrio sulla punta delle proprie dita, nel ritrovarsi sdraiata nuda e supina sul letto nel quale, vanamente, stava tentando di raggiungere occasione di estemporaneo oblio. Al contrario, in quel momento, nulla le sarebbe potuto realmente importare nel merito del fato proprio di quegli scettri, quei bastoni per lei completamente privi di valore, e dei quali si sarebbe volentieri sbarazzata se non fosse stato per quell'assurdo istinto che le aveva impedito di consegnarli al proprio mecenate: centrale, e forse naturale, tema dei propri pensieri, delle proprie agitate elucubrazioni, si concedeva, infatti, l'idea del prossimo ricongiungimento al proprio amato, e pur rinnegato, Be'Sihl. Se, dopotutto, nell'accettare l'incarico del recupero di quei due balocchi dorati, ella aveva sì, intimamente, deciso di evitare la fuga da lui, qual sarebbe facilmente potuta avvenire nella ripresa del proprio peregrinare all'interno di quel regno per lei sconosciuto, al tempo stesso aveva anche sperato di riservarsi un impegno professionale lontano da quelle stesse mura per un tempo sufficiente a distrarsi dalle preoccupazioni, dall'ansia derivante dal semplice pensiero di quell'incontro, e, forse, persino tale da farla ritornare a Teh-Eb in un momento successivo al suo stesso arrivo, così da essere, sostanzialmente, costretta in quel confronto senza potersi concedere alcuna possibilità di ripensamento a tal riguardo, qual, altresì, in quello stesso momento non avrebbe potuto negare stesse accadendo.
Da sempre incapace a mantenere un reale rapporto sentimentale con gli uomini da lei pur sinceramente, e appassionatamente, amati, la Figlia di Marr'Mahew avrebbe potuto far triste vanto di una lunga serie di compagni abbandonati nel proprio passato, figure stupende, praticamente perfette, capaci di donarsi a lei oltre ogni limite, e dalle quali, purtroppo e stupidamente, ogni volta si era puntualmente allontanata, forse temendo di poter porre in dubbio la propria preziosa libertà, la propria irrinunciabile autodeterminazione, se solo avesse saldamente legato il proprio fato a quello di un'altra persona. Ultima vittima di tal maledizione, non conseguenza di un arcano potere, quanto, peggio, della sua stessa natura, della sua intrinseca psiche, avrebbe potuto essere così conteggiato proprio Be'Sihl, dal quale ella non avrebbe voluto separarsi, non avrebbe voluto allontanarsi, e dal quale, altresì, stava facendo di tutto in senso contrario, arrivando addirittura a ingannare se stessa nel ritenere di star agendo correttamente a tal riguardo per il suo stesso bene, per potergli evitare qualsiasi pericolo, qualsiasi rischio, soprattutto a seguito di quanto occorso per il crudele intervento di Desmair, suo marito.
Solamente qual assolutamente grottesco, in tutto ciò, ella non avrebbe potuto evitare di giudicare quel suo stesso matrimonio, evento sopraggiunto forse a dimostrazione di un pessimo senso dell'umorismo proprio degli dei, o, più probabilmente, a giusta punizione per chi tanto timorosa di poter perdere la propria indipendenza nell'accettare la presenza di un sincero amante al proprio fianco. A quel colosso dalla pelle simile a cuoio rosso, dalle zampe da ungulato in sostituzione di consueti piedi, e dalle gigantesche corna bianche poste ai lati del capo, semidivinità apparentemente immortale, ella si era ingenuamente legata così come mai aveva neppur vagamente supposto di poter fare con qualsiasi altro uomo, nella convinzione di non poter ricevere danno alcuno da simile vincolo, se non, addirittura, di poter facilmente ovviare allo stesso. Purtroppo, eccessivamente tardiva era stata in lei la presa di coscienza nel merito del reale errore così commesso e, in ciò, della reale libertà alla quale si era ritrovata a rinunciare non per amore, non per un proprio premuroso compagno, quanto, tragicamente, per adempiere a un incarico, a una propria missione, dal momento in cui, per quanto impegno ella avesse realmente posto nel tentativo di liberarsi di lui, a nulla era servito un qualsiasi sforzo, presentandole forse, e assurdamente, il solo avversario in contrasto al quale tutta la sua abilità guerriera sarebbe stata assolutamente inutile. Ovviamente ella non avrebbe mai accettato un'ipotesi di resa in tal senso, non avrebbe mai fatto propria l'idea di un'inevitabile sconfitta nel confronto con tale avversario, mantenendosi certa di poter giungere, un giorno, a individuare un modo per sconfiggerlo, un'arma utile a ucciderlo: ciò nonostante, nel frattempo, semplice occasione di scusa sarebbe potuta derivare dall'esistenza in vita di Desmair per giustificare, nel confronto con la sua coscienza, la rinuncia all'amore di Be'Sihl, al calore del suo abbraccio che pur ogni fibra del suo essere stava invocando sin dal giorno del loro inespresso addio.

« Thyres… » ripeté per l'ennesima volta, sempre più inquieta, addirittura scaraventando contro il soffitto i due scettri dorati in conseguenza dell'irritazione crescente in lei per l'eccessiva confusione interiore conseguente al pensiero del proprio dolce locandiere shar'tiagho, tanto desiderato quanto rifuggito « Ti prego, con il cuore in mano: concedimi una distrazione… o questa notte potrei impazzire! »

Come non poter giudicare l'improvvisa comparsa in scena di ben due candidati volontari a tal ingrato compito, in immediata conseguenza a quella stessa invocazione, qual dimostrazione dell'affetto proprio della dea verso la sua umile fedele? Come poter dubitare dell'interesse di quella pur silenziosa figura sovrana delle acque degli infiniti mari verso una delle sue tante figlie, nel momento in cui quella coppia chiaramente animata da pessime intenzioni varcò, con quella che essi evidentemente mal giudicarono essere sufficiente discrezione, adeguata leggerezza di movimenti, il limite rappresentato dalla sola finestra presente in quella camera di locanda da lei temporaneamente affittata?
Impossibile per chiunque, persino privo di fede in quella particolare divinità, sarebbe potuto allora essere disconoscere la benevolenza della dea verso la mercenaria, ove tanto chiaramente espressa, tanto indiscutibilmente manifestata. E, di certo, non la donna guerriero si sarebbe allora permessa insolenza alcuna verso di lei…

« Oh… mia somma signora! Lode a te e al tuo nome! » esclamò Midda, scattando a sedere sul letto e sgranando gli occhi con sincera cupidigia a quella generosa offerta « Non credo di esser degna di tanto, ma a te non posso che elevare il mio più sincero ringraziamento per questo insperato dono… »

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