11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

giovedì 19 agosto 2010

951


B
e'Sihl non desiderava cedere al sonno.
In conseguenza al colpo ricevuto alla base della nuca, troppe ore della via del locandiere della città del peccato kofreyota erano state ingiustamente sottratte, costringendolo, violentemente e prepotentemente, inerme qual solo avrebbe potuto allora essere, a venir nel contempo trasportato da quella che avrebbe dovuto essere apprezzata quale l'approssimarsi della possibilità di concretizzazione di un sogno, nel ricongiungimento con la propria amata Midda, sino allo sgradevole imporsi di un chiaro incubo, qual solo, reciprocamente, avrebbe potuto essere accolto il pensiero di essere stato così destinato a una vita di schiavitù nel vicino regno di Far'Ghar, terra ai suoi occhi estremamente più barbara di quanto i propri connazionali non fossero soliti giudicare i regni del sud. In simile scenario, dal suo personale punto di vista, nel confronto con il suo intimo pensiero, accettare di arrendersi, abbandonando lo stato di veglia, chiudendo gli occhi e ricercando un'occasione di oblio, ove anche particolarmente richiesto da un corpo ancora troppo stanco, affaticato in conseguenza degli eventi subiti, sarebbe equivalso, banalmente, a offrire una nuova e gratuita possibilità ai propri avversari, ai propri nemici, per rubargli un'altra importante parte della sua vita, invitandoli a predisporre liberamente per lui un cammino lungo il quale ovviamente non avrebbe voluto assolutamente inoltrarsi, e aiutandoli, in tal senso, attraverso la complicità offerta dalla sua più completa ignoranza, dalla sua più sincera indifferenza, qual indubbiamente si sarebbe rivelata alfine essere l'apparente innocenza del suo stesso sonno.
Non che, in verità e d'altra parte, egli desiderasse invece illudersi del fatto che, restando sveglio, sarebbe mai potuto dimostrarsi di qualsiasi ostacolo, in alcun modo, ai propri avversari, nell'attuarsi dei loro piani, dei loro progetti a suo discapito. Non tanto ingenuo o tanto stupido, l'uomo era perfettamente in grado di comprendere quanto vana sarebbe stata quella sua scelta, inutile, superflua, se non addirittura dannosa, nel privarlo di quel ristoro fisico e di quella tranquillità mentale che, forse, il giorno dopo gli avrebbero concesso di affrontare quella questione da una prospettiva diversa. Ciò nonostante, egli si proponeva comunque certo di come, sotto un profilo assolutamente psicologico e emozionale, avallare quell'occasione di riposo sarebbe stato pari ad approvare implicitamente la propria attuale condizione, cedendo ai propri nemici, chinando il capo dinnanzi a essi, e, in ciò, ammettendo una propria rinuncia a qualsiasi futuro di felicità o di pace: per tal ragione, Be'Sihl non desiderava cedere al sonno, non desiderava permettere ai propri occhi di chiudersi e alle proprie membra di rilassarsi, trasferendo la sua coscienza in un'altra dimensione, in un'altra onirica realtà, nel mentre in cui il suo corpo avrebbe potuto, forse, riservarsi allora una qualsivoglia occasione per recuperare le energie comunque attualmente perdute.
Tuttavia, alfine anche egli dovette cedere ai limiti dettati dalla propria stessa umanità, dalla propria intrinseca natura mortale e, per questo, potenzialmente fallibile anche nei propositi più seri, più convinti, ponendosi proprio malgrado praticamente costretto a perdere i sensi, e così crollando addormentato, addirittura in anticipo rispetto a qualsiasi altro prigioniero all'interno di quella tenda. Che tal sconfitta avesse da essere attribuita alla stanchezza già predominante in lui; quanto, piuttosto e diversamente, alla forzata quiete lì imposta, in un ambiente del tutto privo di qualsiasi speranza di dialogo, di qualsiasi ipotesi di confronto; o, ancora, addirittura al caldo, comunque elevato in quella zona desertica e in quel particolare periodo dell'anno, a ben poco sarebbe mai potuto interessare a lui o ad altri: il risultato finale non avrebbe potuto essere considerato poi diverso da quello tanto esplicitamente espresso nello smarrimento della propria stessa coscienza. E quando ciò accadde, non una quieta occasione di sonno, una tranquilla possibilità di pur vaga illusione, di estraneazione dalla realtà, gli fu riservata, imponendogli, al contrario, un ruolo da protagonista in un nuovo canovaccio, in una nuova trama per lui ordita da un oscuro regista…

« Ti sei fatto attendere non poco… per fortuna, alla fine, il tuo corpo ha imposto alla tua stolida mente il necessario riposo. In certe occasioni, infatti, l'istinto animale è in grado di proporsi più positivamente determinante di qualsiasi raziocinio umano, soprattutto nella necessità di sopravvivere. »

Fu questione di un attimo, un momento fugace, intangibile, e pur perfettamente percettibile, qual inevitabilmente sarebbe potuto essere in conseguenza a un brivido freddo non dissimile da quello già provato nel confronto verbale con Be’Lehe. Quanto poco prima si era proposto qual buio e desolato oblio, improvvisamente si trasformò in una sensazione di vuoto, quasi, improvvisamente, il suolo sotto al suo corpo fosse scomparso, lasciandolo precipitare verso il nulla, in un baratro privo di possibilità di uscita: in quello stesso istante, quella voce, quelle parole, ammantante di un tono beffardo, giunsero a lui, costringendolo ad aprire gli occhi, a cercare risveglio e, in ciò, a scoprire drammaticamente di non poter avere alcuna occasione in tal senso.
Se, infatti, un istante prima egli aveva chiuso, involontariamente, i propri occhi, concedendosi quale impossibilitato a qualsiasi movimenti, nell'essere incatenato all'interno di una tenda in pieno deserto, prigioniero di un gruppo di predoni che, se pur gli avevano risparmiato l'esistenza, non gli avrebbero negato un destino da schiavo, un attimo dopo, ancora reso ansioso dalla sensazione di vuoto sotto di sé, spiacevole, sì, e pur ancora associabile a un contesto di consueta normalità, di tranquilla normalità, dove conseguenza di un disorientamento comune a molte persone in un istante di incertezza fra il sonno e la veglia, Be'Sihl si ritrovò a osservare un mondo nuovo, una realtà del tutto diversa, estranea, nella propria fattura, non solo a quanto attorno a lui precedentemente presente, quanto, peggio, aliena persino alla stessa cultura shar'tiagha, quasi, improvvisamente, fosse stato catapultato in un luogo lontano: un castello o una fortezza, a presumere dall'aspetto delle pareti attorno a sé. Ancor più sconvolgente rispetto a quell'improvviso e inatteso viaggio, comunque, avrebbe dovuto essere, e fu, accolta l'immagine propria di colui identificabile qual il proprio interlocutore, una controparte non solo priva di qualsiasi caratteristica propria dei suo carcerieri o di qualsiasi suo connazionale, quanto, addirittura e peggio, dell'intera razza umana, nel dimostrare su proporzioni enormi, smisurate, un corpo caratterizzato da una pelle simile a cuoio rosso, zampe inferiori simili a quelle proprie degli ungulati, enormi mani artigliate e, per quanto assurdo, smisurate corna attorno al proprio capo, apparentemente simili a quelle dei minotauri dei miti propri delle regioni meridionali del continente e, pur, incapaci di permettere qualsiasi pur vaga connessione fra i medesimi e quell'essere così ora impegnato a rivolgere nella sua direzione la propria voce, sorridendo sarcastico e divertito con un atteggiamento assolutamente più prossimo a quello di un uomo che a quello di un toro, o di un essere dalla testa taurina.

« Dei… è sogno o realtà, tutto questo?! » si domandò il locandiere, cercando di muoversi e, al contempo, persino incerto sull'effettiva esistenza di un corpo da poter spostare, di poter gestire, qual comunque si dimostrò effettivamente essere in conseguenza di quel tentativo ancor più istintivo che razionale « Non può esser realtà… »
« E pur è realtà. » annuì il mostro innanzi a sé, muovendo l'enorme capo con fare affermativo, nel mentre in cui l'espressione già tipica del suo volto ancora non sembrava desiderare abbandonarlo « Una realtà concreta quanto le catene che vincolano i tuoi arti all'interno di quella disgraziata tenda nel quale hai permesso ai tuoi avversari di catturarti. »
« Come può essere realtà questo, dal momento in cui tu stesso dichiari l'esistenza del mio stesso corpo lontano da qui? » questionò l'uomo, nel mentre in cui, una parte del suo intelletto, della sua ragione, già era giunta a maturare consapevolezza nel merito dell'identità del proprio interlocutore, per quanto assurdo avrebbe dovuto esser considerato tale pensiero « Deve esser sogno… »
« E' anche sogno. » non negò la creatura, socchiudendo i propri occhi gialli, con ferino fare predatorio « Un sogno, tuttavia, non frutto della tua mente, della tua fantasia, quanto piuttosto della mia volontà, del mio desiderio di comunicare, in qualche modo, con te, prima che potessi compiere qualche spiacevole sciocchezza, compromettendo in maniera irrimediabile il tuo futuro, la tua speranza di sopravvivenza e, in ciò, offrendo ragione di dolore, di disperazione, a colei che dichiari di amare… colei che, per dovere di cronaca, ha formulato solidi voti davanti a tutti gli dei qual mia sposa. »

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