11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

martedì 14 settembre 2010

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S
e il senso di inquietudine non avesse offuscato qualsiasi altro sentimento, rendendo per lui estremamente difficile riuscire anche solo banalmente a elaborare una frase di senso compiuto da proporre qual risposta a un simile esordio, a una tale introduzione, velatamente minacciosa e pur non esplicitamente in suo aperto contrasto, probabilmente Beri Vemil, malgrado tutto il sincero amore che lo legava alla sua sposa, non avrebbe potuto ovviare a subire il fascino proprio delle sue due ospiti, nell'afrodisiaco contrasto, presente in ognuna delle due, fra indubbia sensualità e altrettanta inequivocabile pericolosità. E se, nel frangente proprio di quel particolare momento, in colei presentatasi Duva Nebiria il primo carattere si proponeva nettamente superiore rispetto al secondo, in colei presentata quale Midda Bontor il fattore di rischio si imponeva altresì in assoluta compensazione della compagna, lasciando in ciò pendere un metaforico ago della bilancia complessivamente più in direzione della nocività espressa della coppia, rispetto, comunque, alla voluttà inevitabilmente propria di due meravigliosi corpi femminili.
Il primo ufficiale della Kasta Hamina si introdusse all'attenzione del proprio anfitrione quale una donna di età compresa fra i trenta e i quarant'anni, probabilmente più prossima al secondo traguardo che al primo, e pur ancor dotata di un'energia, di un vigore, che l'avrebbero proposta qual estremamente competitiva anche in confronto con l'immagine propria di una splendida ventenne. Un corpo alto e slanciato, il suo, che sarebbe probabilmente risultato elegante e provocante anche ove rivestito da un sacco di iuta e non, altresì, dagli abiti lì sfoggiati, naturalmente capaci di accentuare ancor più quanto già a lei generosamente donato dalla natura. Forse in conseguenza di una semplice casualità, o forse, piuttosto, in virtù di una definita volontà della medesima, nel quadro allora proposto da Duva, due sarebbero potuti essere riconosciuti quali i colori predominanti: il marrone e l'oro. Entrambe sì riprese dai suoi abiti, tali tonalità erano invero già legate a lei sin dalla sua stessa presenza fisica, nel ritrovare la prima propria della sua scura carnagione e dei suoi capelli castani, mentre la seconda presente nei suoi occhi, probabilmente a loro volta classificabili quali castano chiaro, e pur incredibilmente dotati di un riflesso giallo-arancio tale da generare l'impressione di essere posti a confronto con due monili dorati. Di tali preziose presenze, ella offriva spettacolo al centro di un volto a forma di cuore, più tondo che ovale e delicatamente appuntito all'altezza del mento, dolcemente ornato, oltre che da quegli stessi occhi dorati, anche da un corto naso leggermente schiacciato sulla propria punta e da una coppia di labbra particolarmente carnose, simili a frutti maturi dai quali, probabilmente, qualsiasi uomo avrebbe potuto desiderare ricercare il piacere di una appassionato gusto d'amore. A incorniciare tale volto, oltre a due eleganti e proporzionate orecchie, era poi un'incredibile cascata di capelli, lì ipoteticamente ordinati in una fitta serie di lunghe e sottili trecce, e pur, in conseguenza di una massa concretamente ingestibile nel proprio volume, ancora capaci di presentarsi inevitabilmente confusi, caotici. Spostando la propria attenzione dal capo al corpo, nel discendere lungo un lungo collo perfettamente tornito, lo sguardo sarebbe inevitabilmente ricaduto sulle forme di una coppia di seni maturi, sodi, non eccessivi nelle proprie dimensioni, e pur posti in risalto dalla presenza di uno stretto bustino dorato, allacciato sul fronte in un lungo e complesso intreccio di stringhe marroni, preposto a serrare intero ventre della donna e a sostenere e sollevare tali femminili forme, in una scelta probabilmente più rivolta al vezzo che a questioni di utilità pratica, sebbene, lasciando così scoperte spalle e braccia, ella avrebbe potuto assicurarsi assoluta libertà di movimento per le medesime. Le stesse spalle e braccia, in quel momento, non erano però visibili, nell'essere coperte, sotto un lungo giaccone marrone chiaro, decorato nei propri bordi anteriori da una duplice fascia bianca sulla quale risaltavano, ancora dorati, una lunga serie di ganci, ancor probabilmente più significativi sotto un profilo estetico ancor prima che per ragioni di effettiva necessità: così nascosti, gli arti superiori della donna, longilinei ma dotati di una guizzante muscolatura estremamente allenata, non avrebbero purtroppo potuto rendere il giusto tributo alla presenza di un duplice tatuaggio tribale, praticamente speculare a destra come a sinistra, lì insolitamente impresso nuovamente in tonalità dorate, invece che in colori più consueti. Proseguendo ancora verso il basso lungo quello stesso corpo, alfine, si sarebbe quindi giunti a un perizoma dorato, prevalentemente coperto da pantaloni di pelle marrone, nelle cui forme, tuttavia, parte delle accattivanti cosce della donna risultavano maliziosamente svelate da due aperture laterali fra la cintura e il ginocchio, per concludere, all'altezza dei piedi, con due stivali marroni, appena appuntiti nelle proprie estremità.
Se in un confronto diretto con lei, il capo della sicurezza sua compagna di ventura e accompagnatrice in quella breve missione, sarebbe allora apparsa forse meno sensuale rispetto al proprio comandante, nessuno avrebbe potuto, in fede, definire qual sgradevole la seconda figura femminile lì presente, padrona, a propria volta, di evidente fascino e di indubbio carisma nel confronto con il quale pochi uomini, forse nessuno, avrebbe potuto offrire disdegno. A definire maggior distanza fra le due donne in termini di mera bellezza fisica contribuiva chiaramente, meno attenzione, meno cura nella scelta del proprio abbigliamento in Midda, risultato trasparente di un'attenzione in lei più rivolta alla praticità che all'eleganza o, banalmente, alla possibilità di attrarre a sé l'interesse di un qualche esemplare umano maschile: in verità, sebbene avesse superato da qualche tempo il traguardo dei quarant'anni, se solo ella avesse voluto avrebbe probabilmente potuto competere senza problema alcuno con la propria più giovane compagna, nell'offrire evidenza di una pelle ancora fresca, incredibilmente chiara nella propria carnagione e ornata da leggere spruzzate di efelidi, tali da concederle un'aria quasi sbarazzina, priva della maturità per lei pur propria. Oltre a tali particolari, e accanto agli occhi color ghiaccio e alla tremenda cicatrice posta sul sinistro immediatamente notati dall'uomo loro avversario, a completare il quadro offerto dal suo volto, avrebbero poi dovuto essere citate labbra non meno carnose, o cariche di passione, rispetto a quelle dell'altra, sopra a un meno segnato da una piccola fossetta al proprio centro: a circondare quel viso, ancora una volta in apparente contrasto alla volontà di apparire in quanto donna, erano poi corti, cortissimi, capelli rossi, lì ordinati non con un taglio marziale, tipico di molti soldati, e, ciò nonostante, così mantenuti sempre per questioni di comodità e praticità. Dove anche, tuttavia, la sua femminilità sembrava voler essere tanto severamente castigata dallo sfregio e da simile taglio di capelli, alcuna negazione sarebbe, poco sotto, potuta essere imposta in contrasto alla generosa abbondanza dei suoi seni, in proporzioni nettamente maggiori rispetto a quelli dell'altra, e pur, nonostante la loro inevitabile maturità, ancora sufficientemente colmi e sodi da poter generare inevitabile invidia in qualsiasi donna posta a suo confronto, oltre che prevedibile interesse in qualsiasi uomo sospinto in eguale posizione: simili forme, sebbene ipoteticamente celate sotto una tuta bianca da lavoro che mai avrebbe, per quanto abbondante, potuto negare tanta presenza, svelavano tutta la propria presenza per opera di una nera cerniera lasciata strategicamente maliziosamente abbassata sin quasi oltre la loro stessa curva inferiore, prima di proseguire, discretamente chiusa, lungo tutto l'addome di lei e, più in basso, sino all'altezza del suo basso ventre. Non solo tale cerniera, in effetti, appariva evidente, per il proprio colore nero, sul bianco di quell'abito tutt'altro che femminile, nella presenza, alla vita della donna, di una grossa cintura nera e di una coppia di bretelle di eguale tonalità da lì a risalire verso l'alto, nel congiungersi a due protezioni per le spalle ugualmente nere: tanto la cintura, quanto le bretelle, in effetti, avrebbero dovuto essere giudicate quali lì preposte non tanto per un ipotetico impegno rivolto al mantenimento di inesistenti pantaloni, ove parte della medesima tuta, quanto, piuttosto, a proporsi qual supporto per un lungo fodero da spada, presente sul suo fianco destro, e a una grossa guaina da arma da fuoco, altresì predisposta sulla sua schiena. In simile quadro, se gli arti inferiori si mostravano poi celati, oltre che dai pantaloni, anche da una coppia di altissimi stivali neri legati strettamente attorno alle forme sinuose di quelle gambe da un complesso intreccio di lacci, gli arti superiori non si riservavano un trattamento sì omogeneo: nel mentre in cui il braccio mancino, con i propri tatuaggi tribali blu e azzurri, si presentava tranquillamente celato sotto la manica della tuta, lì addirittura affrancata da un bracciale dorato a forma di serpente posizionato a metà fra spalla e gomito; il braccio destro era altresì posto in piena luce dall'assenza di qualsiasi stoffa a sua protezione, svelando in tal modo la presenza di una fredda protesi robotica, in lucente metallo chiaro, lì evidentemente impiegata in sostituzione di un arto originale perduto da tempo, forse in un incidente, forse in una battaglia, forse in altro modo, per quanto dato di sapere al povero Beri Vemil.

« C-che cosa… posso fare per voi? » cercò di balbettare, dopo un lungo istante di silenzio, l'uomo, dimostrando meno sicurezza di quella di cui avrebbe invece gradito offrire sfoggio.

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