11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

sabato 6 novembre 2010

1030


« L
a vostra comminatoria… come si chiama?! » esclamò Midda, dimostrando un chiaro sentimento di sconvolgimento nel confronto con simile verità, al punto tale da offrire le proprie nere iridi tanto ampie al centro delle azzurre iridi sino quasi a nullificarle « Come si chiama?! » insistette, balzando in avanti, del tutto disinteressata al pericolo comunque rappresentato dall’arma del proprio interlocutore, nell’alzare la propria destra ad appoggiarsi sulla sua spalla e, in ciò, scuotendolo appena a riprova della propria sincera urgenza in tale curiosità, in simile dubbio attorno a quella questione.
« … comminatoria?!... » scosse il capo Bema, quasi spaventato, ora, da quella reazione, non riuscendo a cogliere l’erroneo riferimento alla loro committente, frutto della consueta difficoltà del traduttore automatico della donna a riadattare la lingua di lei a una nota.
« La vostra… mecenate… come si chiama colei che vi ha assunto? Colei che vi ha pagati per cercare di catturarmi? » spiegò ella, decidendo di non insistere su quello stesso termine e utilizzare, al contrario, un vocabolo per sé più consueto.

L’uomo restò per un lungo istante in silenzio di fronte a quella richiesta, evidentemente dubbioso nel merito della correttezza di una tale rivelazione, dell’offerta, oltretutto gratuita, alla propria interlocutrice nel merito di quell’informazione. Tuttavia, nel confronto con lo sguardo di lei, e con la pur terribile immagine di morte e distruzione offerta da quel sensuale corpo martoriato dalle ferite riportate nelle ultime battaglie e, in ciò, rosso scuro per il proprio stesso sangue, ancor prima che per il sangue di tutti gli avversari comunque massacrati, egli non ebbe cuore di mantenere ancora il silenzio, decidendo pertanto di riconoscerle tale occasione di consapevolezza, così come da lei richiesta, anche solo a titolo di ringraziamento per la salvezza concessagli pocanzi, nella pur azzardata azione in virtù della quale entrambi avevano avuto salva la vita là dove solo morte sarebbe potuta altresì essere loro promessa.

« Ha detto di chiamarsi… Mal Toise… Anmel Mal Toise. » sussurrò egli.

… Anmel?!

Con la propria candida pelle dolcemente decorata da disordinate efelidi e imperlata di salino sudore, con i propri capelli nero corvino sparsi in maniera disordinata sul viso e sulle spalle, con il proprio ignudo corpo dolcemente adagiato accanto a quello di Be’Sihl, suo ultimo e attuale compagno, al quale, ormai, era unita da quasi un anno intero e dal quale, in verità, era amata da più di un decennio, Midda Bontor riaprì gli occhi di scatto, muovendosi subitaneamente con impeto spontaneamente felino a levarsi in ginocchio, quasi a dimostrarsi pronta a un combattimento, prossima a uno scontro del quale, altresì, alcuna reale minaccia le era stata offerta.
Assolutamente tranquilla, immersa in quel confortevole silenzio caratteristico delle prime ore del mattino, del sempre troppo breve arco temporale tipico di qualsiasi locanda in ogni angolo del mondo conosciuto, intercorrente fra il termine dei bagordi serali e l’inizio della frequentazione mattutina della stessa, la stanza affittata, per il tempo di quella notte di riposo, dalla coppia di viaggiatori ormai simili a peregrini, per quanto pur aventi una chiara e definita meta a contraddistinguere il loro cammino, non stava riservando ai due alcuna ombra di pericolo, mostrandosi completamente inerme e priva di qualsiasi altro ospite al di fuori di lei stessa e del suo amante. E così come ormai occorreva con incredibile regolarità da settimane, mesi quasi, fu necessario qualche istante alla mercenaria, alla Figlia di Marr’Mahew, per recuperare la propria tranquillità interiore, per rendersi conto dell’ambiente a sé realmente circostante e, in ciò, per permettere al proprio respiro divenuto affannoso di ritrovare la propria corretta regolarità, il proprio adeguato ritmo, la propria controllata cadenza.

« Ancora incubi, amor mio? » le domandò lo shar’tiagho, in un lieve alito di voce, offrendo riprova di essersi a propria volta ridestato, in ovvia e prevedibile conseguenza dell’agitazione da lei in tal modo involontariamente proposta, senza alcuna possibilità di controllo, di gestione.
« S-sì… » sussurrò ella, dimostrando un’insolita ansia, un’innaturale incertezza psicologica, tanto in contrasto con l’immagine da lei abitualmente offerta, quella di una donna fredda e distaccata, sempre salda e controllata anche nelle situazioni peggiori, in quelle circostanze che sarebbero state altresì capaci di negare il senno persino ai guerrieri più coraggiosi « Sempre lo stesso. O, almeno, credo… dal momento in cui, come al solito, il ricordo sta già affievolendo nella mia mente. » puntualizzò, costringendosi, allora, a tornare a giacere accanto a lui, fra lei sue braccia subito tese verso di lei, in una tacita offerta di accoglienza, di rifugio, di protezione « Thyres… se solo riuscissi a conservarne memoria, forse potrei trovare in essi un qualsivoglia significato. » commentò, quasi irritata da simile, propria, mancanza.
« Sai… inizio a credere che sia una sorta di reazione psicologica alla mia presenza. » commentò con dolcezza egli, chiudendo le braccia attorno al corpo dell’amata e, con delicatezza, cercando la pelle di lei con le proprie labbra, per un lieve bacio depositato, in quel primo momento, poco sopra il suo occhio sinistro, là dove la cicatrice ne sfregiava le incantevoli forme « Dopotutto non hai mai avuto di questi incubi in passato. A eccezion fatta, ovviamente, per quelli offerti dal tuo… maritino. »

In immediata conseguenza a un tremendo dubbio evocato nel cuore della donna da quelle stesse parole, dal riferimento così proposto al proprio semidivino sposo, colui al quale si era legata con l’inganno per riservare salva la vita propria e di due compagne, ella si scosse nuovamente con rapidità, quasi con frenesia, per verificare che, attorno al suo braccio sinistro, l’unico concessole in carne e ossa, fosse ancora presente il bracciale dorato a forma di serpente, dono del proprio stesso compagno e amuleto consacrato al dio shar’tiagho Ah'Pho-Is, signore degli inganni. Solo in grazia di simile prezioso ornamento, ella aveva ottenuto grazia da un’onirica persecuzione impostale dallo stesso Desmair, il quale, sin dai giorni immediatamente successivi a quelli delle loro nozze, pur intrappolato all’interno di un quadro in un’immensa fortezza fra i ghiacci, aveva dimostrato tutto il potere per lui derivante dal vincolo fra loro sancito innanzi agli dei tutti, nell’inviarle, prima, orrendi incubi nel corso della notte, e nel costringerla, poi, a oscene visioni durante il giorno, allucinazioni in conseguenza delle quali lo stesso Be’Sihl aveva rischiato di essere da lei ucciso e, disgraziatamente, due suoi parenti avevano concretamente trovato morte.
Purtroppo, o per fortuna a seconda dell’eventuale punto di vista su tale questione, il serpente si concesse saldamente ancorato là dove ella lo aveva posto l’ultima occasione in cui aveva avuto a che fare con il proprio sgradito marito, negando con la propria stessa presenza l’eventualità che gli incubi dei quali si proponeva suo malgrado vittima in quei giorni fossero un suo strano giuoco…

« E pensare che, la prima volta in cui accennasti alla sua esistenza, neanche offrii reale peso a quanto tu mi raccontasti a suo riguardo, credendo avesse da intendersi semplicemente quale una sorta di originale scusa per rifiutarmi ogni speranza di successo nei tuoi riguardi. » soggiunse, in conseguenza del prolungato silenzio di lei, rimembrando scherzosamente l’occasione di quella lontana mattina nella sua locanda quand’ella offrì il primo accenno all’esistenza del semidio suo sposo.
« Non essere doppiamente sciocco. » replicò ella, rivolgendosi nuovamente in direzione del compagno e tornando, in ciò, ad abbandonarsi alle sue braccia, alle sue carezze, nella sincera esigenza di cercare in esse la quiete perduta, la pace smarrita « Innanzitutto non avrei mai inventato una scusa tanto surreale per rifiutarti, se anche lo avessi voluto fare. E poi, non vi sono ragioni per le quali la tua presenza dovrebbe essere per me fonte di incubi. » replicò scuotendo appena il capo e, in ciò, accarezzando con la propria guancia sinistra il suo petto e il suo collo, con fare più ricco di dolcezza ancor prima che di malizia, per quanto tutto in lei trasudasse, naturalmente, sensualità allo stato più puro.
« Piuttosto, sei certo che questo tuo dio Ah'Pho-Is non si stia irritando per il fatto che un suo amuleto è stato offerto a protezione di un’infedele? » aggiunse la donna guerriero, riprendendo a riflettere su possibili ragioni alla base di sogni tanto assurdi, volti a mostrarle realtà così aliene alla propria, universi tanto esterni a tutto ciò che ella era abituata a conoscere nel proprio quotidiano « Non vorrei che abbia deciso di punirmi per tal ragione, lasciandomi nuovamente in balia di quel maledetto di Desmair e della sua fantasia perversa… »
« Tutto questo potrebbe rendermi incredibilmente geloso, ne sei consapevole?! » sorrise l’uomo, tornando a baciarla con dolcezza sulle tempie, così offerte alle sue labbra, nel mentre in cui con braccia e mani corse subito ad accarezzare delicatamente e ripetutamente la meravigliosa superficie della schiena di lei, dalle atletiche spalle sino ai sodi e formosi glutei, intimamente e immancabilmente godendo di quel meraviglioso contatto che, dopo quasi quattro intere stagioni, non gli era assolutamente venuto a noia e che, al contrario, lo ritrovava ogni volta a lei concesso con maggiore entusiasmo della loro prima notte insieme, di quella loro prima, indimenticabile, comunione.
« Perché…? » domandò ella, non comprendendo e, in ciò, voltandosi verso di lui, ad appoggiarsi con le mani sul suo petto e a ricercarne ora lo sguardo con i propri occhi di ghiaccio « Invidi forse a quel mostro la capacità di imporre assurdi incubi a rovinare le mie notti? » questionò, non cogliendo eventuali ragioni di gelosia per lui nell’ipotetico confronto con simile creatura, ancora in vita unicamente in conseguenza alla difficoltà, per lei, di comprendere in che modo riuscire a conquistare lo stato di vedovanza.
« Se davvero fosse lui a inviarti tali sogni, invidierei il fatto che egli dimostri in essi maggiore confidenza con te di quanto non ne abbia mai avuta io… » argomentò Be’Sihl, sorridendo sornione, con tono più tendente al faceto che al serio « Dopotutto a me non avevi mai raccontato, prima dell’inizio di queste strane avventure notturne, alcuni particolari interessanti sulla tua vita; primo fra tutti, il fatto che i tuoi capelli non siano, in verità, dello stesso colore del quale da tanti anni ti impegni a far apparire. E chissà quante altre cose mi hai tenuto nascoste sino a oggi… »
« … chissà… » sorrise Midda, ripetendo l’interrogativo da lui proposto « Credo che potrebbero essere così tante da necessitare una vita intera per scoprirle tutte. » sussurrò provocante, spingendosi ora verso le di lui labbra, con le proprie, calde e appassionate, desiderose di pretendere la sua attenzione.
Ed egli, trasformando il proprio delicato abbraccio in una morsa dolcemente prepotente attorno alle forme di lei, a intrappolarle contro il proprio corpo già bramoso di una nuova occasione di appassionato confronto su quello stesso letto da entrambi già posto a dura prova poche ore prima, promise con sincerità assoluta e amore incondizionato: « Mi dovrò impegnare molto a lungo, allora… »

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