11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

lunedì 5 settembre 2011

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N
el ripensare, alla luce di tale rivelazione, ai due soli thusser da lui sino a quel momento incontrati, due esponenti della casta dei guerrieri così dichiaratamente discriminata nelle spiegazioni della propria compagna, difficile sarebbe stato per Howe cercare di comprendere quali particolari canoni estetici essi non rispecchiassero per poter essere addirittura condannati quali creature deformi. Anche e soprattutto in assenza, allora, di qualunque altro riferimento thusser in grazia al quale ottenere un metro di paragone.
Al di là del particolare colore della loro epidermide, dei capelli e degli occhi, così come delle forme particolarmente spigolose dei loro volti, estremizzate addirittura all’altezza di quelle particolari orecchie appuntite, dopotutto e a mente fredda, quelle creature, seppur imponenti nelle proprie proporzioni, non avrebbero potuto essere da lui condannate quali particolarmente estranee a esseri umani, nel proporsi, comunque, umanoidi e caratterizzati da un singolo capo, un busto, due occhi, due orecchie, un naso con due narici, una bocca, due braccia e due gambe, senza alcuna altra evidente aggiunta imprevista: niente ali, niente code, niente corna, e neppure artigli affilati. Certamente non sarebbero potuti essere scambiati per comuni uomini, ma, nonostante ciò, non avrebbero neppure potuto essere tanto facilmente considerati mostri… non, per lo meno, nel confronto con mostruosità peggiori con le quali egli aveva avuto a che fare nel proprio passato recente e remoto.
Forse, e invero, i thusser non apparivano oggettivamente diversi da comuni esseri umani? Forse, e al di là di come i guerrieri gli erano stati presentati, quegli elfi, o troll, o comunque potessero essere chiamati, non avrebbero rivelato alcuna particolare differenza rispetto a un qualunque uomo o donna suoi simili, apparendo in tutto e per tutto affini a lui, a Be’Wahr o a Midda, e in ciò tali da poter ritenere quei pur pochi dettagli già elencati quali ragioni di anomalia rispetto alla purezza della propria razza?
In fondo, per quanto tutt’altro che lodevole nel proprio essere e sussistere, la discriminazione e il pregiudizio in riferimento al mero aspetto fisico, a caratteristiche quali il colore della pelle, piuttosto che l’altezza, o la corporatura, o quant’altro, non avevano, né probabilmente avrebbero, mai mancato di caratterizzare anche la mentalità comune della razza umana, e in questo avrebbero potuto tranquillamente spingere i thusser, o chi per loro, a considerare quali abominevoli deviazioni quelle dimostrate da parte delle due guardie poste a protezione dell’ingresso a quel corridoio e alla meta al termine del medesimo, non diversamente da come, per un qualunque essere umano, sarebbe potuto essere volgere la propria malizia a discapito di un albino, o, perché no, di uno shar’tiagho, suo pari, o di un figlio dei deserti centrali, rispetto a lui caratterizzato da una pigmentazione ancor più scura, più intensa.
Ancor prima che, tuttavia, egli potesse aver possibilità di riservarsi ulteriori dubbi, destinando la richiesta di maggiori numi alla propria interlocutrice nel merito del reale significato da attribuire alle sue parole, a quelle sue spiegazioni rimaste sufficientemente enigmatiche, l’attenzione di Howe venne tuttavia distratta dalla comparsa, improvvisa, di un nuovo straordinario quadro offerto al proprio sguardo, l’immagine di quella che era stata definita con il termine di Vallata: la città dei thusser.

« Lohr… » sussurrò, con sincero e vivo stupore, per quanto lì presentatogli, ed esterno, estraneo a qualunque sua possibile fantasia a tal riguardo.

Il perché tutto ciò fosse stato semplificato nell’utilizzo di quel particolare sostantivo, fu in quel frangente immediatamente trasparente all'uomo: quanto dischiusosi innanzi a lui, al termine del corridoio appena percorso, non avrebbe potuto essere riconosciuto qual nulla di diverso da una vasta vallata. Non, in verità, un perimetro racchiuso fra alte vette montuose, quanto, piuttosto, una smisurata cavità sotterranea all’interno del cuore stesso della terra, forse scavata nella roccia dagli stessi thusser, forse lì invece presente da sempre in ubbidienza a una qualche fantasia divina, che nelle profondità di quella montagna aveva creato uno spazio adatto all’erezione non di un semplice villaggio, un comune borgo, ma, addirittura, di un’estesa e complessa urbe, una capitale nel confronto con la quale, probabilmente, tutte le principali città di Gorthia, o di Kofreya, Y’Shalf e Tranith, avrebbero potuto impallidire, provando vergogna per la propria triste limitatezza.
Come Howe ebbe successivamente modo di cogliere, non appena la sorpresa per l’impatto iniziale fu superata, la luce, in una tanto particolare condizione che avrebbe dovuto essere altresì dominata dalle tenebre più assolute, dall’oscurità più impenetrabile, peggiore rispetto a qualunque sotterraneo, sepolcro o cripta, si presentava lì garantita da una duplice fonte, una naturale, e minoritaria nella propria importanza, e una artificiale, e sicuramente principale nel proprio valore. La prima fonte, quella naturale, avrebbe potuto essere riconosciuta nella presenza, al centro della stessa vallata, di un ampio fiume di lava, un corso di vivo e vivace magma incandescente, roccia fusa entro la quale solo morte sarebbe potuta essere assicurata a chiunque, che quell’intero territorio sembrava allora preposto a irrigare non diversamente da un qualunque corso di più innocente, e meno letale, d’acqua, pur, ovviamente, non assolvendo alle medesime funzioni di generosa fecondazione della terra, quanto, e piuttosto, di inaridimento della medesima, oltre che nella creazione di un particolare microclima, all’interno della grotta, tale da spingere a ritenere di essere stati improvvisamente catapultati in uno dei regni desertici centrali. La seconda fonte, quella artificiale, avrebbe altresì dovuto essere individuata nella presenza sparsa per l’intera capitale di centinaia, forse migliaia, di lanterne del tutto equivalenti a quelle che già avevano accompagnato i loro passi all’interno del lungo corridoio, e tali da ammantare, con la propria luce stregata, l’intera valle, rendendola non dissimile a un meraviglioso, e pur estremamente freddo, nelle proprie tonalità azzurrine, cielo stellato.
In grazia di una tanto innaturale, e pur gradita, capillare presenza luminosa, allo shar’tiagho fu pertanto riservata non solo possibilità di valutare e ammirare la sorprendente estensione dell’urbe, ma, ancor più, la stupefacente conformazione architetturale della stessa, scoprendo in quale misura, in verità, l’impegno posto a decorazione del corridoio appena attraversato avrebbe dovuto essere oggettivamente valutato quale ben misera attività nel confronto con l’incredibile arte propria di quell’intero centro sotterraneo.

« Sì… è senz’ombra di dubbio uno spettacolo sconvolgente. » sorrise la donna guerriero, non negando la bellezza di quanto loro presentato, malgrado, nel profondo del suo cuore, non vi potesse essere sostanziale occasione di gioia per un nuovo confronto con tutto quello.

Così come, solo in un momento successivo, la stessa Figlia di Marr’Mahew fece propria occasione di evidenziare all’attenzione del proprio compagno nel riferirsi a quell’intero paesaggio e nel tentare di concedergli maggiori comprensione nel merito del medesimo, la civiltà thusser, isolatasi dal resto del mondo all’interno di quella vallata, aveva ritrovato nelle arti, e con esse nell’accrescimento della bellezza delle forme della propria città, di ogni singolo edificio così come delle semplici strade o di qualunque altro dettaglio lì presente, il primo e principale scopo della propria esistenza, una missione di vita in grazia della quale offrire un senso al proprio stesso essere e, ancora e ancor più, conquistare una pragmatica immortalità, nel poter porre il proprio nome su un’opera che avrebbe continuato a esistere nei secoli e nei millenni successivi alla loro dipartita.
Una possibilità tutt’altro che banale, quella in tal modo da loro ricercata e resa propria, che tale avrebbe dovuto essere riconosciuta soprattutto nel confronto con quella che lo shar’tiagho scoprì essere, per le stesse creature lì dimoranti, non solo un’aspettativa di vita tutt’altro che invidiabile nel confronto con quella umana, ove pur sostanzialmente privi di particolari rischi di violenta e prematura dipartita lì racchiusi e protetti, ma, anche, un concetto di prole totalmente estraneo a quello umano e, a ben vedere, privato di una fondamentale ed egoistica possibilità propria di qualunque cultura dell'uomo sin dagli arbori della civiltà. Da un lato, infatti, il metabolismo dei thusser aveva imposto loro, da epoche remote, un ciclo vitale limitato a una dozzina di anni, traguardo al quale comunque solo pochi fortunati erano soliti riuscire a giungere, e tale da non permettere loro occasione per sprecare gratuitamente il proprio tempo in futili o distruttive attività, quali guerre, invasioni e conquiste. Dall’altro, secondo un razionale alieno a qualunque logica per lui consueta, naturale, e probabilmente anche conseguente a un metodo riproduttivo oviparo, nella cultura thusser non era mai stato presente un qualunque senso di eredità di sangue simile a quello umano, in conseguenza dell'assenza del quale non solo non era previsto alcun genere di rapporto parentale, ma, anche, era esclusa quella consueta speranza d’immortalità, attraverso la propria discendenza, intrinseca caratteristica della maggior parte degli abitanti del Creato, fossero essi uomini o bestie.

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