11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

giovedì 31 maggio 2012

1594


C
ome ella non aveva mai stolidamente negato, un duello, una battaglia, avrebbe dovuto essere condotta con la mente ancor prima che con il corpo, con il proprio intelletto ancor prima che con la propria forza, a dispetto di quanto dai più professato. Non che l’energia fisica non fosse necessaria a sopravvivere, non che agilità e velocità non fossero sovente doti indispensabili a sottrarsi al nemico, ma, al di là di quanto palese, quanto ovvio e addirittura retorico, anche il ruolo del cervello avrebbe dovuto essere riconosciuto qual valente all’interno di un conflitto, valente, quantomeno, a trasformare una sconfitta certa in una sconfitta possibile, o una sconfitta possibile in una vittoria probabile.
Conscia di ciò, ove troppo spesso sopravvissuta solo in conseguenza diretta a simile principio, Guerra non avrebbe mai potuto trattenersi dall’evitare di tentare di tradurre l’ormai sempre più vicina sconfitta, per mano di bakeneko, in una vittoria, concreta o no che essa avrebbe potuto riconoscersi nell’eventualità di una propria prematura dipartita. Perciò, ove anche ormai stremata, in conseguenza della troppa stanchezza e del troppo sangue versato, ella trovò ancora una volta occasione per ribellarsi, per contestare la definizione di morte a lei promessale per quanto era avvenuto. Ribellione che si concretizzò, in primo luogo, proprio nelle parole da lei pronunciate, alle quali ne seguirono delle altre, sempre nella lingua franca di Hyn.

« Se credi che mi dispiaccia per la tragica morte della tua compagna, o per quella che presto sorbirai, ti sbagli di grosso. » definì, errando nella scelta del verbo "sorbire" in luogo al verbo "subire", ma non per questo concedendo una qualche comicità a quel momento, sufficientemente teso da non ammettere ilarità alcuna « Non ho mai avuto problemi a uccidere altri esseri umani miei simili, e non me ne farò mai alcuno a uccidere una qualche creatura mitologica, neppure essa fosse l'unica rimasta. Non, per lo meno, se il mio incarico mi richiede l'esatto opposto. »
« Tutto per soldi!... » sussurrò esso, riuscendo a recuperare un certo controllo sulla propria voce « Non sei migliore di tutti coloro che ti hanno preceduta e che sono morti nel tentativo di ucciderci. » osservò, forse nel desiderio di porla in imbarazzo di fronte a qualche propria ipocrisia in tal senso.
« Non ho mai preteso di esserla. Se non per il fatto che loro hanno fallito e sono morti, mentre io tornerò indietro, con le vostre teste o con ciò che ne rimarrà… » puntualizzò ella, sorridendo appena « Comunque, se ti può consolare, i soldi sono attualmente l'ultimo dei miei problemi. Certamente non li disprezzo, ma la mia spada e sospinta dalla volontà di offrire un significato a una vita forse sin troppo lunga, impegnando in ciò che da sempre mi ha contraddistinta: la guerra! »

Apparentemente distratta da quelle chiacchiere, ella avrebbe potuto essere facile preda per qualcosa che esso, in tal momento di ricercato dialogo stava preparando discretamente a suo discapito, abbandonando l'idea di un confronto diretto, rivelatosi purtroppo un fallimento, e concentrando le proprie forze in una direzione ben diversa, quella dell'uso di una sorta di potere stregato, per così come già anche annunciato dalla descrizione dei bakeneko offerta dal molto onorevole Yu-Hine. Ma ella, al di là delle proprie parole, e dell'impegno speso per pronunciarle nel modo più corretto possibile, non si sarebbe concessa un nuovo momento di distrazione qual quello che già si era troppo ingenuamente concessa con la gatta donna, restando, al contrario, ancor più concentrata di prima, ove possibile.
Così, nel momento in cui un fulmine scaturì dalla bocca della creatura, apertasi di scatto, ella agì d'istinto ancor prima che in conseguenza a un qualunque ragionamento, gettandosi verso il suolo al proprio fianco e lì rotolando per eludere il destino di morte in tal modo promessole. E il fulmine, dirigendosi là dove prima avrebbe dovuto ma più non era, e non trovandola, proseguì oltre il proprio cammino, andando a colpire un albero poco distante e squarciandolo in due, longitudinalmente, dal suolo al cielo, e sotto al cielo lasciandolo fumante, per l'energia da esso posta in tal senso. Una forza devastante che, se solo avesse raggiunto la donna guerriero, sicuramente nulla avrebbe lasciato della stessa, riducendola, nel migliore dei casi, a un mucchietto di cenere fumante nell'identico modo dell'albero.
In tal azione, se ancora vi sarebbero potuti essere dubbi, si confermò la natura stregata di quella creatura, laddove le consuete creature mitologiche da lei mai affrontate in passato difficilmente rispettavano tanto puntualmente le descrizioni fornite e, soprattutto, raramente avevano il dono della parola. Ovviamente vi sarebbe potuta essere una qualche spiegazione a entrambe le questioni, riducendo tale apparente potere a una qualche capacità a lei sconosciuta o da lei non ancora compresa: ma nel considerare come prima di quei mostri si fosse scontrata contro un elementale e contro un oni, sempre più palese sembrava essere la conferma dell'esistenza di un qualche evocatore dietro a tante creature. Un qualche evocatore che, nella fattispecie, aveva deciso di giocare con la mercenaria sbagliata.

« E' tutto qui il tuo potere?! » domandò ella rialzandosi da terra, assumendo, nuovamente, una postura da guardia, e stuzzicandolo, in ciò, sperando di trovare una qualche conferma, o un'eventuale smentita, alla sua deduzione, nella capacità di quel gatto mannaro di emettere scariche elettriche illimitate o in diretta proporzione alle energie rimastegli.

A prescindere dalle proprie quasi certezze, Guerra non desiderava precludersi alcuna via, alcuna possibilità, non volendo chiudere la propria mente su quella diffusa ottusità nel merito di determinati poteri, e desiderando concedersi più aperta possibile a ogni spiegazione. Già in passato, dopotutto, aveva appreso come la maggior parte delle creature capaci di proiettare del fuoco innanzi a sé non ottenevano tal risultato in conseguenza all'utilizzo di un qualche potere, quanto di una reazione chimica interna al loro stesso organismo, tale da combinare, nella fattispecie, due sostanze inermi se prese singolarmente, ma infiammabili al semplice contatto con l'aria laddove mischiate. Ciò non avrebbe spiegato il perché dell'abilità a cambiare forma o della capacità di parlare, ma, a conti fatti, ella non era interessata a ogni spiegazione, ma solo a quelle in grado di spiegarle come sconfiggere un avversario… quell'avversario.
Se, quindi, il bakeneko avesse esaurito presto le proprie scariche, l'ipotesi di una natura stregata sarebbe potuta essere archiviata, e quel mostro si sarebbe potuto definire qual uno strano ibrido fra un uomo e un gatto. O, in alternativa, uno stregone, magari minore, impegnato a dilettarsi con mutazioni fisiche in gatto… spiegazione fantasiosa e pur utile a offrire un perché alla parlantina e alla generazione di fulmini.

« Avanti, dammene un altro e ti mostrerò io il vero potere! » incalzò, senza muoversi, senza spostarsi, senza tentare una qualche evasione o, al contrario, un qualche attacco verso di lui, nel restare altresì immobile, al proprio posto, nel punto da lei eletto qual nuova propria sede.

E se le sue parole avrebbero potuto apparire quali frutto di eccessiva eccitazioni, enfasi, al punto tale da esagerare nell'immagine offerta, i fatti comprovarono tale annuncio. Perché nel momento in cui, nuovamente, esso aprì la propria bocca, non quale semplice bocca umana, ma quali fauci bestiali, e generò dalla profondità della propria gola una scarica elettrica; ella non reagì d'istinto come la prima volta, ma ponderò la propria reazione e, restando immobile, si limitò a levare la propria mano e il proprio braccio destro innanzi a sé, ad accogliere la scarica rivoltale e a convogliarla all'interno di quella struttura di metallo, del suo arto artificiale, frutto di una scienza inimmaginabile nel suo mondo.
E se il suo arto, in metallo, avrebbe dovuto convogliare negativamente l'energia di quel fulmine verso il suo corpo, forse e persino amplificandone gli effetti, quel suo gesto non apparve qual stolido, qual privo di ponderazione, ove nulla di tutto ciò accadde. Il fulmine, infatti, pur colpendo con violenza quella mano e quel braccio, e pur disperdendo contro di esso un'enorme carica, non raggiunse il corpo di Guerra né, tantomeno, compromise l'operatività della sua protesi. Al contrario, come ella non poté che evidenziare immediatamente con trasparente soddisfazione, la incrementò.

mercoledì 30 maggio 2012

1593


L
e unghie della donna gatto bramarono il contatto con la carne della donna guerriero, ma questa, ancora una volta, e per la terza volta consecutiva, rifiutò ogni addebito a proprio discapito, lasciando intervenire quasi ineluttabilmente il proprio braccio destro e, con il medesimo, andando a colpire la propria avversaria, intercettandone l’avanzata e respingendola con forza, con decisione, nuovamente gettandola fra la terra e il cielo, in questa occasione più prossima al cielo che alla terra, a quell’infinito ormai rosato, nell’approssimarsi del tramonto, che agli alberi in prossimità ai quali era voluta restare sino a quel momento. E, in tal modo proiettata verso le stelle, quando essa ricadde al suolo non incontrò, incredibilmente, alcun tronco rugoso pronto ad accoglierla con la propria solidità, con la propria fermezza; quanto, e per lei indubbiamente più apprezzabile, la tanto sospirata erba dalla quale già per due voli era stata separata, ragione in grazia alla quale meno doloroso, meno penoso fu quel terzo fallimento.
Alcuna originalità offrendo rispetto ai confronti precedenti, anche il maschio volle tentare di intervenire in immediata prosecuzione del tentativo della compagna e, nella propria nuova forma ibrida, dimostrò una maggiore prestanza rispetto a quella precedente, già ammirevole e, in ciò, temibile. In questa nuova occasione, tuttavia, Guerra non si volle concedere così passiva come già, proprio malgrado, lo era stata nel confronto con la sua ultima aggressione, ragione per la quale, pur non avendo tempo per caricare un colpo con la propria arma, la sollevò in propria difesa innanzi a sé, sorreggendola, addirittura, in prossimità dell'affilata e letale punta con la propria destra metallica. Elevata tale barriera innanzi a sé, quindi, ella poté ridurre al minimo il danno per lei previsto, allontanando dal proprio busto gli artigli di quella bestia e costringendoli a sfogare la propria furia contro le sue braccia: contro il destro, in offesa al quale nulla avrebbero potuto fossero anche stati di metallo; e contro il sinistro, a cui, altresì, imposero pessimi graffi, fortunatamente non sufficientemente profondi da rischiare di menomarla o, peggio, di ucciderla, vedendola morire dissanguata.
Offesa, quella in contrasto al sinistro di carne, ossa e tatuaggi, che la mercenaria non poté approvare, né accogliere con indifferenza, tale per cui, nel dolore purtroppo trasparentemente percepito, ella si propose protagonista di un incredibile moto di rivolta. E complici tanto l'adrenalina quanto l'idrargirio, la donna non si limitò a respingere con violenza il mostro all'indietro, ma, peggio, lo scaraventò lontano da sé per quasi quaranta piedi. E non ancor paga, sul suo petto lasciò impressa, per la profondità di quasi mezzo pollice, l'orma orizzontale della lunga lama lì proiettata con vigore disumano, ferendolo, certamente, ma ancor più incrinando quasi tutte le costole lì presenti.

« Per la misericordia di Thyres… » commentò ella, osservando le proprie vesti farsi sempre più sbrindellate, nonché sporche di sangue copiosamente versato, in conseguenza di quegli attacchi ferini « Si può sapere perché quando decido di indossare un vestito lievemente più grande di un cingilombi e una fascia per i seni, subito scatta una corsa a denudarmi?! » si lamentò, con tono in parte scherzoso e in parte serio, ove quella situazione non avrebbe dovuta essere riconosciuta quale inedita « Non ho più vent'anni. Girare ora con i seni al vento non è dignitoso, diamine! »

Il verità, il fisico della donna guerriero, così come già gli abitanti del villaggio avevano avuto modo di apprezzare, non avrebbe dovuto essere riconosciuto qual ragione di vergogna come da lei dichiarato. Un lamento, il suo, atto a dissimulare il fastidio psicologico derivante dal dolore fisico per i graffi subiti sul braccio, tagli di cui avrebbe fatto volentieri a meno, ma che, se solo fosse sopravvissuta, si sarebbero rimarginati senza problema alcuno. A tempo debito, quanto meno.
Sino ad allora, compito primario della mercenaria, sarebbe stato quello, tanto ovvio quanto mai semplice, di sopravvivere. Sopravvivere ai propri avversari, in primo luogo, ma anche a se stessa, a quei propri, piccoli errori e fallimenti, in assenza dei quali tutto sarebbe stato probabilmente più facile.

« Gattacci della malora… » sussurra nella propria lingua natia, in assenza della conoscenza di quel preciso sostantivo utile a definire i propri avversari per quanto ottenuto a suo discapito.

E, nel mentre in cui quella frase venne scandita, fu il turno della gattaccia di tentare un nuovo approccio verso di lei. Approccio che, in questa occasione, essa volle differenziare da ogni tentativo precedente, stanca di essere umiliata dalla propria antagonista e desiderosa, altresì, di umiliarla.
La donna gatto, per tale scopo, mutò a propria volta, concedendosi una progressione maggiore di quella già ricercata dal proprio compagno. Evoluzione, la sua, che la vide abbandonare quasi completamente le fattezze umane per trasformarsi in un grosso gatto, ancora parzialmente in grado di sorreggersi sulle zampe posteriori ma, anche, di correre con quelle anteriori. Ammantata da una pelliccia nera come la notte, essa frustò l’aria con una coda apparsa apparentemente dal nulla, e si mosse verso la propria nemica con una velocità indubbiamente maggiore rispetto a quella precedentemente resa propria.
In grazia a ciò, e alla distrazione che la mercenaria rese ingenuamente propria nel censire le proprie ferite, la donna gatto, o la gatta donna, ebbe la pericolosa occasione di raggiungerla e si aggredirla nuovamente alle spalle. Aggressione che, sfortunatamente, non rimaste contenuta qual la precedente ma, affondando ancor prima che fendendo, vide ben dieci artigli sprofondare all’altezza delle reni della sventurata.

« … hyre… » gemette ella, tesa come una corda di zither, o di yueqin, temendo per un istante che la sua fine potesse essere giunta in quel momento.

Per propria straordinaria fortuna, forse un’insperata benedizione della propria adorata dea dei mari sulla sua rispettosa fedele; nell’essersi trasformata a un livello superiore a quello del proprio compagno, la gatta donna aveva ridotto drasticamente non solo le proprie dimensioni fisiche, restando sì più grande di un gatto, ma indubbiamente più modesta della donna che era pocanzi, ma anche la lunghezza dei propri artigli. Così, quell’attentato, che pur avrebbe potuto costarle la vita se quelle armi avessero avuto maggiore potere di penetrazione, risultò fastidioso, doloroso, ma non letale. Fastidioso e doloroso, in effetti, quanto sufficiente a farla rigirare con impeto verso la propria avversaria, afferrandola all’altezza del capo con la propria mano destra e lì, senza pietà alcuna, stringendo quanto sufficiente da veder i globi oculari balzare al di fuori delle rispettive orbite un attimo prima che il cranio implodesse e il cervello, al suo interno, esplodesse, in una morte tanto rapida, quanto, invero, tremenda, quasi oscena.
Un grido, allora, accompagnò quell’uccisione, grido di dolore che non emerse dalle profondità di una gola morente, quanto da quelle del maschio, dell’uomo gatto rimasto necessariamente a distanza, e in ciò costretto proprio malgrado a contemplare la morte della propria compagna, forse, addirittura, amante. Uno spettacolo che avrebbe costretto chiunque a perdere il proprio senno, a obliare ogni barlume di coscienza, e che per il bakeneko non fu diverso, non fu meno tragico, così come quell’urlo lamentoso non avrebbe potuto evitare di sottolineare, di evidenziare.

« Come… hai… osato? » scandì, tanto sconvolto dal dolore e dalla rabbia, e forse anche dalla paura, da non riuscire a parlare in maniera fluida, scandendo ogni singola parola come una pugnalata « Tu… donna… come… hai… osato?! »
« Vi avevo avvertiti… » minimizzò ella, storcendo le labbra verso il basso per il dolore alla schiena, nel mentre in cui tornò ad assumere una postura di guardia « Io non sono cibo per gatti. Non lo sono stato con la sfinge. Non lo sono stato per tigri e leoni. Non lo sono stato con altre bestie peggiori di voi. E non intendo, certamente, esserlo per voi. » annunciò la propria posizione, per così come già promosso « E ora a te scegliere il modo in cui morire. »

martedì 29 maggio 2012

1592


« ... b
akeneko! » esclamò Guerra, completando quanto rimasto a metà, nel mentre in cui strinse nuovamente le dita della mancina attorno all'impugnatura della spada e la sollevò innanzi a sé, rialzandosi da terra e preparandosi alla battaglia da lei appena invocata.

Nel mentre di ciò, la femmina di bakeneko da lei respinta venne gettata ad almeno una trentina di piedi di distanza dalla mercenaria, lì rigettata in grazia alla forza dell'idrargirio alimentante il proprio braccio robotico: e, sebbene ormai quella della donna gatto fosse una parabola discendente, il suo volo sarebbe durato probabilmente ancora qualche piede se non fosse stato per il tronco di un albero che si frappose fra lei e l'impatto al suolo, lasciandola, forse anche meno piacevolmente, scontrarsi con la propria rugosa solidità.
Nel mentre di ciò, il maschio di bakeneko con il quale sino a quel momento aveva chiacchierato tranquillamente, scattò a propria volta verso di lei, mantenendosi a una distanza tanto ridotta dal suolo al punto tale da permettersi di sfuggire allo scudo rappresentato, su quel fronte, dalla lama bastarda da lei impugnata. E l'impeto del suo attacco, forse in risposta al danno imposto alla propria compagna, forse per semplice reazione al richiamo di una pugna, lo vide vittorioso nel rivoltare la propria antagonista, slanciandola per aria con uno sgradevole dolore all'estremità dei propri arti inferiori: dolore, tuttavia, che non le impedì di contenere gli effetti dell'impatto al suolo e, soprattutto, di rialzarsi nuovamente prima di offrirsi troppo spiacevolmente scoperta ai propria antagonisti.
Ancora una volta, a subire gli effetti più spiacevoli del ritorno in azione della mercenaria, fu paradossalmente la femmina, la quale, appena ripresasi dal precedente attacco, o, in effetti, contrattacco, si volle catapultare in sua offensiva, in una carica che, probabilmente complice l'enfasi del momento, non fece propria la benché minima eleganza, né ebbe modo di riservarsi una qualunque speranza di predominio. Quasi con un movimento distratto, per non dire banale, la donna guerriero allungò nuovamente il proprio braccio destro verso di lei e, non più tentando di arginare la sua furia, si limitò a convogliarla in una nuova direzione, lontano da sé e ben altri trenta piedi oltre la propria posizione, sino a quando, nuovamente, le venne negato un più dolce atterraggio al suolo, vedendola preferire, dolorosamente, il tronco di un albero a un tappeto di soffice e amabile erba.
Ancora una volta, il maschio non fece attendere la propria rivalsa, gettandosi a sua volta su di lei ma, a differenza della compagna, non fallendo nel proprio obiettivo, non completamente, per lo meno, aprendo sulla schiena della mercenaria otto lunghi squarci in corrispondenza di otto lunghi artigli improvvisamente comparsi a adornare la punta delle sua dita. Squarci, quelli impostile, i quali, fortunatamente per lei, coinvolsero in primo luogo le sue vesti, e solo in misura minore, semplici graffi, sulla sua pelle lì celata; ma che, malgrado tutto, ferirono profondamente il suo orgoglio e la videro rigirarsi, con impeto, verso l'avversario, nella volontà di spezzarlo in due sotto la forza della propria spada. Purtroppo per lei, quella ricerca fallì, dal momento in cui, tutt'altro che prossimo a potersi definire stolido, il bakeneko non permase accanto a lei per tempo sufficiente a permetterle di raggiungere le sue carni, fosse anche, solo, con la punta della propria fidata arma.

« So che siete dei grandi consumatori di carne umana… » sussurrò la mercenaria, a denti stretti, alternando lo sguardo dall'uno all'altra, nella volontà di non perdere d'occhio alcuno dei due e, soprattutto, di ovviare alla possibilità di loro nuovi successi in sua offesa « … ragione per cui mi sembra giusto informarvi che non mi sono creata problemi di ordine morale o fisico, in passato, nel nutrirmi della carne di bestie vostre pari. Sebbene la carne della sfinge, vostra parente forse?!, non mi abbia per nulla sollazzato. » puntualizzò, concedendosi un lieve sorriso malizioso « Quindi, meglio per voi evitare di farmi irritare troppo, o vi giuro che vi mangerò a cena, arrostititi come dei porci con una mela in bocca e uno spiedo nel… »

Evidentemente irritata dalle parole della mercenaria non di meno di quanto quest'ultima non lo fosse stata per i graffi sulla propria schiena, la femmina di bakeneko soffiò in direzione della propria avversaria, mostrando ancora i denti ferini già condivisi con la medesima. Tuttavia, in questa occasione, probabilmente in grazia a quanto già subito in conseguenza ai propri due ultimi tentativi d'offesa, essa non tentò un nuovo approccio diretto, ma restò in vigile guardia, in attesa del momento opportuno per colpire.
Contemporaneamente, il suo compagno, sino a quel momento rimasto sufficientemente umano, iniziò a mostrare le prime evidenze di un cambiamento in corso, un cambiamento che si espresse, nella fattispecie, in un rigonfiamento delle gote e in un'accentuata prominenza del muso, tale da schiacciare, anche, il suo naso e allargarlo contro una mascella sempre più prominente, assumendo, ogni istante, sempre più l'aspetto che si sarebbe potuti attendere da un muso felino, per quanto ancora ibridato con le fattezze di un uomo. Accanto a ciò, inoltre, anche l'attaccatura delle orecchie al suo muso sembrò tendere, o forse tese veramente, verso l'alto, e la forma delle medesime si allungò, esattamente come si allungarono le sue braccia, e le sue mani con esse: non le dita, che anzi parvero subire una contrazione, ma i palmi, che si tesero al punto da separare completamente il pollice dal resto delle dita. Ma, malgrado tante mutazioni tali da farlo sembrare, ogni istante, sempre meno umano e sempre più felino, esso non mancò di riprendere voce verso di lei, una voce più acuta rispetto alla precedente.

« Chiunque abbia mai tentato di cacciare bakeneko, ha poi subito ogni tragica conseguenza dovuta per tale blasfemia… » scandì, necessariamente minaccioso verso di lei « La tua cosa è, straniera: semplice arroganza o concreta stolidità? Accetta la morte come un dono, per evitare ciò che, in caso contrario, sarà destinato a te e a tutti i tuoi cari… »

Guerra sorrise a quelle parole. E sorrise con sincerità e con soddisfazione, dal momento in cui mai parole migliori sarebbero potute esserle offerte.
Perché le minacce, ella ne era perfettamente consapevole, non sarebbero mai servite a coloro sufficientemente sicuri delle proprie possibilità da poter escludere categoricamente una propria sconfitta innanzi all'avversario. E se il bakeneko, così come era appena avvenuto, aveva ritenuto necessario ricorrere a delle minacce verbali prima ancora di proseguire il confronto fisico già incominciato; era inequivocabile, addirittura ovvia e palese, un'emozione di timore, di sospetto, di incertezza per l'esito di quella loro battaglia. Emozione che, necessariamente, non sarebbe stata tale ove, offrendo rispetto alle leggende, e alla fama conquistatasi al villaggio con i loro costanti successi, quei mostri fossero stati realmente imbattibili.

« Mi spiace deluderti… gatt… come si dice "grosso gatto" nella vostra lingua?! Diamine… » sbuffò, sinceramente frustrata dalla propria ancor scarsa confidenza con la lingua locale, tale da non permetterle di conoscere il corrispondente di gattone « Comunque, stavo dicendo. Mi dispiace deluderti, ma ho affrontato avversari indubbiamente più minacciosi di quanto potrete mai sperare di esserlo voi due. E ho già pagato un prezzo sufficientemente alto da non farmi temere alcuna fra le eventualità da te citate. Quindi… è tutto questo che hai da dire? » sorrise a conclusione della propria replica.
« Morirai, straniera. Morirai. » annunciò il maschio.
« Il mio nome è Guerra. » concluse ella « E prima che il sole cali a occidente, avrò appeso le vostre teste decapitante alla mia cintola. Perché così deve essere, e così sarà! »

Eccessiva dovette, in quel momento, essere giudicata la sua ultima presa di posizione dalla femmina di bakeneko; la quale, sebbene già precedentemente frenatasi, ora non riuscì più a contenere la propria ira nei riguardi di una tanto irriverente antagonista, ragione per cui nulla sembrò poterla trattenere da cercare un nuovo… un primo, vero confronto con lei.

lunedì 28 maggio 2012

1591


A
palese dispetto di quanto previsto da Guerra, entro il successivo calar del sole, i suoi passi non incrociarono quelli di due stregoni, o anche di uno solo; ma quelli, tutt'altro che incredibile a dirsi nelle premesse a lei offerte, di una coppia di bakeneko. Non che questi, in un primo momento, vollero rendere propria la briga di presentarsi effettivamente qual tali…

« Salute! » esclamò per prima la mercenaria, esprimendosi nella lingua di Hyn e avvicinandosi alla coppia, un uomo e una donna, quietamente accomodati alla base di un grosso albero e lì impegnati, in verità, in nulla di particolarmente rilevante « Non speravo quasi più di incontrare qualcuno entro i confini di questa foresta. Devono essere gli dei a mandarvi! »
« Salute a te, straniera… » prese voce l'uomo, in accordo agli usi propri della regione locale, dimostrandosi sufficientemente tollerante verso un donna in condizioni tanto poco presentabili e, soprattutto, sì estroversa dal prendere voce in maniera autonoma nella direzione di un uomo, senza essere stata prima, da questi, interpellata o, comunque, anche solo apostrofata.
La compagna dell'uomo, dal canto proprio, si limitò a chinare appena il capo verso di lei, qual unico, ma più che sufficiente, cenno di saluto.
« Spero di non capitare a sproposito… ma sto girando fra questi alberi da ormai due giorni. E sono sinceramente felice di poter finalmente scambiare quattro chiacchiere con qualcuno, avendone la possibilità… » sorrise Guerra, con fare affabile, apparentemente più che desiderosa di ritrovare contatto con chiunque, così come da lei appena dichiarato, sebbene, invero, neppure l'ultima fra le sue preoccupazioni avrebbe potuto essere riconosciuta in tali termini.

Appena arrivata di fronte alla coppia, l'immagine offerta dagli stessi non aveva potuto evitare di stonare all'attenzione della Figlia di Marr'Mahew, la quale, pertanto, non aveva esitato a identificarli quali i due personaggi già protagonisti del racconto del molto onorevole Yu-Hine.
Purtroppo, però, ella non aveva al momento alcuna prova tale da identificarli quali i bakeneko da lei ricercati, ragione per la quale avrebbe dovuto impegnarsi a giocare al meglio le proprie carte per spingerli a svelarsi quanto sufficiente per accopparli prima ancora che essi potessero rivoltarsi contro di lei. Non che fosse un esercizio facile, quello propostosi. Un azzardo, sicuramente. Ma un azzardo sufficientemente eccitante da stimolarla a provarlo… a non sottrarsi a esso.

« Nessuno sproposito. » dichiarò l'uomo, scuotendo appena il capo « Io e mia moglie siamo mercanti. E ci stavamo riposando un poco dopo aver viaggiato tutto il giorno come te… »
« Mercanti? » commentò ella, con fare curioso « Che bello! Incontrare un mercante porta sempre bene dalle mie parti… » inventò spudoratamente, laddove, dalle sue parti, non vi era, né vi sarebbe mai stata, alcuna superstizione attorno a tale categoria « Ma le vostre merci? Dove sono?!... »
« Una storia sventurata è la nostra, straniera. » premesse il suo interlocutore « Stavamo viaggiando tranquilli, diretti al villaggio alle pedici di questo monte, quando un gigantesco oni ci ha aggredito. Per fortuna, il demone si è dimostrato più interessato alle nostre merci che ad altro… e così mia moglie e io siamo riusciti a fuggire. E, da allora, stiamo ancora fuggendo… »
« Una storia interessante è la vostra. » corresse la mercenaria, lasciandosi sedere al suolo innanzi a loro, con le gambe incrociate e la spada in grembo « E, per caso, non avete anche incontrato un elementale del fuoco, tanto per completare il quadro? » domandò, aggrottando la fronte.

Che quella coppia potesse essere sfuggita a un oni, era una fola tanto grande da non poter essere né accettabile né gestibile. Non, per lo meno, da chi, a propria volta, si era trovata a confronto con un mostro del genere. Ovviamente la risposta della coppia o, per meglio dire, del maschio della coppia, doveva essere stata calcolata allo scopo di sorprenderla e, magari, distrarla, quanto sufficiente a farle abbassare la guardia e sopraffarla prima che ella fosse in grado di ribellarsi.
Perché sia che quei bakeneko fossero in combutta con l'oni e con l'elementale, sia che tutto ciò che fosse accaduto avesse da considerarsi semplice coincidenza; il freddo della lama della donna guerriero sarebbe sempre rimasto un solido disincentivo agli occhi della coppia, tale da non istigarli ad agire in maniera troppo precipitosa. Non, per lo meno, desiderando conservare tutti gli arti nelle proprie legittime sedi.

« Un elementale del fuoco…? » ripeté l'altro, dimostrandosi stupito da quella questione, quasi non fosse neppure in grado di comprenderla nelle proprie effettive sfumature.
« Sì… un essere grande pressappoco così… » indicò ella con le mani, aprendole quanto sufficiente a dimostrare le dimensioni del soggetto in questione « E' fatto completamente di fuoco. Dal carattere estremamente scherzoso, anche se un po' nocivo per la salute. »
« No… nessun elementale… » negò l'uomo « E se non sono indiscreto nella domanda, è stato questo… elementale… a ridurti in questo modo, straniera? » riprese immediatamente, facendo ora proprio il ruolo dell'inquisitore e domandando quanto di più logico sarebbe potuto esserle richiesto in quel momento, ovvero una spiegazione nel merito delle sue deplorevoli condizioni « Non vorrei apparire villano, ma non emetti un odore gradevole. »
« Nessuna offesa. » minimizzò Guerra, per nulla turbata da quella puntualizzazione « Sono più che consapevole delle mie condizioni. Ma con una professione come la mia, in effetti, è difficile restare a lungo… puliti. » sorrise, sempre attenta a ogni eventuale reazione, della femmina ancor più del maschio, diffidando del silenzio nel quale ella si era avvolta « Sapete… sono una mercenaria. »

La sua mossa era fatta. Non completamente. Ma quasi.
E se a quella prima provocazione essi non avessero reagito, certamente non sarebbero rimasti indifferenti alla successiva, tentando di ucciderla prima di essere uccisi. Perché, al di là di qualunque aulica narrazione, di qualunque epica ballata, il cuore pulsante della maggior parte delle sue avventure, e della sua vita più in generale, avrebbe dovuto essere considerato qual semplicemente quello: uccidere per non essere uccisi.

« Una mercenaria…? » ripeté l'uomo, con lo stesso tono interrogativo già utilizzato in merito all'elementale del fuoco pochi istanti prima.
« Oh… sì, amico mio. » annuì ella, non ritrattando neppure una sillaba fra quelle appena scandite « Sono una mercenaria… e ritengo di essere persino brava nel mio mestiere. Brava quanto sufficiente, per lo meno, a essere viva alla mia non più modesta età. E brava, ancora, dall'affrontare un oni e sopravvivergli. Dall'affrontare un elementale del fuoco e sopravvivergli. E dall'essere stata pagata per dare la caccia a una dannata coppia di… »

Ma la frase non poté essere immediatamente terminata, laddove ad anticipare le sue parole fu lo scatto felino, letteralmente, compiuto dalla compagna del suo interlocutore; la quale, per quanto rimasta in immobile silenzio sino a quel momento, in quello stesso istante aprì la bocca per soffiare verso di lei, mostrando una fila di denti sottili e appuntiti come quelli di un gatto, e le fu in subito addosso, con lunghe e affilate unghie pronte stringersi attorno al suo collo, per straziarlo. E la sola ragione per la quale ciò non avvenne, fu perché Guerra stava attendendo pazientemente quella reazione, quello sfogo, che, per quanto la sorprese nella propria repentinità, non la colse impreparata, vedendola immediatamente levare il proprio braccio destro in postura difensiva per arrestare quell'avanzata e, con violenza, respingerla.

domenica 27 maggio 2012

1590


F
orse in grazia all'odore assunto attraverso il sangue e gli altri fluidi corporei dell'oni; forse in conseguenza a nascondiglio da lei scelto e alla protezione offertale da quelle foglie secche; forse e ancora in virtù di una qualunque altra ragione da lei non meglio distinguibile; la notte di Guerra trascorse in assoluta serenità, priva del disturbo di qualunque mostro e, anche, di qualunque animale predatore pur necessariamente presente entro quella foresta. Ragione per la quale, sebbene ben lontana dal potersi definire soddisfatta da ciò, ella poté concedersi un riposo più profondo di quanto non avrebbe gradito concedersi, lasciandosi, addirittura, sorprendersi dal sole ad almeno un'ora, forse due, dalla sua ascesa in cielo, dall'alba di un nuovo e straordinario giorno… lei che, altresì, era solita attendere tale evento con gli occhi già aperti, con lo sguardo già attento, con il cuore già frenetico nel suo petto, sotto il suo seno sinistro, presentandosi in tutto ciò non dissimile da un'amante in attesa dell'arrivo del proprio amato, del proprio compagno e complice, in pena per il suo ritardo ancor prima che esso potesse realmente occorrere.

« Dannazione… » imprecò a denti stretti, rimproverandosi per la propria mancanza, per la propria indolenza, quasi ciò avesse da essere riconosciuto qual colpa ancor prima che merito, merito comunque tale nell'averle concesso un maggiore ristoro di quanto, altresì, ella non sarebbe stata solita concedersi.

Tutt'altro che permissiva, più con se stessa ancor prima che nei riguardi di altri, Guerra odiava dimostrarsi più debole di quanto non fosse stata in passato, per quanto, oggettivamente, la sua forma fisica, la sua prestanza, e il suo valore, avessero da riconoscersi ancor più che competitivi con guerrieri facenti propri la metà dei suoi anni, sebbene la sua età, ormai, avesse superato limiti considerati pressoché impossibili da raggiungere nelle terra dalle quali proveniva. Impossibili per una comune persona, inaccettabili, addirittura, per chi avente reso della guerra la propria vita, come un soldato regolare o uno di ventura, suo pari. Del tutto indifferente a tal considerazione, a simile pensiero; del tutto indifferente a quella che, ancora, avrebbe dovuto essere considerata una sua straordinaria unicità; ella non lesinava mai insulti a proprio stesso addebito nei momento in cui la sua umanità, la sua mortalità, indissolubile e pur mai rinnegata, emergeva con prepotenza, così come in quel momento. Ragione per la quale, anche allora, non mancò di rimproverarsi, più o meno violentemente, per quella che volle giudicare un proprio fallimento, là dove, comunque, chiunque altro avrebbe riconosciuto, semplicemente, un momento di debolezza.
Non gratuita, in verità, avrebbe dovuto essere comunque considerata quella sua intolleranza contro se stessa, dal momento in cui nella sua sin troppo lunga esistenza, il primo, solo e concreto insegnamento che aveva imparato era proprio quello, era proprio come un semplice momento di debolezza, qual avrebbe potuto classificare anche quel suo ritardo del risveglio, avrebbe potuto costarle la vita nel momento sbagliato. Non che qualche ora in più di sonno le avrebbe potuto recare danno… ma, per principio preso, ove si fosse iniziata a concedere una simile permissività, inevitabile sarebbe stato, per lei, essere coinvolta in una spirale negativa, dalla quale difficile sarebbe stato poi risollevarsi.

« Quanto odio essere invecchiata. » sussurrò storcendo le labbra verso il basso, nel rialzarsi da terra, scuotendosi tutte le foglie dal corpo e verificando, nel contempo, la situazione a sé circostante « Qualcuno mi restituisca la giovinezza, vi prego. » commentò, più scherzosa che sincera… o forse più sincera che scherzosa, impossibile a dirsi in conseguenza dei suoi toni e del contesto lì attuale.

Sciacquatasi la bocca per pulirla dai residui della notte, e svuotatasi la vescica e l'intestino nell'espletare quelle irrinunciabili professioni di natura mortale, umana o animale che dir si volesse; Guerra non rinunciò a dedicare mezz'ora del proprio tempo a un minimo di esercizio fisico, utile non solo a risvegliarla completamente ma, ancor più, a confermarle in quale situazione avesse da considerarsi il proprio corpo. Fortunatamente, salvo qualche inevitabile indolenzimento, probabilmente corrispondente a necessari ematomi non visibili al di sotto della sporcizia; la giornata precedente non le aveva lasciato spiacevoli ricordi fisici, oltre a quelli, ovviamente, mentali che, nel contempo dei propri esercizi, volle ripercorrere con attenzione, nell'analizzare le proprie azioni, le azioni dei propri avversari e, ancora, il contesto in cui tutto ciò occorse, sperando di poter, in tal modo, delineare uno scenario più completo, utile a smentire o confermare le sue supposizioni in merito alla presenza di uno stregone o di una strega ancor prima di qualche gatto mannaro. E tutte le sue riflessioni a tal riguardo non poterono che confermare quanto già supposto, costringendola a porsi in guardia da eventuali nuovi avversari evocati al solo scopo di rallentarne l'ascesa in direzione della supposta locazione di coloro responsabili per la strage nel villaggio.
In tutto questo, ella non poté ovviare a riportare i propri pensieri sulle memorie riguardanti i propri precedenti incontro con streghe o stregoni, non solo in Hyn ma, più in generale, nella propria intera vita, ritrovando fra tutti, sopra a tutti, inevitabilmente l'immagine della propria mai apprezzata suocera, la regina Anmel. E, in un'inaspettata brezza di ottimismo, ella non poté evitare di riflettere che, una volta sconfitta Anmel, difficilmente altre minacce di natura mistica avrebbero potuto spingerla a una reale preoccupazione, a una qualche ragione di dubbio sulle proprie possibilità per il futuro.

« Malgrado tutto sei ancora in gamba… » si volle ricordare, sorridendo con maggiore permissività di quanto non se ne fosse concessa prima « … senza dimenticare, poi, quanto tu sia ancora un splendida donna! » soggiunse maliziosa, contemplando il proprio corpo, nel riflesso della propria spada, impegnato al compimento di quegli esercizi ormai entrati a far parte indissolubile della propria quotidianità, dove nulla, negli ultimi trent'anni le aveva impedito di compiere quel proprio rito.

Invero, Guerra non era mai stata una donna particolarmente vanitosa.
Sicura di sé, certamente. Vanitosa, no. Se così fosse stato, del resto, non avrebbe trascorso la propria giovinezza con corti capelli perennemente arruffati attorno al capo, né, tantomeno, gli ultimi anni a bordo della Kasta Hamina tagliandoli non più lunghi di mezzo pollice, con l'ausilio di comodi attrezzi adatti per tale scopo. Né, ancora, ella avrebbe convissuto serenamente con lo sfregio presente sul suo viso, longitudinale al proprio occhio sinistro. Né con tutti gli altri innumerevoli graffi e cicatrici inevitabilmente cosparsi su tutto il suo corpo. Né, inevitabilmente, con la sua menomazione, quel braccio destro purtroppo perduto e, per vent'anni, sino all'incontro con le stelle ormai non più visibili sopra il suo capo, sostituito con un orrido braccio di armatura, stregato in misura tale da funzionare come surrogato di quanto negatole.
Ciò nonostante, per quanto la vanità non fosse mai stata una sua caratteristica vincolante, la frequentazione con Duva Nebiria, che del connubio fra femminilità e combattività aveva fatto un'arte, e soprattutto la consapevolezza di essere ritornata dal proprio uomo, dopo troppi anni, ormai a un'età in cui la sua mai ricercata bellezza avrebbe dovuto sfiorire; l'avevano condotta a prestare un minimo di attenzione in più a determinati aspetti della propria persona, permettendo al proprio naturale e incredibile fascino, e a pochi accorgimenti, di sopperire perfettamente all'avanzare degli anni, sotto certi aspetti rendendola persino più desiderabile di quanto non avrebbe potuto esserlo prima di partire per la sua avventura spaziale.
… non che, in quel momento, coperta da tutto lo schifo che abbracciava la sua pelle con insistenza stancante, avrebbe potuto considerare la propria beltade particolarmente esaltata.
Poco male, volle pensare in merito a tal problema. Prima di ritornare al mondo civile, nel quale il villaggio del suo attuale mecenate non era incluso, ella si sarebbe concessa l'opportunità di un bel bagno e, magari, di una veste nuova, sempre maschile per necessaria comodità di movimento, ma meno logora di quella da lei ora indossata, dopo troppi sbatacchiamenti a terra e non solo.

sabato 26 maggio 2012

1589


G
uerra era stanca.
Oggettivamente stanca.
Quanto ella aveva compiuto, avrebbe privato le membra di chiunque d'ogni barlume di vitalità, lasciandolo svenire semplicemente a terra. E già la semplice evidenza di come ella fosse ancora cosciente avrebbe dovuto essere accolta qual un'incredibile vittoria morale.
Tuttavia, e proprio malgrado, la stanchezza non sarebbe potuta essere riconosciuta quale una valida alleata in una qualunque missione, in una qualunque battaglia, non collaborando al perseguimento dell'obiettivo finale ma, piuttosto e peggio, intralciando il raggiungimento del medesimo come un bastone gettato fra le ruote di un carro. E Guerra, per quanto coraggiosa, per quanto ardita, non avrebbe mai apprezzato rischiare la propria sopravvivenza per una semplice missione, per un comune incarico, fosse esso retribuito in termini straordinariamente generosi.
Considerato ciò, e considerando come nessuno le aveva chiesto di completare la propria missione in una manciata di ore, al calar delle tenebre la mercenaria votò in favore di una sosta, utile a rifocillarsi e a riposare. Fosse ella stata entro i confini di una comoda locanda, inevitabile sarebbe stato approfittare dell'occasione anche un bagno, utile a ripulsi dallo schifo accumulatosi sulla sua pelle: in assenza di una possibilità in tal direzione, tuttavia, ella non avrebbe certamente sprecato una sola goccia della propria scorta d'acqua per liberare la propria pelle dalle incrostazioni di polvere, sudore e sangue di oni lì impostesi.
Consumata, pertanto, qualche striscia di carne secca, le ultime della propria riserva personale che difficilmente sarebbe stata rifornita entro di confini di Hyn, ove tale genere di alimento, in quelle terre, non sembrava essere particolarmente apprezza; guerra si distese al suolo avvolta nelle tenebre entro le quali, sino a quel momento, era rimasta. Accendere un fuoco, del resto, sarebbe stato un grave errore, ove l'avrebbe potuta rendere troppo facilmente distinguibile sullo sfondo dalle proprie ipotetiche prede, ragione per la quale restò tranquillamente al buio, senza trovare ragione di che lamentarsi di ciò. Dopotutto, conducendo una vita qual la propria, ella aveva appreso sin da bambina come il buio non avesse da considerarsi un nemico, per quanto, in esso, molti, troppi pericoli avrebbero potuto celarsi. Perché se nel buio molti, troppi pericoli avrebbero potuto celarsi; al tempo stessa anche ella avrebbe potuto scomparire, così come si premurò di compiere in quella notte, lasciandosi immergere nelle foglie secche e nei muschi proprie del sottobosco, in esso svanendo completamente alla vista. Se anche, nel corso della notte, fosse di lì passato lo stesso oni che aveva già due volte estemporaneamente vinto, il massimo rischio che ella avrebbe potuto correre sarebbe stato quello di essere da lui schiacciata, non volontariamente, ma quale incidente di percorso.
E così distesa sul nudo terreno, come aveva del resto trascorso gran parte della propria vita, ella attese il sonno offrendo uno sguardo alle stelle, e ai molti ricordi che esse, per lei, custodivano.

Chissà in quale sistema stellare, in quel momento, stava veleggiando la Kasta Hamina?, si domandò. E chissà, ancora, se Duva, Lange, Ragazzo e tutti gli altri suoi amici, ogni tanto, la ricordavano, commemorando i bei momenti trascorsi insieme e tutte le avventure che insieme avevano affrontato?
Nonostante tutto, nonostante una giusta nostalgia per il proprio pianeta natio e per i suoi mari, sui quali, finalmente libera dalla minaccia della sua gemella, Nissa, avrebbe, e aveva, potuto riprendere a navigare; Guerra non avrebbe potuto liquidare alla leggera gli anni trascorsi insieme a quell'equipaggio, il primo al quale, dopo lungo tempo, aveva nuovamente sentito di appartenere, di esserne divenuta parte integrante, sebbene a tutti loro particolarmente aliena. Al di là dell'occasione di esplorare nuovi e straordinari mondi, e di aprire la propria consapevolezza sulla vita, sull'universo e su tutto il resto oltre limiti che mai avrebbe potuto anche solo immaginare di violare; quanto più ella sentiva mancare alla propria quotidianità erano proprio i semplici momenti di vita vissuta a bordo di quella nave, con la complicità scherzosa di Duva, con i rimbrotti continui e costanti del capitano Rolamo, con gli approcci maliziosi del dottor Ce’Shenn, e, persino, gli agguati romantici di Mars, che, sino all'ultimo, non si era ancora rassegnato all'idea che fra loro non vi sarebbe mai stata una qualunque storia, né sentimentale, né, anche e solo, carnale.
Non che nel tornare a casa, nel proprio mondo, nella propria quotidianità, ella non si fosse ritagliata un qualche vantaggio, un qualche guadagno, e non solo meramente materiale. Ma, malgrado ciò, la Kasta Hamina e tutto il suo equipaggio le sarebbero sempre mancate, forse e persino in misura maggiore ai membri dell'equipaggio della prima Jol'Ange, la goletta sulla quale ella era divenuta donna: perché questi erano, purtroppo, da tempo tutti morti; mentre i primi, ella sperava con tutto il cuore, ancora godevano di ottima salute e avrebbero continuato a farlo ancora per molto… molto tempo.
Purtroppo per lei, la sua maledizione, la sua condanna, peggiore persino rispetto a quella che un tempo le aveva imposto la propria sorella gemella, era quella di aver vissuto in troppi mondi, in troppe realtà diverse, facendo proprie così tante vite che alcuna donna mortale avrebbe dovuto avere diritto di vivere, e che, tuttavia, ella aveva vissuto. E in così tanti mondi, in così tante vite, ella aveva avuto molte, troppe famiglie, molti, troppi amori, tali per cui, qualunque fosse stata la sua scelta, sempre e comunque suo sarebbe stato il rimorso per ciò che avrebbe perduto. Ragione per la quale, forse correttamente, forse stolidamente, avendo alfine avuto la possibilità di scegliere tra il proprio mondo e le stelle; fra coloro che ancora la stavano aspettando, a casa, e coloro che forse sempre l'avrebbero ricordata, oltre i cieli; ella aveva preso la sua decisione, seguendo il proprio cuore e la propria natura, nell'abbandonare quelle galassie alle quali, in fondo, non apparteneva, e tornando nel caldo abbraccio dell'unico uomo che già una volta l'aveva attesa per oltre dieci anni, e che, ella era certa, ancora la stava attendendo, con una fedeltà che tutto l'amore che ella avrebbe mai potuto offrirgli, mai l'avrebbe completamente ripagato.
Eppure, così come egli avrebbe sicuramente evidenziato non qual rimprovero, ma qual dolce accenno giocoso, neppure ritornata dalle stelle, ella era stata in grado di restare tranquilla, di godersi quella sua, ormai palese, anzianità, così come chiunque, al suo posto, avrebbe fatto carte false per sperare di raggiungere; e, sospinta da quello stesso demone interiore che ancora bambina l'aveva spinta a fuggire dalla propria isoletta felice, ella ancora non si era voluta fermare, non aveva voluto rinunciare alla lotta, alla battaglia, quasi solo nel rischio continuo, costante e ossessivo, le sarebbe stata concessa un'occasione per definire il proprio io, la propria natura.
Qual nome migliore di Guerra, quindi, avrebbe potuto mai contraddistinguerla? Idiota, forse. Imbecille, sicuramente. Stupida, volendo essere più generosi. Ma nessuno fra questi termini, o fra le loro infinite varianti, avrebbe mai potuto definire quella continua ricerca di sfida per lei inalienabile. Stupida, imbecille, idiota ella era e insisteva a essere nello sputare metaforicamente in volto all'uomo da lei amato, e che tanto l'amava, lasciandolo sempre alle proprie spalle per rischiare la vita in continue e sempre nuove avventure. Ma questo, dopotutto, era ciò che ella era. E nel privarla di ciò, nel costringerla a cambiare se stessa e la propria concezione dell'esistenza per trasformarla in una docile compagna la cui massima avventura sarebbe potuta essere spingersi al mercato per far compere; sarebbe stato negarle la propria natura, il proprio animo, trasformandola, probabilmente, in qualcuna che egli non avrebbe mai potuto amare così come, ora, nonostante tutto, insisteva a fare.
E con questo pensiero, con questa sola, solida certezza che ella aveva avuto modo di scoprire nella propria caotica esistenza, un sorriso si aprì sul volto di Guerra, nel mentre in cui le sue palpebre lentamente calavano, per concederle un mai profondo, mai intenso, mai completo sonno rigeneratore, in grazia al quale, il mattino seguente, ella avrebbe ripreso il proprio cammino in ascesa lungo il profilo del monte Kuno; sperando, malgrado tutto, di potersi concedere, nel sonno, un momento di incontro con il suo amato, nel ricordo di tutti i fuggevoli momenti che avevano vissuto insieme, e nella brama di tutti quelli che, presto o tardi, ancora avrebbero vissuto, se solo, ovviamente, ella fosse stata sufficientemente accorta dal non farsi ammazzare.

venerdì 25 maggio 2012

1588


P
robabilmente… sicuramente, alcuna delle parole da lei pronunciate ebbe un qualunque valore all'attenzione dell'elementale. Ma più delle sue parole, indubbiamente, ebbero potere i suoi gesti, utili a dichiarare innanzi all'attenzione dell'elementale il medesimo messaggio appena scandito, quella sua resa, non tanto per l'assenza della volontà di combattere, quanto, e piuttosto, di giocare, in un gioco che, suo malgrado, l'avrebbe alfine veduta soccombere non qual semplice sconfitta, ma, peggio, qual abbattuta, uccisa in un ludo dal sapore di tragedia, e di bruciato, in quel caso specifico. Comprensione, quella che ella ottenne da parte del mostro, della quale poté avere subito evidenza, immediato riscontro, nel momento stesso in cui, la nuova sfera di fuoco plasmata unicamente per lei, in suo onore, venne sì gettata verso di lei, ma non la raggiunse, non la incenerì qual avrebbe altrimenti potuto compiere con estrema semplicità, quasi banalità, ma ricadde innanzi ai suoi piedi, soffocandosi nel terreno a lei antistante lì bruciando e incenerendo, ma nulla osando a suo discapito, a sua condanna, in sua perdizione.
E in luogo alla solita risatina, dalla bocca del bambino infuocato, se tale avesse dovuto essere considerato, ciò che fuoriuscì fu un suono altrettanto elementare, ma caratterizzato da minore ilarità, e, anzi, privato completamente di qualunque traccia di divertimento…

« Hi…?! »
« No! » scosse il capo, con ferma dolcezza la donna guerriero, ringraziando in cuor suo la propria dea per averle concesso una quasi non sperata occasione di salvezza, e pur non perdonandosi, ancora, una qualche distensione psicologica, tutt'altro che desiderosa di concedere al proprio interlocutore un'impressione sbagliata « Ho detto che non gioco più e… non gioco più. » sancì, inamovibile dalla propria posizione, ora, addirittura, persino chiudendo gli occhi a dimostrare l'irrevocabilità della propria scelta.

Dal momento in cui, offrendo ragione a ogni leggenda, l'elementale si era comportato da infante; e dal momento in cui, comportandosi così come avrebbe dovuto comportarsi con un infante per contrastarne i capricci, ella aveva avuto un effimero barlume di dialogo con il medesimo; per alcuna ragione al mondo Guerra avrebbe rinunciato a quella propria forse sola occasione di evasione da un combattimento che sapeva non avrebbe potuto vincere, da una sfida che, drammaticamente, l'avrebbe altrimenti vista perdere la vita, aggrappandosi a essa con tutte le proprie energie, con tutte le proprie forze. Perché sebbene fosse una guerriera e un'avventuriera, e come tale fosse desiderosa di riuscire sempre e comunque a dimostrar di essere in grado di prevaricare su qualunque antagonista; ella non era neppure stupida, né incosciente, né bramosa di sprecare senza alcuna razionalità il proprio avvenire, ben confidente con un concetto che, troppo facilmente, fuggiva alle menti della maggior parte dei suoi colleghi mercenari: l'unica via in grazia alla quale sarebbe stato per loro possibile riscuotere la ricompensa promessa, sarebbe sempre stata quella della sopravvivenza… e della sopravvivenza con ogni mezzo, fosse questo l'evasione da una lotta che non sarebbero mai stati in grado di vincere.
Ragione per la quale, ove conscia che, in quel particolare momento e priva di informazioni tali da concederle una qualunque speranza di vittoria sul proprio antagonista, non sarebbe stata probabilmente in grado di individuare quel particolare punto debole in grazia al quale trasformare un'apparente immortalità in una più comune mortalità e fallibilità anche per un elementale del fuoco; ella preferì scommettere sulla propria astuzia ancor prima che sulla propria forza, riservandosi, eventualmente, a un tempo futuro l'occasione di impegnarsi ad aggiungere anche un elementale alla propria già lunga lista di creature mitologiche uccise.

« Hi…?! » cercò nuovamente di incitarla il proprio avversario, o forse solo compagno di giochi, nella speranza che ella volesse riprendere la sfida così estemporaneamente interrotta.
« No. No. E ancora no. » scosse ancora il capo, sempre a occhi chiusi « Mi spiace deluderti, ma sono stanca, e ho ancora probabilmente troppa strada davanti a me da compiere per potermi permettere di perdere ogni energia in tua compagnia… quindi, o mi accoppi subito o mi lasci andare. Ma, comunque vada, il gioco è finito. »

E nello stesso modo in cui palpabile sarebbe stata la delusione sul volto di un bambino, e nella sua voce, e nei suoi gesti, a seguito del rifiuto di una sorella maggiore a proseguire in un passatempo comune; così fu anche per l'elementale. Perché ove anche il suo volto non sarebbe stato facilmente distinguibile in quell'ammasso di fiamme in continua mutazione; e ove, parallelamente, la sua voce non sarebbe stata così trasparentemente distinguibile quale quella di un qualunque infante; i suoi gesti furono più che trasparenti del suo umore, non offrendo dubbio alcuno nel merito di quanto, ormai, i giuochi avessero da riconoscersi qual, purtroppo per lui, terminati.
Anche a palpebre chiuse, infatti, Guerra poté seguire l'evoluzione della scena attorno a sé, tale era la luminescenza caratteristica del proprio interlocutore. Motivo per cui, ella lo vide prima a sé avvicinarsi e, subito dopo, riprendere le distanze, quasi avesse voluto in lei cercare un'ultima reazione, un ultimo cenno di collaborazione purtroppo non trovata. E nel mentre in cui la luminescenza colta attraverso la sottile pelle delle palpebre si ridusse, definendo l'allontanamento di quella creatura, un ultimo verso, a metà fra il sospiro e il saluto, fu tutto ciò che esso volle concedersi, nel rimpiangere la compagna di giochi a cui, suo malgrado, aveva dovuto rinunciare, ma che, probabilmente, sperava prima o poi sarebbe tornata a divertirsi con esso.

« Hi. »
« Hi… anche a te. » sussurrò la mercenaria, in parte sentendosi addirittura colpevole dello sgarro imposto a quel bambino, ma subito rimproverandosi di ciò nel rammentare come, a conti fatti, quell'essere tutto avrebbe dovuto essere giudicato tranne che un bambino « E, per Thyres, grazie di non avermi arrostita… » concluse, in una doverosa invocazione verso la sua dea e in un ringraziamento che, ancor prima che alla medesima, sembrava voler essere rivolto all'elementale.

Solo dopo un lungo periodo, forse un quarto d'ora, forse addirittura mezz'ora, la donna guerriero si convinse a riaprire gli occhi e a scuotersi dalla postura assunta. Un intervallo, invero, che ella non lasciò assolutamente privo di significato o ragione, approfittando della necessità di doversi assicurare dell'allontanamento definitivo dell'elementale per riposarsi, per recuperare una parte, pur minima, delle energie, troppe, consumate sino a quel momento, nella doppia lotta con l'oni e nella sfida con l'elementale.
In altre condizioni, in altre situazioni, avrebbe scelto di riposare la mente, ancor prima del corpo, coinvolgendo quest'ultimo in una serie di esercizi atti a non concedergli occasione di fermarsi e, in ciò, di indolenzirsi al punto tale da non permetterle di riprendere a muoversi. In quell'estremamente particolare contesto, tuttavia, costretta all'immobilità dallo stesso elementale, Guerra preferì lasciar risposare le proprie membra e, nel contempo, lasciar correre la propria mente, innanzitutto per evitare il rischio di un assopimento, e in secondo luogo per cercare di compiere un punto della situazione.
Riflessione e analisi, le sue, che non poterono che spingerla, nuovamente, all'ipotesi già presa in considerazione in merito all'assenza di eventuali bakeneko o altre creature simili, e alla presenza, il loro vece, di una coppia di stregoni o, più probabilmente, di un singolo stregone e di una serva al proprio fianco o viceversa. Al di là, infatti, dell'ottusità misogina imperante presso i discendenti del regno del Dragone, ella era consapevole di come nulla avrebbe potuto negare l'eventualità che il comando nella coppia di misteriosi viandanti passati per il villaggio non fosse tanto dell'uomo, quanto piuttosto della sua compagna, possibile strega con servo al seguito.
Ma proprio alla luce di tali elucubrazioni, ciò che le fu alfine posto innanzi non poté mancare di lasciarla quantomeno contraddetta…

giovedì 24 maggio 2012

1587


N
ove volte su dieci, ove il mito cantava di immortalità o invincibilità, i fatti avrebbero poi, altresì, parlato semplicemente di un avversario incredibilmente rognoso da abbattere. I fatti, per lo meno, per come riportati dalla voce della stessa Guerra. Una volta su dieci, però, la realtà non avrebbe fatto nulla per tentare di smentire la fantasia, ragione per la quale i fatti avrebbero solamente accreditato quanto il mito già declamava con convinzione da lungo tempo. Fra questi rari, e pur non inesistenti casi, la donna guerriero aveva già avuto occasione di incontrare angeli e mahkra, semidei e oni, e ancora qualcun altro: creature che ella era stata costretta a considerare immortali nel confronto con l'evidenza della situazione, e che pur, ancora, nel profondo del proprio cuore, voleva considerare altresì vincibili e fallibili, semplicemente in una misura a lei ancor sconosciuta.
Nel considerare, a tal riguardo, come l'oni fosse stato introdotto solo un attimo prima rispetto a questo simpatico, o tal chiaramente si reputava, elementale; e come, sempre l'oni, si fosse dimostrato essere quell'uno su dieci capace di comprovare il proprio mito; Guerra non avrebbe mai potuto accettare l'idea della misura nella quale la propria personale statistica sarebbe dovuta essere posta in dubbio nel momento in cui, sciaguratamente, anche l'elementale si fosse dimostrato immortale, o presunto tale in mancanza di una smentita che ella non sarebbe ancora stata in grado di offrire. Ma se l'elementale non sarebbe dovuto essere accolto qual una creatura effettivamente immortale, allora inevitabile sarebbe stato considerarlo mortale, e, per questo, vincibile. Non facilmente, non immediatamente, e pur vincibile. E laddove, sino a quel momento, la sua lama bastarda aveva dimostrato di saper reggere bene alla violenza del fuoco generato dal proprio avversario, altrettanto inevitabile sarebbe stata la decisione di impiegare proprio la stessa nell'ipotesi di offensiva a discapito del bimbetto in fiamme.
Così, fra una parata e una capriola, fra un'evasione e una difesa, Guerra maturò la decisione di avvicinarsi il più possibile all'elementale, quanto, per lo meno, sufficiente a guidargli contro la propria spada. Non che si attendesse di poter riuscire a fermarlo con un semplice colpo di spada, ma nulla, in quel momento, le testimoniava la possibilità contraria, ragione per la quale tentare non le sarebbe costato… non, quantomeno, ove fosse stata sufficientemente abile da non lasciarsi colpire da una di quelle sfere infuocate.

« Tjyres! » invocò a denti stretti, nel momento in cui, invece di trovare un pur minimo successo, si limitò ad annaspare nel vuoto, quasi tutta la sua energia fosse stata diretta verso il nulla allorché in contrasto a una creatura materiale, ritrovando nell'elementale meno resistenza di quanto non se ne sarebbe potuta attendere da parte di uno spettro, di un fantasma.

Il suo, forse prevedibile, sbilanciamento, rischiò di comprometterla nel momento in cui, proprio malgrado, ella espose la schiena a quella creatura, a quel mostro, qual a tutti gli effetti esso era, e questi non tardò ad approfittarne. A rimetterci, sotto il tocco delle mani di quell'essere immateriale, fu la sua casacca rossa, in primo luogo, e parte di quella scura sotto la prima, in secondo luogo, arrivando a sfiorare la fascia preposta al contenimento dei suoi seni e la pelle sotto la medesima. Per sua fortuna, o, più propriamente, per sua abilità, Guerra, pur lì espostasi, non restò indolente nel confronto con la propria inferiorità, subito rimediando all'errore nel gettarsi completamente in avanti, e verso il suolo, in una capriola volta ad allontanarla dal proprio scherzoso nemico prima che per lei potesse essere troppo tardi.
In grazia a tal gesto, la sua pelle, pur necessariamente arrossandosi per il calore, non risultò lesa, non si ustionò, ed ella, al termine del proprio movimento, riuscì a ergersi nuovamente pronta alla lotta, qual solo avrebbe dovuto essere per far propria una qualunque speranza di sopravvivenza.

« Hi. Hi. Hi. »

Insopportabile, ormai, era quel risolino, quel sottofondo divertito a ogni propria azione: alcuno, nel confronto a tanto esplicita dimostrazione, avrebbe potuto riservarsi dubbi di sorta nel merito del carattere ludico degli elementali, o, quanto meno, di quello specifico elementale, le cui confuse fattezze scolpite all'interno delle fiamme sembravano continuamente distese in un ampio sorriso, o, addirittura, in un ampio riso. Motivo per il quale, in verità, Guerra non avrebbe potuto ovviare a provare una decisa irritazione, un'irritazione che, per un fuggevole istante, e fece quasi perdere il controllo così come era stato nel momento della prima offensiva dell'oni, ma che, riuscendo ella a maturare coscienza di ciò, venne rapidamente rinnegata, lasciata scemare quale un'emozione priva di significato. E priva di significato, lo era veramente, dove concedendosi di cedere all'ira ella non avrebbe risolto i propri problemi… li avrebbe semplicemente e ulteriormente complicati.
Perciò, fedele alla se stessa di un tempo, alla fredda donna guerriero che era sempre stata prima dello scontro finale con Anmel, ella si impose assoluto autocontrollo, offrendo il giusto peso a ogni possibile sentimento, per quanto eventualmente giustificato come sarebbe potuto essere in quel momento.

« Non sei assolutamente divertente. » volle dichiarare, sforzandosi di parlare nella lingua di Hyn, sebbene alle orecchie di quella creatura, presupponendone la presenza, alcuno fra i vari idiomi da lei conosciuti avrebbe avuto un benché minimo significato « Alla lunga ogni giuoco annoia e se non l'hai ancora compreso, probabilmente è giunto il momento che qualcuno te lo insegni… »

Quelle parole erano uscite naturali dalle sue labbra, non pensate né studiate, proponendosi quali un semplice commento a quanto lì stava avvenendo, alla situazione nella quale ella si era involontariamente cacciata. Tuttavia, nello scandirle, un'idea malsana, folle e probabilmente suicida sorse alla sua attenzione, proponendosi quale possibile alternativa a una sfida infinita, a un continuo botta e risposta che ella non era certa sarebbe stata in grado di mantenere ancora a lungo. Perché dopo il doppio scontro con l'oni, e più di due dozzine di palle di fuoco respinte o evitate, naturale anche per una donna della sua tempra sarebbe stato iniziare a cedere, a indebolirsi. E un minimo cedimento, una semplice debolezza, avrebbe significato per lei solo morte, in quel momento, in quella condizione.
Non che fosse desiderosa di anticipare la tragica ora della sua dipartita, ma in una condizione sufficientemente disperata qual si stava tratteggiando, di istante in istante, la sua, ogni possibile alternativa all'inevitabile, per quanto rischiosa, sarebbe stata accettabile. Accettabile, quanto meno, da essere pronta a scommetterci sopra il proprio futuro, nel tentativo di preservarlo.

« D'accordo… l'hai voluto tu. » riprese voce, ora conscia di quale obiettivo avrebbe dovuto perseguire, e speranzosa che quella non fosse la propria ultima consapevolezza, giusta o errata che essa fosse « L'hai voluto tu e, pertanto, ti prego di ascoltarmi bene: io sono chiusa. » scandì, pur errando nella scelta dell'impostazione di una tanto severa frase e, subito, insistendo nel proprio errore « Io sono chiusa. Hai capito bene. Sono chiusa perché sono stanca di questo gioco. Quindi… »

E a immediato seguito di quel quindi, ciò che ella fece fu di gettare la propria spada a terra, fra sé e l'elementale, per poi lasciarsi ricadere a propria volta in terra, sedendosi con le gambe incrociate, appoggiando le mani sulle gambe e puntando lo sguardo nella direzione del proprio supposto interlocutore, per quanto, sino a quel momento, fosse mancato un vero e proprio dialogo.

« Ora fai quello che vuoi. » lo invitò, con freddezza nel tono della propria voce, forse anche eccessivamente forzata nella volontà di coprire un naturale timore « Se vuoi incenerirmi, fallo pure. Io non mi opporrò. Ma, in tal modo, tu perderai una compagna di giochi, restando solo, senza alcun'altra occasione di divertimento. » lo avvertì, parlandogli come avrebbe fatto, effettivamente, verso un bambino, ove sino a quel momento da parte del medesimo non aveva avuto reazioni tali da escludere simile definizione « E' questo che vuoi?! »

mercoledì 23 maggio 2012

1586


« H
i. Hi. Hi. »

In risposta a quel grido, a quell'esultanza primordiale, barbarica e probabilmente inedita nella civile Hyn, quanto venne offerto alla mercenaria fu una sorta di risolino, espressione di divertito compiacimento per quanto accaduto e, soprattutto, per le sue reazioni a tutto ciò. Un risolino che, oggettivamente, avrebbe potuto provenire solo da due diversi soggetti: il suo avversario, ancor non meglio identificato; o il mandante del suo avversario, fosse esso un bakeneko o, piuttosto e sempre più probabilmente, uno stregone. Perché già prima di arrivare a giungere all'incontro con il proprio nuovo, e attuale, avversario, Guerra non avrebbe potuto riservarsi particolari sorprese su cosa esso avrebbe potuto essere. E l'elementale, qual da lei previsto, si palesò non troppo dopo la propria voce, la propria risatina, avanzando verso di lei dal folto della foresta, e più precisamente da dove, sino a quel momento, erano giunte le sfere di fuoco.
L'elementale del fuoco si presentò agli occhi della donna guerriero non distante dalle descrizioni attorno a tali esseri presenti nelle mitologie di mezzo mondo, in un'eccezione più unica che rara nel merito della fedeltà di una leggenda alla realtà concreta. Di dimensioni pressoché comparabili a quelle di un bambino di due, massimo tre anni, e di eguali proporzioni, esso si palesò qual costituito, ovviamente, in tutto e per tutto dal proprio elemento di riferimento, il fuoco. In tale composizione, in tale fisicità, secondo il mito, impossibile sarebbe stato tentare di ipotizzare una qualunque legge naturale, laddove, come per altre creature appartenenti tanto strettamente alla sfera del misticismo, anche per gli elementali le comuni regole inappellabili proprie per qualunque mortale non sarebbero potute valere, non avrebbero, addirittura, avuto significato. Un elementale non sarebbe mai nato. Un elementale non sarebbe mai invecchiato né morto. Un elementale non si sarebbe mai riprodotto. Un elementale non avrebbe mai mangiato né dormito. Un elementale, semplicemente, esisteva. E, soprattutto, sarebbe stato animato da un insaziabile desiderio di giocare… o, per lo meno, in tal direzione si esprimevano le informazioni a loro riguardo e quel risolino non sembrava intenzionato a negare.
Generati forse in grazia allo stesso concetto di magia, o forse qual risposta di un equilibrio universale ai tentativi compiuti da semplici mortali per impadronirsi di forze a loro superiori; gli elementali erano raccontate quali creature assolutamente elementari, estranee a qualunque consueta emozione o sentimento. Ignari della felicità come della tristezza, dell'amore come dell'odio, dell'appagamento come dell'insoddisfazione, probabilmente in conseguenza alla propria particolare natura, essi erano quindi soliti cercare un senso alla propria esistenza nel giuoco. Con il sottinteso di come ciò che per loro avrebbe dovuto essere considerato divertente, ludico, per il resto del creato avrebbe dovuto essere riconosciuto qual mortalmente pericoloso, se non, direttamente, letale. Piccoli uragani tanto intensi da arrivare a strappare le carni dalle ossa, sarebbero dovuti essere considerati il consueto canone ludico degli elementali dell'aria; non diversamente così come quelle sfere infuocate lo erano per gli elementali del fuoco.
Abitualmente, per quanto noto a Guerra, gli elementali non vivevano distanti dai propri elementi, nella loro forma più grezza e primordiale, ragione per la quale probabilmente il monte Kuno, a un'analisi più attenta, avrebbe dovuto essere riconosciuto quale il vulcano Kuno. E, sempre abitualmente, gli elementali non entravano in contatto con un estraneo di propria spontanea iniziativa, preferendo attendere di essere, anche inconsapevolmente, stuzzicati, per poter rispondere con tutti i propri scherzi preferiti a tale provocazione. Ma considerando come Guerra non aveva neppure immaginato di intervenire a disturbo di una tale creatura, non potendo evidenziare alcuna ragione a tal riguardo; era evidente, trasparente, ovvia la constatazione di come o le leggende si sbagliavano proprio attorno a tal particolare, eventualità da non escludere, oppure di come qualcun altro fosse intervenuto per permettere ai loro passi di incrociarsi, non diversamente da come era stato con l'oni. Un qualcuno che, con estrema probabilità doveva essere in odore di stregoneria, almeno quanto sufficiente a conoscere l'esatta ubicazione di un elementale, per poterlo andare a disturbare e coinvolgere in un tragico gioco con Guerra.

« Ciao piccolino… » sorrise la donna guerriero, sufficientemente scontenta per quello sviluppo pur previsto, ove non troppe avrebbero dovuto essere riconosciute le creature in grado di manipolare il fuoco in una forma qual quella « Lo sai vero che io non ho il tempo per giocare con te? Purtroppo devo lavorare oggi… »

Ma l'elementale, non capendola nella sua lingua natia così come non l'avrebbe altrettanto compresa in quella locale, si limitò nuovamente a ridacchiare, prima di sfregarsi le mani, o quanto di simile a mani esso aveva, lasciando generare al suo interno una piccola sfera, di istante in istante sempre più consistente, sempre più grossa, un nuovo dono per la propria nuova compagna di giochi

« Hi. Hi. Hi. »

La palla infuocata venne così proiettata verso la mercenaria, la quale, in grazia alla distanza ravvicinata, si poté concedere di impegnarsi, nuovamente, in un'evasione fisica ancor prima di una risposta violenta quali erano state le ultime da lei proposte. Così ella si gettò a terra, rotolando lateralmente quanto sufficiente a permettere alla sfera contro di lei scagliata di superarla e di andarsi a infrangere al suolo, lasciando attorno a sé solo cenere e, con essa, morte.

« Pure il bambino di fuoco burlone mi doveva capitare… » borbottò fra sé e sé, rimettendosi in piedi e, nel contempo di ciò, sperando come le leggende si fossero sbagliate nel considerare gli elementali quali immortali, ove in caso contrario decisamente arduo sarebbe stato liberarsi dello stesso « Thyres… questa è la volta buona che ritorno alle sane, vecchie e care abitudini di decuplicare il mio compenso. A dispetto di quanto inizialmente richiesto… »

Sua prerogativa da sempre, infatti, oltre alla ricerca di missioni sempre più improponibili, era stata quella di moltiplicare il compenso concordato con il mecenate in funzione della difficoltà da lei affrontata nel corso del completamento del proprio mandato, arrivando, effettivamente, a decuplicarlo o anche più. Cifre elevate, quelle da lei pretese, che pur mai avevano visto un qualunque mecenate ritroso ad appagarle, in parte perché più che riconoscente verso di lei per quanto compiuto a propria soddisfazione, in parte perché più che preoccupato di quanto ella avrebbe potuto compiere ove non fosse stata a propria volta soddisfatta.
E dal momento in cui, ora come in passato, aveva ripreso attività mercenaria, nulla di sbagliato avrebbe dovuto essere riconosciuto nel ritorno a quella propria abitudine, sperando di incrementare in tal modo le sue già notevoli ricchezze.

« Considerando l'oni, due volte la posta. » fece mente locale, in merito a quanto compiuto « E ora, considerando questo simpatico bimbo, diventa almeno tre volte quanto pattuito… »

Il bimbo da lei appena nominato, nel contempo di tali riflessioni, era tornato a sfregare le mani nella volontà di non interrompere il gioco in atto. L'ultima evasione offertagli non sembrava averlo appagato per quanto da lei desiderato e, in questo, esso avrebbe potuto riconoscere solo un'ottima ragione per continuare, per proseguire nella via già percorsa sino a quel momento, continuando a tempestarla di palle di fuoco sino a quando ella non avrebbe potuto compiere azioni in grado di sollazzarlo.
Ragione per cui, non appena la nuova sfera infuocata fu pronta, l'elementale non esitò un singolo istante prima di lanciarla in contrasto alla donna, con un gesto non dissimile da quello che un bambino avrebbe reso proprio per lanciare una palla di stracci.

martedì 22 maggio 2012

1585


M
a seppur si flesse, la lama frutto della sapienza di un fabbro figlio del mare, forgiata secondo gli unici canoni al mondo capaci di competere degnamente con le spade di Hyn, non si infranse, non cedette sotto lo sforzo così impostole, riuscendo a reagire, riuscendo a ribellarsi al fato e, in questo, ritornando alla propria postura naturale e ribalzando la palla di fuoco lontana da sé, interrompendone, straordinariamente, il cammino apparentemente immutabile, ineluttabile. E i muscoli delle braccia della donna, sia di quella in carne e ossa, sia di quella in metallo, cedettero per un istante a una tanto elevata contrazione, crollando verso il suolo ormai quasi inanimati, forse privi di ogni ulteriore barlume di energia, impiegate per garantirle quella pur effimera speranza di sopravvivenza. Effimera perché anche ove quell'ultima sfera di fuoco era stata respinta, una nuova stava già correndo verso di lei, desiderosa di brandirne le carni e di arderle, non più quale semplice occasione di svago ma, forse, qual vendetta per quanto da lei osato in loro contrasto.

« Oh… Thyres… » invocò, necessariamente scoraggiata per quanto in corso, per quella propria vittoria impossibile da considerare qual tale, in quanto semplice preludio a una nuova sfida, a una nuova battaglia per la propria sopravvivenza.

Forse, se ella non fosse stata chi era, colei ora chiamatasi Guerra e un tempo da altri proclamata qual Figlia di Marr'Mahew, probabilmente, sicuramente, si sarebbe lasciata schiacciare dalle proprie emozioni negative, da quel senso di inutilità che, improvvisamente, aveva pervaso quell'ultima fase della battaglia in corso. L'essere sopravvissuta sino a quel momento avrebbe reso proprio ben scarso valore nel confronto con quanto ancora, nell'ennesimo attacco, le veniva promesso avrebbe dovuto affrontare, e solo umano, giustificabile, sarebbe stato arrendersi, riconoscere la propria mortalità e la propria fallibilità e, in ciò, rinunciare a ogni nuovo scontro, a ogni nuova pugna, accettando di abbracciare a piene mani l'unico, e invero irrinunciabile, traguardo comune all'intero genere umano.
Ma ella era ciò che era. Era chi era. Era Guerra. Era la Figlia di Marr'Mahew. Era colei che aveva sconfitto una chimera. Che aveva sconfitto tifoni e ippocampi. Gorgoni e scultoni. Gargolle e zombie. Negromanti e streghe. Era colei che aveva affrontato volontariamente di lasciare i limiti del proprio mondo per immergersi in una realtà più grande e più complessa, rimettendosi completamente in gioco. E dopo tanto tempo ritrovando un equipaggio e la vita a bordo di una nave, seppur destinata a viaggiare nel cosmo e non nei mari. Ed era colei che non avrebbe mai ceduto allo sconforto per una simile sciocchezza.
Una, due, dieci, venti o cento palle di fuoco, ella avrebbe continuato a combattere. E avrebbe individuato il proprio avversario, l'ignoto creatore di tanto pericolose minacce, per offrirgli il proprio personale ringraziamento per tutto quello, per il suo impegno nel cercare di ucciderla. Una gratitudine, quella che lei avrebbe allora dimostrato, che come minimo si sarebbe concretizzata in un caloroso abbraccio, una stretta al termine della quale, non molto sarebbe rimasto di tal individuo, ove non con tutti le sue dimostrazioni d'affetti si sarebbero dimostrate negli stessi modi, negli stessi termini, rincorrendo le medesime soluzioni.
Così, dopo un fugace istante di sconforto, dopo quell'estemporanea parentesi dominata dal timore di non farcela, di non essere abbastanza forte da superare quell’ennesima, insistente prova, ella ritornò padrona di sé, e, se possibile, ancor più carica d'energie rispetto a prima. Energie che avrebbe speso ben volentieri per dimostrare al mondo, ancora una volta, tutta la propria tenacia, tutto il proprio valore, tutta la propria brama di dominio sul proprio stesso destino.

« Questo gioco potrebbe avere successo! » commentò, tornando a parlare nella propria lingua natia, ove disinteressata a cercare un qualche confronto con il proprio avversario, e riferendosi, nelle proprie parole, al nuovo rapido intervento della propria spada nel respingere quella palla infuocata, mandandola più lontano possibile da sé « Immagino già delle sfide a livello mondiale, fra squadre di diverse nazioni che si contendono il titolo di miglior palla-fuochista… » definì, con i muscoli delle braccia nuovamente provati da quel secondo confronto, probabilmente anche peggiore del primo, e che pur l’aveva vista reagire con prontezza, con determinazione, in difesa del proprio futuro e, con esso, della propria autodeterminazione.

Colpita dalla parte piatta della lama della spada bastarda di Guerra, anche quella nuova palla venne respinta in direzione del mittente, colpita con energia tale da spingerla a innalzarsi verso l’alto dei cieli e, da lì, nuovamente precipitare nel fitto della foresta a lei circostante. E se impossibile sarebbe stato prevedere in quale misura si sarebbe potuta avvicinare a colui che l’aveva generata e inizialmente lanciata, più probabile, più fattibile, sarebbe stato immaginare come alcun entusiasmo avrebbe potuto caratterizzare l’animo di chi, in tal modo, tanto posto nel ridicolo, tanto schernito, in una tanto banale risposta ai propri attentati, alla propria violenza, alla propria ricerca di morte.

« Avanti… lanciane ancora! » lo incitò ella, sforzandosi di riprendere la lingua di Hyn e, con essa, di rivolgersi al proprio non conosciuto antagonista, per spronarlo a proseguire in quel modo, dimostrando di non sgradire assolutamente quel genere d’attacchi « Dai… che ora mi sto proprio divertendo! »

Forse comprendendola, forse no, impossibile a dirsi, l’attentatore ubbidì alla sua richiesta e le offrì altre due palle di fuoco, a distanza estremamente ravvicinata. Un livello di difficoltà aggiuntiva, per la donna guerriero, la quale, in tal modo non avrebbe avuto il tempo di respingere il primo che già sarebbe stata raggiunta dal secondo, con un impeto complessivo tale per cui difficile sarebbe stato scommettere sul successo della sua spada, la cui lama sarebbe stata posta a seria prova da tanto sforzo, da una forse improponibile tensione. Tuttavia Guerra non avrebbe allora potuto compiere nulla di diverso dall’attendere l’arrivo di simili minacce alla sua sopravvivenza con tutta la quiete di cui sarebbe stata capace, unica condizione mentale nella cui avrebbe potuto sperare di riservarsi una pur minima occasione di sopravvivenza. Occasione, altresì, necessariamente negatale nel momento in cui avrebbe preferito lasciarsi dominare dall’ansia e dal timore, dalla paura per il proprio futuro; una paura che, in tal modo, ella stessa avrebbe collaborato a trasformare in realtà, in tragica, tremenda e letale realtà.
Così, quando le due sfere infuocate giunsero a lei, ella non si concesse la benché minima esitazione, non un solo, ulteriore istante di incertezza, tendendo i muscoli delle braccia, già provati, già stremati, per contenere quella furia, quell’orrore carico di morte; nella necessità, ancor prima che nella volontà, di respingerlo ancora una volta, nonostante l’impeto maggiore, nonostante l’energia raddoppiata posta in quell’offensiva desiderosa soltanto di annoverarla fra i trapassati…

« Th…yre…s… » gemette a denti stretti, nel mentre in cui non solo le braccia, ma anche le spalle e la schiena tutta sembrarono prendere fuoco, non per la presenza di quella particolare minaccia, ma per lo sforzo a cui erano lì sottoposte, sforzo che, forse, seppur non riuscendo a piegarla, sarebbe peggio riuscita a spezzarla, letteralmente, in due.

Ma la forza di volontà della donna, e la sua tempra fisica, indubbiamente quest’ultima aiutata in buona misura dalla presenza dell’arto robotico alimentato all’idrargirio, le permisero di resistere a ciò a cui nessuno sarebbe stato capace di resistere, e di rifiutare, ancora una volta, la morte a cui nessuno sarebbe stato sicuramente capace di sottrarsi. E le due palle di fuoco rapidamente scontratesi con la sua lama, pur arrossandola, pur iniziando a intaccarne, inevitabilmente, la tempra, vennero infine rigirate allo stesso indirizzo dal quale erano sorte, con un grido, invero un ruggito, di esultanza quasi animale, sorto dal profondo della gola di lei, di Guerra, della Figlia di Marr’Mahew.

lunedì 21 maggio 2012

1584


« D
iamine! » esclamò Guerra, sgranando gli occhi in conseguenza di quel proprio percorso mentale e, soprattutto, del traguardo raggiunto al termine del medesimo « Possibile che…?! »

Inutile, al di là della retorica spesa nelle proprie ultime chiacchiere, cercare spiegazioni o risposte in tal senso da parte dell'oni suo prigioniero: quella testa era ridotta in condizioni pessime, rendendo improbabile una qualunque risposta nell'ipotesi ancor non confermata di una sua possibilità di dialogo, di parola.
Escluso egli, o forse ormai sarebbe stato giusto dire esso, disconoscendogli qualunque valore umano; la mercenaria non avrebbe potuto confidare su altro al di fuori del tempo stesso, il tempo che, scorrendo inesorabile, l'avrebbe presto o tardi posta innanzi alla verità. Verità che, sebbene non ancor offertale in maniera trasparente e inequivocabile, fece il proprio primo sforzo rivelatore dopo solo pochi passi dal punto e dal momento in cui ella aveva scandito quella propria esclamazione di stupore; lì investendola con la carica che sola sarebbe potuta essere di una sfera infuocata gettata in suo contrasto, in sua opposizione. Una sfera infuocata proiettata con forza contro di lei, la quale, ove non rilevata nella propria micidiale occorrenza, nel proprio letale moto, avrebbe potuto raggiungerla e, senza mezzi termini, ridurla in cenere, in un cumulo di ossa e di resti fumanti entro i quali impossibile sarebbe stato riuscire a riconoscere la donna che era stata un tempo.
Fortunatamente per lei, malgrado ogni lamentela per l'età inoltrata, per l'anzianità che in Qahr sarebbe apparsa schiacciante ma che in Hyn avrebbe potuto ancora promettere altri decenni di salute e di prosperità; i suoi sensi non avrebbero dovuto essere già riconosciuti qual annebbiati, qual rallentati o comunque ostacolati nella propria efficienza, ragione per la quale lo sfrigolio dell'aria attorno a tale getto di fuoco fu inconfondibile e la costrinse a prendere rapide decisioni allo scopo di preservare la propria esistenza in vita per ancor qualche tempo, per ancor qualche anno, ove non avrebbe potuto vantare particolare interesse a morire, malgrado tutto. Così, roteando rapida da destra a sinistra, alla ricerca della direzione dalla quale l'offensiva la stava raggiungendo; nel momento in cui la riconobbe, ella slanciò il proprio braccio destro in avanti, per gettare, in contrasto a un tale, terribile minaccia, l'ultimo frammento dell'oni rimasto in suo possesso, la sua enorme, e non pienamente rigenerata, testa, sperando che questa fosse in grado di assorbire tutta la violenza incandescente di quella palla di fuoco. E non desiderando, tuttavia, scommettere il proprio futuro sulla riuscita di quella controffensiva, ella non esitò a gettarsi a terra, sperando, in tal senso, di evadere alla traiettoria di quella promessa di morte.

« E ora cosa succede, per Thyres?! » sussurrò a denti stretti, nella propria lingua natia, nel mentre in cui osservò la testa dell'oni disintegrarsi, forse definitivamente, all'interno di quelle fiamme innaturali, venendo consumata dalle medesime quasi un ciocco di legno all'interno di un caminetto ardente.

Anticipando qualunque possibilità, per lei, di individuare l'origine di quella nuova offensiva, una seconda palla di fuoco seguì la prima, ora volando nel sottobosco a solo poche dita dal suolo, lasciando, in tal modo, sul proprio cammino una scia di cenere nera, e, peggio, rendendo propria, a tale altezza, la possibilità di raggiungere colei che, per evitare la precedente, si era gettata al suolo. Guerra, pertanto, fu costretta a sollevarsi da terra, abbandonando l'erba che aveva sperato potesse nasconderla e proteggerla, con un agile salto, nel quale, quasi a imitazione dello stile di Hyn, ella si proiettò verso il cielo, invero per non oltre tre o quattro piedi, e lì roteò, al duplice scopo di ovviare alla nuova minaccia rivoltale e, ancora, di recuperare una postura eretta, utile a permetterle maggiore libertà di movimento nei momenti seguenti, innanzi ai nuovi attacchi che, era certa, non sarebbero mancati al suo indirizzo.
In tal modo negata qualunque utilità, qualunque speranza di successo anche al secondo attacco, ella non poté tuttavia riservarsi un singolo istante di riposo, e di riflessione, prima della terza sfera infuocata, la quale, senza la benché minima esitazione, seguì il corso delle altre, tentando di non concederle una qualunque manovra evasiva con un ampio movimento rotatorio, a spirale.

« Esibizionista! » gridò ad alta voce, in contrasto al proprio avversario, chiunque egli o ella, esso o essa fosse, mal digerendo quella enfatica dimostrazione in proprio contrasto, soprattutto ove sempre più complesso sarebbe stato per lei tentare di sfuggire a quella minaccia.

Assediata da quel vortice di fuoco, ella avrebbe potuto concedersi solo due vie di fuga: o proiettarsi con forza di lato, evadendo alla traiettoria pur tracciata da quella stregoneria; o gettarsi in avanti, tentando di attraversare indenne l'occhio del ciclone tracciato da quella palla di fuoco. Entrambe le soluzioni avrebbero potuto vantare i propri rischi, i propri vantaggi e i propri difetti, ragione per la quale ella non si arrischiò a elaborare troppo a lungo la questione, preferendo agire ancor prima di pensare e, in ciò, gettarsi di lato a ovviare al rischio di morte da tutto quello rappresentato.
Ma se in quel momento ella aveva avuto possibilità di scelta, alla successiva offensiva, non solo prevedibile ma persino giudicabile qual ineluttabile, la donna non si poté concedere altrettanta fortuna, ove, a ovviare al rischio di nuove capriole e pirolette da parte sua, il suo antagonista, di qualunque natura fosse, rimediò gettandole contro una nuova sfera infuocata, ancora roteante qual la precedente, ma ora facente propria un'orbita ellittica, percorrendo tale percorso tanto dall'alto in basso, quanto da destra a sinistra, quant'ancora da indietro ad avanti, in maniera tale che folle sarebbe stato per chiunque, non solo per lei, tentare di individuare una via di fuga realmente utile, che la potesse porre in salvo da quella minaccia senza successive ritorsioni.

« E poi?! » domandò ella, con tono sarcastico e retorico, sinceramente preoccupata per quella sfida e, innegabilmente, eccitata dalla medesima, quasi in ciò stesse trovando occasione di rivivere la propria giovinezza, sempre più compianta.

Rapida la sua sinistra agì nel contempo di tali parole, stringendosi attorno all'impugnatura della spada per estrarla dal proprio fodero. Rapida anche la destra si mosse, a stringere, ancora una volta, il forte della lama, per offrirle maggiore fermezza, maggiore forza. Rapido anche il suo corpo si posizionò, cercando di disporsi lateralmente rispetto a quella che previde sarebbe stata la traiettoria della palla di fuoco nel momento in cui l'avrebbe raggiunta. E rapida la sua mente corse al pensiero di Thyres, pregandola intimamente di non abbandonarla in quel momento, di non lasciarla vittima del fuoco, lei figlia del mare, che nelle acque era cresciuta e in esse aveva appreso la vita ancor prima che sulla terraferma.
E quando la sfera infuocata le fu prossima, un rivolo di sudore non poté che emergere dal rosso del sangue dell'oni incrostatosi sulla sua pelle, scendendo dalla tempia destra e scivolando sino al mento, qual unica dimostrazione di una tensione oltre ogni umana possibilità di gestione.

« Lurido cane… » ringhiò a denti stretti, in direzione del proprio non svelato avversario, nel mentre in cui le sue braccia e il suo busto si tesero oltre misura e la sua spada, prima caricata dietro le sue spalle, venne lasciata roteare verso la palla di fuoco, posizionata in modo tale da colpirla con la parte piatta della lama e, speranzosamente, di respingerla.

Il momento dell'impatto fu straordinario e tremendo al tempo stesso, fugace ed eterno, quasi non fosse neppure occorso e, al contempo, quasi fosse durato per una vita intera e oltre ancora, vedendo nel contempo di quell'atto la mercenaria morire e rinascere, crescendo per altri cinquant'anni prima di ritornare in quello stesso punto, in quella stessa posizione, con la spada tesa in orizzontale, parallela al suolo, con i muscoli delle braccia, di entrambe le braccia, sia quella di carne sia quella di metallo, tesi oltremodo, e con i denti stretti, a contenere un ruggito di rabbia e di predominazione che in quell'istante non avrebbe potuto evitare di caratterizzarla, fosse stato il suo ultimo atto nel regno dei vivi. E tanto sforzo, tanto impegno, parvero inizialmente privi di significato, nel mentre in cui, sotto la spinta innaturale di quella sfera maledetta, la lama bastarda si flesse, così come mai, sin dal momento della propria forgiatura, era successo.

domenica 20 maggio 2012

1583


F
radicia per i disgustosi fluidi corporei dell'oni attraverso il quale si era appena spinta, Guerra agì in contrasto a quel corpo mutilato con la fermezza di un macellaio, non considerandolo più pari a un avversario, quanto a un capo di bestiame da dover ridurre ai propri minimi termini, per poi completare l'opera già iniziata nello spargere le braccia e le mani nell'intera foresta a lei circostante, e, probabilmente, nell'intera vallata sotto di loro. Il tempo, come quasi sempre nel suo mestiere, e nella sua intera vita, avrebbe dovuto essere considerato un fattore in suo contrasto: più ella ne avrebbe sprecato in quella non semplice operazione di macellazione e di divisione in quarti, più il suo antagonista si sarebbe sforzato di recuperare la propria integrità. E così riverso a terra, incredibile a dirsi, il suo capo sembrò ritrovare speranza di rigenerarsi, di rimediare ai primi colpi subiti, in una macabra rincorsa di frammenti di carne e di ossa verso un corpo sempre più frazionato.

« Non ci credo! » esclamò Guerra, sforzandosi di riprendere a parlare nella lingua locale « Vuoi davvero rimettere insieme quel brutto muso?! Ti assicuro che, in questo modo, hai solo da perderci… »

Ma l'oni non volle offrirle ragione, motivo per il quale, nel mentre in cui ella riuscì a sezionare in ben tredici parti il suo corpo, escludendo il collo; oltre metà del suo viso, e della sua testa dietro a esso, ritrovò la coesione prima perduta, permettendo a un suo grande occhio, il destro, di tornare a muoversi, a guizzare verso di lei, quasi, in ciò, a volerle destinare silenziose imprecazioni, maledizioni per quanto compiuto a proprio discapito. Ed ella non se ne ebbe assolutamente a male per simile, risentito sguardo, non, soprattutto, quando il resto del corpo di quell'immortale, ma non fortunato, avversario, fu sparso nell'intero circondario. Al contrario, Guerra sorrise verso quel capo, inginocchiandosi di fronte al medesimo, per osservarlo con interesse e curiosità…

« E' un peccato che abbia una missione da compiere, grand'uomo… » scandì serenamente verso di lui, mentre la sua destra, in insensibile metallo, si mosse a picchiettare contro quell'enorme bulbo oculare « Non nego, infatti, di essere decisamente coinvolta da questa tua abilità di rigenerazione costante, per motivi personali di cui non starò qui ora a tenderti. » spiegò, errando nello scandire il verbo "tediare", ma non nell'affondare con forza il proprio medio all'interno della sua orbita, lì roteandolo per distruggere l'occhio e per osservarne l'eventuale guarigione con due sue intere falangi ancora lì presenti « Però, per l'appunto, non posso fermarmi molto… quindi, abbi un minimo di comprensione e non te la prendere con me per quello che farò. »

Decisa, infatti, a non correre ulteriori rischi, ella spinse il proprio pugno metallico all'interno del cranio non ancor completamente rigenerato e, una volta frantumatolo e penetrato in esso, ella allargò le dita, a prendere possesso di quell'area, di quella superficie interna entro la quale non desiderava potesse esserci nulla di funzionante. E così legatasi a quella testa sproporzionata, almeno rispetto a lei, si risollevò da terra, pulì nuovamente la lama della propria spada contro le proprie vesti, la rinfoderò e riprese il cammino, portando seco quella parte del proprio avversario, quasi una pesante sacca al proprio fianco.

« In verità, mi mancava un compagno di viaggio… » commentò fra sé e sé, o forse fra sé e l'orrore condotto attorno alla propria mano destra « Sono spesso rimproverata di essere restia a farmi nuovi amici, ma con te le cose sono andate proprio alla grande! Non trovi? »

In tal modo ella proseguì nella propria risalita lungo il fianco della montagna, del monte Kuno, in uno spettacolo che difficilmente, se incrociato da anima viva, da persona comune, non sarebbe entrato nella leggenda. L'immagine offerta da un'ancor splendida donna, dalle forme straordinariamente procaci, in vesti di Hyn coperte, ed anch'ella coperta, completamente di sangue e di altri liquidi che sarebbe stato meglio non identificare, oltre ovviamente che di proprio sudore; impegnata in quell'ascesa trattenendo al proprio fianco, sorretta dalla propria mano destra, già di per sé straordinaria, la testa di un oni, di una delle creature più note in tutto l'Impero, e, in ciò, delle più temute, da grandi e da piccini; sarebbe stata in grado di concederle una fama imperitura, non inferiore a quella da lei già conquistata nelle proprie terre d'origine.
Ma lì, vicino a lei, in sua prossimità, non vi era alcuno, non vi erano testimoni. Ragione per la quale tutto quello sarebbe rimasto un mito non narrato, una leggenda non cantata. Perché se anche ella avesse raccontato cosa era lì accaduto, e cosa ancora era a divenire, nessuno le avrebbe creduto, reputando tutti quegli eventi frutto di una fantasia sin troppo fervida. A prescindere da ciò, comunque, ella mai si sarebbe impegnata a cercare glorificazione per sé senza un invito esterno in tal senso, senza una richiesta esplicita di resoconto su quanto accaduto: perché ove anche non avrebbe reso propria una qualche iniziativa, nella ricerca di glorificazione personale, neppure ella avrebbe mai celato quanto compiuto, consapevole di come, nonostante tutto, mille e una versioni differenti sarebbero state rielaborate a partire dalla sua cronaca e altre mille e una versioni sarebbero state in suo esplicito contrasto, a negare tutto quello che ella avrebbe potuto dire e, persino, non dire.
Quella, del resto, era da sempre la sua vita, la sua quotidianità, ed ella, in mezzo secolo di vita, aveva appreso le regole del gioco, rendendole proprie. E concedendo probabilmente ragione al mai meglio identificato saggio di Hyn, Guerra avrebbe potuto dichiarare, con assoluta sicurezza, come la virtù avrebbe dovuto essere riconosciuta qual mediana fra l'arroganza e la modestia: se l'arroganza, infatti, non le avrebbe concesso alcuna possibile credibilità nel confronto con il mondo; al tempo stesso la modesta non le avrebbe riservato alcuna speranza di riconoscimento per le proprie azioni, per le proprie imprese. E per una mercenaria desiderosa di esercitare la propria professione, non semplicemente necessario, ma addirittura obbligatorio sarebbe stato riservare giusto spazio alla promozione delle proprie gesta, affinché vi potesse essere ragione, per nuovi mecenati, di ricercare il suo intervento nelle proprie questioni.

« Comunque sia… » riprese voce verso la testa appesa alla sua mano destra « Non hai mai sentito parlare di un certo Desmair, non è vero? Né conosci un tal dio Kah, immagino… è corretto? » lo interrogò nella lingua franca vigente all'interno dell'intero Impero.

A prescindere dalla necessità di promuovere il proprio nome, comunque, Guerra non avrebbe mai esposto in pubblico determinati aspetti della propria vita, determinate vicende del proprio passato, prima fra tutte quella che, in un fittizio dialogo con il proprio ipotetico compagno di ventura, aveva appena citato. Alcuna ragione, dopotutto, ella avrebbe potuto individuare tale per cui discorrere in pubblico, o anche in privato, del proprio matrimonio con Desmair, e, ancora, del proprio conflitto con Anmel, paradossalmente acquisita qual suocera in conseguenza di tale unione, le avrebbe potuto offrire un qualunque beneficio. Perché ove l'insorgere di canzoni e ballane nel merito di determinate storie, di alcune sue avventure, era sempre stato gradito e utile alla sua carriera, alla crescita della sua fama e della sua gloria; la diffusione di informazioni riguardanti un vincolo importante qual quello matrimoniale con un demoniaco semidio l'avrebbe troppo facilmente resa suscettibile ad accuse di stregoneria… nel migliore dei casi. E non avrebbe avuto vantaggi a farsi additare qual strega, ove, in effetti, ella stessa era solita dare la caccia a simili, poco raccomandabili, soggetti.
Una caccia, dopotutto, non dissimile a quella che anche in quel momento stava compiendo, ove porsi all'inseguimento di una coppia di gatti mannari con il debole per la carne umana, o di una coppia di negromanti o stregoni con il vizio del sacrificio umano, non avrebbe comportato per lei particolari differenze… salvo che i secondi avrebbero potuto evocare creature di ogni genere per ostacolarla.
Creature come un oni.