11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

venerdì 31 agosto 2012

1686


Scena II

(Cambi nuovamente la scena e, dalla foresta presentata per voce della sola Ah’Reshia, si torni a un’ambientazione non meglio definita a palazzo, forse il giardino, già contesto della prima scena nel primo atto, forse un corridoio, non dissimile a quello ove è stato assassinato Mu’Reh. Tale contesto, come già nel resto della tragedia, venga espresso in grazia alla recitazione degli attori, e non con altri mezzi, semplicemente, e come già chiarito, non abbisognandone.)
(Entrino, da destra, Reja e Sha’Maech, mentre da sinistra compaia, praticamente contemporaneo a loro, Mu’Sah, il principe. Quanto avvenuto nel corso della notte non è stato ancora reso noto ma, nonostante tutto, sul volto della nutrice si manifesti palese preoccupazione. Preoccupazione per la sorte di Ah’Reshia, come immediatamente espliciterà.)
Reja – Oh, mio principe. (Esclama, correndo quasi verso di lui, con affanno.) Tua figlia… tua figlia, la principessa… oh, principe. Non riusciamo a trovarla!
Sha’Maech – (Approssimandosi con maggiore cautela al signore.) E’ così, mio signore. Tua figlia è scomparsa. Nulla di più, nulla di meno di tua figlia, del tuo tesoro più grande. (Ribadisce il concetto, insistendo sul medesimo.)
Mu’Sah – (Dimostrandosi subito preoccupato all’annuncio.) Potrebbe essere stata rapita?! (Interroghi la coppia, in una domanda forse più retorica che pratica.) Qualche lurido villano potrebbe essere ritornato, nel cuore della notte, per completare quanto i suoi compagni non sono riusciti sotto la luce del giorno…
Reja – Impossibile! (Esclama d’istinto.) Chi potrebbe mai entrare a palazzo, tanto di notte, quanto di giorno, se non invitato?! Le guardie di Mu’Rehin sono in costante vigilanza, e non permetterebbero neppur a uno scoiattolo di oltrepassare i confini di questa dimora.
Sha’Maech – Nulla è impossibile. (Intervene a commento delle parole della nutrice.) Solo fortemente improbabile. (Puntualizzi.) Al di là di ciò, mi ritengo scettico su una simile eventualità. (Offrendole, alfine, ragione.) Parrebbe, piuttosto, che ella abbia scelto personalmente di andarsene…
Mu’Sah – Come puoi dir questo, mio saggio amico?! (Domandi, offrendo fiducia alla sua tesi e, pur, desiderando esser informato nel merito dei ragionamenti compiuti per giungere a un tale risultato.) Mi sfugge la ragione alla base di tanta sicurezza…
Sha’Maech – Con l’aiuto di mero raziocinio, mio signore. (Chini appena il capo, in segno di immancabilmente dovuto rispetto.) Ove ella fosse stata rapita, non sarebbe mancato un qualunque segno di un tanto crudele attentato fosse un tentativo di ribellione da parte di tua figlia, degna erede di suo padre; o, comunque, un pur minimale oggetto posto al di fuori alla propria consueta quotidianità, fosse anche a opera involontaria dei rozzi suoi rapitori. Questo dimenticando, ovviamente, la premessa appena compiuta, nel merito dell’improbabile possibilità di accedere senza essere veduti…
Reja – Ciò nonostante potrebbero esserci mille altre spiegazioni nel merito del perché sia accaduto quanto è accaduto. (Scuote il capo, ancora poco convinta.) Non obbligatoriamente una sua fuga volontaria di casa… non, per lo meno, ove completamente priva di ragioni.
Sha’Maech – Io non sto pretendendo di offrire una risposta certa. Neppure gli oracoli possono concedere una tale garanzia e io, di certo, non mi considero un oracolo. (Protesta, ora quasi indignato.) Quanto posso affermare è ciò che la logica mi può suggerir di proporre, ossia che laddove tanto complesso potrebbe essere per un estraneo intrufolarsi all’interno delle nostre mura; tanto più semplice potrebbe essere per qualcuno a noi famigliare violare simile sorveglianza, lasciando questo palazzo con discrezione sufficiente a non porre alcuno in allarme. (Spiega, ora con parole assolutamente trasparenti.) Poi, per carità… ognuno è libero di pensarla come meglio desidera. Ma questa, se mi è richiesta, è la mia opinione.
Mu’Sah – Non siamo qui per decidere chi debba avere ragione o torto. (Interviene, serio.) Siamo qui per capire a quale destino gli dei abbiano voluto crudelmente indirizzare mia figlia, sia nell’eventualità di un rapimento, sia in quella di un stolida scelta in favore di una fuga volontaria.
Reja – Sì, mio principe. (Si inchini.) La mia, comunque, non desiderava essere scarsa considerazione per questo dramma, ti prego di credermi. Sono in pena per il destino di Ah’Reshia quasi fosse figlia mia.
Mu’Sah – E fai bene a esserlo. (Replichi, ora con tono addirittura crudele, non sol serio.) Perché se dovesse succederle qualcosa mentre era sotto la tua custodia, ti posso assicurare che né per tua figlia, né per te, vi sarà un roseo futuro…
(A quelle parole Reja si spaventi realmente, irrigidendosi e zittendosi, incapace a ipotizzare qualcosa da dire in un momento come questo. Sebbene ancora non sappia cosa sia accaduto nel cuore della notte trascorsa, ella conosce abbastanza il proprio principe per comprendere come quella non abbia a considerarsi una minaccia fine a se stessa. Al contrario, innanzi a ciò, teme sinceramente per la sua vita, e per la vita di sua figlia Kona, che mai vorrebbe veder coinvolta in un giuoco di potere a palazzo, nella consapevolezza di quanto, raramente, da tutto ciò possa derivare qualcosa di buono per qualcuno del loro ceto.)
Sha’Maech – Mio signore… sono certo che qualunque cosa sia accaduta non possa addebitarsi ad alcuno, né a Reja qui presente, né ad alcuna guardia di palazzo. (Interviene, a cercare, coraggiosamente, di prendere le parti della parigrado.) Ho verificato personalmente le condizioni delle stanze di tua figlia ed è assolutamente improbabile che ella abbia oltrepassato la loro porta ieri sera: neppure uno spettro avrebbe potuto attraversare quegli spazi lasciando tanto inalterato l’ambiente attorno a sé.
Se è avvenuto qualcosa, è avvenuto al di fuori delle sue stanze e, probabilmente, in un momento più che antecedente al pranzo e alla cena ai quali ha lasciato detto non avrebbe partecipato per recuperare studio arretrato…
Mu’Sah – Dei! (Esclama, sgranando gli occhi.) Quasi dimenticavo questo dettaglio. Quanto dici è corretto… e, purtroppo, sembrerebbe avallare l’ipotesi di una fuga!
Sha’Maech – Non volevo essere eccessivamente brutale ma… sì. E’ così. (Annuisce, privo di soddisfazioni nel conquistare ragione.)
Reja – Ma… se così fosse… per quale motivo…?! (Domanda, non riuscendo a immaginare una qualunque ragione in tal senso. Appare ancora timorosa di intervenire, sinceramente segnata dalle ultime parole a lei rivolte.) Per quale motivo… sarebbe fuggita di casa?
Sha’Maech – Impossibile a dirsi. (Si stringe nelle spalle.) Forse per un inappagato desiderio di avventura. O, forse, perché ha ravvisato delle situazioni problematiche entro le mura domestiche che l’hanno spaventata, e l’hanno sospinta a cercare altrove una serenità perduta… (Osserva il principe, nel mentre in cui pronuncia questa seconda ipotesi.)
Mu’Sah – Che genere di… situazioni problematiche?! (Questiona.)
Sha’Maech – Le stesse che, per esempio possono aver sospinto tuo fratello, nonché padre di Mu’Rehin vostro nipote, a partire di tutta fretta ieri mattina, abbandonando questa dimora senza concedersi neppure un’occasione di saluto al figlio adorato… (Ipotizza, conscio del pericolo intrinseco in questo proprio giocare con il fuoco e, ciò nonostante, sentendosi addirittura obbligato ad agire in tal senso, per l’affetto che, anch’egli, nutre per la giovane principessa e, in ciò, un’ansia non condivisa neppure con il proprio intelletto conscio, per lei e per il suo possibile fato.)
(Il principe si chiude in un frangente di silenzio a quella nota, che ben comprende qual sollevata in critica alle conseguenze di azioni non ancora condivise ma, forse, addirittura già intuite da parte del suo consigliere, non solo saggio, ma anche terribilmente intelligente. Così, dopo aver vagliato ogni possibilità, riprende voce, avvicinandosi alla coppia per cercare maggiore intimità.)
Mu’Sah – C’è una cosa di cui, forse, sarebbe meglio foste a conoscenza… per quanto, delicata. (Premette, prima di spingersi verso le loro orecchie e iniziare a sussurrare, in modo che alcun altro, neppure il pubblico, possa essere informato.)

giovedì 30 agosto 2012

1685


Ah’Reshia – Chi va là?! (Esclama arretrando spaventata, ora ostacolata nei propri movimenti dalla coperta nella quale si è avviluppata.)
Midda Bontor – Chi va qua, al limite… (Corregge, sospirando.) Non sono mai stata là. Sono sempre stata qua, anche se non ti sei mai degnata di offrirmi uno sguardo, mentre mi compativi. (Scuote il capo, avanzando all’interno del palco.)
(Entra Midda Bontor. Per il ruolo sia scelta qual un’attrice dalla pelle estremamente chiara, e le vengano acconciati i capelli in misura tale da renderli color nero corvino. I suoi occhi siano i più chiari possibili e sul viso le venga applicata una cicatrice posticcia longitudinale all’occhio sinistro. Il suo braccio destro sia ricoperto da un’armatura nera dai rossi riflessi, mentre sul sinistro si traccino dei falsi tatuaggi tribali azzurri, con sfumature di blu, a simulare i tatuaggi dei marinai tranithi. Le sue vesti appaiano sufficientemente logore e, importante, indossi dei pantaloni in luogo a un abbigliamento più femminile. Il suo seno, poi, sia camuffato in misura tale da apparire particolarmente prominente.)
Ah’Reshia – Tu…? (Evidenzia, sorpresa.)
Midda Bontor – Io! (Asserisce per tutta risposta, con un sorriso divertito.) Se questa fosse una commedia penserei che il nostro autore sia a corto di battute per permettersi un dialogo tanto banale.
Ah’Reshia – Questa, tuttavia, non è di certo una commedia… al più una tragedia. (Nega, mestamente.) Una tragedia nel corso della quale un uomo, mio padre, ha ucciso suo fratello, mio zio, e ha violentato crudelmente sua moglie, mia madre. (Spiega.) E io non sono stata capace di essere tuo pari… non sono stata capace di intervenire e di fermare chi avrei dovuto fermare… chi era mio obbligo fermare.
Midda Bontor – Obbligo?! (Questiona, nella volontà di offrire un significato meno retorico a quell’asserzione.) Esplicita cosa intendi dire… (La invita.)
Ah’Reshia – Io ero lì… ero lì presente… e non ho fatto nulla, né l’una volta, né l’altra. (Ammette, chinando lo sguardo innanzi alla sua eroina.) Sono rimasta atterrita da tutto ciò che stava avvenendo e non sono riuscito a far nulla per evitarlo o arginarlo…
(La mercenaria si muova verso di lei e, giuntale accanto, si segga al suolo, invitandola tacitamente a fare altrettanto. L’aristocratica le presti ascolto, e torni a sedere là dove aveva trovato confortevole rifugio.)
Midda Bontor – Credi di aver peccato nel non agire, nel restare muta e immobile testimone di tali eventi… ma, parliamoci chiaro, cosa avresti potuto fare altrimenti? (Domanda.) Non penso che saresti stata capace di aggredire tuo padre e ucciderlo, per salvare tuo zio oppure tua madre. (Denota.) Un conto è offendere o uccidere estranei, sconosciuti che erano esistiti prima di noi nella nostra più totale ignoranza sulla loro esistenza; un altro è agire in contrasto alla propria famiglia… o a un suo particolare membro.
Ah’Reshia – Tu al mio posto non saresti rimasta bloccata…
Midda Bontor – No. Probabilmente no. Non oggi, per lo meno. (Sorride.) Un tempo, tuttavia, sono rimasta anche io impossibilitata a qualsiasi pensiero, e a qualsiasi azione.
Ah’Reshia – Quando?! Non ricordo nulla di tutto ciò…
Midda Bontor – Non potresti… sono ricordi della mia più infantile giovinezza, ricordi che, nella fattispecie, risalgono alla prima volta che ebbi a che fare con dei pirati. (Accenna.) Non commettere l’errore di credere che io sia nata con una spada in mano, aprendomi furente la via attraverso il ventre di mia madre: sono nata come te e come ogni altra donna, o uomo, al mondo. E solo nel tempo ho appreso come combattere, come uccidere e, soprattutto, come sopravvivere.
Ah’Reshia – Io so combattere… (Esita in questa affermazione, che pur, alfine, le sfugge dalle labbra, forse anche solo per non apparire completamente sprovveduta innanzi a lei.)
Midda Bontor – So che tuo zio ti ha insegnato i rudimenti di un combattimento… e so, anche, che ieri hai ucciso degli uomini desiderosi di rapirti. (Minimizza.) Tuttavia esiste una fondamentale differenza fra impugnare un’arma per uccidere un uomo oppure saper combattere. Nel primo caso, al più, ciò che otterresti non sarebbe qualcosa di più di una mera reazione istintiva, soprattutto ove aggredita. Nel secondo caso, tu saresti perfettamente consapevole di ogni singola contrazione e distensione dei tuoi muscoli, non invocando la sorte a guidare i tuoi gesti, ma in tuo stesso animo, affinché con la propria fermezza sia di riferimento a tutto il resto. (Le raccomandi.)
Ah’Reshia – Io… (Esita, non sapendo ancora come rispondere a un pur tanto semplice quesito, addirittura inespresso.)
Midda Bontor – Tu non sai combattere. Tu sai stringere un pugnale e, con quello, uccidere. (Annuncia.) E, in quanto sto dicendo, non deve essere riconosciuta alcuna ragione d’offesa per te, quanto la mera accettazione del proprio attuale stato, dalla confidenza del quale poter partire per migliorarsi, per divenire, effettivamente, in grado di combattere in termini degni di essere presi in considerazione.
Ah’Reshia – E tu potresti… insegnarmi?! (Ancora incerto, incapace ad accogliere con banalità un momento tanto importante, uno sviluppo mai immaginato.) Tu potresti insegnarmi a divenire una donna simile a quella che tu sei ora, e, in ciò, sufficientemente forte da poter competere con mio padre? Da poter reagire innanzi alle sue offensive senza più freni inibitori a incatenarmi al suolo?
Midda Bontor – Sono qui per questo, Ah’Reshia… (Annuisce, stringendosi nelle spalle.) Sono qui proprio per questo. (Ripeta.) Non resterai da sola, piccola mia. Non resterai più da sola e, accanto a me, crescerai in destrezza e forza, in velocità e reattività. (Le promette.) E il giorno in cui deciderai di fare ritorno al palazzo nel quale sei cresciuta… fidati, non avrai più nulla da temere. Non da tuo padre; non da un esercito!
(Ah’Reshia resti per un lungo istante immobile, quasi stesse riflettendo sulle parole appena ascoltate e sulle loro implicazioni. Poi, nel mentre in cui una lacrima le riga il volto, getti le braccia al collo della sua interlocutrice e si stringa a lei, con affetto totale e indiscutibile. Sia questo abbraccio gestito con la dovuta attenzione da parte delle due attrici, affinché non venga banalizzato o ridicolizzato, ma trovi il giusto spazio all’interno della rappresentazione, occupando, di diritto, uno dei posti più elevati nel computo dei momenti di maggiore importanza.)
Ah’Reshia – Sei… sei… sei vera, Midda?! (Questiona, ancora abbracciata a lei, incerta sulla veridicità di quanto sta vivendo.)
Midda Bontor – E’ tanto importante?! (Replica, non offrendo una risposta palese, seppur a tutti gli spettatori tale verità sarà in tal modo immediatamente rivelata, ove ancora non palese.)
Ah’Reshia – No… (Conclude, dimostrando di non preoccuparsi dell’esistenza, lì accanto a lei, della vera Midda Bontor o di un suo simulacro, creato dalla sua fantasia, o forse follia, per aiutarla, per guidarla e sostenerla.) No… va bene così. (Sorride, schioccandole ora un bacio sulla guancia, prima di staccarsi da lei, per tornare a stringersi all’interno della propria coperta, a tutela dal freddo della notte.)
Midda Bontor – Ottimo. (Annuisce.) Riposa, quindi, per recuperare lucidità ed energie. (Riprende poi, invitandola con dolcezza, quasi una madre con la figlia, una sorella maggiore con la minore.) Domani ci attende una lunga giornata, credimi: tanto da fare, fin troppo poco tempo per farlo! (Concluse, dimostrando in tali parole proprio il ruolo di sua nuova tutrice e mentore, pronta a insegnarle quanto, ora, le servirà per combattere e sopravvivere, in nozioni non meno importanti rispetto a quelle di fisica o di chimica in merito alle quali era abitualmente istruita da Sha’Maech.) Dormi, Ah’Reshia… dormi!
(E senza aggiungere una sola nuova parola, Ah’Reshia chiude gli occhi e crolla, quasi immediatamente, addormentata, seduta in terra così come si è concessa di sostare.)
(Non appena ravvisato il sonno della propria protetta, Midda Bontor si sollevi da terra e, senza evidente collaborazione da parte dell’altra, ma con tutto l’aiuto del caso, tragga dal suolo anche Ah’Reshia e la sua coperta, allontanandosi con loro verso il fronte destro del palco.)
(Escono Midda Bontor e Ah’Reshia.)

mercoledì 29 agosto 2012

1684


Atto III

Scena I

(Si alzi il sipario. Il palco appaia nuovamente vuoto, con la sola eccezione della presenza di Ah’Reshia al suo centro. Ella sia camminando, stratta all’interno di una coperta. Ogni tanto si guardi alle spalle e riprenda a camminare. E dal suo movimento sia chiaro come ella si stia allontanando fra molti alberi, con movimenti non diversi da quelli già resi propri nella caccia al coniglio, seppur, ora, animati da un entusiasmo nettamente inferiore.)
(Sia evitato l’ingresso, in questa scena, allo scopo di evidenziare un netto distacco da tutte le scene e gli atti precedenti. Quanto sta accadendo ora è qualcosa di inedito: se prima la tragedia era frammista spesso a commedia, con qualche possibile ragione di riso nell’osservare l’interagire di taluni personaggi, soprattutto nella prima scena del primo atto e nella prima scena del secondo atto; ora nulla di tutto questo avverrà più e, purtroppo, vi sarà quasi sempre cupa tragedia, nella carne quanto nello spirito.)
Ah’Reshia – Sto camminando ormai da ore… e non si vede ancora il termine di questa dannata foresta. O non esiste, o, sciaguratamente, sto seguendo un cammino circolare, che mi riporta sempre su passi già seguiti. (Sospira, amaramente.) Tuttavia, certamente a quest’ora la mia assenza si sarà fatta notare e dubito che non sarà inviato qualcuno a cercarmi. A meno che, anche per me, non sia scelta una giustificazione simile a quella che sarà adottata per spiegare ove sia finito mio zio, Mu’Reh…
Cosa mai potrà dire mio padre per giustificare la nostra scomparsa, e quanto accaduto a sua moglie, mia madre?! Perché mia madre confiderà la propria pena con qualcuno… non è vero?! (Si domanda, subito stringendo le labbra e piegandole verso il basso.) No. Non è vero. Mia madre non condividerà la sua pena con alcuno, perché non vorrà certamente essere resa oggetto del pubblico ludibrio. E questo, maledizione, Mu’Sah lo sapeva bene quando ha deciso di agire in termini tanto gravi… e ben sapendolo, si è mosso in tal modo certo che alcuna ritorsione gli sarebbe mai stata imputata.
(Un momento di silenzio, nel mentre in cui, stringendosi maggiormente alla propria coperta, Ah’Reshia si arresti e si guardi attorno, in cerca di segni di pericolo a proprio potenziale discapito.)
Ah’Reshia – Il cielo imbrunisce… e io non ho la benché minima idea di dove potrò mai trascorrere la notte. (Denota, scuotendo il capo.) E in questi casi un posto vale l’altro, sperando di non finire per essere sbocconcellata da qualche predatore notturno… (Storce le labbra, non apprezzando simile eventualità.)
(Si segga a terra, avviluppandosi nella coperta, proprio unico, attuale, possedimento, sia per difendersi dal freddo, sia, ragione non meno importante, cercare in minima parte di mimetizzarsi con l’ambiente circostante, per lei necessariamente ostile e sconosciuto.)
Ah’Reshia – Non so quanto questa coperta potrà essermi d’aiuto a nascondermi dall’attenzione di animali selvatici, ma, spero, che quantomeno renderà meno fredda e umida la mia note all’addiaccio. (Sorride, fra sé e sé.) Ora che ci penso è la prima volta che dormo fuori casa. Un’esperienza nuova e interessante, se non fosse condotta per ragioni tutt’altro che positive, così come sarebbe stato meglio fosse.
(Tremi, lasciando incerto se ciò sia per il freddo, o per il timore derivante da troppi pensieri accavallati, uno sopra l’altro. Si guardi ancora attorno e, solo dopo un lungo istante, riprenda parola, per tenersi compagnia.)
Ah’Reshia – Potessi almeno accendermi un fuocherello… (Lamenta, non completamente a torto.) Ma ovviamente non me lo posso permettere, non desiderando attirare sguardi indiscreti nella mia direzione… non solo da parte delle guardie, ma anche di altri balordi che potrebbero essere qui attorno. (Cita, con chiaro riferimento agli eventi del giorno precedente.)
Come diamine farà Midda Bontor ad affrontare situazioni di questo genere?!
Non riesco proprio a ricordare una cronaca nella quale si faccia riferimento a questo genere di dettagli o, anche, alla necessità, per lei, di espletare bisogni corporali. Non deve essere facile coprire completamente le proprie tracce, quando si è costretti a orinare e defecare con ritmi ordinari…
… evidentemente Midda non fa nulla di tutto questo o non sarebbe così facile, per lei, scomparire completamente, nascondendosi a qualunque genere di predatore, animale o no… mitologico o no. Io, ogni volta che mi sono chinata per fare qualcosa, ho vissuto nel timore di essere sorpresa da un serpente o qualcosa di simile, per poi essere, un giorno, ritrovata morta con le brache calate.
Non quella che si possa definire una fine decorosa, purtroppo. (Sospira.)
Ciò nonostante (Riprendendo il discorso.) Midda non ha mai corso questo genere di pericoli. Anzi… stando a sentire quello che si dice si è persino impegnata un sacco di volte a combattere quasi completamente nuda, senza che alcun genere di pericoli le gravasse in opposizione.
Combattere nuda…che fesseria. Solo un branco di maschi privi di cervello potrebbe credere che una donna come lei possa avere piacere di combattere nuda, per la gioia degli sguardi a lei circostanti. Perché gli uomini partono tutti dal presupposto che perché donna si abbia da essere necessariamente sgualdrine? Midda Bontor è una donna guerriero mercenaria, non una meretrice mercenaria… è tanto difficile da intenderlo?! (Domanda, con tono tale da poter lasciar intendere di starsi confrontando con un uomo nella formulazione di simile, importante, quesito.)
Stupida io, ovviamente, a pormi un certo genere di dubbi, laddove la risposta è intrinseca nella domanda. Non è difficile intendere chi sia Midda… semplicemente alcun uomo ha interesse a domandarselo, nel confronto con la mole dei suoi seni. Per un uomo ella non è una donna: è uno scomodo ingombro annesso a quelle generose forme, dotato, purtroppo, di una propria coscienza e, in ciò, non obbligatoriamente desideroso di ubbidire a qualunque brama maschile. (Sbuffa, dimostrando in tal modo tutta la propria sempre minore considerazione del genere maschile.)
Ma Midda non è nulla di tutto questo… (Scuote il capo.) Midda è una donna intelligente. E’ una donna combattiva. E’ una donna libera. E’ quel genere di donna che qualunque altra donna dovrebbe ambire a essere. (Afferma con convinzione.) Perché se io fossi stata Midda, sicuramente non avrei permesso a mio padre di… di… violentare mia madre. E se mia madre fosse stata Midda, certamente avrebbe steso mio padre ancor prima che egli potesse supporre di avvicinarsi.
Ho paura a immaginare quante oscenità siano state dette e pensate attorno a Midda Bontor, considerandola nulla di più di un appetibile quarto di bue. (Cerca di concludere il filo dei propri pensieri a tal riguardo.) Probabilmente persino il mio caro cugino, per quanto apparentemente anomalo rispetto alla normalità propria del suo genere di appartenenza, non si sarà risparmiato laidi pensieri, fantasticando sulle versioni erotiche delle sue avventure. Ovviamente, in ciò, non riflettendo neppur per un istante sul fatto che, magari, ella potesse anche avere un’anima, con dei propri pensieri, delle proprie emozioni, e, chi lo sa, un disgusto per tanta oscenità a lei associata.
Povera Midda, sfruttata nelle proprie incredibili gesta per soddisfare i capricci di un mondo patriarcale…
Povera Midda, trasformata in uno strano incrocio fra un’odalisca e una prostituta, affinché possa venire incontro alle fantasie di qualunque uomo ascolti la cronaca delle sue imprese…
Povera Midda, associata a qualunque perversione, a qualunque oscena brama di coloro suoi affezionati sostenitori, tali solo per non perdere colei ispiratrice di tanti maniacali sogni…
Povera Mid…
(Ma prima della conclusione dell’ennesima frase a supposto sostegno morale della sua eroina, una voce la interrompa bruscamente, sorprendendola e facendola sobbalzare violentemente tanto il timore in lei di poter essere scoperta.)
Midda Bontor – E basta! (Afferma dall’esterno del palco, là dove non ancora visibile.) Inizi a esagerare per i miei gusti, al punto tale che questo sostegno morale sembra più prossimo a una denigrazione che ad altro…

martedì 28 agosto 2012

1683


(Estragga Mu’Sah nuovamente, dalla propria manica destra, il pugnale con cui ha già ucciso suo fratello Mu’Reh, mostrandolo, ora, terribilmente insanguinato. Il sangue, ovviamente, deve essere aggiunto nel momento di intervallo fra la sua scomparsa in conclusione alla scena precedente e l’inizio di questa.)
Mu’Sah – Sai che cosa è questo, mia cara?! (Domanda, con uno sguardo carico di rancore verso di lei.)
Ah’Lashia – Non… farlo…
Mu’Sah – E’ il pugnale con il quale ho scavato all’interno del ventre del tuo amante, lurida sgualdrina! (Si risponda, sollevandola per un istante dal letto nel tenerla sempre stretta al collo e, subito dopo, rigettandola con forza sul letto.) Questo è ancora il suo sangue, il sangue caldo e pulsante di un corpo ormai freddo e privo di vita, una vita che io ho preteso qual giusto compenso per il suo ignobile tradimento! Per il vostro ignobile tradimento… (Soggiunge, a non escluderla dalle colpe così accumulate.)
Ah’Lashia – Mu… Sah…
Mu’Sah – Sai… in un primo momento ho pensato di uccidere anche te. E ovviamente quell’idiota di nostro nipote, che difficilmente avrebbe sopportato la morte del padre senza reagire. (Spiega, scuotendo il capo.) Poi mi sono reso conto che, in fondo, tu non hai agito per cattiveria. Hai agito solo per insoddisfazione.
(Ah’Lashia tenti di scuotere il capo, ormai priva di voce per la stretta di lui di fronte alla quale non può reagire in alcun modo.)
Mu’Sah – Sì… insoddisfazione. Erano anni che non ti concedevo un’occasione di intimità e tu, povera vittima delle tue pulsioni carnali, hai cercato di rimediare nel modo più discreto possibile… tradendomi con mio fratello! (Parli al contempo con desiderio di giustificazione e con rabbia, altalenando fra il desiderio di farla a pezzi e quello di lasciarla sopravvivere.) E’ vero che meriteresti la lapidazione per ciò che hai fatto; è vero che dovresti essere denudata e gettata in pasto a degli sporchi kofreyoti o mes'eriani per ciò che hai compiuto; ma è anche vero che io, sposo di sì indegna moglie, sono un uomo ricco di misericordia, che non vuole gettare lo scandalo sulla nostra famiglia e su nostra figlia.
Amo troppo mia figlia, la mia bambina, per imporle lo scandalo derivante da una madre adultera, un’ombra maledetta sul suo futuro, tale, persino, da rischiare di renderla troppo poco desiderata da nobili pretendenti, che dovrebbero, altresì, essere pronti a scannarsi reciprocamente per lei. (Afferma, con tono che, malgrado la violenza intrinseca in ciò che sta compiendo, sembra voler riconoscere reale affetto alla propria erede.)
(Mu’Sah sospiri profondamente al pensiero della figliola, che, non immagina, essere celata sotto il letto.)
Mu’Sah – Per Ah’Reshia e solo per Ah’Reshia, tu vivrai. (Afferma con tono persino solenne.) Non te lo meriti, moglie, così come non meriti di poterti fregiare ancora di questo titolo.
Tuttavia, riconoscendo il tuo errore come semplice conseguenza di un desiderio lussurioso inappagato, cercherò di fare il possibile per soddisfare le tue brame… (Sorride, rigirando il pugnale nella mano e, ora, lasciando puntale la lama verso il basso mentre una parte dell’impugnatura e un elaborato pomello geometrico al di sopra della mano.)
(Ah’Lashia comprenda le intenzioni del marito e, con tutte le proprie forze, cerchi di opporsi, scalciando come una forsennata, nel terrore di quanto è certa stia per avvenire.)
Ah’Lashia – No… no… no… (Gridi soffocata, piangendo copiosamente.)
Mu’Sah – Cercherò di essere più delicato possibile… te lo prometto, amore mio. (La rassicuri, abbassando il proprio pugnale verso le sue gambe.)
(Essendo stata aggredita al fianco sinistro del letto, Ah’Lashia e Mu’Sah abbiano da apparire sdraiati in modo tale da offrire il proprio profilo sinistro al pubblico. In tale scelta, pertanto, quanto operato dal braccio destro di Mu’Sah non sarà visibile e lo stupro conseguente sarà espresso solo dalle grida di dolore di Ah’Leshia, che dovrà interpretare con la massima credibilità l’atto, torturando con le proprie grida, con la propria pena, ogni spettatore presente, spargendo un disagio totale fra il pubblico.)
(Non sia questa considerata violenza gratuita, offerta solo per spettacolarizzare l’opera: i fatti così come descritti sono realmente avvenuti e, con maggiore frequenza di quanto chiunque avrebbe piacere di tollerare, avvengono continuamente in molte famiglie, trasformando l’amore in un orrore privo d’eguali.)
(Non una parola contraddistingua l’atto. Mu’Sah resti in silenzio per tutto il tempo mentre Ah’Lashia offra solo grida di dolore qual propria unica interpretazione. Alla fine, con un urlo più alto, Ah’Lashia crolli svenuta sul letto qual estrema via di fuga da tanta oscenità, e Mu’Sah si rialzi soddisfatto, osservando la moglie lì giacere, come morta.)
Mu’Sah – Non credo che, per i prossimi mesi, avrai ancora desiderio di giacere con altri uomini, moglie. (Parlando come se ella possa sentirlo.) Tuttavia, se così non sarà, mi adopererò al fine di spegnere in te ogni fuoco di passione, rendendoti più simile a un’ancella votata alla verginità per la propria dea che a una meretrice, qual il tuo animo sembra spingerti a essere.
(Conclusa la minaccia, Mu’Sah si volti e si avvii in direzione della sinistra del palco, là da dove è entrato.)
(Esce Mu’Sah.)
(Per un lungo momento nulla si muova sul palco, dando l’impressione che l’atto sia finito in questo modo. Solo dopo che il pubblico avrà superato il momento di stupore per la violenza carnale a cui tutti hanno appena assistito, qualcosa di muova sotto al letto, e, lentamente, riemerga Ah’Reshia, terrorizzata e tremante. Con paura, appena fuori dal letto, scappi lontano dal medesimo e dalla madre, fermandosi sul fronte destro del palco.)
Ah’Reshia – Io… io… io avrei voluto intervenire. (Parli a bassa voce, rivolta verso la madre priva di sensi, a giustificarsi.) Lo giuro, madre. Io avrei voluto intervenire. (Insista, abbracciata a se stessa per la paura.) Ma… ma… ho avuto paura. Ero… ero terrorizzata. E i miei muscoli mi hanno tradita. Il mio cuore mi ha tradita… e non ho potuto fare nulla.
Non ho potuto fare nulla tranne che… ascoltare.
Oh dei…
… oh dei…
… io ho sentito tutto madre.
Ho sentito il tuo orrore e la tua pena.
Ho sentito la violenza di mio padre su di te.
E ho pianto insieme a te, madre.
… ma non ho potuto fare nulla per aiutarti. Per salvarti.
(Chini il capo, addolorata, piangente, terrorizzata per quanto è accaduto.)
Madre… io avrei voluto essere abbastanza forte da reagire. Da uscire da sotto il letto e aggredire mio padre.
Ma… io sono debole. Io non sono la guerriera che vorrei essere.
Sono solo una ragazzina che sogna sui miti di incredibili eroi e di grandi imprese, incapace a essere qualcosa di più. Incapace a divenire a propria volta colei che tanto ammira.
Perdonami madre…
Perdonami…
(E, con queste parole, fugga verso la sinistra del palco e, da lì, all’uscita dalla stanza, lasciando la madre priva di sensi e sanguinante sul letto.)
(Esce Ah’Reshia.)
(Nonostante la scena e l’atto siano conclusi, non cali immediatamente il sipario. Sia ancora offerta al pubblico, per qualche momento, l’immagine di Ah’Lashia svenuta sul letto, qual conseguenza dello stupro che ha subito. E in tale immagine, sia imposto a tutti l’orrore che già ha coinvolto Ah’Reshia, orrore che le ha impedito di agire a tempo debito e che, per questo, l’ha resa indegna, dal suo personale punto di vista, della madre. Il sentimento dell’una, così, abbia a divenire il sentimento di tutti.)
(Cali il sipario.)

lunedì 27 agosto 2012

1682


Scena V

(Come già il tavolo e le sedie per la scena della cena, venga ora condotto rapidamente sul palco un letto. Nulla di elaborato o particolarmente elegante: un semplice letto di grandi dimensioni, che abbia poi da essere abbellito nelle proprie forme e nei propri ornamenti, dalla fantasia degli spettatori.)
(A quel letto, senza dire troppe parole, si accinga Ah'Lashia, madre di Ah’Reshia, entrando con passo leggero e una lunga camicia da notte a coprirne le forme, nel mentre in cui chiunque altro coinvolto nell’allestimento di quella scena si allontani, lasciando la donna e il letto soli protagonisti sul palco.)
(Ah’Lashia, appena svegliatasi, ancora non è stata informata dell’orrore che ha coinvolto il marito e il cognato, e, come ogni mattina, si pone ai piedi del letto con una spazzola in mano, per si impegna lisciare i propri lunghi capelli, e acconciarli con cura, in uno dei pochi impegni che, come moglie del principe, le riempie la giornata. Dalle sue labbra sorga un leggero canto, che sia offerto con energia sufficiente a spingersi sin’anche all’attenzione degli spettatori.)
(Sia scelta la canzone qual più congeniale all’attrice, tale da permetterle di canticchiarla con naturalezza qual melodia quasi involontaria in accompagnamento ai propri gesti lenti e ripetitivi. E tale, anche, da offrire un breve momento di rottura rispetto alla tensione precedente, che a breve andrà a credere in misura sin’anche maggiore.)
(Nel mentre della canzone, con passo rapido e con fare affannoso, compaia in scena, dalla sinistra del palco, Ah’Reshia, quasi rotolando a terra nel tratto finale, tanta la foga che la animi.)
Ah’Lashia – Figlia! (Esclama, levandosi di scatto dal letto, spaventata da quell’ingresso tanto rocambolesco.) Sono questi i modi per entrare nelle stanze di tua madre? Se tuo padre scoprisse quant’ancora hai da apprendere sull’educazion…
Ah’Reshia – Se mio padre lo scoprisse,… (Ansima, per il fiato grosso guadagnato nell’accorrere da lei.) … probabilmente mi ucciderebbe con lo stesso pugnale con il quale ha appena ucciso suo fratello Mu’Reh! (Annuncia, senza troppi preamboli, non avendo il tempo per poterseli permettere.) Presto, madre… dobbiamo andare. Dobbiamo partire ora, e cercare rifugio lontano da qui, con una scusa qualunque! (La sprona, subito offrendo una possibile spiegazione al loro repentino allontanamento.) Necessitiamo di acquistare nuovi vestiti… e lo dobbiamo fare subito!
(In conseguenza al fiume di parole che Ah’Reshia offre alla madre, questa appare decisamente confusa, perdendosi quasi l’intera affermazione, salvo l’esortazione finale ad allontanarsi da lì per andare a fare compere. Per tale ragione, ella reagisce in termini non propriamente adeguati, scuotendo il capo e rimproverando la figliuola.)
Ah’Lashia – Ah’Reshia Ul-Geheran … ormai dovresti essere consapevole di non essere più una bambina. E, per tale ragione, di non poterti permettere più qualunque capriccio. (Sospira, scuotendo il capo.) Pensi forse che io possa uscire in queste condizioni? Mi sono svegliata da poco e, se uscissi con questi capelli, mi prenderebbero per una pazza o per una strega. E’ questo che vuoi che pensino di tua madre?!
Ah’Reshia – (Osservando attonita l’interlocutrice, non credendo alle parole che ha appena udito.) Scusami, madre. (Riprende voce, cercando di impostarsi in termini che forse ella possa meglio apprezzare.) L’enfasi conseguente alla morte di mio zio, vostro cognato, deve avermi offuscato la capacità di ragionare in maniera ordinata, spingendomi a una tanto inappropriata irruzione dei tuoi alloggi. (China il capo, sperando che, dietro a tanto formalismo, ella possa finalmente apprezzare l’informazione più importante prima sfuggitale.)
Ah’Lashia – Tuo zio, mio cognato…?! (Ripete, dandole soddisfazione.) Di cosa stai parlando, Ah’Reshia? Cosa è successo a Mu’Reh? E dove è tuo padre?!
Ah’Reshia – Mio padre sta venendo qui per ucciderti, madre, convinto che fra te e il suo defunto fratello esistesse una relazione a suo discapito. (Annuncia, ora riprendendo in parte l’enfasi appena abbandonata.) E’ mio vivo consiglio quello di ripensare ai difetti di qualche capello in disordine, valutandoli come ben poco danno rispetto alla perdita della propria vita.
(Ah’Lashia appaia necessariamente sconvolta e, in ciò, incapace immediatamente di reagire alle parole della figlia. Comprende subito che non è uno scherzo, anche perché, in effetti, Ah’Reshia non è mai stata particolarmente esuberante nei propri giuochi, e di certo mai è arrivata ad annunciare una morte per semplice svago.)
Ah’Reshia – Madre! Andiamo, ti prego! (La esorta, allungando le proprie mani verso le sue, per invitarla ad alzarsi e ad allontanarsi con lei.)
(In quel momento, sempre dalla sinistra del palco, si oda il rumore di pesanti passi che si stanno avvicinando, riecheggianti oltremodo, quasi gli dei stessi volessero terrorizzare le due donne, o, forse, porle in guardia, avvisandole del pericolo imminente.)
Ah’Lashia – E’ tardi… è tardi figlia mia… (Scuote il capo, udendo quei terribile suono sopraggiungere.) Devi andartene… devi scappare tu, lontano. Lontano.
Ah’Reshia – No, madre. (Scuote il capo con vigore.) Io non ti lascio. Non ti abbandono né ti abbandonerò mai. (Definisce con energia.) Affronteremo insieme mio padre e lo scacceremo, là da dove è venuto!
(Il suono dei passi ormai si imponga qual assordante, tale da non concedere troppo tempo alle due donne. Non riuscendo a trovare un posto migliore nel quale cercare rifugio, Ah’Reshia venga spinta dalla madre sotto al letto, là dove…)
Ah’Lashia – … se non farai un fiato non ti troverà. (La avverte, spingendole i capo sotto al letto.)
Ah’Reshia – Ma madre… ti vuole uccidere! (Cerca di protestare, non volendo essere muta testimone di un secondo delitto, ora, tuttavia, non più involontaria.)
Ah’Lashia – Taci, figlia mia, taci per il bene di entrambe! (La rimprovera, mentre già una gamba di Mu’Sah compare in scena sulla sinistra del palco.) Se io dovessi morire, non rendere il mio sacrificio vano… e tieni anche questa!
(Con tali parole, Ah’Lashia spinge anche la testa della figlia sotto al letto insieme alla propria spazzola, con la quale pochi istanti prima era impegnata in un sereno rito quotidiano; giusto in tempo per rialzarsi e notare la presenza del marito, nel frattempo entrato completamente nella stanza.)
Ah’Lashia – Oh… dei. (Sobbalza, portandosi una mano al petto.) Che paura mi hai fatto prendere, mio signore. Mi sono chinata a cercare ove accidenti possa essere finita la mia spazzola e non ti ho sentito arrivare… (Rialzandosi in piedi e rassettandosi la vestaglia.) Quali sono i tuoi desideri, mio sposo? E’ da lungo tempo che non mi fai visita in un contesto tanto intimo.
Mu’Sah – Non ve ne era bisogno… vero? (Domanda, con il medesimo tono ringhioso già dedicato al fratello all’inizio della loro lite.) D’altronde, in questi ultimi anni, vi è stato qualcun altro a soddisfare le tue voglie, in mia assenza.
Ah’Lashia – Mu’Sah… non so di cosa tu stia parlando! (Esclama, scandalizzata da quell’accusa, celando perfettamente il fatto di averla già udita, indirettamente, dalle parole della figlia.)
Mu’Sah – Lurida sgualdrina! (Balza in avanti, afferrandole il collo con la sinistra e, spingendola, di peso, sul letto, in una posizione non dissimile da quella che già ha adottato per uccidere il fratello.) Te la sei intesa per tanto tempo con Mu’Reh da considerarlo, ormai, una normalità tale per cui mi dovrebbe essere interdetta la possibilità di incollerirmi?!
Ah’Lashia – Co… così mi so… soffochi… (Geme, inchiodata sotto il suo peso, già certa della propria imminente morte e, tuttavia, non desiderosa di sacrificarsi innanzi all’ira del marito.) Io… io… non ti ho mai tradito… mai… tradito, Mu’Sah…

domenica 26 agosto 2012

1681


(Silente spettatrice dello scontro fra il padre e lo zio, Ah’Reshia si porti una mano innanzi alle labbra, per evitare che un solo gemito possa sfuggire dalle sue labbra. E’ spaventata per quanto sta accadendo, e non sa assolutamente come potersi permettere di reagire… o no.)
Mu’Sah – Tante parole vane. Tante suppliche da parte di chi sa di esser ormai prossimo alla morte e, malgrado ciò, non desidera accettare l’ineluttabilità del fato…
Mu’Reh – Vaneggi, fratello! Vaneggi! E se desideri realmente portar a termine quello che temo tu voglia fare, te ne avrai a pentire per il resto della tua esistenza, nel rimpianto per esserti macchiato le mani del sangue del tuo sangue, del sangue di nostro padre… (Spiega, senza cercare di reagire ma, piuttosto, tentando di far ragionare il proprio interlocutore, per evitare possa compiere un gesto irrimediabile.)
Mu’Sah – Perché non tenti di scappare? Perché non cerchi di aggredirmi?! (Domanda, sorpreso da tanta remissività.) Eppure non ti sei riservato così tante remore prima di prendere ciò che è mio!
Mu’Reh – Ah'Lashia è una donna stupenda, Mu’Sah… ma non ho mai agito con lei diversamente da quanto il mio ruolo richieda! (Insiste nel ripetere una verità già narrata.) Se non credi a me… domandalo a lei. Chiedilo alla tua sposa, se non ti è stata fedele…
Mu’Sah – Sposa?! (Aggrottando la fronte.) Sgualdrina forse! (Replica, sputando veleno.)
Mu’Reh – Non dire cose di cui ti pentirai, fratello. Non fare cose di cui ti pentirai. (Cerca ancora di ripetere, nell’invitarlo, in ciò, a desistere dai propri propositi.) Io sono innocente e il mio sangue sarà sangue di innocenti, versato per una colpa inesistente, per un delitto immaginario!
Mu’Sah – Hai modo di dimostrare quello che dici? (Suggerisce, in verità non allentando la propria morsa e, anzi, stringendola maggiormente, quasi fosse sua intenzione quella di infrangergli la trachea.)
Mu’Reh – Ho necessità di dimostrare l’inesistenza di una colpa?! (Protesta, non accettando di essere trattato alla stregua di un comune criminale.)
Mu’Sah – Così dice la legge! (Resta saldo nelle proprie posizioni.) Allora… hai modo di farlo?!
Mu’Reh – No, per gli dei tutti. No! (Scuote il capo, o, per lo meno, desidererebbe farlo se non fosse in tal modo bloccato dalla presa del fratello.) Come potrei produrre prove a dimostrazione della mia innocenza, partendo dall’ipotesi della mia colpevolezza? Ti rendi conto quale assurdità stai pretendendo?
Mu’Sah – Ti rendi conto della disperazione intrinseca nelle parole che dici? (Domanda, senza mutare opinione.) Stai mettendo in dubbio il principio sul quale dalla notte dei tempi si fondano la quasi totalità dei regni esistenti nelle terre conosciute per salvaguardare la tua sola esistenza in vita! No. Non è disperazione questa… è consapevolezza della propria sorte. E’ consapevolezza della propria colpa e, in ciò, dell’ineluttabilità della condanna!
Mu’Reh – Fratello… smettila immediatamente! (Tenta di ordinare, con tono fermo.) Non sei padrone dei tuoi pensieri e delle tue azioni. Cessa ogni aggressione, prima che…
(Nella destra di Mu’Sah compaia inaspettatamente un pugnale, estratto dalla manica dell’abito, che venga subito diretto verso l’addome di Mu’Reh, affondandovi senza pietà o esitazione alcuna.)
Mu’Reh – … tu… possa… (Geme, mentre del sangue gli colma la bocca, fuoriuscendo dalle sue labbra insieme a quelle parole.) … uccider...
(Muoia Mu’Reh, ricadendo qual peso morto contro il fratello, suo assassino.)
(Accucciata a terra, Ah’Reshia spinga il volto contro il suolo, a lì soffocare l’orrore che teme di non poter ulteriormente trattenere con la forza delle proprie mani. Il suo volto si copra immediatamente di abbondanti lacrime, non potendo tollerare, malgrado tutta la propria ipotetica audacia, lo spettacolo del quale è appena stata testimone involontaria.)
Mu’Sah – Prima uno… poi l’altra. (Dichiara, levando il pugnale dal ventre del fratello e lasciandolo, nuovamente, scomparire nel nascondiglio entro il quale era stato sino a quel momento celato.) Rilassati, fratellino… non resterai solo a lungo là dove ti ho mandato…
(Stringendo a sé il corpo morto del fratello, si avvii verso il fronte destro del palco, passando a poca distanza dalla figlia ma non dando visibilità di essersi accorto o meno della sua presenza.)
(Esce Mu’Sah trascinando Mu’Reh.)
(Per lunghi istanti Ah’Reshia resti con viso premuto a terra e, quando alfine lo risollevi, si volti diretta verso il pubblico con il volto sporco di lacrime e della polvere sul palco, incrementando in ciò l’effetto drammatico.)
Ah’Reshia – Oh dei! Oh dei! (Gridi soffocata, tanto dalle proprie emozioni, quanto dalla paura di essere scoperta dal padre e di fare, in ciò, la fine dello zio.) L’ha ucciso… l’ha ucciso senza battere ciglio!
Mio padre ha ucciso suo fratello… e lo ha fatto con freddezza e, addirittura, gioia!
Oh dei… non posso crederci. Non voglio crederci.
Mio padre! Mio padre un assassino…
… per cosa, poi? Cosa può aver scatenato tutta la sua ira?! Il tradimento…?
No… dei. Non può essere avvenuto. Mia madre e mio zio non possono aver veramente…
… ma non importa. Che sia accaduto o meno, mio zio è morto e… qualunque possa essere stata la sua colpa, essa è morta con lui.
(Si passi il dorso della destra sul viso, per cercare di asciugarsi le lacrime, spargendo solamente lo sporco su tutta la faccia, mischiato al frutto del suo pianto.)
Ah’Reshia – E ora… cosa devo fare? Cosa posso fare?! (Si domanda, osservandosi attorno.)
Mio padre è un assassino e non posso permettergli di non rispondere delle sue azioni. Anche se, probabilmente, né il sultano, né alcun visir, lo condannerà per quanto ha compiuto. Ma ciò non toglie che l’ha fatto… l’ha fatto, forse spinto da un momento di follia, o, forse e peggio, da un momento di violenta lucidità, nel quale ha ben pianificato ciò che desiderava fare… l’omicidio che desiderava compier…
… oh, cielo…
… dei…
… madre!
(Si rialza rapidamente in piedi, con le mani fra i capelli, disperata all’idea di quello che potrebbe star per avvenire.)
Ah’Reshia – L’ha detto! Ha detto che lo avrebbe fatto! Che l’avrebbe fatta pagare anche a lei! (Rammenta, con orrore, se possibile, ancora maggiore rispetto a quello già vissuto.) Oh dei… oh dei… devo fare qualcosa! Devo fare qualcosa prima che questa casa si trasformi in un cimitero! Devo allarmare le guardie… le guardie sì! Le guardie potranno intervenire e...
…no. Non posso!
Le guardie rispondono innanzitutto al loro signore e, prima di fermare lui, fermerebbero me, credendomi pazza, credendomi uscita di senno o, peggio, appoggiando pienamente l’operato del loro signore malgrado tanta incomprensibile violenza, tanto ingiusta e folle aggressione..
Devo… devo occuparmene io.
Non posso permettere che mio padre sparga altro sangue in questa dimora. Non posso permettere che distrugga la nostra intera famiglia, così come sembra crudelmente desideroso di compiere.
Devo intervenire… così come interverrebbe Midda Bontor! (Esclama, cercando di sollevare il capo, di invocar, qual proprio, un pur minimo orgoglio. Ma, dopo un attimo, crolla nuovamente con lo sguardo verso il suolo e, in ciò, verso la platea tutta.)
Ho già affrontato questo discorso… e non mi sembra di aver raggiunto conclusioni piacevoli… (Si impone di ricordare, proprio malanimo, salvo immediatamente scrollare via tanta negatività.) Dei…
… devo reagire!
(E, con tale tanto chiaro proposito ad animare il suo cuore, ella si fiondi fuori dal palco, dal fronte opposto a quello del padre, per intraprendere una diversa via che le permetta di anticiparlo.)
(Esce Ah’Reshia, da sinistra.)

sabato 25 agosto 2012

1680


Scena IV

(Entri nuovamente Ah’Reshia dalla destra del palco, sola.)
(Cammini con lo sguardo verso il cielo, quasi a studiare il nulla sopra di lei e, in pratica, a fantasticare ancora come, sino a un istante prima, ha compiuto in compagnia di Kona.)
Ah’Reshia – Potrei cambiare nome… qualcosa di più aggressivo e incisivo di Ah’Reshia. Non so cosa, ma qualcosa che resti subito in mente. E che, magari, non gridi al mondo che sono figlia d’Y’Shalf, o mi potrei precludere ogni possibilità di impiego a occidente dei monti Rou’Farth… (Parla da sola, esprimendo i propri desideri e le proprie volontà, mentre ora, addirittura, inizi a camminare in un amplio tondo, circoscrivendo il perimetro dell’intero palco.) Devo trovare qualcosa di forte, associabile a un’arma forte. Uno spadone magari, che possa incutere timore a chiunque attorno a me.
E poi… poi devo farmi un tatuaggio. Un bel tatuaggio come quelli di Midda Bontor. Anzi, addirittura migliori. (Si ferma un attimo e poi scuote vigorosamente il capo.) No! Non possono esistere tatuaggi migliori di quelli di Midda Bontor! (Si corregge, quasi rimproverandosi per quanto appena detto.) I suoi sono tatuaggi da vera guerriera. Tatuaggi capaci di gridare al mondo la sua identità e la sua missione!
(Un profondo sospiro, a sottolineare l’immensa devozione vissuta per quella straordinaria figura.)
Ah’Reshia – Oh, cielo. (Riprende poi, osservandosi attorno, quasi alla ricerca di qualcosa.) Cosa mai potrò farmi tatuare che sia degno di lei? Forse, addirittura… la sua immagine?! (Si propone, riflettendo su tale pensiero per un lunghissimo momento.)
No. Probabilmente è meglio di no. (Scuote nuovamente il capo.) Desidero che il giorno in cui ci incontreremo, ella possa accettarmi qual una sua pari, e non una sua subordinata. E farmi tatuare il suo viso sulla pelle potrebbe essere un atto fraintendibile.
(Un secondo profondo respiro, e ancora un’immediata ripresa.)
Ah’Reshia – Fremo all’idea di poter divenire anch’io una mercenaria suo pari. Di poter vivere le avventure che ella vive. Di poter combattere i nemici che ella combatte. E di poter conquistare la gloria che ella conquista, non per bramosia di fama, ma per il semplice piacere di farlo. (Sorride, esprimendo questo proprio manifesto d’intenti.) Ma… (Si sofferma.) So che non succederà mai nulla di tutto ciò. (Conclude, chinando il capo ora verso terra.)
Come potrebbe mai accadere, del resto?!
(Terzo sospiro, ora malinconico.)
Ah’Reshia – Io non sono una mercenaria. Non sono una guerriera. Non sono ancora neppure una donna. (Elenca rassegnata.) E difficilmente mi sarà mai concesso di divenire la prima o la seconda. Forse neppure la terza, trasformandomi direttamente da figlia a moglie, in un passaggio non desiderato e mai ricercato.
Come ha fatto Midda Bontor a divenire quanto è divenuta? Come è riuscita a superare le inibizioni culturali a lei imposte dal mondo intero?
Perché, sicuramente, ella non è nata ciò che è… ma lo è dovuta divenire. Avrà avuto anche lei un padre e una madre. Avrà avuto anche lei dei parenti. Possibile che abbia potuto realmente divenire ciò che è divenuta con l’appoggio di tutti? Senza alcuna voce in contrasto ai propri desideri?!
Oppure, è più probabilmente, ella è divenuta ciò che è, ponendosi in contrasto a tutto e a tutti. Ponendosi in contrasto a proprio padre e a propria madre. Ai propri parenti. E, in tutto ciò, perdendo irrimediabilmente il rapporto costruito con tutti loro, esiliata per propria stessa volontà, per propria stessa scelta, da quanto rappresentava la sua vita precedente, il suo mondo ormai perduto. E’ stato così?!
(Si volti di scatto, al termine immediato delle proprie parole, e perscruti verso la sinistra del palco, posta in allarme da qualcosa che, ovviamente, non è ancora visibile agli spettatori.)
Ah’Reshia – Mio padre e mio zio! (Esclama, quasi spaventata dal loro sopraggiungere.) Non voglio farmi trovare e rischiare, per questo, di sorbirmi qualche nuovo resoconto su quanto è occorso ieri. Sorbirmi, sì, perché non a me è stato richiesto di esporre i fatti, unica presente a essere sopravvissuta a quella piccola battaglia; quanto a mio cugino che, malgrado tutto l’incondizionato affetto che provo verso di lui, non avrebbe potuto considerarsi, qual altresì si considera, effettivamente partecipe allo scontro, essendo subentrato solo a questione conclusa.
Meglio che mi allontani… che mi nasconda… affinché non abbiano a considerarmi qui presente.
(Si muova alla rinfusa per il palco, cercando qualche punto utile a scomparire.)
Ah’Reshia – Qui… dietro questa statua. (Indicando un punto ovviamente vuoto.) Andrà benissimo!
(Si celi, pertanto, dietro a un’immaginaria statua, vicino al bordo del palco verso la platea, accucciata al suolo e con le mani sopra la testa, a rendersi, se possibile, ancor più piccola di quanto già non sia.)
(Entrino Mu'Sah e Mu'Reh dalla sinistra del palco, il primo spintonando il secondo con fare tutt’altro che delicato che riguardevole per lui.)
Mu'Reh – Ehy! Piano, fratellone! (Protesta, a quello spintonare.) Non ho idea a quale giuoco tu desideri giocare, ma, sinceramente, tutto questo mi ha già stancato…
Mu’Sah – Ha stancato te… vero?! (Domanda, con tono simile a un grido di rabbia represso, imponendogli un nuovo spintone che lo porti fino al centro del palco.) Te, vero?! Non me. Non colui che solo dovrebbe dichiararsi stanco e, peggio, insultato, da tanta beffa alle proprie spalle…
Mu'Reh – Non comprendo… (Sgrana gli occhi a quelle aggressive affermazioni, senza reagire con eguale violenza.) Hai detto che mi dovevi parlare e sono venuto con te in giardino. Ora che ti prende, fratello? Ho fatto o detto qualcosa in tuo contrasto?! Se così è stato, credimi… non è avvenuto in maniera volontaria e, di ciò, invoco il tuo perdono. (Afferma, con tono assolutamente sincero, sgomento per tanta violenza nel proprio familiare, nel proprio amato fratello.)
Mu’Sah – Non è stato in maniera volontaria? (Ripete, con tono in parte iracondo, in parte sarcastico.) Non è stato volontario ciò che è avvenuto… lo capisco. Certo. Certamente! (Insiste.) In fondo non sono cose che avvengono in maniera volontaria… no?! (Questiona, rivolgendosi verso l’altro con fervore.)
Mu'Reh – Non so di cosa tu stia parlando, Mu’S… e, se devo essere onesto, mi stai anche spaventando ora. (Ammette, ritraendosi appena da lui, non apprezzando gli sviluppi che tutto quello potrebbe avere.) Sei forse ubriaco, a quest’ora del mattino?!
Mu’Sah – Oh no… no… (Scuote il capo.) In verità non sono mai stato più sobrio in tutta la mia vita, mio caro fratello. (La parola “caro” venga pronunciata con evidente disprezzo.) Non so come abbia fatto a tollerare per tanti anni il tuo tradimento, il tuo continuo complottare alle mie spalle, forse per ottenere ciò che, altresì, è mio per diritto di nascita. Ma…alla fine ho aperto gli occhi. E quanto ho visto non mi è piaciuto…
Mu’Reh – Io…
Mu’Sah – Tu… tu… tu! Sempre tu, Mu’Reh! (Lo interrompe, prima che possa continuare.) La tua vita si è basata ignorando i valori della famiglia, e badando solo e semplicemente ai tuoi sporchi interessi. Ai tuoi sciocchi interessi. Ai tuoi lussuriosi interessi!
Mu’Reh – Che cosa stai cercando di dire? (Domanda, interrogativo in parte sovrapposto alle parole dell’altro.) Quali sono le tue accuse, Mu’Sah?! (Si fa appena più avanti, tornando quasi a contatto con lui.) Stai forse pensando che io possa...
Mu’Sah - … che tu possa esserti preso mia moglie nel letto ove lei ha deciso di dormire separandosi da me. Sì! (Esclama, con violenza, sollevando la mancina per afferrarlo all’altezza del collo.) Vuoi forse negarlo, lurido verme, figlio indegno del sangue che scorre nelle tue vene?!
Mu’Reh – C-c-cosa?! (Balbetti, colto in contropiede non tanto dall’aggressione, alla quale subito reagisce chiudendo le proprie mani attorno al polso della mano sua antagonista, quanto all’accusa, dal suo punto di vista del tutto priva di fondamento.) Ti sbagli, Mu’Sah, se pensi questo! Io sono ancora fedele al ricordo di mia moglie… della madre di mio figlio. E non ti tradirei mai. Non ti tradirei mai, fratello!

venerdì 24 agosto 2012

1679


Ah’Reshia – Totale vittime: quindici. Quattordici soldati kofreyoti e un generale y’shalfico. (Riassume, aggrottando la fronte con aria poco convinta.)
Kona – Certo… (Annuisce.) Sicuramente è andata così... (Piega il capo con espressione non diversa da quella dell’altra.) Ci potrei mettere la mano sul fuoco… e non vi sono ragioni per supporre che questa sia una versione riveduta e corretta dalla propaganda del nostro Paese. Assolutamente no. (Sarcastica e critica verso il proprio stesso regno, laddove questo si osi porre in contrasto a quella donna, a quella eroina da entrambe venerata ormai da mesi qual una sorta di dea in terra.)
Ah’Reshia – Metti forse in dubbio che il tutto si sia svolto in questi termini?! (Domanda, con fare provocatorio e giocoso, più che concorde con la critica dell’altra.)
Kona – Secondo me, e sia chiaro è solo una mia fallibile opinione, Midda Bontor ha ucciso quei quattordici soldati kofreyoti, il quindicesimo e, persino, il loro comandante. Inoltre, giunta in terra d’Y’Shalf, ha ucciso almeno una trentina dei nostri soldati, più il generale in questione, tutt’altro che ignuda, ma combattendo con il vigore del proprio pugno destro, avvolto in quell’impenetrabile armatura nera dai rossi riflessi, nonché con la violenza della propria spada, lasciando alle proprie spalle solo una scia di sangue e morte, e non di lussuriosi sguardi e ammiccamenti! (Spiega tutto d’un fiato, più che decisa a difendere l’onore della donna in questione, seppur mai conosciuta.)
Ah’Reshia – Secondo me, sbagli! (Scuote il capo, tutt’altro che convinta da quella visione dei fatti.) Per come la vedo io non ha avuto alcuna necessità di aggredire i soldati kofreyoti, che, anzi, conoscendo il valore delle sue gesta l’avranno accolta a braccia aperte, speranzosi, anzi, che ella potesse unirsi a loro… altro che necessitare di un qualche lasciapassare. E, superato il confine, ella ha massacrato non meno di un intero battaglione di una cinquantina di soldati e annessi ufficiali, nonché, inevitabilmente, torturato a morte il nostro generale, nel momento in cui, questo, fedele al nostro sultano, non ha voluto offrirle la benché minima collaborazione, preferendo essere dilaniato e ucciso prima di indicare ove le mappe e i piani di battaglia fossero nascosti.
Kona – Quindi credi che Midda Bontor non sia riuscita a portare a termine la propria missione?! (Sgrana gli occhi, quasi spaventata dall’idea che la sorella possa aver perduto tanta fiducia nella loro comune eroina.)
Ah’Reshia – Assolutamente no. Perché comunque, al di là di qualunque propria personale preferenza, il generale non è riuscito a sopportare l’idea di essere dilaniato da lei, e, invocando la propria morte nei termini più misericordiosi possibili, ha raccontato alla mercenaria tutto ciò che ella desiderava sapere e, forse, anche qualcosa di più. (Sorride, ora quasi con crudele soddisfazione, nella contentezza di offrire la vittoria all’incarnazione di tutti i propri sogni e i propri desideri, soprattutto a discapito di chi rappresentante tutta l’oppressione della propria società, maschilista e patriarcale.)
Kona – Tremendo… (Commenta, con tono di voce leggermente più basso.) Ma mi piace! (Soggiunge immediatamente dopo, congiungendo le mani, con soddisfazione, innanzi a sé.)
Ah’Reshia – Credi davvero che Midda Bontor agirebbe in Y’Shalf con più riguardo rispetto a quello con cui agisce in Kofreya?! (Questiona, con tono retorico, ben sapendo che l’altra non le risponderebbe mai di sì.) Ella non si è mai fatta sottomettere dall’ottusità dei kofreyoti e, certamente, non offrirebbe mai rispetto alcuno alla forse maggiore ottusità locale, a un regno fondato sulla dominazione dell’uomo sulla donna e sulla riduzione della donna a un possedimento. Nulla di più di un pregiato arazzo, nel migliore dei casi, da sfoggiare innanzi a tutti i propri pari, a dimostrazione del proprio potere e, meglio ancora, della propria virilità…
Kona – (Ascolta in parte entusiasta, in parte turbata, le parole dell’interlocutrice, per poi lasciar ricadere le braccia lungo il proprio corpo con espressione, ora, trasparentemente delusa.) Credi… credi che anche tuo cugino sia così? (Domanda, con voce rotta dalla disperazione intrinseca in quella prospettiva e, in ciò, della propria impossibilità a poter mai sperare di apparire innanzi agli occhi del giovane che sente di amare.) Io… io non credo di poter essere un arazzo interessante per lui…
Ah’Reshia – Ma tu non ti devi considerare un arazzo! (Grida, per tutta risposta, levando le mani verso le spalle dell’amica per afferrarle con fermezza.) Ma, Kona, mai!
Kona – Mai…?! (Confusa.)
Ah’Reshia – Mai! (Scuote il capo, negando fermamente quella possibilità.) Così facendo rinunceresti per sempre a ogni barlume di amor proprio, di rispetto per te stessa, minimizzandoti al ruolo di semplice oggetto da svendere a chiunque abbastanza interessato ad acquisirlo… dei, Kona, non puoi volere questo!
Kona – Non posso…?! (Ripete, mentre viene scossa vigorosamente dalla presa di lei attorno alle proprie spalle, che la strattona avanti e indietro, quasi a volerla esorcizzare da una possessione malefica.)
Ah’Reshia – No che non puoi! (Esclama, con il tono di un’inquisitrice innanzi a un’eretica.) Il nostro obiettivo è giungere, un girono, a essere valorose e indipendenti come Midda Bontor, non delle schiave mute come… come… come mia madre! (Sbotta, soffrendo per questo paragone pur azzeccato.)
Kona – Tua madre…
Ah’Reshia – Sì, guardala accidenti! (Le libera le spalle, facendo ora qualche passo per allontanarsi da lei.) Guardala e guarda Midda Bontor, che incarna tutto ciò che mai potremmo sperare di divenire un giorno. Tu vorresti offrirti realmente a Mu'Rehin come l’ombra di una donna, anziché come il tripudio di una donna, di tutto ciò che ogni donna dovrebbe ambire a essere e che solo poche, eccezionali figure riescono a divenire, opponendosi al mondo intero attorno a loro?!
Kona – Io… non so. (Scuote il capo, esprimendosi con assoluta sincerità.) Egli… egli cosa preferirebbe?
Ah’Reshia – Cosa… preferirebbe?! (Ripete, attonita a quell’interrogativo.) Dei… dei tutti, del cielo, della terra, del mare e del fuoco… aiutatemi. Soccorretemi. Perché, sono onesta, non mi sono mai sentita tanto aliena al mondo in cui vivo come in questo momento!
Kona – Ah’Reshia…. (Esita, non sapendo come comportarsi, e comprendendo come le proprie parole stiano contrariando la sua sorella di latte.)
Ah’Reshia – Kona… io qui lo dico e che gli dei mi possano incenerire all’istante se mento! (Premette, con tono solenne, puntando il braccio destro, la mano e l’indice verso il cielo.) Piuttosto che divenire l’ombra di me stessa per un uomo, così come ha compiuto mia madre prima di me per compiacere mio padre, preferisco rinunciare per sempre a ogni interesse per un genere tanto abbietto, grezzo, violento e egoista! (Annuncia, con tono fermo e energico, certa di tale propria intenzione.) Già è per me ragione di impegno cercare di tollerare la presenza di un uomo al mio fianco, comportandomi così come il protocollo dell’educazione y’shalfica mi impone. Se questo, poi, deve essere il mio destino sino all’ultimo dei miei giorni, sarà mia premura di circondarmi unicamente di donne, che, indubbiamente, potranno offrirmi molto più di qualunque… uomo!
(Kona tace a quelle parole, che vogliono implicare una determinata propensione tutt’altro che ben accetta in Y’Shalf, così come anche nella maggior parte dei regni lì confinanti. Ancora una volta tutto quello la eccita e la turba al contempo, e questo la pone in una sgradevole situazione di stallo da cui non sa come uscire.)
Ah’Reshia – (Osserva la sorella e comprende di essersi sbilanciata troppo, nel fervore conseguente alla lettura delle imprese di Midda Bontor.) Fai finta che non abbia detto nulla… (Sospira e china ora il capo, desiderando tranquillizzarla.) Probabilmente… probabilmente stavo delirando, eccitata da quanto abbiamo appena letto. Lo sai. Lo sai che queste storie mi coinvolgono sempre troppo.
Kona – Sì. (Annuisca, accennando un timido sorriso.) Credo che sia meglio che io la pensi così, per evitare di poterti involontariamente tradire... (Soggiunge, dimostrando come abbia ben inteso i sentimenti della sorella ma, al tempo stesso, preferisca pensare il contrario per esserle di maggiore aiuto di quanto, altrimenti, potrebbe rischiare di non essere.)
(Senza una sola, ulteriore, parola, le due fanciulle si abbraccino, prima, si prendano per mano, poi, e si allontanino verso la sinistra del palco, non abbisognando di altre, reciproche spiegazioni.)
(Escono Kona e Ah’Reshia.)

giovedì 23 agosto 2012

1678


(Breve parentesi di silenzio, che offra un preludio psicologico all’inizio della lettura.)
Ah’Reshia – Venne il giorno in cui Midda Bontor, mercenaria al servizio di lord Brote di Kriarya nonché ucciditrice della temibile chimera, fu indirizzata verso levante, sui monti Rou’Farth, per prendere parte a quella guerra che da sempre infuria fra Kofreya e Y’Shalf, regni tanto vicini e pur mai sodali, per quanto la Storia riesca a ricordare. (Legge a voce alta, con tono ben impostato, per offrire significato alle parole che legge, non semplicemente riportandole ma, addirittura, interpretandole.)
(Kona si segga a terra, ora, innanzi all’amica, incrociando le gambe innanzi a sé e tenendo il viso sollevato verso di lei, per ascoltarne le parole qual una bambina innanzi a un cantore. Guai a interrompere la magia intrinseca in questa cronaca.)
Ah’Reshia – Non è dato di sapere se, prima di tal momento, la donna guerriero avesse già percorso un tanto mesto cammino verso una simile frontiera, dal terreno, ormai, intriso dell’orrore del sangue di tutti i morti lì generati. Se così sia stato, ciò è avvenuto in un’epoca antecedente al trionfo in contrasto alla chimera, tale da non averle riservato, purtroppo, i dovuti onori.
Ciò che è dato di sapere è come, nell’ascoltare i dettagli della propria nuova missione da lord Brote di Kriarya, suo mecenate, ella non avesse battuto ciglio, non avesse aggrottato la propria fronte orrendamente sfregiata in corrispondenza all’occhio sinistro, né, tantomeno, avesse levato parola di dubbio nel merito di ciò che avrebbe dovuto essere compiuto. Quanto ella propose fu un semplice inchino di complicità, rispetto e gratitudine, nel confronto con l’uomo che, solo in tutta la città del peccato di Kofreya, è stato in grado di offrirle il giusto apprezzamento laddove, altri, le avevano riservato soltanto beffe e denigrazione, nella sua innata, e indubbiamente meravigliosa, condizione di donna.
Kona – Non sono migliori di noi, a occidente… (Osserva, sospirando profondamente, nel rimembrare, ascoltando tali parole, quanto anche la loro eroina fosse stata, a suo tempo, vittima di pregiudizio e di emarginazione in quanto donna.)
Ah’Reshia – Purtroppo… (Non può evitare di confermare, interrompendo, estemporaneamente la lettura.)
(Un nuoto istante di silenzio, nel quale la principessa si umetti le labbra, prima della ripresa della narrazione.
Ah’Reshia – E ciò che, ancora, ci è dato di sapere, è come, suo malgrado, giunta sul fronte Midda Bontor non ebbe un’accoglienza diversa da quella a suo tempo riservatale in Kriarya, venendo ancora una volta beffata e denigrata per la propria condizione di donna… e che donna!
Quasi superfluo sottolineare, a questo punto, è come ella non sia stata né docile, né remissiva innanzi alla derisione collettiva dei soldati kofreyoti. Al contrario, a dimostrare immediatamente il suo valore, ella arricchì il suolo di nuovo sangue, stillato dai corpi di ben quattordici professionisti della guerra, già sopravvissuti a molte battaglie fra quelle montagne bellicose. E solo quand’anche un quindicesimo si ritrovò prossimo a seguire il cammino verso l’oltretomba tracciato dai propri compagni, un comandante si prese la briga di intervenire, comandando ai propri uomini di farsi indietro, affinché fosse suo l’onore di affrontare una simile avversaria, qualunque fosse la sua origine o natura. E solo quand’anche il comandante si ritrovò prossimo a seguire il destino dei suoi uomini già caduti, un generale sopraggiunse in quell’angolo dell’accampamento, per cercare di comprendere quanto stesse avvenendo.
Kona – Uomini idioti… (Quasi sussurra, ovviamente parlando con tono sufficientemente elevato da poter essere udita dal pubblico.)
Ah’Reshia – (Non si lascia ora distrarre dalla narrazione, e prosegue nella lettura.) Riconosciutale dal generale un salvacondotto per oltrepassare il fronte kofreyota, nel timore che, in caso contrario, interesse di quella donna sarebbe stato indirizzare tutto il loro esercito in gloria agli dei, Midda Bontor proseguì pertanto lungo quel particolare cammino che il suo mecenate le aveva indicato, sino ad arrivare in prossimità alle schiere y’shalfiche. E fu in quel momento che alla belligeranza già esaltata nel confronto con i soldati kofreyoti, ella sostituì l’astuzia, lì privandosi delle proprie armi, e delle proprie vesti, per offrirsi agli occhi dei propri nemici qual una donna spaventata e in fuga, da un non meglio precisato pericolo.
Kona – E il suo braccio destro?! Non si priva mai dell’armatura che lo ricopre! (Osserva, sorpresa da quella descrizione.)
Ah’Reshia – Sto leggendo quanto è scritto… (Si stringe nelle spalle.) Ma lo sai che i cronisti tendono a enfatizzare eccessivamente la dimensione dei suoi seni ancor prima di quella della sua spada. (Scuote il capo con fare rassegnato.) Infatti…
(La principessa riprenda, senza ulteriori pause ma separando il parlato dal letto in grazia a un’abile inflessione della propria voce.)
Ah’Reshia – Persi nell’osservare l’incredibile magnificenza dei seni, i soldati y’shalfichi neppur si resero conto del pericolo che quella donna avrebbe potuto rappresentare, e, anzi, l’accolsero a braccia aperte. Persino il loro generale non si dimostrò migliore e, anzi, pretendendo qual proprio un ipotetico diritto derivante dalla propria suprema posizione gerarchica, volle essere il primo a offrire ospitalità a colei che avrebbe dovuto riconoscere qual propria temibile avversaria. E non si concesse di far propria la benché minima possibilità di comprensione sul proprio ormai segnato fato neppur nel momento in cui ella lo invitò ad affondare, con foga, il proprio capo fra le sue monumentali forme, lì soffocandolo senza pietà alcu…
Kona – Sì… come no?! (Protesta, levandosi di scatto in piedi.) Odio questa gente che fa apparire Midda qual una sorta di sgualdrina! (Soggiunge rabbiosa, facendo ancora atto di tentare di leggere anch’ella segni per lei altresì incomprensibili, a cercare una conferma sulla veridicità di quanto appena pronunciato dall’amica.) Dai… non puoi credere veramente a questo mucchio di letame!
Ah’Reshia – Che linguaggio raffinato, sorella… (Ridacchia a quella violenta protesta da parte dell’altra, interrompendo necessariamente la lettura.) Ti ripeto che io mi sto limitando a dar voce a quanto qualcun altro ha scritto per noi. Non mi puoi considerare responsabile per ciò che qui è stato scritto…
Kona – Sta di fatto che è un insulto. (Incrocia le braccia al petto, ancora nervosa.) Se Midda sentisse cosa si va a raccontare in giro di lei, si arrabbierebbe parecchio!
Ah’Reshia – Se Midda sentisse cosa si va a raccontare in giro di lei, si metterebbe a ridere. (Corregge, scuotendo il capo.) E’ superiore a queste provocazioni e capisce bene quanto ad animare questo genere di reinterpretazioni altro non può essere che dell’insana frustrazione da parte dei cronisti. O non si divertirebbero a denudarla a ogni sua avventura, facendola agire… beh… esattamente come hai detto tu: da sgualdrina! (Offre il proprio sostegno alle sue parole, pià che concorde con quell’opinione tanto energicamente espressa.) Ma ora fammi finire, che mancano solo le ultime righe…
Kona – Sì… vai. Finisci, che è meglio! (Sbuffa, contrariata dall’aver ritrovato, ancora una volta, il proprio momento di onirica fuga dalla realtà rovinato dalla prosaicità di certi autori.)
Ah’Reshia – (Riprendendo, per l’ultima volta, a leggere.) … lì soffocandolo senza pietà alcuna.
Ma obiettivo della donna, in tanto truce operato, non avrebbe dovuto essere considerato il mero assassinio di un generale d’Y’Shalf, quanto, piuttosto, il più importante furto delle sue copie delle mappe con le dislocazioni precise di ogni battaglione del regno avverso a quello d’interesse del suo mecenate e, ancora, dei relativi piani di battaglia, per così come concordati già da lungo tempo, nella difficoltà di comunicazione fra le vette di una tanto temibile catena montuosa.
Così ebbe a concludersi con straordinario successo, l’esperienza di Midda Bontor, già ucciditrice della chimera, che fra le tenebre della notte si allontanò con discrezione, si rivestì, e face ritorno al fronte kofreyota, da lì subito ripartendo verso Kriarya, per consegnare al suo signore il frutto del proprio operato, che, a tempo debito, gli avrebbe fruttato molto oro e molti privilegi, nell’esser rivenduto a chi si sarebbe indubbiamente definito più che interessato a informazioni tanto importanti per il regno di Kofreya.
(Un lungo sospiro accompagni, da parte di Ah’Reshia, la conclusione di quella cronaca, prima di una sua necessaria ripresa di parola a commento di quanto appena letto.)

mercoledì 22 agosto 2012

1677


Scena III

(In questa scena venga introdotta una nuova attrice, per il personaggio di cona Kona, che possa dimostrarsi coetanea della protagonista, seppur caratterizzata da connotati che richiamino il volto di sua madre Reja. Stesso colore dei capelli, magari. Oppure medesimo colore degli occhi. O, eventualmente, altri particolari, seppur eventualmente posticci.)
(Entra Kona dalla sinistra del palco, nel mentre in cui, dalla destra, sopraggiunge Ah’Reshia. La prima camminando, e la seconda correndo, esattamente come era uscita pocanzi dal lato sinistro del palco.)
Kona – Ah’Reshia! Eccoti, per gli dei! (Esclama, felice di incontrarla, muovendosi ora anch’ella con passo rapido per abbracciarla.) Non riuscivo a trovarti… dove ti eri cacciata?!
Ah’Reshia – (Ricambiando l’abbraccio offertole.) Stavo facendo due passi qui intorno, entro i confini del cortile del palazzo. (Si giustifica, con maggiore desiderio di onestà di quanto mai non potrebbe desiderar provare verso alcun altro, se non verso quella sorella di latte.) Non temere: non sono andata a caccia di nuovi antagonisti, per sfogare la mia indole guerriera!
Kona – E’ proprio per questo che ti stavo cercando… (Afferma, con tono entusiasta.) Non immagini cosa è appena arrivato per noi! (Soggiunge, estraendo dalle pieghe dell’abito, da una tasca nascosta, un rotolo di pergamena ancora sigillato da un’apposita ceralacca.)
Ah’Reshia – No! (Grida soffocata, portando con emozione viva e trasparente entrambe le mani innanzi alla propria bocca.) Non sarà…?!
Kona – Esattamente! (Annuisce ripetutamente, avendo ben inteso le ragioni dell’emozione dell’altra.) Sono le ultime cronache delle incredibili avventure di Midda Bontor di Kofreya! (Conferma, porgendole la pergamena, con fare ora addirittura solenne.)
Ah’Reshia – Sì! (Quasi isterica per la gioia, afferrando la pergamena e iniziando a saltellare, felice come una bambina innanzi al dono più desiderato.)
Kona – Sì! (Confermi, in un lungo ululato congiunto, saltellando anch’ella insieme all’altra.)
Ah’Reshia – Erano quasi tre mesi che non ricevevamo più nulla! (Cerca di calmarsi, passando la pergamena ripetutamente da una mano all’altra, mentre di volta in volta la mano libera strofina il palmo contro il vestito, ad asciugarle dal sudore dell’emozione.)
Kona – Evidentemente ha avuto molto da fare in questi ultimi tre mesi… (Tenta di giustificare la loro eroina, quasi contrariata dalla critica mossale da parte della sorella di latte.) Avanti… leggila, dai! (La invita poi, con fare insistente.) E’ una tortura non sapersi arrangiare in questi casi, per gente non istruita mio pari! (Si lamenta, provando solo in questo frangente vergogna della propria ignoranza, non avendo ovviamente la stessa formazione dell’interlocutrice.)
Ah’Reshia – Ora la apro… ora la apro. (Conferma annuendo, e guardando con dolcezza l’amica, intimamente triste per la condizione di analfabetismo purtroppo impostole.) E’ stato crudele, da parte di mio padre, averti proibito di imparare a leggere e a scrivere insieme a me… (Sospira, scuotendo il capo nel mentre in cui lei agili dita infrangono la ceralacca.)
Kona – La conosci la sua politica: ai servi non deve essere concesso nulla di più di un letto in cui dormire e di un piatto in cui mangiare. (Rammenta, senza reale senso di disagio nel dichiararsi una serva, qual, a tutti gli effetti, è, malgrado la stretta amicizia con la principessa.) Magari, un giorno, tu potrai cambiare questa regola… ma fino ad allora, sarai costretta a leggere per me. Sempre che non ti sia di peso… (Soggiunge, timorosa per un’eventuali conferma, in tal senso, da parte sua.)
Ah’Reshia – Non dire scempiaggini, sorella! (Nega vigorosamente Ah’Reshia, spingendosi ora in avanti a schioccarle un bacio sulle labbra, con dolce affetto, senza malizie sottintese.) Tu sei l’unica amica che gli dei mi hanno concesso, e sei, del resto, quanto mai avrei potuto pregare di godere della presenza al mio fianco. (Le conferma, per tranquillizzarla.) Senza di te, non c’è dubbio, impazzirei. E un giorno, prego continuamente, spero di poterti ritrovare al mio fianco non più come serva, ma come cognata. (Sorride, strizzando l’occhio sinistro verso di lei, con fare complice.)
Kona – Ah’Reshia! (Esclami, arrossendo violentemente e improvvisamente, per le parole da lei appena pronunciate.) Io… io…
Ah’Reshia – Tu sei innamorata cotta di mio cugino e mi stupisco continuamente di come, malgrado tutta la sua intelligenza, lui sia l’unico a non averlo ancora compreso entro queste mura! (Asserisce sincera, priva di toni canzonatori qual pur potrebbero contraddistinguerla in questo momento.) Non sai quanto sarei felice di vederti felicemente sposata a lui, e libera, finalmente, dal giogo che una stupida organizzazione a caste sembra volerci insistentemente imporre!
Kona – Non dire così… (China il capo, imbarazzata.) Lo sai che non sarà mai possibile qualcosa del genere. (Scuote la testa, quasi infastidita da tale verità.) Probabilmente Mu'Rehin non è neppure a conoscenza della mia esistenza… figurati se potrebbe mai compromettere il proprio retaggio per una serva figlia di servi, qual io sono.
Ah’Reshia – Non pregiudicare in questo modo mio cugino, Kona. (Sorride, dispiegando la pergamena con movimenti lenti, quasi delicati.) E’ sangue del mio sangue e così come io mi sono innamorata perdutamente di te, sono certa che anche lui non sarà da meno…
Kona – Innamorata…?! (Esita, non comprendendo l’accezione di quelle parole.)
Ah’Reshia – Sei mia sorella, no? (Minimizza l’altra.) E come tale io ti amo, più della mia stessa vita!
(Un primo momento di silenzio cali fra le due giovani donne, a confronto ognuna con i propri pensieri e i propri sentimenti. Solo dopo un attimo di chiaro turbamento, felice turbamento, sia Kona a ritrovare voce, cercando di deviare l’argomento verso temi meno personali.)
Kona – Allora… (Riprende parola.) Dove è finita, questa volta, la nostra eroina?! (Indicando la pergamena.)
Ah’Reshia – Ella non si farebbe mai intimidire all’idea di rapportarsi con un nobile, se solo ne avesse desiderio. (Cerca di insistere, non volendo che la sorella rifiuti l’idea di una relazione con suo cugino.) Lo sai, vero?! (Ammicca, quasi in ciò buttando in giuoco quella provocazione, non volendo imporre eccessivo disagio sull’altra.)
Kona – Dai… leggi! (Protesta, avvicinandosi a lei e volgendo lo sguardo verso la pergamena, quasi potesse in ciò leggere ella stessa in luogo all’omissione della compagna.) Dove è andata questa volta?! Quali pericoli ha affrontato? (Questiona, in ovvio riferimento a Midda Bontor.) Immagino che, come minimo, abbia affrontato dei giganti figli di Gau’Rol! O le streghe loro genitrici…
Ah’Reshia – Io invece credo che abbia combattuto contro un intero esercito, per il recupero di una preziosa reliquia caduta nelle mani di un signore rivale al suo mecenate, lord Brote! (Asserisce, con tono convinto.) E ci sarà di che entusiasmarsi!
Kona – Non dirmi che hai già sbirciato e mi stia anticipando la storia! (Si prepara a colpirla con un pugno giocoso sul braccio, se solo si confermasse tale eventualità.)
Ah’Reshia – E tu hai sbirciato…?! (Replica con tono divertito.)
Kona – Neppure se volessi! (Risponde, sempre con il pugno pronto.) Allora, mi hai rovinato la sorpresa anche oggi?!
Ah’Reshia – Ma no! (Scuote il capo.) Dai… non lo farei mai e lo sai.
Kona – Sì, certo, come le altre otto volte. (Sospira, abbassando il pugno e rassegnandosi a qualunque sviluppo, anche a suo sfavore.)
Ah’Reshia – Se stai buona, inizio a leggere. Così vedrai che non ti ho anticipato nulla.
Kona – E leggi! (La invita, impaziente.)
Ah’Reshia – D’accordo… (Annuisce sorridendo.) Vado a iniziare…

martedì 21 agosto 2012

1676


Scena II

(Entra Ah'Reshia da sinistra, offrendo l’impressione che la scena si sia spostata dal punto ove era pocanzi a quest’altro. Ella, infatti, era precedentemente uscita da destra e, con questa ricomparsa si creerà l’effetto di un proseguo logico dei suoi movimenti. A maggior ragione, pertanto, cerchi l’attrice di conservare la medesima espressione e il medesimo atteggiamento della precedente uscita, a permettere al pubblico di ricollegare immediatamente i due eventi.)
(Raggiunga la giovane il centro del palco e, come già in occasione della cena, si rivolga verso i propri spettatori, per renderli edotti dei propri pensieri, delle proprie emozioni.)
Ah'Reshia – Reja non vuole prendere posizione in quest’affare. E, suo pari, anche Sha’Maech; le belle parole del quale, sicuramente, mi hanno placata, ma non mi hanno in alcun modo convinto a desistere, fosse ciò una semplice perdita di tempo. (Commenta, scuotendo il capo, con aria rassegnata.) Questo perché, probabilmente, temono ciò che dai miei genitori potrebbe per loro derivare.
Dai miei genitori?
Da mio padre, in verità. Perché mia madre…
Perché non mi rivolgo direttamente a loro?
Per le ragioni già viste ieri sera. Per quelle sventurate motivazioni che mi impediscono di godere di un dialogo con coloro a cui debbo la mia esistenza in vita.
L’una troppo fedele al suo ruolo di donna e moglie y’shalfica per prendere posizione al di fuori dei voleri del marito. E l’altro purtroppo perso nelle proprie fantasie, nei propri deliri forse, nel confronto con i quali ogni verità si distorce e si trasforma in menzogna.
(Un istante di silenzio, a riflettere sulle medesima parole appena pronunciate.)
Ah'Reshia – Menzogna. Non è forse menzogna anche il silenzio che mi sta venendo imposto?
Perché definire menzogna soltanto la riformulazione della realtà e non, anche e più semplicemente, l’omissione della medesima? Gli effetti, dopotutto, non sono poi così diversi, nell’uno e nell’altro caso.
Se io, ora, uccidessi un servo e dicessi che non so chi lo ha ucciso, in che termini la mia menzogna sarebbe più grave di un mero silenzio attorno a tale verità? Non sarebbe comunque mia la colpa di aver ucciso un uomo e non aver dichiarato la paternità di tale azione?
Eppure, sovente, molto sovente, ci si convince che un silenzio sia migliore di molteplici parole pronunciate a copertura delle proprie mancanze e delle proprie colpe; scordando come, comunque, nel silenzio non si offra nient’altro che la possibilità ad altri di colmare le lacune da noi lasciate aperte, lasciate prive di spiegazioni, di ragioni. Così come, del resto, sto tentando di compiere io stessa.
Qualcuno, non so dire chi, forse mio padre, forse mia madre, forse Reja, forse Sha’Maech… o chiunque altro, se non tutti insieme, ha taciuto per anni nel merito della mia vera storia. E, ora, il silenzio che si sta imponendo con tanta forza attorno a questa faccenda, non fa altro che confermare ogni dubbio, ogni sospetto, senza offrire ragioni, senza chiarire motivazioni, ma solo brama di raggiungerne, prima o poi, in un modo o in un altro.
(Un altro istante di silenzio, ancora riflessivo.)
Ah'Reshia – Tuttavia… cosa mi è dato di compiere?
Quali possibilità mi sono concesse, per trovare soddisfazione là dove ora è solo insoddisfazione? Spiegazioni là dove ora sono solo omissioni? Certezze l’ha dove ora è solo confusione?
Nessuna, temo.
Perché?
Perché sono sola. Per la prima volta nella mia vita sono completamente sola. Io, principessa di Y’Shalf, non sono mai stata sola. Non ho mai dovuto preoccuparmi, sola, del mio avvenire, delle mie scelte e delle loro conseguenze.
Anche nel bosco, ieri, ero consapevole di come presto sarebbero giunti il mio amato cugino e i suoi uomini, per soccorrermi, per salvarmi, da uomini che, dopotutto, avevano dichiarato di non volermi realmente arrecare danno. Insomma. Sono stata una grande eroina, sì… ma con le spalle coperte. Ben distante dall’immagine di Midda Bontor, alla quale vorrei assomigliare, se solo mi fosse data l’occasione.
Trascorsa una vita intera a essere servita e riverita, a essere aiutata in ogni mia difficoltà, a superare qualunque ostacolo il fato potesse pormi innanzi, ammesso che di ostacoli si possa parlare nel mio caso; come posso pensare di poter compiere questo qual mio primo atto di indipendenza? Schierarmi tanto apertamente in contrasto a tutti coloro che mi hanno sempre aiutata, che mi hanno sempre sostenuta e sorretta, quali benefici potrebbe concedermi?
La verità ha un prezzo. E un prezzo che, nel mio caso, potrebbe essere più caro da pagare di quanto io potrei mai riuscire a immaginare.
Sono davvero pronta a pagarlo?
(Terzo momento di silenzio, mentre con lo sguardo la fanciulla perscruti il pubblico innanzi a lei, quasi a sperare di riuscire a individuare, sul volto di qualcuno dei presenti, una risposta a tutte le sue domande.)
Ah'Reshia – Dannazione! (Esclami ora, con rabbia e insofferenza, nel confronto palese con la propria impotenza.)
E’ questo quanto di meglio io riesca a fare? Lamentarmi come una bambina, pretendendo che sia qualcun altro a risolvere le mie questioni?
In che modo posso sperare di crescere realmente se mi pongo con quest’animo ad affrontare le prime, vere difficoltà della mia intera esistenza?
Brava, Ah'Reshia. Brava davvero. (Accenna un applauso sarcastico, a proprio stesso discapito.)
E’ in questo modo che voglio dare ragione a tutti gli ottusi bigotti che desiderano privare le donne persino del diritto di pensare, ove estraneo alle loro naturali possibilità, in quanto plasmate dagli dei solo come complementari all’uomo e, in questo, capaci di esistere prima sotto un padre, poi sotto un marito ed, eventualmente, sotto a chiunque sufficientemente generoso da offrire loro tutela e protezione?
E’ in questo modo che voglio rinunciare a ogni dignità personale, all’amore per me stessa e a ogni sogno di autodeterminazione? E’ in questo modo che voglio seppellire ogni desiderio onirico che mi ha accompagnato in tutti questi anni?
No. Non sto esagerando. Né sto impazzendo.
Qui, ora, si tratta di me. Di me e di nessun’altra.
E devo agire per quanto è meglio per me. Per quanto deve essere meglio per me.
Se il segreto che sta venendo tenuto nascosto da quattordici anni riguarda la mia esistenza, riguarda il mio passato e, con esso, un qualche orrore lì altrettanto ben celato; io devo cercar di far luce su quanto è accaduto, ove anche tutto ciò dovesse mutare la mia quotidianità così radicalmente da farmela risultare del tutto estranea, quasi neppur mi appartenesse.
E se così sarà, lo giuro sugli dei tutti, affronterò il mio futuro a testa alta, fiera di me stessa al di là di ogni possibile ombra passata, di qualunque tragico retaggio mi sarà rivelato!
(Un istante di silenzio, nel quale ora, a testa alta, Ah’Reshia fissi il vuoto innanzi a sé, quasi a rivolgersi verso un futuro lontano, non ancora definito nelle proprie forme e pur, ora, addirittura bramato nel proprio sopraggiungere.)
(In tal momento, una voce sopraggiunga fuori dal palco, invocante proprio la presenza della giovane.)
Kona – Ah’Reshia! Ah’Reshia dove sei?!
Ah’Reshia – Sono qui, Kona! (Esclami per tutta risposta, volgendosi verso la sinistra del palco.) Arrivo!
(Esce a sinistra, di corsa, Ah’Reshia.)

lunedì 20 agosto 2012

1675


Sha'Maech – Tu non sei pazza, piccola mia… (Scuote il capo, rabbonendosi repentinamente nel coglierla tanto sofferente.) E’ questa vita ingiusta che fa di tutto per renderti tale, oltre ogni tua possibilità d’arbitrio. (Sospira, parlando in termini ben lontani dal potersi definire retorici, a tuttavia riferendosi a elementi esterni a ogni possibilità di comprensione della sua interlocutrice, o del pubblico spettatore.)
Ah'Reshia – Ora parli per enigmi, mio mentore? (Domanda senza desiderio di scherno nei suoi riguardi, ma con sincera brama di comprensione, sospettando che in tali parole non si stia celando nulla di meno che la risposta a ogni suo dubbio nel merito di quanto suggeritole dai morituri.) Ti prego, Sha’Maech, apri la mia mente alla luce della conoscenza, e permettimi di giungere alle risposte che, seppur inizialmente animate da semplice curiosità, ora mi stanno torturando, nell’impossibilità di possederle per un insano ostruzionismo del fato e delle persone a me circostanti. (Lo supplica, senza alcuna esitazione.) Già ieri sera è stato mio desio quello di informarmi direttamente dal principe mio padre o dalla principessa mia madre, dopo il silenzio ostinato di Reja, protettiva oltremodo nei miei riguardi. E se ora non sarò in grado di risolvere quanto assilla ormai il mio animo, lo giuro, disturberò i principi miei genitori per ottenere soddisfazione. (Non una minaccia, ma, piuttosto, una mera constatazione, un annuncio d’intenti tanto serio, quanto sereno.)
Sha'Maech – Al tuo posto eviterei tale scelta, se mi fosse effettivamente cara la pace che da sempre avrebbe in tutto ciò contraddistinto la mia vita. (Suggerisce, ancora senza prendere posizioni nette in tal senso, ma limitandosi a esprimere quello che parrebbe un semplice consiglio privo di passione, in misura non maggiore di quanto non potrebbe essere un’ipotesi relativa alla composizione del prossimo pranzo, per quanto appaia evidente un interesse decisamente più profondo in tal senso.)
Ah'Reshia – Ti prego, cessa questo oracolo e riprendi a esprimerti con l’amabile genuinità che più è idonea al tuo ruolo, mio mentore. (Lo invita, non riuscendo purtroppo a comprendere il fine ultimo di quel giro di parole, più prossimo a un tentativo di ingannarla, di traviarla dal tema del proprio dubbio, che a una qualche, effettiva, possibilità di chiarimento a tal riguardo.)
Sha'Maech – Cosa intendi dire? (Domanda, nel tentativo di cambiare posizione, assumendo il ruolo di interrogatore in luogo a quello di interrogato.) Per quale ragione dovrei esprimermi in termini diversi da quelli che sono sempre stati miei? (Insiste, nella volontà di confonderla.)
Ah'Reshia – Forse all’unico scopo di farmi desistere dai miei dubbi, dalle mie incertezze, per essere colei che sono sempre stata: un’affezionata figlia per nobili genitori. (Commenta, lasciando intendere come la sua ignoranza sia pur chiaramente indirizzata verso un particolare contesto, un tema tutt’altro che generico.) E’ questo ciò che temi, Sha’Maech? Che io possa cambiare le mie convinzioni su ciò che sarà, in funzione di ciò che è stato?
Sha'Maech – In molti trascorrono i propri giorni, gli anni della propria intera esistenza, a riflettere su ciò che è stato e su come, nel confronto con gli errori passati, il presente debba riservarsi occasione di apprendimento e, ancor più, abbia persino da mutare, a favorire un futuro diverso da quello che, altrimenti, ci si sarebbe potuti riservare. (Spiega.) Ma in tutto questo, piccola mia, alcuno è mai riuscito a migliorare realmente la propria esistenza, la propria quotidianità, ottenendo altresì soltanto la mesta rovina di tutto ciò che avrebbe potuto essere, ma che, in tal modo, mai avrà occasione di proporsi.
Ah'Reshia – Cosa intendi dire? (Sembra fargli il verso, domandando, tuttavia, sinceramente numi sul discorso appena offertole.) Per quale ragione dovrei rovinare il mio presente volgendo lo sguardo verso un passato non pienamente compreso? (Esplicita, a non offrire dubbio alcuno sul senso della propria richiesta.)
Sha'Maech – Perché, a dispetto di quanto potrebbe piacerci, il passato è intangibile, presenza fissa ma irraggiungibile nel lungo e complesso cammino della nostra esistenza, che si volge continuamente al futuro. (Prosegue.) Per offrirti un’esemplificazione, puoi considerare il passato quale un quadro completo, che si può solo osservare, ma non più modificare; il futuro quale una serie di tele bianche, che in un qualche momento non prevedibile, il presente, ci saranno offerte una alla volta per provare a disegnarci e dipingerci sopra qualcosa, nel minor tempo possibile. (Un istante di pausa, quasi per lasciar riposare la voce.)
Ah'Reshia – Quindi al passato possiamo guardare come un esempio, buono o cattivo, ma solo al presente e al futuro devono essere destinati i nostri sforzi, o finiremo per smettere completamente di dipingere… e di vivere. (Commenta, facendo proprio il paragone offertole, a dimostrazione di quanto abbia compreso quanto propostole.) E’ corretto?!
Sha'Maech – Precisamente. (Annuisce, con soddisfazione, nell’aver ritrovato la propria allieva e la sua attenzione.) Per quanto bello o brutto che sia, qual senso avrebbe soffermarsi a contemplare troppo a lungo il dipinto passato, in luogo all’occasione offerta per migliorarsi ancora, con nuove opere, nuovi dipinti, nuove occasioni?!
Ah'Reshia – Nessuno. (Risponde, convinta di quanto sta affermando e pur, ancora, lontana dal potersi definire soddisfatta nel confronto con i propri dubbi, con quegli interrogativi che le affollano la mente.)
Sha'Maech – Esattamente. Nessuno. (Conclude, con un profondo sospiro, quasi fosse stato privato delle energie da quel lungo e complesso confronto.)
(Un momento di silenzio si imponga, allora, fra le due parti, nel mentre in cui entrambe diano l’impressione di soppesare quanto avvenuto, e la propria soddisfazione, o meno, in tutto ciò.
La giovane, dopo qualche istante, avanzi verso il proprio mentore e, senza soggiungere ancora un singolo verbo, si stringa a lui, in un forte abbraccio. Sha’Maech, imbarazzato per il gesto, non risponda e, anzi, si irrigidisca appena, per quanto fortemente legato a lei.)
Ah'Reshia – Scusami per l’assillo… (Parla a bassa voce, a offrire l’idea di un sussurro, per quanto abbia da stare udibile al pubblico anche più lontano.) Non era mia intenzione mancarti di rispetto, né, tantomeno, porre in dubbio il valore della tua presenza nella mia quotidianità.
Sha'Maech – Lo so. (Conferma egli, ora levando una mano ad appoggiarsi sulla schiena di colei che ama qual una figlia.) Lo so. Non ti preoccupare. Non è successo nulla…
Ah'Reshia – Grazie. (Sorride ella, ora distaccandosi da lui.) Grazie davvero… (Annuisce, prima di voltarsi e di accennare ad allontanarsi verso la destra del palco, non desiderando imporre ulteriormente la sua violenta presenza sull’interlocutore.) Vado… vado a fare qualcosa.
Sha'Maech – Studia, invece di bighellonare sempre con la tua amica Kona… (La rimprovera preventivamente, temendo di ben sapere cosa intenda ella con il proprio saluto.) Domani voglio sapere da te i possibili impieghi della belladonna a livello medicale!
Ah'Reshia – Non mancherò! (Sorride divertita a quella richiesta, che, improvvisamente, riporta tutto in ordine, come se quella discussione, fra loro, non fosse mai occorsa.) A dopo, Sha’Maech!
Sha'Maech – A dopo… (Saluti semplicemente.)
(Esce Ah’Reshia dalla destra del palco, lasciando solo il mentore.)
Sha'Maech – Ohimè… (Esclami questo, dopo l’uscita della giovane, volgendo lo sguardo al cielo.) Dei… non ho mai creduto nella vostra esistenza e nel vostro morboso interesse di intervenire nelle vite di noialtri, semplici formiche nel paragone con la vostra onnipotenza. (Preghi, come mai ha fatto in tutta la propria vita.) Ma se esiste una sola possibilità che voi siate reali, concreti e tangibili, e possiate realmente intervenire nel corso del nostro destino con un vostro semplice gesto, vi prego… vi prego… preservate la giovane principessa dagli orrori celati nel suo passato!
Non c’è bisogno alcuno che ella scopra quanto è accaduto. (Puntualizzi, quasi a discutere con le divinità in cui neppure crede.) La sua vita può essere felice se solo ella si lascerà il sangue versato nella sua più tenera infanzia alle spalle, obliando completamente a ogni curiosità, a ogni dubbio, a ogni possibile capriccio. Vi prego… concedetele questa opportunità.
Non rovinate la sua vita. Non rovinate il suo futuro, qual già il passato…
(E chinando lo sguardo al suolo, ora silente, si avvii verso la sinistra del palco.)
(Esce Sha’Maech.)

domenica 19 agosto 2012

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Atto II


Scena I

(Si alzi il sipario. Entrino Sha’Maech e Ah'Reshia da sinistra, il primo cercando di sfuggire alla propria pupilla, la seconda inseguendo il mentore, bramosa di ottenere da lui informazioni.)
(Non si offra particolare rilievo al contesto attuale, potendo essere questo tanto all’interno del palazzo, quanto all’esterno, privo ora di utilità ai fini della scena. Al centro dell'attenzione del pubblico dovrà essere, solo ed esclusivamente, il dialogo fra i due.)
Ah'Reshia – Sha'Maech! (Esclama, cercando di stargli dietro.)
Sha'Maech – Mia principessa! (Risponde, cercando di sfuggirle e, in ciò, continuando a mutare direzione del proprio incedere, ora verso destra, ora verso sinistra, senza mai abbandonare in ciò il palco laddove visibile dal pubblico.)
Ah'Reshia – Fermati, Sha'Maech! (Tenta di ordinare, esasperata dal suo continuo allontanarsi.)
Sha'Maech – Perché mai dovrei?! (Replica, scuotendo il capo e non rallentando il passo. Una camminata rapida, non una cosa, ma non dissimile da ciò.)
Ah'Reshia – Perché ti ho posto una domanda! (Insista la giovane, cercando addirittura di agguantarlo per impedirgli ulteriormente di allontanarsi, salvo finire con l'abbracciare l'aria e nulla più.)
Sha'Maech – Ottima ragione per fuggire, quindi… (Osserva, non rallentando neppur per un istante.)
Ah'Reshia – Vile! (Lo insulta, quasi ruggendo, mal tollerando tanta ritrosia nel proprio interlocutore e, in ciò, scattando ulteriormente avanti, nella brama di afferrarlo e di non permettergli ulteriore possibilità di fuga.)
Sha'Maech – Saggio, direi… (Corregga, voltandosi per puntualizzare meglio la differenza di vedute, salvo, in ciò, rendersi conto di essersi ormai irrimediabilmente compromesso.)
(Caschi Ah'Reshia sul povero Sha'Maech, spingendolo a terra in un sonoro tonfo. A stemperare il clima tragico della rappresentazione, che successivamente andrà a crescere, questa azione può essere rappresentata simile a una pantomima, riuscendo, ove possibile, persino a strappare un sorriso al pubblico.)
Ah'Reshia – Fermato, vile e codardo! (Conclude ella, troneggiando ora a cavallo della sua schiena, con aria trionfale.) Pensavi davvero di poter sfuggire a colei che, sola, ha bloccato e ucciso ben tre avversari in un colpo solo?! (Esagera, certo, tuttavia sempre animata da quell'impeto persino giocoso che la può far considerare più prossima a una bambina che a un'adulta.)
Sha'Maech – In verità era mio desiderio quello di sfuggire a un'allieva eccessivamente insistente su argomenti che neppur competono il senso ultimo delle nostre lezioni… (Precisa, sbuffando nel ritrovarsi steso sotto di lei.) Cosa cruccia il tuo spirito, mia giovane principessa, tanto da spingerti a desiderar la rottura della mia colonna vertebrale? E, soprattutto, ricordi ancora cosa sia una colonna vertebrale… spero bene! (Incalza, cercando di sfruttare il proprio ruolo di mentore a sua difesa, per quanto pur improbabile.)
Ah'Reshia – Non è nel campo dell'anatomia che si sviluppa la mia ignoranza, quanto e peggio in quello della storia, mio buon mentore. (Annuncia, restando ancora seduta sulla sua schiena, nel timore che egli possa ancora desiderare levarsi e allontanarsi da lei, lasciandola carica sol di dubbi ancor prima che di risposte.)
Sha'Maech – Desideri forse conoscere le ragioni alla base dell'interminabile guerra fra la nostra nobile Y'Shalf e la barbarica Kofreya, mia cara? (Sorride egli, sornione, cercando di ovviare a una domanda in effetti da lei già esplicitata e ragione della sua fuga.) O desideri che ti racconti di quelle ere dimenticate di grandi imperi e grandi re e regine, che estendevano il proprio potere su interi continenti e non su risibili frazioni degli stessi?
Ah'Reshia – Conosci già i termini della questione che disturba il mio cuore e il mio animo, rendendomi incapace persino di dormire. (Sottolinea.) Te li ho già espressi pocanzi e non puoi esserteli già dimenticati!
Sha'Maech – In effetti temo di non averli mai colti nella loro completezza, figliuola. (Nega, spudoratamente, ma fermamente, non desiderando concederle possibilità di soddisfazione, nei termini da lei desiderati.) Rammento un accenno a vicende prive di valore stor… (Spera di distrarla, salvo essere da lei prontamente arrestato nel proprio incedere verbale.)
Ah'Reshia – Mio buon mentore… (Prende parola ella, con tono inizialmente affettuoso, salvo poi mutare in quello di una fredda minaccia.) … fossi in te non completerei l'assurdità che stavi per definire, desiderando mantenerti in salute così come, sicuramente, desideri.
Sha'Maech – Degna figlia di tuo padre, sei. E fai di tutto per dimostrarti essere… (Sospira, non desiderando offrirle, in ciò, un qualche complimento di sorta.)
Ah'Reshia – Mio padre è un principe retto e giusto, il cui operato è benedetto dagli dei per intrinseca definizione! (Difende il padre, negando quella stessa fallibilità da lei additata la sera precedente.) Non proseguire oltre nel tuo blaterare, o neppure tutta la saggezza di cui ti fai abitualmente schermo potrà difenderti, vecchio! (Insista a minacciarlo, ora in termini assolutamente espliciti.)
(Un istante di silenzio contraddistingua tale evoluzione nel loro dialogo, un silenzio nel quale il mentore si arrende, apparentemente, alla violenza delle argomentazioni addotte da colei che, un tempo bambina, pendeva dalle sue labbra, bramando ogni sua parola come un'ispirazione divina sul proprio avvenire. Si mostri, pertanto, Sha'Maech affranto, ormai privato di qualunque desio di ribellione alla presenza della giovane su di sé, fisicamente e non solo, simile a cadavere sotto il suo pur lieve peso.)
Ah'Reshia – Vecchio… sei ancora vivo?! (Domanda irriverente, con lo stesso immeritato pseudonimo appena impostogli.)
Sha'Maech – Lo sono, anche se, ora come ora, preferirei non esserlo, per ovviare alla vista di quanto tanto ferocemente desideri essere e apparire, ben lontana dalla figlia che, lo ammetto, ti ho sempre idealizzata essere al mio fianco… (Spiega, con tono basso, ma comunque udibile dal pubblico, e mesto, trasparente di tutto il suo sconforto per ciò che gli sta venendo offerto da un fato indubbiamente avverso.)
(A quelle parole, la giovane appaia necessariamente colpita, addirittura affranta, nel maturare coscienza nel merito delle proprie azioni e della propria inappropriata aggressività nei riguardi di chi, a tutti gli effetti, amato come un padre negli stessi termini nei quali Reja era da sempre stata riconosciuta simile a una madre. Per tale ragione si alzi di scatto, quasi spaventata, retrocedendo rapidamente verso l'estremità opposta del palco rispetto a quella in cui il mentore è stato gettato al suolo, ora carica di vergogna per le proprie azioni.)
Ah'Reshia – Io… io… (Esita, non sapendo come scusarsi con lui. Non sapendo neppure se sia possibile scusarsi per un tanto folle operato.) Mi dispiace, Sha'Maech… mi dispiace veramente.
(Questi si alzi allora da terra, con un movimento lento e goffo. E una volta raggiunta la posizione eretta, si pulisca le vesti, liberandole dall'oppressione di terra lì ovviamente inesistente.)
Sha'Maech – Di cosa sei dispiaciuta, mia principessa? (Domanda, con fare remissivo, simile a quello di servo qual, comunque, si è sentito trattare da lei.) Hai agito con la libertà propria del tuo rango, seppur con modi che a tale non si adattano pienamente. (Commenta amaramente.) Avresti dovuto chiamare le tue guardi affinché fossero loro a gettarmi a terra, e non tu.
Ah'Reshia – Mi dispiace… (Ripete, quasi in lacrime, per il dolore derivante dalle parole dell'uomo, purtroppo non ingiuste.) Mi dispiace, Sha'Maech… io… io… ho agito senza pensare.
Sha'Maech – Altra caratteristica assolutamente idonea al tuo rango, mia signora… nulla di cui domandare perdono. (Si inchina, addirittura, a rendere la punizione psicologica impostale ancor più efficace.)
Ah'Reshia – Ti prego… basta! (Esclama, quasi gridando.) Io… ho sbagliato, Sha'Maech… ho sbagliato ad agire come una pazza e ad aggredirti senza ragione. E di questo mi dispiace. Mi dispiace profondamente!