11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

martedì 13 novembre 2012

1760


Pur non potendo fare a meno di apprezzare la risolutezza dello sposo nei confronti del padre, Midda non mancò di temere, sinceramente, le possibili conseguenze di quella provocazione, non tanto in un eventuale offensiva del dio nei confronti di Desmair, quanto e peggio in una sua forse inevitabile risposta. Una risposta che, per la terza volta, l’avrebbe atterrita, trapassandole la testa da parte a parte con violenza terrificante, e annichilendo ogni sua possibilità di reazione innanzi a ciò.
Tale, del resto, si era dimostrato sino a quel momento l’effetto della voce di Kah, offrendo testimonianza della veridicità di molte leggende, diversi miti, secondo i quali impossibile sarebbe stato per i sensi umani elaborare correttamente quanto relativo a una dimensione divina delle cose, motivo per il quale ella non era in grado di distinguere, con efficacia, le proporzioni del corpo del dio, così come, nel solo confronto con la sua semplice voce, non poteva evitare di ritrovarsi a essere praticamente atterrita, così come non avrebbe avuto ragione di essere nel confronto con altro suono al mondo.
E sebbene preparata al peggio, quando il dio riprese parola, difficile fu per lei non affondare nella neve, seguendo l’esempio delle nuove, innumerevoli gocce di sangue perdute dai propri padiglioni auricolari, quasi a cercare, in essa, una fredda protezione, un gelido distacco dal mondo…

« Dei… basta! » gemette, sinceramente stravolta da tutto quello, mal sopportando la propria palese inferiorità fisica nel confronto con il dio e il suo smisurato potere ma, ancor meno, l’impotenza a cui si stava dimostrando costretta anche solo a livello auditivo, sgradevole metafora di quanto inerme avrebbe dovuto considerarsi innanzi a esso.
« E sia, padre. » chinò Desmair il colossale capo, con segno di insoddisfatta rassegnazione in conseguenza alle ultime parole ascoltate ed, evidentemente, comprese, a differenza della propria sposa, per la quale tutto quello non avrebbe potuto avere alcun significato « Ho sperato vi sarebbe potuto essere un rapporto diverso fra noi… ma se è la guerra che vuoi, la guerra avrai. » dichiarò, retrocedendo di un passo e sollevando la propria spada e il proprio scudo, l’una dietro di sé, l’altro davanti a sé, nell’assumere una postura di guardia « Preferisco perire per tua mano, se così deve essere, piuttosto che trascorrere l’eternità entro i limiti di quella prigione dorata. »

Non fosse stato per la propria più intima avversione verso il marito, la Campionessa di Kriarya avrebbe giurato che, quell’ultima asserzione, fosse carica di malinconia e rimpianto, sentimenti che, in verità, ella aveva sempre ritenuto non potessero essere propri del semidio, ai suoi occhi apparso sin dal loro primo incontro qual simile più a uno stereotipo che a un essere vivente, dotato di emozioni suo pari. Ciò nonostante, difficile sarebbe stato equivocare l’emozione di delusione intrinseca nel significato delle parole da lei scelte, così come nei loro significanti. Perché, per la prima volta alla sua attenzione, la fortezza stava venendo descritta anche da lui per quanto realmente era, e sola avrebbe potuto essere considerata: non un dominio, non una dimora, quanto e tristemente una prigione, nella quale intollerabile sarebbe stato trascorrere una sola vita, folle sarebbe dovuto essere riconosciuta l’idea di affrontare l’eternità.
Possibile che, al di là di ogni loro attrito, Desmair fosse qualcosa di più del sadico figlio d’un cane che Midda aveva sempre considerato essere? Possibile che, al di là di tutte le proprie colpe, ciò che egli era altro non fosse che conseguenza di ciò che era stato costretto a essere?
Eppure, così giustificando il semidio, ella avrebbe potuto addirittura spingersi a giustificare anche la sorella, assolvendola dalle proprie colpe in quanto mera conseguenza dell’abbandono subito. O forse no?

« … Desmair! » tentò di richiamarne l’attenzione, per un fugace istante temendo per la sua sorte, dimentica di essersi spinta, poche settimane prima, fra quelle cime all’unico scopo di ucciderlo.
« Ogni impegno è sciolto, Midda. » replicò egli, dando dimostrazione di averla sempre udita, ma, sino a quel momento, di non averle voluto offrire risposta « Ritirati, finché ti è concesso. Non posso pretendere che tu combatta questa guerra in mio nome. Non contro mio padre. »

Difficile sarebbe stato riconoscere, in quella figura in armatura, lo stesso Desmair con il quale ella si era scontrata più volte, tanto verbalmente, quanto fisicamente. Lo stesso Desmair che l’aveva costretta a uccidere due cugini di Be’Sihl. Lo stesso Desmair che aveva trascinato la povera Fath’Ma prossima alla follia. Ciò nonostante, estremamente complesso sarebbe stato equivocarne l’identità, armatura o no, in conseguenza di un profilo troppo particolare, addirittura unico, per poter essere confuso con quello di qualcun altro. Ragione per la quale difficile fu per la mercenaria reagire così come, forse, avrebbe reagito nei confronti di chiunque altro.
Al di là delle leggende attorno al proprio nome, Midda Bontor non era un’eroina né, ancor meno, una paladina, impegnata a lottare per il raggiungimento di un bene superiore. Ella era una combattente, certo, una donna guerriero, sicuramente, ma anche, e soprattutto, una mercenaria, motivo per il quale era solita cercare sempre un tornaconto per le proprie azioni, per il proprio operato. Un tornaconto, forse, non di natura meramente economica, quali molte sue recenti avventure avrebbero potuto testimoniare, e pur un tornaconto. Il sangue di Marr’Mahew, non a caso, era stato recuperato non quale semplice esercizio di stile, ma allo scopo di assicurarsi che il proprio sposo avrebbe evitato di destinare ad altri il medesimo, triste fato a cui aveva già indirizzato la povera, sventurata Fath’Ma o, peggio, i due cugini del suo amato Be’Sihl.
Alla luce di ciò, anche volendosi sforzare nel cercare una qualche motivazione assurda, estremamente difficile sarebbe stato per lei immaginare una qualche ragione per la quale avrebbe dovuto suicidarsi nel confronto con un dio… un vero dio, seppur, fortunatamente, minore. A meno, ovviamente, di non veder la questione posta sotto un punto di vista prettamente morale. Una morale, beninteso, non facente riferimento a criteri comunemente condivisi, a filosofie universalmente riconosciute, quanto, e piuttosto, al solo suo animo, e a quella linea di condotta che, da sempre, aveva regolato ogni sua scelta, ogni sua azione. Linea di condotta che, nella fattispecie, non le aveva mai permesso di abbandonare un proprio compagno sul campo, alle proprie spalle, fosse anche nel porsi sospinta dalla più ragionevole frenesia di fuga auspicabile.

« … è un grosso errore… » sospirò ella in un alito di voce, intuendo come avrebbe agito ancor prima che ogni pensiero in tal senso potesse essere effettivamente elaborato a livello conscio dalla sua mente.

E malgrado nulla di più distante da essere un proprio compagno, d’arme o di vita, avrebbe dovuto essere riconosciuto il semidio; nel vederlo sì pronto alla morte, nel coglierlo animato da emozioni e passioni che mai aveva prima avuto occasione di intuire in lui, dietro l’apparenza carica di cinismo e crudeltà con le quali amava evidentemente mascherarsi, ella non poté decidere di abbandonarlo, ove, così facendo, forse sarebbe sopravvissuta, ma, di certo, avrebbe dovuto combattere, per il resto della propria esistenza, con il rimorso derivante dalla consapevolezza di aver agito in contrasto a ogni proprio principio, a ogni propria morale. Un rimorso che, oggettivamente, la mercenaria dagli occhi color ghiaccio non riteneva giusto dover affrontare per colpa di Desmair e di quella sua ultima, e incredibile, trasformazione interiore.
No. Egli non meritava tanto da parte sua. Non meritava che, nel proprio ricordo, ella avrebbe potuto tormentarsi per tutta la propria vita, lunga o breve che questa si sarebbe potuta offrire. Non, di certo, dopo tutto ciò che egli aveva compiuto a discapito suo e delle persone a lei circostanti. Perché ove già, disgraziatamente, la Figlia di Marr’Mahew era costretta al confronto quotidiano con il rimorso conseguente alla consapevolezza della propria partecipazione di colpa ad aver motivato la propria gemella nel proprio cammino verso il ruolo di regina dei pirati, e di nuova ospite per la regina Anmel Mal Toise; aggiungere a esso un altro stolido e similare sentimento, dedicato al proprio mai apprezzato marito, avrebbe avuto un che di ridicolo e di grottesco.

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