11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

martedì 1 gennaio 2013

1808


Forse in conseguenza a quei sussurri, tanto flebili e pur presenti e inevitabilmente percettibili; forse per una corretta intuizione, per un’accurata rielaborazione nel merito di quella che avrebbe dovuto essere riconosciuta qual la posizione attuale delle due donne; forse e altrimenti per un sì semplice e indubbiamente fortunato capriccio, da parte di quell’orrido mostro accecato e ancor bramoso di vendetta; Rossa e Nera non ebbero allora il tempo di crogiolarsi troppo nella contemplazione della propria fortunata deduzione, costrette a una repentina ripresa, a un rapido recupero delle proprie facoltà motorie, nella necessità di preservare la propria esistenza in vita, posta allora nuovamente e drammaticamente in dubbio da parte della bestia a loro avversa con un nuovo, straordinario affondo. Un affondo il quale, sorprendendole allora letteralmente con le spalle al muro, e senza possibilità di protezione alcuna, le avrebbe viste spiacevolmente schiacciate sotto l’impeto di tale gesto, ridotte a due informi poltiglie di carne, ossa e sangue, nelle quali improbabile sarebbe stato sperare di riconoscere le donne che, un tempo, erano state.
Obbligatoriamente straordinario, pertanto, fu il ritorno in azione della coppia, la quale, così come un istante prima era sdraiata al suolo, lì ricaduta in maniera scomposta e disordinata, quali vecchie bambole di pezza rifiutate da un’infante eccessivamente capricciosa; un istante dopo si propose in piedi, e nuovamente armate, nuovamente impugnanti le proprie letali spade, a non meno di sette-otto piedi dal bersaglio eletto del mastino del genocidio, lontane da fato di morte al quale questi aveva desiderato destinarle.

« Tutto bene…?! » si informò Nera, ora parlando a tono normale, consueto, necessariamente ansimante per l’improvviso scatto, per il movimento incredibile, e quasi inumano, con il quale si era portata in salvo, almeno estemporaneamente.
« Una favola… » replicò Rossa, replicando in egual misura, e scuotendo il capo senza particolare convinzione, nella pur indubbia evidenza della propria inalterata esistenza in vita, a dispetto di ogni tentativo in senso contrario.

Sebbene scontratosi violentemente con la parete, tanto da lasciar temere, per un attimo, l’eventualità del crollo di una porzione di corridoio, non dimentichi di come, in quel momento, non si trovassero altro che in un dedalo sotterraneo, scavato nella nuda terra della periferia di Krezya, nel regno di Kofreya; il terrificante mastino non necessitò di alcun particolare intervallo per riprendersi, per riacquistare il controllo di sé e del mondo a sé circostante, nei limiti impostigli dalla propria cecità. Probabilmente, anzi, protetto qual era all’interno di quella straordinaria corazza, esso avrebbe potuto resistere senza problemi a impatti persino peggiori rispetto a quello, nonché, eventualmente, al crollo lì paventato, con la stessa semplicità, e la più completa indifferenza, con la quale entrambe le donne guerriero avrebbero potuto affrontare una banale pioggerella primaverile.
Ragione per la quale, la creatura tornò immediatamente all’attacco, decisa a porre fine, quanto prima, a quel confronto perdurato già eccessivamente a lungo… di certo ben oltre a quanto essa avrebbe potuto gradire potesse sospingersi.

« Alla prossima carica?! » cercò conferma la mercenaria dai neri capelli corvini, nel riconoscere ora la direzione dell’operazione alla compagna, in quanto colta per prima da quella nuova idea, da quella nuova strategia, speranza, anche per loro, di concludere il più rapidamente possibile un conflitto non ricercato, e pur obbligatoriamente reso proprio per garantirsi una speranza di domani.
« Alla prossima carica. » confermò, semplicemente, l’avventuriera dai rossi capelli color fuoco, nel non ritenere necessario il passaggio di ulteriori dettagli, ulteriori specifiche per coordinare quanto avrebbero allora dovuto compiere, certa di quanto la propria altra se stessa avrebbe compiuto alla perfezione qualunque azione necessaria per portare a termine quell’offensiva.

Così, le due donne guerriero che solo un istante prima giacevano sdraiate a terra e prive di sensi, incerte persino sul proprio essere ancor in vita o meno, allargarono le gambe, piegarono le ginocchia e levarono le proprie spade bastarde innanzi ai propri busti, sorrette in postura di guardia nell’attesa di quanto, di lì a breve, brevissimo, certamente si sarebbe nuovamente compiuto, in un’ormai obbligata prevedibilità d’azione da parte del proprio antagonista, del proprio avversario, al quale alcuna particolarmente elegante possibilità d’offesa era stata ormai riservata al di fuori di una cieca, e non metaforicamente, aggressione, a testa bassa e a bocca spalancata, con denti simili a coltelli pronti a straziare qualunque carne sarebbe stata loro offerta, e artigli simili sciabole pronti a smembrare qualunque arto sarebbe stato presentato innanzi al loro cammino, al loro percorso, senza alcuna possibilità di freno, senza la benché fugace occasione di inibizione o, peggio, compassione.
Con respiro ora perfettamente controllato, privato di qualunque ansia, di qualunque eccitazione e, forse e persino, di qualunque emozione; con cuore intento a scandire un battito assolutamente regolare, seguendo la cadenza del quale un gruppo di musicanti avrebbero potuto suonare una lenta ballata romantica; con muscoli in tensione, simili a una balestra, a una catapulta bellica pronta a gettare il proprio colpo in aria e contro l’avversario; Nera e Rossa attesero, e attesero quiete l’evolversi degli eventi, con la stessa serenità con la quale avrebbero potuto attendere il sorgere di una nuova alba o il calare del sole a una nuovo tramonto. Quanto stava per accadere, per loro, non avrebbe dovuto essere ormai riconosciuto qual nulla di incredibile, nulla di straordinario, nulla di sorprendente o stupefacente, laddove, in accordo con la leggenda sorta attorno al loro nome in qualunque delle terre dalle quali esse erano lì giunte, in qualunque dei mondi dai quali esse erano provenute, tutto ciò avrebbe dovuto essere riconosciuto per loro qual semplice quotidianità, ordinarietà. Con lo stesso spirito, quindi, con il quale un contadino si sarebbe recato al proprio campo; con la stessa predisposizione d’animo con la quale un pastore si sarebbe diretto verso il proprio gregge; con la stessa semplicità, ancora, con la quale un fabbro, un maniscalco, un falegname o un qualunque altro artigiano avrebbe affrontato una nuova giornata di lavoro; quelle due Midda Bontor si predisposero allo scontro con una creatura inumana e terrificante, con un mostro soprannaturale e riconducibile a chissà quale dimenticata mitologia, decise a non riconoscergli più altra particolare ragione di supremazia psicologica su di loro, sui loro cuori, sulle loro menti e sui loro animi, così come, in parte, avevano permesso avvenisse sino a quel momento, probabilmente in inconscia conseguenza delle pur negate emozioni conseguenti all’incontro con altre se stesse, e tali da negare loro ogni pur effimero senso di controllo sulla realtà, sul mondo a loro circostante.
Quando la bestia caricò, secondo quanto previsto e atteso, non un solo fremito di timore, di esitazione, di incertezza, di dubbio sull’esito del loro piano, contraddistinse le due mercenarie e avventuriere, che mossero i loro corpi con precisione assoluta, non riservandosi la più minima contrazione o distensione muscolare senza una precisa ragione, senza una concreta motivazione atta a giustificarla, e a giustificarla all’interno della loro comune strategia; conducendo, con incedere degno del migliore di tutti i cerusici, le proprie pesanti e potenti lame a cercare di ottenere spazio, occasione d’azione, fra le due coppie di zampe anteriori, l’una a destra, l’altra a sinistra, ed entrambe rivolgenti tutto il proprio impeto, tutta la propria energia, nella direzione ove avrebbe dovuto essere loro presentato il cuore di quel mostro, nell’ipotesi, pur non priva di azzardo, di sperare in un’anatomia ordinaria anche per un essere tanto straordinario.
E solo un grido, solo un nome non poté che dominare le loro labbra, riempire le loro gole in un momento come quello: il nome della loro dea, alla quale, così facendo, stavano affidando la loro vita, il loro presente e il loro avvenire, non tanto pregandola di aiutarle a condurre a termine quanto iniziato, quanto e piuttosto di accogliere le loro anime immortali nel momento in cui, tragicamente, quel piano non avesse ottenuto successo…

« Thyres! »

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