11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

sabato 16 febbraio 2013

1854


Ma egli non le permise di concludere tale frase, non le concesse l’occasione di definire quell’impegno al quale ella avrebbe allor voluto vincolarsi, avrebbe allora voluto legarsi; nel riconoscerla, invero, sospinta in tal senso più dalla necessità di forzare le proprie azioni, di violentare la propria stessa natura, ancor prima di concedergli quella serenità, quella felicità che avrebbe voluto riconoscergli, che avrebbe voluto tributargli, in tal senso, in effetti, agendo proprio animata dalla lodevole volontà di essere migliore per lui, di donarsi a lui in maniera più piena, più completa, più assoluta, benché, oggettivamente, così facendo ella non avrebbe fatto altro che negargli ciò che egli aveva lottato per divenire nella sua vita, nella sua quotidianità: non un blocco, non una barriera, non un ostacolo insormontabile, innanzi al quale, presto o tardi, ella avrebbe avuto ragione di cessare la lotta, di deporre le armi e di allontanarsi, alla ricerca di qualcosa di meno frustrante verso cui rivolgere la propria attenzione; quanto e piuttosto un alleato, un complice, un amico sincero, un confidente sicuro, al quale offrire affidamento, e con il quale ritrovarsi a proprio agio in qualunque situazione, in qualunque condizione, in qualunque momento, come donna, come guerriero e… come amante.
Per questa ragione, per la difesa di tutto ciò per cui, sino a quel giorno, egli aveva lottato, si era impegnato a conquistare nel loro complesso rapporto, l’uomo non le concesse di terminare quella frase, non le permise di concludere quella promessa, zittendola nell’unico modo nel quale mai avrebbe osato zittirla, non con la prepotenza dell’irruenza della propria voce, non con la violenza dei propri gesti, quanto e piuttosto con la delicatezza e la tenerezza infinita di un proprio bacio, un bacio fuggevole e pur premuto a sufficienza sulle labbra amate per imporle un freno, per negarle la possibilità di proseguire nelle vie che avrebbe voluto rendere proprie. O, piuttosto, che aveva ritenuto necessario dover rendere proprie, per accontentarlo, per donargli quanto credeva egli avrebbe desiderato ottenere da lei.

« No… » sussurrò, flebile come un sospiro e pur, in quel momento, intenso come un urlo  « … non farlo. »
« Cosa…?! » esitò ella, non riuscendo allora a decifrare le ragioni alla base di quella proibizione, né il fine ultimo della stessa, in quel momento, in quel frangente, meno intellettualmente reattiva rispetto a quanto non avrebbe avuto piacere a considerarsi abitualmente, proprio malgrado meno confidente con l’amore di quanto non avrebbe potuto vantarsi di essere con la guerra, meno a suo agio con la vita rispetto a quanto non avrebbe potuto dire di esserlo con la morte.

E Be’Sihl, innanzi a quella dolce ingenuità, a quell’inesperienza altresì impossibile da considerare associata a una donna tanto straordinaria, capace di affrontare qualunque antagonista, qualunque minaccia, e pur paradossalmente inerme nel confronto con un momento di tenerezza, con una parentesi animata da dolcezza e amore, non poté evitare di avvertire di amarla, e di amarla, quasi non ne fosse stato sino a quel momento consapevole, con una forza, con una passione, ma anche con una dolcezza tanto straordinarie, tanto intense, tali da sconvolgerlo, da atterrirlo, imponendogli, proprio malgrado, di restare sol inerme innanzi a lei e a tutto quello, nel desiderio, stolido e irrealizzabile, che quel momento non potesse conoscere fine, non potesse incontrar conclusione. Ma una conclusione avrebbe dovuto essere necessariamente propria di quella parentesi di sentimento tanto soffocante. Una risposta avrebbe dovuto essere riconosciuta alla domanda di lei, affinché, da parte propria, non potesse esserci ambiguità alcuna in merito a quali emozioni animassero il suo cuore, caratterizzassero le sue azioni.
Motivo per il quale, al termine di uno smarrimento perdurato per un’eternità intera, o forse per solo pochi istanti, impossibile per lui a dirsi, riprese voce, offrendole la spiegazione da lei richiesta, le ragioni da lei invocate, sul perché di quell’interruzione quasi sopraggiunta a tradimento, a contrasto dell’impegno, da parte sua, a offrirsi in maniera assoluta e completa a lui, e a qualunque capriccio egli avrebbe potuto da lei pretendere, a dimostrazione di quanto quelle parole d’amore così pronunciate fossero per lei vissute qual reali, qual oneste e sincere, e non ipocrita risposta priva d’anima da presentare qual replica istintiva in conseguenza alla prima dichiarazione, alla prima espressione in tal senso, dalla quale tutto ciò aveva avuto origine, era stato generato.

« Non promettere. » la invitò egli, lasciando fremere le proprie labbra contro quelle di lei, e in esse cercando di lasciar risuonare tutto il proprio amore, un amore vissuto non soltanto con il proprio cuore, qual emozione, ma anche dalla propria mente, qual appagamento, dalla propria anima, qual serenità, e dal proprio corpo, qual eccitazione « Non desidero vincolarti a me in grazia a parole alle quali non potrai tenere fede. Non desidero legarti a me in conseguenza a un impegno che negherebbe la tua stessa natura. Perché, in tal caso, mio non sarebbe amore, ma soltanto egoismo… soltanto stolida brama di possesso, destinata semplicemente ad allontanarti da me ancor prima che a me mantenerti vicina, qual sei ora. »

Parole forti, quelle in tal modo a lei riservate, che avrebbero potuto essere fraintese se solo fossero state pronunciate da altri, se solo fossero state scandite da una voce diversa da quella di Be’Sihl, ma che, nel ritrovarsi definite da quella cadenza, da quell’inflessione che ella aveva imparato non soltanto ad amare, ma ancor più a desiderare, non avrebbero potuto mai esserlo, non avrebbero mai potuto essere associate a un messaggio meno che positivo. E così, infatti, fu…. sebbene volontà della donna, forse anche utile a celare l’eccessiva emozione per lei derivante nel confronto con tutto ciò, e, di conseguenza, al non gestito imbarazzo, fu quella di dissimulare la propria soddisfazione, il proprio compiacimento, in un gesto energico, in un atto che, per un fugace istante, apparve simile a un attacco, a lui rivolto.
Un attacco in conseguenza al quale lo shar’tiagho, sorpreso e disorientato, si ritrovò sdraiato sul loro letto, inerme innanzi alla figura di lei, ancora in piedi e ancora a distanza da lui, fiera e maestosa qual la statua di un antico regnante, vestigia di un’epoca dimenticata nella quale tutto sarebbe apparso necessariamente epico, più prossimo al divino che all’umano, all’immortale che al mortale.

« Ehy… » tentò di obiettare, più per lo sbalordimento di quanto accaduto, e della repentinità di come accaduto, che per una qualche ragione di reale contrasto in sua opposizione, a lei da sempre pronto a votarsi con cuore, mente, anima e corpo in misura tale da non temerla neppure laddove, con un pugnale, avesse cercato di aprirgli il petto per cavargli il cuore… e non che in passato non fosse accaduto.

Anticipando, tuttavia, qualunque ulteriore genere di protesta, ella non gli permise di concludere tale frase, anch’ella scegliendo un metodo per zittirlo diverso dall’imposizione derivante dalla propria voce, così come quella eventualmente conseguente a una propria nuova, e dolce, aggressione a suo discapito; nel preferire, altresì, il ricorso a un espediente che, era certa, avrebbe saputo non solo tranquillizzarlo, quietarlo, ma, ancor più, lo avrebbe privato di ogni ulteriore possibilità non soltanto di protesta, quanto, più in generale, di interazione verbale con lei, senza, per ottenere ciò, far propria neppure la necessità di spingersi a sfiorarlo con l’unica mano rimastale o in altro modo. Anche perché quell’unica mano, la mancina, allora, venne da lei impiegata in un altro genere di azione, in un altro genere di intervento, qual quello utile a scoprire le generose, quasi imponenti, forme dei propri seni, liberandoli non solo dall’oppressione della pelliccia di sfinge, nella quale abitualmente erano avvolti, ma anche da quella della lunga fascia di stoffa, entro la quale erano volontariamente costretti, per cercare di contenerne l’altrimenti eccessiva esuberanza, che avrebbe potuto rivelarsi particolarmente scomoda nel corso di un combattimento, di una battaglia.
Così posto innanzi a quelle forme già abitualmente intuibili qual straordinarie, e da lui ben note quali persino superiori al concetto stesso di straordinarietà, all’uomo non poté allora restare altra reazione se non quella di un gemito soffocato, nel temere, con sincero imbarazzo, il rischio di dimostrare in maniera allora persino troppo affrettata tutto il desiderio sinceramente vissuto per lei…

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