11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

domenica 17 marzo 2013

1882


« Ecco come rinunciare alla possibilità di ritirarsi a vivere di rendita per gli ultimi anni della propria travagliata e folle esistenza… » sospirò, scuotendo appena il capo e, subito dopo, gettando il girocollo a terra, di poco innanzi ai propri piedi sul pavimento della sala principale della locanda, solo per concedersi, in ciò, nella ritrovata libertà offerta alla propria mancina, la possibilità di estrarre l’adorata spada bastarda, dal fodero entro la quale, in conseguenza a quell’ultimo balzo, era ritornata a essere, e di colpire tale rossa pietra maledetta con tutta la violenza della quale la punta di quella propria lama sarebbe stata capace, a conclusione di un perfetto fendente atto a tracciare, nell’aria innanzi a lei, uno scintillante, straordinario e attraente arco di ghiaccio, nel quale tutto avrebbe trovato soltanto occasione di distruzione, di annichilimento e di morte, se soltanto avesse osato interferire, se solo avesse ipotizzato di intromettersi nel corso di quel violento e inarrestabile cammino, moto.

Non semplicemente in frammenti, ma addirittura in polvere, in conseguenza a tanto impeto, si ridusse pertanto la gemma stregata, sotto gli sguardi di un pubblico improvvisamente ridottosi al silenzio, nell’incapacità a comprendere quanto fosse appena accaduto, il perché la loro eroina avesse appena menato un tale colpo apparentemente verso il nulla, per coloro a lei fisicamente più distanti, o, peggio, a discapito di un gioiello sicuramente di un qualche valore, come interpretato da coloro collocati a minore distanza da lei. In alcun altro modo, dopotutto, avrebbe potuto essere loro richiesto di reagire a quel gesto, a quell’azione di non solo improbabile, ma addirittura impossibile comprensione, nell’assenza di qualunque speranza di completa consapevolezza nel merito di quanto accaduto prima di quella conclusione o, più correttamente, dopo quella conclusione, in un’obbligata lettura degli eventi tutt’altro che lineare, tutt’altro che naturale, ovvia o retorica qual si avrebbe potuto sperare di avere occasione di riservarsi opportunità.
Ciò nonostante, a prescindere da tale opportunità o assenza di opportunità, nessuno fra tutti gli astanti, nessuno fra tutti i commensali riuniti in allegria all’interno di quella vasta sala, ebbe ragione di porre in dubbio le ragioni proprie di tal gesto o, parimenti, la ragionevolezza dell’ispirazione che poteva averla spinta a compiere quanto in ciò compiuto. Ai loro occhi, in grazia ai meriti conquistati con le proprie azioni, con i propri gesti e i propri trionfi per la gloria e la sopravvivenza della loro intera città; ella avrebbe potuto tranquillamente decidere di esibirsi in spettacoli di ben più difficile interpretazione, ben più improbabile lettura, senza che, in ciò, alcuno avrebbe avuto ragione di che esprimere lamento, dubbio o curiosità. Ella era la loro Campionessa; ella era la donna che li aveva liberati dall’orrida infestazione negromantica che aveva dominato, al pari di un incubo, le loro notti per settimane, per mesi addirittura; ella era la donna che li aveva salvati dall’assedio loro imposto dai terrificanti mahkra, la cui semplice esistenza in vita avrebbe dovuto essere considerata un insulto blasfemo al Creato intero. Ragione per la quale, ella avrebbe potuto anche decidere di dar fuoco a quella stessa locanda da lei finanziata nella propria ricostruzione e, pertanto, divenuta anche di sua proprietà, senza che alcuno, lì vicino, avrebbe avuto di che ridire, di che levare voce in critica a tutto ciò.
Solamente cinque persone, fra coloro lì presenti, avrebbero mai potuto riservarsi tanta confidenza, con lei, da potersi allora permettere di domandare numi nel merito di quanto era appena accaduto e, soprattutto, del perché ciò fosse allora occorso. Ciò nonostante, delle cinque persone in questione, uno fra loro, Seem, non era abituato a sollevare dubbi di sorta sull’operato del proprio cavaliere, mentre altri due, Howe e Be’Wahr, in quel momento avrebbero dovuto essere riconosciuti qual più interessati ad altri obiettivi, ad altre più conturbanti ragioni di interesse, di attrattiva, rispetto a quanto non avrebbe potuto rappresentarlo un momento anche di eventuale follia fra di loro. Motivo per il quale, in definitiva, soltanto in due, Arasha e Be’Sihl, in tutta la locanda, avrebbero avuto modo, occasione e volontà di esprimersi a tal riguardo… e soltanto uno, all’atto pratico, si volle concretamente riservare simile opportunità.

« Credi che sia possibile rendermi partecipe del perché tu abbia appena polverizzato quel gioiello e, soprattutto, da dove esso sia saltato fuori…?! » sussurrò il locandiere shar’tiagho, a lei accostandosi con il preciso proposito di non dimostrare eccessiva curiosità per quanto accaduto, benché difficile sarebbe obiettivamente stato ovviare a umana curiosità a tal riguardo, così come il diffuso interesse da parte di coloro lì attorno avrebbe facilmente comprovato « Non per altro... ma se esiste un qualche ammiratore segreto che ti dona simili gioie, mi piacerebbe saperlo, in maniera tale da potermi organizzare di conseguenza. » esplicitò, ora esprimendosi con tono di voce sufficientemente contenuto da ovviare all’eventualità di lasciar udire quelle proprie parole da ascoltatori indiscreti « Sai: procurandomi dei regali migliori o, al più, assoldando un sicario che possa sistemare la questione in maniera… definitiva. »

Se solo Midda Bontor non avesse conosciuto l’uomo da lei amato così come ella lo conosceva, non avesse avuto confidenza con lui così come fortunatamente aveva, forse… e in tutto ciò forse, ella avrebbe avuto ragione di credere alla veridicità di tale minaccia, di simili parole, atte a formalizzare un pur legittimo sentimento di gelosia che l’avrebbe potuto veder allora coinvolto. Tuttavia, ella conosceva il proprio amato meglio di quanto non avrebbe potuto asserire di conoscere se stessa e, in ciò, era confidente con l’evidenza di come egli fosse, fra tutti gli uomini che l’avevano mai accompagnata nel corso della propria esistenza, in assoluto il meno geloso, non perché privo di interesse nei suoi riguardi qual pur egli era, non perché privo di quel forte e appassionato sentimento d’amore che pur lo contraddistingueva, ma semplicemente perché consapevole di quanto, invero, mai ella avrebbe avuto ragione di tradirlo, di tradire la fiducia da lui in lei riposta, non, quantomeno, senza informarlo a tal riguardo, senza renderlo immediatamente edotto di una simile scelta, non essendo in alcuna misura proprio del suo animo, del suo spirito, del suo carattere, un simile comportamento, un tanto infantile rapporto con i propri sentimenti, con le proprie emozioni e, soprattutto, con i propri desideri, con le proprie aspettative. Ragione per cui, in tutto ciò, l’unica chiave di lettura che ella avrebbe mai potuto associare al suo comportamento, a quella sua ironica reazione al suo gesto, avrebbe dovuto essere intesa la premura utile a comprendere quanto, dietro a tale operato, avrebbe dovuto essere intesa una situazione di pericolo, una minaccia a discapito della loro serenità, della quale, ove avesse avuto da riconoscersi all’interno della sua locanda, egli avrebbe avuto ragionevole diritto a essere informato, anche soltanto nella necessità di doversi difendere, di dover tutelare la propria stessa sopravvivenza, nonché la possibilità di godere di una nuova alba in compagnia della donna da lui amata così come, all’inizio di quella quieta serata, sembrava essergli stato promesso dall’abitualmente ostile fato.
Fortunatamente per entrambi, comunque, anche laddove una minaccia era effettivamente esistita, e aveva avuto più occasioni di sospingere la propria cupa ombra a discapito del loro futuro, e del loro futuro insieme; nella distruzione di quella stessa gemma ogni pericolo avrebbe dovuto essere considerato qual ormai superato, qual alfine appartenente al passato… e a quello stesso passato nel quale Nessuno avrebbe dovuto essere riconosciuto qual praticamente innocuo.

« Non avere timore… » lo rassicurò, pertanto, scuotendo appena il capo e rivolgendogli un dolce sorriso carico d’amore per lui e per la premura che, ancora una volta, aveva dimostrato, senza, in ciò, spingersi a soffocarla, a privarla dei propri spazi o della propria libertà di azione, così come, da sempre, egli era stato attento a evitare di compiere, forse unico fra tutti i suoi compagni ad aver dimostrato tanta delicatezza, simile tatto e, in ciò, a essere riuscito, malgrado ogni avversità, a difendere ancora il proprio rapporto con lei, così come alcun altro, prima di lui, aveva avuto possibilità di compiere « Se mai dovesse esserci un ammiratore segreto desideroso di offrirmi gioielli in dono, sarai il primo a saperlo, in modo tale da poterli adeguatamente valutare e rivendere, per investirne il ricavo in qualcosa di più utile per entrambi. » asserì, trattenendosi a stento dallo scoppiare a ridere a quell’idea, a quella prospettiva.

Un’idea, una prospettiva, in verità, che se solo Be’Sihl Ahvn-Qa non avesse conosciuto la donna da lui amata così come egli la conosceva, non avesse avuto confidenza con lei così come fortunatamente aveva, forse… e in tutto ciò forse, egli avrebbe avuto ragione di credere qual possibile. Tuttavia, conoscendola per come la conosceva, avendo confidenza con lei per così come l’aveva, egli non avrebbe mai potuto giudicare qual priva di sincerità o di fondamento nei propri propositi, ove non un diverso comportamento, non una diversa reazione avrebbe allora potuto attendersi da lei nel confronto con un oggetto dotato di un qualche valore di natura economica qual anche quello allora distrutto avrebbe sicuramente dovuto essere considerato dotato e al quale, per ragioni non ancora meglio definite, aveva pur deciso di rinunciare. Sempre coerente con se stessa e con la propria professione, del resto, ella aveva voluto impegnarsi a essere, non cercando di nascondersi ipocritamente dietro a un velo di falsità, di menzogna, utile a permetterle di risultare diversa, apparire ipoteticamente migliore di quanto non fosse o, peggio, non avesse la benché minima volontà di essere. E donde la carriera che aveva deciso di rendere propria quasi vent’anni prima avrebbe dovuto riconoscersi in quella di mercenaria, donna guerriero e avventuriera, ella non avrebbe mai finto di non poter offrire un giusto prezzo alla vita umana, alla vita dei propri antagonisti, così come, parimenti, a tutti gli artefatti con i quali ella aveva mai avuto occasione di entrare in contatto nel corso del tempo, con il passare degli anni.
In tutto ciò, solo particolarmente significativo avrebbe avuto da considerarsi il suo gesto, il suo rifiuto della probabile ricchezza potenzialmente derivante da quel ciondolo e, ancor più, ne avrebbe avuto, al di lui sguardo, se solo egli fosse stato informato nel merito di quanto, effettivamente, la vendita di quel gioiello avrebbe potuto fruttarle.

« Così non devo far uccidere nessuno questa notte…?! » questionò egli, aggrottando appena la fronte a quel suo tentativo volto a minimizzare la questione, evidentemente desiderando lasciar apparire tutto quello non qual l’inizio di un nuovo problema, quanto e piuttosto la sua conclusione, sebbene tutto ciò avrebbe dovuto essere riconosciuto qual privo di coerenza, privo di ragione alcuna, almeno alla luce di quanto a lui noto.
E se ella, per un lungo istante restò incerta su come rispondere a quel quesito, soprattutto in conseguenza alla particolare scelta di termini da lui involontariamente resa propria, alla fine si limitò a scuotere, ancora e appena, il capo, sospirando una grazia probabilmente immeritata, ma che pur, quella notte, avrebbe concesso al proprio sventurato avversario, nella speranza che egli avrebbe reso propria sufficiente accortezza da evitare di presentarsi nuovamente a lei: « No… non c’è bisogno che Nessuno muoia questa notte. » accordò, quietamente « Ci saranno altre occasioni… »


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