11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

www.middaschronicles.com
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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

martedì 2 aprile 2013

1898


« … Midda?! » esitò l’anziano Nivre, allora sgranando a propria volta gli occhi, e rivelando due iridi azzurre come il cielo terso, indubbia origine di quelli ancor più chiari della figlia… delle figlie gemelle.

Un solo nome, un semplice nome, che quel vecchio pescatore, quand’ancora giovane, aveva voluto attribuire alla propria figliuola. Un nome che, nella lingua propria di quell’angolo di mondo significava “misura” e che egli aveva voluto scegliere in quanto, con il proprio stesso primo sguardo, quella bambina era sembrata desiderosa di commisurare ogni aspetto del proprio genitore, sondandone l’animo, non limitandosi a metterlo a nudo ma anche, e addirittura, a rivoltarlo, completamente, quasi con foga. Un nome che, ancora, lì pronunciato parve voler intendere tutto e il contrario di tutto, e nell’emozione dello scandire il quale, probabilmente, neppure lo stesso Nivre avrebbe saputo qual significato volergli allor effettivamente attribuire, quasi l’originale non potesse essere più adeguato a descriverla, a caratterizzarla, a contraddistinguerla per quanto ella era.
Invero, fossero anche stati lì presenti dodici dozzine di bardi e cantori, cronisti e storici, attenti a cogliere ogni evoluzione di quella situazione, di quel folle scherzo del destino a palese discapito di colei che, per troppi anni, lustri, addirittura decenni, era rifuggita a quell’eventualità, alcuno fra loro avrebbe saputo, allora, descrivere quanto nel silenzio che seguì a quel nome avvenne. Perché se nulla, sostanzialmente, mutò, se alcuno, fra tutti i presenti, osò muovere un solo passo, spostare il proprio sguardo là da dove si era posato o, addirittura, permettere alle proprie ciglia il più semplice fremito; tutto in quel silenzio cambiò, tanto da far apparire quella quiete quasi e soltanto l’espressione dell’impossibilità a elaborare quanto effettivamente stava avvenendo, le terrificanti grida che si stavano levando nell’aria con un fragore tale da annichilire qualunque suono e qualunque percezione sonora. E in tanta confusione, in simile, caotica immobilità, in tanto, silenzioso frastuono, chiunque avrebbe potuto trarre la conclusione che preferiva, ragione per la quale, in effetti, tutti trassero i propri risultati, le proprie elaborazioni, giusti o errati che essi fossero, piacevoli o spiacevoli che essi avessero da essere considerati.
Be’Sihl, lì in prima linea, lì schierato addirittura innanzi all’amata, in una postura che mai, come in quel momento, avrebbe potuto essere intesa qual in sua difesa, volle riservare qual propria un’interpretazione positiva di quell’unica parola, di quell’unico suono, del nome così scandito della propria compagna, da parte del padre della medesima. Forse influenzato in tal senso dal proprio abitualmente straordinario ottimismo, tale da spingerlo a giudicare allora una possibile condanna qual un’esultante invocazione di riconciliazione; egli non volle considerare l’atteggiamento di Nivre qual aggressivo nei confronti della figlia, quanto, e piuttosto, contraddistinto altresì da una vibrante gioia, nell’insperata e lì offertagli occasione di ricongiungersi alla medesima, dopo che una vita intera li aveva veduti ingiustamente separati. Non diverso sentimento, del resto, egli aveva colto nello sguardo dei propri genitori quando, qualche anno prima, aveva fatto ritorno a casa, benché, diversamente dall’amata, egli non fosse effettivamente rifuggito dal proprio villaggio, dalla propria terra natale, ma avesse, in coscienza e in quieto accordo con i propri cari, di ricercare il proprio futuro altrove, lontano dalle proprie radici. E se tale emozione aveva contraddistinto suo padre e sua madre, addirittura inaccettabile per lui sarebbe stata l’idea di una diversa reazione da parte di quell’uomo, al di là di quanti problemi potessero aver caratterizzato il suo rapporto con la figlia… con le figlie, in passato.
Midda, dietro all’amato, da lui in tal modo forse involontariamente, forse no, psicologicamente protetta, volle diversamente riservare qual propria un’interpretazione negativa di quell’unica parola, di quell’unico suono, del proprio nome, da parte di suo padre. Sicuramente influenzata in tal senso dal proprio passato, oltre dalla propria addirittura rinomata paranoia, ella non sarebbe riuscita, allora, ad attribuire un qualunque significato rivolto in proprio favore a quell’intervento, non laddove solo con quelle stesse sillabe, con quell’uguale incedere, suo padre le si era rivolto anni addietro, nell’unica altra occasione in cui ella aveva ipotizzato di poter far ritorno a casa, e di poter lì essere accolta con affetto ed entusiasmo, laddove, altresì, tutto ciò che le venne concesso fu l’amaro veleno sputatole contro dalla gemella, dall’amica di un tempo improvvisamente scoperta qual propria nemica. Ove le fosse stata concessa l’opportunità di modificare il proprio passato, le proprie scelte di vita, i propri errori, ella non avrebbe avuto esitazione alcuna a modificare quella particolare pagina della propria storia, quella pagina tanto tragica e dolorosa dalla quale, e in avanti, ogni cosa era andata orrendamente male, con troppi morti e con troppa sofferenza lungo il cammino che ella aveva pur tanto combattuto per rendere proprio. Ciò nonostante, soltanto sogno, soltanto illusione sarebbe stato sperare di poter modificare quanto già avvenuto, poter mutare un errore in… qualcos’altro. E, da troppo tempo, ella aveva avuto modo di comprendere quanto i sogni non avrebbero potuto far altro che svanire, con le prime luci di una nuova alba.
Nivre, davanti a loro, e pur, ipoteticamente, in secondo piano, dietro alla figura di colui presentatosi qual suo nipote, figlio di uno dei propri numerosi fratelli, a dispetto tanto dell’interpretazione della figlia, quanto di quella dell’uomo di lei, allora soltanto intuito qual tale in grazia al pur trasparente linguaggio del corpo che ne caratterizzava il comune incedere; non avrebbe voluto riservare, a quel proprio richiamo, a quel proprio intervento, né un’intonazione positiva, né tantomeno una negativa, proprio malgrado sì sorpreso, stupefatto, addirittura attonito all’idea di essere nuovamente a confronto con la propria sempre amata figliuola, da essere semplicemente impossibilitato ad assumere qualunque posizione innanzi a lei, fosse questa di gioiosa acclamazione, fosse, diversamente, di impietosa condanna, già ringraziando la propria dea prediletta di non essere per tutto quello collassato a terra, sopraffatto dagli eventi.
Così, quand’egli riprese voce, dopo un’interminabile frazione di eternità, che forse durò una vita intera, o forse soltanto pochi istanti; il suo nuovo intervento non si sbilanciò verso alcuna direzione in particolare, limitandosi, semplicemente, a cercare conferma a quanto, forse, temeva essere semplicemente un’allucinazione…

« Midda… sei tu? » riformulò la domanda, ancora esitando, ancora non avanzando verso di lei, e pur, ora, mostrando una strana luce, un incerto riflesso nei propri occhi, man mano che questi si ricolmavano di lacrime al contempo dolci e amare « Thyres… sei davvero tu?! » insistette, quasi gridando quella domanda, non tuttavia animato da un’emozione rabbiosa, quanto e piuttosto ogni istante sempre più entusiastica, man mano che l’incredulità cedeva il posto all’accettazione per quella realtà tanto straordinaria quanto insperata.

E la Figlia di Marr’Mahew, la Campionessa di Kriarya, che pur, un semplice istante prima si sarebbe detta pronta a scappare, ancora una volta, lontana da lì, per affrontare senza ulteriore incertezza, senza ulteriore paura, la morte certa rappresentata dalla battaglia finale contro Nissa allorché sostenere, ancora per un istante, lo sguardo del padre; ebbe allora non troppo tardiva consapevolezza di come, per una volta, per una sfortunata volta, la sua proverbiale paranoia, la sua più intima e fedele alleata nel confronto con infinite avventure e disavventure, la stava per tradire se non, peggio, l’aveva già tradita e tradita da molto… troppo tempo, nel suggerirle un’interpretazione sbagliata a un pur semplice, innocente, addirittura innocuo richiamo del padre verso di lei.
Un richiamo, invero, non animato da una brama di condanna a suo discapito, quanto e semplicemente dal desiderio di accertarsi di non star sbagliando, di non star fraintendendo la realtà, qual conseguenza di una mente forse spiacevolmente vittima del rimpianto per quanto avrebbe potuto dire e non aveva detto, per quanto avrebbe potuto fare e non aveva fatto, all’unico scopo di mantenere unita la propria famiglia, quella famiglia donatagli dagli dei e che, drammaticamente, egli aveva perduto.

« Papà… » sussurrò ella, soffocata dall’emozione.


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