11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

giovedì 25 aprile 2013

1921


Rapida. Straordinariamente rapida.
Così Midda Bontor apparve nei propri movimenti, nei propri gesti, obbligatoriamente costretta a essere tale nella volontà di non cadere innanzi al proprio avversario, innanzi a quell’antagonista del tutto privo di qualunque barlume d’umanità, e per affrontare il quale, allor necessario, per lei, sarebbe stato rinunciare anche alla propria, lì più prossima a risultar qual debolezza che qual forza. Una velocità, quella da lei allora dimostrata, che non avrebbe potuto mancare di sorprendere suo padre, quell’uomo innanzi agli occhi del quale ella non avrebbe potuto evitare di essere ancora la bambina di un tempo, quella pargoletta incredibilmente attiva e reattiva, difficile da trattenere ferma in uno stesso punto per più di qualche istante, e pur, in quanto infante, necessariamente bisognosa del suo supporto, del suo sostegno, fisico e morale, in una misura nella quale, tuttavia, ormai egli non le avrebbe più potuto garantire, non le avrebbe più potuto concedere, al contrario, nel confronto con tanta plateale dimostrazione, egli stesso altresì bisognoso di quel sostegno, di quel supporto, da parte di quella figlia non più bambina, non più infante, qual, forse, avrebbe altresì gradito ella potesse ancora essere. Una velocità, ancora, che non avrebbe potuto mancare di sorprendere ogni altro testimone a quella scena, ove già non l’avesse vista in azione, ove già non avesse avuto l’occasione di godere di un simile spettacolo. Perché tale incredibile caratteristica, da lei, non era stata conquistata in grazia a un qualche estemporaneo sortilegio, a una qualche effimera stregoneria, ma con il sudore e con il sangue di anni spesi sui campi di battaglia di buona parte di Qahr e, soprattutto, dell’angolo sud-occidentale del vasto e ricco continente di Qahr: una velocità, infatti, che per lei si era dimostrata a dir poco indispensabile per sopravvivere a quanto era sopravvissuta, per superare ciò che aveva superato, per conquistare tutto quello che aveva conquistato, a dispetto di ogni parere in senso contrario, fosse espresso da parte di uomini, mostri o dei.

« Tutta la tua sicumera ti costerà caro, piccola mortale. » avvertì primo-fra-tre, rivolgendo in sua opposizione, a suo discapito, una rapida sequela di attacchi, di violente e certamente letali offensive, nella forma di piccole e guizzanti sfere energetiche che, fischiando nel fendere l’aria, cercarono prepotentemente occasione di incontro con le sue carni, con le sue forme, animate da una percettibile brama, da una famelicità che avrebbe potuto atterrire chiunque, ma non lei, non ove conscia di quanto, in quel frangente, lasciarsi prendere dal panico avrebbe soltanto significato condannarsi al più tragico fato « Con la morte del tuo sposo, lo stesso privilegio in grazia al quale l’altra volta hai avuto salva la vita non ti permetterà, ancora, di sfuggire al giusto destino. La tua fine è segnata, Midda Bontor. Affida la tua anima immortale ai tuoi dei, finché hai ancora tempo per farlo! »

Agile. Incredibilmente agile.
Così la Figlia di Marr’Mahew si dimostrò nel proprio incedere, tanto nel proprio ardimentoso avanzare, quanto nel sovente necessario retrocedere, animata in ciò da quel più profondo, atavico e imprescindibile istinto, la sopravvivenza, comune a ogni creatura mortale e, altresì, probabilmente sconosciuto a chi di mortale nulla era in grado di dimostrare. Costretta a confrontarsi con il potere di quella creatura, di quel vicario, nel confronto con le sfere d’energia del quale già in passato aveva avuto spiacevole possibilità di rapportarsi, ella non avrebbe potuto permettersi di essere meno che destra nel gestire il proprio pur non più giovanile corpo, rendendo proprie una scioltezza e una flessuosità che persino Masva o Camne avrebbero avuto ragione di invidiare, benché l’età avrebbe avuto a considerarsi qual dalla loro parte, a loro favore. Un’elasticità, quella da lei così promossa, che invidia avrebbe avuto modo di suscitare persino alla sua stessa rapidità, certo con tale caratteristica collaborando attivamente, con tale pur straordinaria dote impegnandosi al fine di perseguire quel comune obiettivo di sopravvivenza, e pur, ciò nonostante, apparendo quasi in competizione, quasi in antagonismo nel pur comune obiettivo di garantirle un domani, di concederle un’occasione utile a godere ancora della vita e delle proprie gioie così come dei propri dolori. Al pari della sua velocità, quell’agilità non avrebbe avuto a riconoscersi semplice dono della natura, o di una qualche soluzione mistica, quanto e piuttosto abilità forgiata nel fuoco della guerra, e di una guerra in corso da un’esistenza intera, non tanto contro uno specifico avversario, non tanto contro un particolare antagonista, quanto e piuttosto contro qualunque avversario e contro qualunque antagonista, mortale o no, materiale o no, ella avrebbe avuto occasione di incrociare i propri passi, di intrecciare il proprio cammino, la propria sorte, offrendo battaglia non tanto per un insano piacere in tal favore, quanto e piuttosto nella sola volontà di dimostrare, sempre e comunque, la propria autodeterminazione e, ancor più, la propria superiorità, cercando, in ciò, un senso alla propria stessa esistenza in vita, altrimenti apparentemente priva di valore, priva di significato.

« Non avrei mai scommesso neppure un soffio d’oro sull’eventualità che la sorte della mia anima immortale potesse interessarti, vicario. » commentò ella, ora apertamente ironizzando con lui nel merito delle parole d’avvertimento appena a lei rivolte, poc’anzi destinatele, con l’intento di mutarne il significato, fraintenderne le intenzioni, quasi egli avesse a lei rivolto sincera premura e non, piuttosto, una minaccia, una promessa di morte e, forse, di dannazione eterna « Devo forse pensare che, dopo tutto, ti stai iniziando ad affezionare a me, vecchiaccio?! » domandò poi, ancora sarcastica, nel reagire, come sua consuetudine, con umorismo dissacrante anche nel confronto con le azioni peggiori, con i momenti più drammatici, al fine di riuscire, in tal modo, a conservare un minimo di autocontrollo, laddove, altresì, avrebbe potuto rischiare di impazzire.

Coordinata. Soavemente coordinata.
Così la Campionessa di Kriarya risultò in ogni proprio singolo passo, in qualunque fremito di ogni proprio muscolo, che avesse esso a contrarsi o a rilassarsi, a tendersi o a gonfiarsi, lasciando trasparire, involontariamente ma non per questo meno affascinante in ciò, uno sconvolgente fascino, una conturbante seduzione, anche in un momento tanto delicato, in un’occasione tanto pericolosa, nel confronto con la quale la sua sopravvivenza non avrebbe potuto dirsi così ovvia, così retorica o scontata, quasi, e non volontariamente, banalizzando tutto ciò entro i termini di una danza sì magnifica, e pur priva di qualunque rischio, e, soprattutto, rischio mortale. Un’armonia, quella trasmessa dal suo corpo, da quelle membra rapide e agili, che, isolata dal contesto in cui si stava offrendo in quella particolare situazione, in quella specifica condizione, avrebbe potuto allora apparire più ispirata all’amore che alla morte, più ispirata all’erotismo che alla guerra, quasi, in quei gesti, ella stesse allor cercando di ammaliare, nuovamente, il proprio amato e, forse, con lui, qualunque altro uomo lì attorno presente, lì intento a guardarla, a contemplarla, inevitabilmente, tutti loro, quasi dimentichi della tragica condanna che soltanto l’avrebbe attesa se non fosse riuscita a mantenere assoluto controllo sul proprio corpo, qual solo si stava dimostrando allor necessariamente desiderosa di compiere. Un’armonia, ancora, per la quale, al contrario rispetto alla sua velocità e alla sua agilità, avrebbe dovuto soltanto ringraziare gli dei tutti, e Thyres, sua prediletta, in particolare, in quanto caratteristica innata, dote ricevuta in gloria alla benevolenza di un fato stranamente magnanimo, e che, per quanto sicuramente fosse stata solamente affinata nel corso degli anni, nelle troppe imprese nelle quali ella aveva avuto occasione e volontà di gettarsi a testa bassa, non le sarebbe mai stato negato neppure dallo scorrere inappellabile e impietoso del tempo.

« Se hai deciso di sprecare i tuoi ultimi istanti di vita ridendo e scherzando, stolida ostia votata al martirio… così sia. » sancì la creatura, non lasciando trasparire il benché minimo coinvolgimento nel confronto con il giuoco di lei, con la strategia di lei, quasi le provocazioni da lei a lui dedicate fossero del tutto prive di valore dal suo punto di vista, non diversamente dal lamento di una formica nel confronto con l’indifferenza del piede intento a schiacciarla, a ucciderla senza neppure coscienza di ciò « In fondo, agli dei dovrai già giustificare troppe azioni blasfeme per preoccuparti o meno di una preghiera non pronunciata prima di morire. »


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