11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

www.middaschronicles.com
il Diario - l'Arte

News & Comunicazioni

E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

lunedì 29 aprile 2013

1925


L’idea che Midda Bontor potesse essere morta sconvolse tutti.
Una reazione diffusa e omogenea, per tutti coloro lì allora presenti, lì allora coinvolti qual spettatori nel confronto con un tanto tragico spettacolo, a incominciare da Be’Sihl e Seem, per proseguire con Howe e Be’Wahr, con tutto l’equipaggio della Jol’Ange e, ancora, con Nivre Bontor e ogni altro parente della mercenaria in quell’isola, che non avrebbe dovuto essere fraintesa nelle proprie origini. Non che, infatti, per ognuno di loro, il proprio personale rapporto con tale prospettiva, con simile eventualità, avesse a doversi allora considerare così fondamentalmente inedito da poter giustificare il fatto di trovarli necessariamente sorpresi, inevitabilmente stupiti. Ognuno di loro, infatti e invero, per una ragione così come per un’altra, in un’occasione così come in un’altra, si era già ritrovato a confronto con tutto ciò, a volte qual una morte semplicemente annunciata e passivamente ascoltata, in un’affrettata novella atta a considerarla già parte dei fu; altre volte, e addirittura, qual morte personalmente e attivamente contemplata, come testimoni di eventi dai quali ella non avrebbe potuto trovare opportunità di salvezza se non, addirittura, come testimoni del suo stesso cadavere, o, quantomeno, di ciò che tale era stato ancora una volta troppo frettolosamente considerato essere, anche per sua stessa complicità nell’imbastire un simile inganno.
Ciò non di meno, innanzi all’evidenza della manifestazione accecante di quel potere alieno, completamente inumano, ed esplicitamente rivolto al solo annientamento della Figlia di Marr’Mahew che, in suo contrasto, si era spinta con eccessiva audacia, con trasparente incoscienza, difficilmente avrebbe potuto restare loro la pur irragionevole speranza di non aver realmente veduto quanto visto, di non aver realmente assistito a ciò che lì era appena stato loro presentato. Purtroppo, e a prescindere da quante trascorse morti, o presunte tali, ella fosse riuscita ad affrontare fuoriuscendone puntualmente e assolutamente indenne, ciò che era stato loro lì mostrato non avrebbe potuto in alcun modo essere frainteso qual null’altro che la fine della loro amica, della loro amata, della loro sorella, della loro figlia, della loro cugina, della loro maestra e ispiratrice… nel trovarsi a essere, ognuno fra loro, a lei legato in maniera diversa, in maniera anche estremamente peculiare, unica, e pur, non di meno, comunque legato. E legato nella misura utile a restare semplicemente sconvolti innanzi a tutto ciò.

« Midda… »

Per Camne Marge, assistere alla morte di Midda Bontor rappresentò il duro confronto con un’occasione sprecata, nel rimpianto per tutto ciò che avrebbe potuto fare o dire e non aveva avuto modo di fare o dire, nell’essere rimasta sino ad allora, in maniera stolidamente timida, a distanza da colei a cui, dopotutto, doveva la propria stessa vita. Due volte.
Per ben due volte, infatti, la giovane era stata salvata dalla mercenaria dagli occhi di ghiaccio. La prima volta, quasi dieci anni prima, quando, designata vittima sacrificale all’interno di un tempio dimenticato nel cuore della palude di Grykoo, era stata da lei tratta in salvo. La seconda volta, in tempi più recenti, quando, insieme a Hui-Wen ostaggio della regina dei pirati dell’isola di Rogautt, per sua grazia le era stata nuovamente restituita la libertà.
Nonostante ciò, nonostante a lei dovesse la propria vita e la propria autodeterminazione, la propria indipendenza, nonché, indirettamente, l’occasione di aver raggiunto la propria realizzazione come donna e come figlia dei mari a bordo della Jol’Ange, qual membro di quell’equipaggio inizialmente soltanto incaricato di riaccompagnarla a casa, nell’isola di Dairlan nel lontano nord; in ogni recente occasione concessale di confronto con la propria salvatrice, con la propria liberatrice, ella si era sempre dimostrata quasi timorosa a rivolgerle voce, esitante a confrontarsi con lei, benché non avrebbero dovuto essere riconosciute particolari ragioni atte a giustificare tanta incertezza, tanta ritrosia qual quella allora dimostrata. Uno sbaglio comune, in effetti, ben più diffuso di quanto ella non avrebbe potuto ritenere, nell’erroneo preconcetto di poter avere sempre tempo sufficiente, in futuro, per chiudere questioni rimaste precedentemente in sospeso, di aver sempre possibilità, l’indomani, di scandire parole non dette, di compiere azioni non fatte, nel confronto con una persona cara, con una persona amata, salvo ritrovarsi a confronto con l’irreparabilità della morte, con l’irreversibilità propria di un fato incontrollabile, impietoso e incorruttibile, con il quale alcuno avrebbe potuto avere mai occasione di contrattare, avrebbe potuto avere mai possibilità di scendere a compromessi.
Midda Bontor era andata. E con lei era andata, per Camne Marge, ogni possibilità di ringraziarla ancora una volta per tutto quello che ella aveva compiuto, e per l’occasione che le aveva garantito di dare un senso alla propria quotidianità, in termini oggettivamente sconosciuti prima dell’incontro con lei.

« Midda… »

Per Nivre Bontor, assistere alla morte di sua figlia rappresentò il duro confronto con l’evidenza di quanto, senza alcuna ulteriore possibilità di speranza nell’indomani, in una redenzione futura, egli avesse definitivamente perduto la propria bambina, quell’infante dai grandi, immensi occhi color ghiaccio che, a lui, in occasione del loro primo, primissimo incontro, aveva rivolto uno sguardo così serio, così attento, da offrire l’impressione di star perscrutando nel profondo del suo animo, del suo cuore, così come nessun altro, neppure la sua stessa compianta sposa, era mai stata in grado di compiere.
Per oltre vent’anni, ossia per più della metà della durata dell’esistenza stessa della mercenaria, egli era stato costretto a dubitare, continuamente, spiacevolmente, tristemente, in ogni singolo giorno trascorso, del fatto che ella potesse essere ancora viva, forse già rimasta uccisa nel compimento di una qualche propria folle impresa, o, forse, impegnata nella ricerca di una nuova occasione per porre sfida a uomini e a dei e, in tal modo, rendere vano ogni sforzo compiuto sino ad allora per sopravvivere… gesta delle quali, talvolta, l’eco giungeva persino alla piccola e lontana Licsia apparentemente all’unico scopo di riservargli ulteriore ragione di incertezza, di timore, di ansia per la propria erede, per metà della propria prole. Per oltre vent’anni, in ciò, egli era rimasto in costante attesa di quell’annuncio, di quel funesto proclama con il quale sarebbe stata confermata la sua dipartita, o, parimenti e dal suo personale punto di vista non meno dolorosamente, quella della sua gemella, pregando gli dei affinché, se ciò avrebbe avuto a considerarsi inevitabile, per lo meno non avesse a concretizzarsi l’una per mano dell’altra, in maniera diretta o indiretta che potesse essere. Perché se già straziante, per il suo cuore, sarebbe stata l’idea di perdere una fra le proprie gemelle, fra le proprie bambine; probabilmente letale sarebbe altresì stata la prospettiva nella quale tale tragedia si fosse dimostrata conseguenza della volontà dell’una a discapito dell’altra.
Non che, in tal modo, egli volesse negare l’evidenza dell’odio nel quale si era mutato l’amore un tempo fra loro esistente, e del quale, almeno per quanto riguardava Nissa, aveva avuto la mesta occasione di essere diretto testimone, negli ultimi anni che ella aveva trascorso al suo fianco, avvelenandosi giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, mese dopo mese, al solo pensiero dell’esistenza in vita della sorella che l’aveva abbandonata. Semplicemente, umanamente, nel proprio ruolo di padre, egli non avrebbe mai potuto prendere in coscienza una posizione a favore dell’una piuttosto che dell’altra delle proprie figliuole, amandole entrambe oltremisura, amandole entrambe più della propria stessa vita. E se non avrebbe mai potuto fare a meno di amarle, allo stesso modo egli non avrebbe mai potuto perdonarle se si fossero alfine spinte a compiere l’irreparabile, a condannarsi così come, benché ancor privo di spiegazioni utili a comprendere le dinamiche di quanto accaduto, nel profondo del suo animo non avrebbe allora potuto che essere certo fosse accaduto. Proprio innanzi al suo sguardo.

« Midda Bontor è morta! » annunciò, non senza un fremito di soddisfazione, il vicario, primo-fra-tre, l’assassino della Figlia di Marr’Mahew, della Campionessa di Kriarya, della Vedova di Desmair, nella tardiva esecuzione di una sentenza, di una condanna, già scandita troppi anni prima « La vostra eroina è morta, uomini e donne di Licsia. » ribadì, quasi la prima asserzione non fosse stata sufficiente a trasmettere quel tanto doloroso concetto « Ma non abbiate timore… presto la raggiungere tutti quanti, in gloria ai vostri dei! »


Nessun commento: