11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

venerdì 31 maggio 2013

1957


« Non commettere l’errore di ritenere di essere l’unica donna straordinaria della nostra famiglia, cara zia… » raccomandò il giovane, aggrottando appena la fronte a quell’interrogativo evidentemente giudicato qual inappropriato, qual immeritevole tanto di colei nel merito del quale era stato proposto, quanto e, forse, ancor più, per colei che lo aveva lì scandito, nel dimostrare un’ingenuità assolutamente fuori luogo nel confronto con la propria stessa fama, la nomea che, nella grandezza delle proprie imprese, ella era riuscita a rendere propria « Quanto compiuto da mia madre, forse, non è solito essere celebrato in canzoni e ballate, al pari delle tue gesta. Ciò nonostante, non di meno sensazionale ha da considerarsi ciò che ella è stata in grado di conquistare nel corso di questi anni...  »
« … e non è mio interesse porlo in dubbio. » rassicurò ella, scuotendo appena il capo a quella frase che avrebbe potuto risultare addirittura di rimprovero, benché oggettivamente difficile sarebbe stato immaginare se a tutela del buon nome della stessa Nissa Bontor o, piuttosto e parimenti, al fine di minimizzare proprio da parte sua il rischio di giungere a un momento di confronto finale con eccessiva fiducia nelle proprie possibilità, nella propria aspettativa di trionfo, in misura tale da compromettere stolidamente e tragicamente l’esito stesso di quello scontro pur tanto atteso « Credimi… so bene di cosa mia sorella sia capace. » insistette, a correggere il senso della propria precedente affermazione, non volta a negare alla regina di Rogautt la possibilità di compiere gesta fuori dall’ordinario, inimmaginabili per chiunque altro al mondo, quanto e piuttosto a sollevare semplici, sinceri e comprensibili dubbi sui modi nei quali ella potesse essersi spinta a tanto, soprattutto nel rapportarsi con creature quali quelle al centro degli eventi di quelle ultime ore, e incarnanti un primordiale principio di violenza, dolore e morte, con il quale impossibile avrebbe dovuto essere ipotizzare di scendere a patti.

Del resto, in maniera poi non troppo dissimile dagli ippocampi, anche i predoni di quelle infinite distese azzurre, sopra le quali, e sopra i quali, Nissa aveva voluto estendere il proprio dominio in quanto sovrana, qual signora e dominatrice, i pirati, rappresentavano da sempre un primordiale principio di violenza, dolore e morte innanzi al giudizio di qualunque altro figlio del mare, una piaga oscena in contrasto alla quale non sarebbe stato possibile opporre alcuna difesa, alcuna reale resistenza, laddove, sempre e comunque avrebbero condotto seco soltanto disgrazie, avrebbero lasciato alle proprie spalle soltanto sofferenza e tragedia, vite infrante, vedove, orfani e, quasi e paradossalmente nel migliore dei casi, intere famiglie trucidate, non per una qualche colpa particolare, non per una qualche reale ragione, ma soltanto perché ritrovatesi a essere sulla loro rotta, a proravia, e, già per questo, necessariamente, seppur ingiustamente, condannate. E laddove i cavalli di mare, a proprio discapito, a giustificazione per l’orrore di quanto compiuto, avrebbero potuto offrire qual argomentazione solida e oggettivamente indiscutibile la bestialità della intrinseca nella propria stessa natura, tale da non poter considerare le loro azioni animate da maggiore malizia di quanto non avrebbero potuto essere quelle di un qualunque altro predatore naturale; i pirati, in quanto comunque semplici uomini e semplici donne, non avrebbero potuto ricorrere neppure a tale dissertazione a difesa del proprio operato, delle proprie scelte, non vincolati entro i confini loro imposti da una particolare natura, motivo per il quale, se apparentemente crudeli, allor soltanto definibili qual concretamente crudeli.
Nel confronto con tutto ciò, e con il pensiero, con la consapevolezza di come la propria gemella fosse riuscita non semplicemente a domare tutti i pirati dei mari del sud ma, addirittura, a soggiogarli, piegandoli ai propri voleri, ai propri capricci, al punto tale da spingersi a edificare un’intera nazione a partire da una bolgia anarchica e in non meno conflitto interno di quanto normalmente non avrebbero potuto vantare di esserlo con il mondo a loro circostante; quasi misero risultato avrebbe potuto esserle allor attribuito per il proprio pur insano successo con gli ippocampi. Certamente una vittoria epica, un trionfo sensazionale, di gran lunga maggiore a quello che la stessa Figlia di Marr’Mahew e i suoi compagni di viaggio erano stati in grado di conquistare quella notte nel massacrare la mandria loro inviata in contrasto, in opposizione… e pur, non di meno, svalutato nella propria importanza, nella propria mirabolante conquista, in conseguenza al risultato da lei stessa riportato in un’impresa ancor maggiore, in una gesta ancor più improba.
Nulla di sorprendente, nulla di sconvolgente, pertanto, nel pensiero che ella potesse essere riuscita a trionfare anche su delle fiere quali, sempre e comunque, avrebbero dovuto essere riconosciuti essere gli ippocampi. Benché, fra l’assenza di un’oggettiva ragione di sorpresa e l’assenza, nella propria accezione più assoluta, d’ogni qualsivoglia sorpresa, difficile accordo avrebbe potuto essere riconosciuto. In misura tale, quantomeno, da permetterle di sollevare il dubbio da lei espresso, nel merito non tanto del se Nidda Bontor fosse realmente riuscita a compiere ciò, quanto e piuttosto del come ella avesse raggiunto un simile traguardo, un tanto pericoloso successo che, se solo fosse divenuta sua intenzione, avrebbe potuto se non ribaltare, quantomeno sconvolgere completamente gli equilibri esistenti, forse da sempre, a regolare il rapporto d’ogni singolo regno di quell’angolo sud-occidentale con il mare entro il quale avrebbe dovuto comunque considerarsi delimitato.

« Non mi sento ancora in grado di giudicare, obiettivamente, né te né il tuo operato, zia, dal momento in cui da troppo ti sono accanto per permettermi di valutare quanto non ho avuto occasione di assistere in prima persona e quanto, altresì, si ritrova al centro di troppe ballate, di troppe canzoni, finendo, in ciò, con il subire gli stessi spiacevoli limiti, le stesse sgradevoli adulterazioni soltanto tipiche del caso… » osservò egli, storcendo appena le labbra verso il basso nell’accompagnare con dispiacere una tale premessa tutt’altro che potenzialmente in suo stesso favore « Al contrario, tuttavia, sono in grado di valutare sin troppo bene mia madre e il suo operato… e, in ciò, pur non volendola più sostenere, più non volendomi più porre dalla sua parte, non posso evitare di riconoscerle il giusto merito per quanto compiuto, per i risultati che ha conseguito e che l’hanno condotta a essere colei che è. » proseguì, rigirando la questione su un ben diverso fronte, ancor apparentemente in favore dell’interlocutrice lì, allora, offertagli, lì, allora, riservatagli.
« Ti prego, ciò nonostante, di non voler fraintendere le ragioni alla base del mio intervento, di questa mia forse eccessivamente vivace difesa di tua sorella e delle sua straordinarie conquiste, laddove non desidera, in alcun modo, essere un’aggressione a tuo discapito quanto, e piuttosto, espressione di una non semplice, non naturale, non ovvia, e pur effettiva premura da parte mia nei tuoi riguardi e tale, in ciò, da non voler accettare in maniera passiva un tuo qualche vano sacrificio conseguente a un banale errore di valutazione delle risorse in possesso alla tua avversaria. » definì e, alfine, concluse quell’intervento tanto prolissamente introdotto, con un’artificiosità che non avrebbe mai potuto mancare di stonare, e stonare spiacevolmente, all’attenzione della stessa Midda Bontor, nel riconoscere parole troppo puntualmente ricercate, e troppo abilmente intrise di controllo, e di autocontrollo, per poter essere accettate quali sincera espressione di affettuosa preoccupazione da parte di quel nipote solo un anno prima proclamatosi, in maniera ben più diretta e meno ambigua, qual suo mortale avversario.

Purtroppo per lui, la mercenaria dagli occhi color ghiaccio non avrebbe dovuto essere considerata esperta soltanto nell’arte della guerra e, in ciò, completamente inerme nel confronto con qualunque altra questione, fosse anche quella destinatale da una favella particolarmente vivace qual quella che, chiaramente, contraddistingueva il nipote.
E se con quelle parole, egli, o chi per lui, aveva supposto di poterla incantare anche per un solo, singolo e semplice istante; non così semplice, non così ovvio, non così immediato si sarebbe dimostrato riuscire a evidenziare tale successo, benché indubbio merito avrebbe forse e comunque dovuto essere riconosciuto a quel tentativo da parte del giovane, nel riconoscergli come, in quella sfida, in quel duello psicologico con la propria parente, qual tale ella desiderava insistentemente considerarlo, null’altro avrebbe potuto vantare dalla propria al di fuori una sola e semplice arma. E un’arma di natura squisitamente retorica. Non l’acciaio di una spada, pertanto; non l’acuminata estensione di una picca, ancora… ma soltanto la propria capacità di relazionarsi con gli altri, saggiando con attenzione quanto sarebbe stato meglio esprimere e quanto, piuttosto, tacere, come, probabilmente, avrebbe fatto meglio a fare in quello stesso momento, in quel particolare frangente.


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