11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

giovedì 27 giugno 2013

1984


« Il piano è semplice… » aveva suggerito la Figlia di Marr’Mahew, nel preferire, come sovente, strategie non eccessivamente complesse, non inutilmente macchinose, nel riconoscere il merito della semplicità e del valore della perfetta esecuzione di una tattica ben ponderata e pur non particolarmente elaborata, ove maggiori sarebbero stati i dettagli che avrebbero voluto riservarsi l’occasione di scolpire nella pietra, e maggiori sarebbero state le possibilità di fallire, di ritrovarsi a confronto con quell’unico, stupido particolare non considerato « Siamo soltanto in dodici, contro una flotta che, per quanto abbiamo potuto constatare, conta non meno di un centinaio di navi, nel considerare soltanto quelle attraccate nell’intorno di Rogautt. Ma, dalla nostra parte, abbiamo il vantaggio di avere qualcosa… qualcuno che, di certo, essi vorranno.» aveva quindi definito, includendo arbitrariamente nel conteggio delle loro risorse anche proprio nipote, a dimostrazione di come, ormai, non fosse, neppure da lei, considerato ulteriormente una minaccia.
« Quindi, dall’alto della tua esperienza bellica, ci stai suggerendo di arrivare, banalmente, alle porte del luogo più dannatamente pericoloso di tutto il mondo conosciuto e, lì, limitarci a salutare, mostrando Leas come ostaggio, come merce di scambio…? » aveva cercato di rendere più esplicito il capitano della Jol’Ange, nell’esprimere, in tal senso, un non troppo velato dubbio sull’efficacia, ancor prima che sull’efficienza, di una tale scelta « Cosa impedirà loro di massacrarci non appena saremo a tiro dei loro archi e delle loro balestre?! » aveva obiettato, non nel desiderio di contraddire colei che, della guerra, avrebbe potuto essere incarnazione, quanto e semplicemente a tentare di ottenere, da parte sua, rassicurazioni in tal senso, a negare simile, non imprevedibile, eventualità.
« In merito alla prima questione… qualcosa del genere, diciamo. » aveva annuito la mercenaria, apparentemente confermando un’idea simile a quella che Noal aveva appena definito senza troppi giri di parole, senza concedere ad alcuno la benché minima libertà di interpretazione nel merito di qualcosa di sì importante, di sì innegabile valore per delineare il loro futuro, anche laddove, da parte della donna, non era parsa essere altrettanta brama di trasparenza, fosse anche solo per un intento scaramantico « A riguardo della seconda domanda, invece, è da parte mia la speranza di poter replicare il successo della nostra ultima visita in quelle acque. Così come, nella scorsa occasione, dalla nostra era il possesso degli scettri pretesi dalla regina, ora è il possesso del figlio per riottenere il quale ci ha attaccato violentemente ben due volte in un solo giorno, salvo, successivamente, placare ogni offensiva. Leas è desiderato ancora in vita… e nessuno degli uomini e delle donne al servizio della mia gemella oserà agire in termini che potrebbero porre in dubbio questo pur non banale assunto. » aveva voluto azzardare, in un’ipotesi comunque non completamente priva di fondamento « Non, quantomeno, nel confronto con il rischio che una freccia o un dardo scoccati malamente, possa ferirlo o, peggio, ucciderlo nel mentre in cui nostra volontà appariva essere soltanto quella di restituirlo all’abbraccio della madre. »

Una posizione, alfine, quantomeno condivisibile, quella in tal modo promossa dalla Campionessa di Kriarya, che non aveva potuto evitare, pertanto, di risultare quietamente condivisa, anche e purtroppo nell’assenza di ipotesi non soltanto migliori ma, banalmente, alternative a quella in tal modo esposta.
Che la sfida rappresentata dall’isola di Rogautt, un tempo non più minacciosa di quanto non avrebbero potuto esserlo Bael o Licsia, o altre centinaia di piccole isole simili sparse in tutti i mari del sud, e in tutti i mari del mondo conosciuto, e pur ormai trasformata in quello che correttamente, legittimamente, inoppugnabilmente avrebbe potuto essere riconosciuto quale uno dei luoghi più pericolosi entro cui chiunque avrebbe potuto ipotizzare di sospingersi, in termini tali da lasciar apparire la stessa Kriarya, città del peccato del regno di Korfreya, pressoché un borgo adatto a educande, malgrado una popolazione costituita quasi integralmente da mercenari e assassini, latri e prostitute; avesse a doversi riconoscere nulla di meno di un’insana danza con la morte, l’esito finale della quale difficilmente avrebbe potuto concedersi possibilità di essere equivocato, difficilmente avrebbe potuto riservarsi occasioni di positiva incertezza, era sempre stato assolutamente e terribilmente chiaro in tutti coloro presenti a bordo della Jol’Ange, e che su quella goletta erano partiti dalla penisola maggiore di Tranith all’inizio del volutamente non breve viaggio che li aveva ricondotti sino a lì, sino a quell’appuntamento con il fato, con la sorte, con il proprio destino. Tutti loro, del resto, nessuno escluso, avevano già avuto occasione, solo un anno prima, di tentare la sorte in quello stesso maledetto angolo di mondo, lì proprio malgrado sospinti dalla necessità di riscattare le vite di Hui-Wen e di Camne, tratti prigionieri nella stessa azione nella quale la splendida Berah era stata oscenamente assassinata e, contemporaneamente, la medesima Midda Bontor, precedentemente a sua volta tenuta prigioniera a bordo della nave ammiraglia della gemella, era stata condotta in salvo. E tutti loro, in ciò, non avrebbero potuto definirsi in alcuna misura ignoranti nel merito di quanto a dir poco ineluttabile avesse allora a doversi considerare l’eventualità di una loro prematura dipartita, sola ragione per la quale, del resto, alcun tentativo volto a scoraggiarli, da parte della mercenaria dagli occhi color ghiaccio, aveva avuto il benché minimo successo, aveva avuto la più semplice, la più ovvia, la più banale possibilità di spingerli a rinunciare a quella pugna.
Che la sfida rappresentata dall’isola di Rogautt, tuttavia, avesse a dover essere fraintesa qual un comune tentativo di suicidio assistito, da parte di quegli undici e del loro dodicesimo, inatteso, alleato; soltanto falso e fazioso avrebbe dovuto essere giudicato, al di là di ogni apparenza, al di là di ogni ambiguità. Perché, nel conoscere perfettamente, tutti loro, i pericoli incontro ai quali si sarebbero sospinti in quell’offensiva, in quell’attacco al cuore di un regno illegittimo e contro il quale, ciò nonostante, alcun potere al mondo avrebbe mai avuto risorse sufficienti da schierare per tentare di abbatterlo; loro, malgrado tutto, era soltanto la volontà di trionfare, la brama di imporre la propria vittoria su tutto e su tutti, non combattendo per cercare la propria morte, quanto e piuttosto per difendere la propria vita, e il proprio diritto a poter, ancora, esistere. Solo in tal modo, del resto, a tutti loro era stato insegnato a vivere e a combattere. Solo in tal modo, ancora, tutti loro si erano sempre messi in giuoco in ogni singolo giorno della propria esistenza, della propria quotidianità, fosse anche, soltanto, nel loro confronto con il mare, con quella distesa infinita e meravigliosa nella quale erano nati, dalla quale avevano sempre ottenuto vita, gioia e speranza, e che pur, con l’indifferenza che solo un dio avrebbe potuto provare innanzi a una creatura mortale, avrebbe potuto spazzarli via senza la benché minima incertezza, senza alcuna esitazione, del resto polvere priva di valore all’interno dell’immensità Creato. In ciò, pertanto, non uno solo fra loro aveva compiuto tanta strada allo scopo di trovare prematura possibilità di morte, di raggiungere anzitempo i propri dei, qualunque nome o forma essi avessero, laddove, se così fosse stato, avrebbero probabilmente risolto in maniera più semplice l’intera questione provvedendo autonomamente al proprio suicidio, anziché sprecare tanto tempo e tante energie in quell’ultimo viaggio.
Animati dal desiderio di difendere la vita, e la vita nel proprio significato più ampio, sia nel proprio diritto alla stessa, sia e ancor più nel diritto di tutti a non ritrovarsi inconsapevolmente destinati agli orrori che al mondo intero avrebbero potuto essere imposti dal ritorno del dominio della regina Anmel Mal Toise e, con essa, dell’Oscura Mietitrice; quegli uomini e quelle donne sarebbero stati disposti a combattere con un’energia, con una forza e con una determinazione che avrebbe dovuto, oggettivamente, preoccupare qualunque esercito e qualunque flotta, fosse essa costituita da uomini mortali, quali pur erano e sempre sarebbero stati i pirati di Rogautt, così come da dei immortali. E non per mero principio, non per semplice retorica che efficacia avrebbe potuto vantare solamente all’interno di una canzone, di una ballata, e pur mai della vita quotidiana, nel confronto con il mondo reale, sì povero d’ogni qual genere di romantico spirito altresì abbondante in ogni cronaca, in ogni leggenda; quanto e piuttosto alla luce della concreta e incontestabile esemplificazione offerta da colei che leggenda era riuscita già a divenire in vita, nell’aver trasformato in realtà quanto, prima di lei, a stento riconoscibile addirittura qual mito. Perché se una sola donna, animata da una ferrea forza di volontà, da una straordinaria tenacia, era stata in grado di sopravvivere a ogni qual genere di mostro e non solo, sconfiggendo persino un dio, Kah signore degli istinti primordiali e padre di Desmair, del quale egli stesso l’aveva resa vedova; dodici, fra uomini e donne, animati dalla stessa volontà, dalla stessa tenacia, da quella fermezza innanzi alla quale persino un creatore avrebbe dovuto arrossire, nell’imbarazzo dei propri errori, delle propri mancanze, avrebbero allora rappresentato un contingente capace di rovesciare non soltanto quel regno perduto nei mari del sud ma, anche, l’intero ordine mondiale, da Qahr a Hyn, e più a nord verso Myrgan, se solo avessero avuto una solida ragione per scegliere di agire in tal senso, solida abbastanza quanto quella che, in quello stesso frangente, in quella stessa occasione, li aveva portati a dichiarare guerra alla crudele Nissa Bontor, e a ogni entità in lei avesse trovato rifugio.
Sicuramente, incontestabilmente, proprio su quella stessa, comune caratteristica, quella condivisa energia, forza e determinazione che, in gloria agli dei tutti, avrebbe loro permesso, ancora una volta, di compiere l’impossibile, di assoggettare nuovamente il fato ai propri desideri e di non vedere, il loro, essere ricordato dai posteri quale il viaggio dei folli; avrebbe dovuto essere riconosciuto qual in ampia misura fondato il semplice piano suggerito dalla Figlia di Marr’Mahew, dalla Campionessa di Kriarya, dall’alto della propria esperienza bellica, così come era stata riconosciuta dalle parole dello stesso capitano della Jol’Ange.
Ma dov’anche, nella banalità di quella tattica, altrettanto facile sarebbe stato per la stessa regina di Rogautt, per colei che, del resto, avrebbe potuto vantare la migliore, e più intima, confidenza con i percorsi mentali della propria sorella gemella, prevedere l’evoluzione degli eventi e impostare anticipatamente un’adeguata risposta a tutto ciò; sgradevolmente improbabile sarebbe stato parimenti presupporre quanto invece accadde in quel giorno fatidico, ciò che venne, a dispetto di ogni attesa, offerto innanzi allo sguardo delle navi pirata appartenenti alla cinta più esterna dell’ampia fascia di protezione sempre, naturalmente presente attorno alle acque di quell’importante capitale. Perché, all’ultimo istante, all’ultimo momento, ostaggio elevato davanti all’attenzione di tutta Rogautt, o quantomeno di quella parte della popolazione dell’isola lì loro offerta, non fu Leas Tresand, pur candidato eletto a tal ruolo con tanto di catene falsamente legate ai polsi per meglio sostenere tale, concordata, messinscena; quanto e piuttosto, la medesima Midda Bontor, in contrasto alla quale egli ebbe alfine l’ignobile audacia di ribellarsi, approfittando della libertà di movimento a lui garantita e, in grazia di ciò che pur era stata lei stessa a concedergli, colpendola nel centro del volto con un gesto secco della propria nuca, e nel bel mezzo del diaframma con una violenta gomitata.
E nel mentre in cui la paranoia abitualmente propria della donna guerriero non poté evitare di gridare entusiastica per la propria riscossa, per il riscatto in tal modo offertole dallo sviluppo degli eventi, quel gesto venne reso, ove possibile, più crudele e imperdonabile da ciò che fu scandito dalle labbra del traditore…

« Per quello che può valere, ormai: mi dispiace… madre… »


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