11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

sabato 29 giugno 2013

1986


Un’arma, quella contro di lei rivolta, che altro non avrebbe dovuto essere riconosciuta che la propria stessa spada bastarda, compagna di tante, e forse anche troppe, avventure e lì, spiacevolmente e terribilmente, rivolta a suo aperto discapito, a sua esplicita minaccia, dalla ferma presa dell’ultima persona dalla quale avrebbe mai potuto attendere un simile gesto di ribellione e di tradimento, benché, invero, tutto ciò fosse stato, da lei e dalla sua paranoia, ampiamente previsto nelle proprie eventualità, nei propri rischi e nelle nefaste conseguenze che da ciò sarebbero necessariamente derivate: Leas Tresand, il figlio che aveva desiderato e che non aveva mai potuto sperare di avere; l’erede del suo primo compagno, del suo primo amico, amante e complice, l’unico altro uomo, oltre a Be’Sihl, innanzi al quale si era realmente offerta, con tutta se stessa, non soltanto priva di inibizioni ma, soprattutto, in tutta la propria più vera essenza, in quello straordinario connubio di forza e di debolezza, di passione e di dolcezza, che al mito, alla propria leggenda, così come al mondo intero, sarebbe sempre stata negata possibilità di conoscere; e, purtroppo, ia progenie della propria stessa gemella, colei per la sconfitta della quale, in quell’infausto giorno, si erano tutti ritrovati riuniti in quel luogo, in quel preciso istante, a marchiare in maniera indelebile la Storia con le proprie azioni e i propri nomi, che per una ragione, o per un’altra, difficilmente sarebbero stati alfine dimenticati.
Probabilmente sciocco, sicuramente imprudente, era stato per Midda e per i suoi dieci alleati, accettare in fede l’ipotesi secondo la quale Leas, all’incirca ventenne, figlio della regina di tutti i pirati e pirata a sua volta, l’esistenza in vita del quale era stata scoperta, da parte loro, poco più di un anno prima, avesse a potersi accettare qual veramente cambiato, nelle proprie convinzioni, nei propri ideali, per una fortuita benevolenza divina, utile a permettergli di dischiudere gli occhi su chi realmente fosse sua madre e, soprattutto, sulla minaccia che ella, non soltanto per propria colpa, rappresentava. Promuovendo tale versione, simile testimonianza a proprio stesso supporto, quel giovane era stato catturato e tenuto prigioniero dall’equipaggio della Jol’Ange, nave un tempo appartenuta a suo padre e allora capitanata da Noal, a seguito di una breve battaglia che aveva visto coinvolte una corvetta pirata e la goletta del gruppo di Midda Bontor, al largo delle coste della piccola e pacifica isola di Bael. E promuovendo tale versione, quella particolare interpretazione degli eventi che, in verità, tutti loro desideravano poter ascoltare, nel ritrovare, osservandolo, il volto di Salge Tresand, amato da tutti e da tutti compianto, quel giovane era stato lentamente accettato, sino a essere riconosciuto, drammaticamente, parte della loro strana e variegata famiglia, così come tutti, in fondo, erano certi avrebbe reso onore alla memoria del prematuramente scomparso capitano, ucciso a tradimento per volontà della stessa madre di suo figlio, un figlio con lei concepito nell’inganno derivante dalla più totale mancanza di fattori di distinguo fisici fra le due sorelle, le due gemelle.
Purtroppo per tutti loro, e per la mercenaria dagli occhi color ghiaccio anche conosciuta, fra i più, con l’appellativo di Figlia di Marr’Mahew, dea della guerra di un pantheon in cui pur ella stessa non si identificava, qualcosa era trasparentemente sfuggito al loro controllo. Perché, alle porte di Rogautt, innanzi a una sterminata schiera di navi pirata lì attorno attraccate a difesa dell’isola eletta qual loro capitale da colei che in un’unica nazione li aveva riuniti tutti quanti; a essere mostrato quale ostaggio sulla coperta della Jol’Ange, a prua della nave, non accettò quietamente di permanere, anche soltanto per finzione, nella ricerca di un inganno utile a concedere a tutti loro possibilità di sopravvivere ancora per qualche altra ora, il giovane Leas, traditore dei pirati, nel preferire invertire violentemente le posizioni precedentemente concordate e assunte, per non essere più prigioniero quanto carceriere, per non apparire più qual condannato quanto boia. Un’inversione che, sorprendendo tutti, e la sua stessa zia in primo luogo, venne attuata da un rapido attacco, un colpo offerto con la nuca contro il naso della donna e una gomitata imposta a discapito del suo diaframma, in conseguenza al quale, per un istante, ella fu prepotentemente separata dalla realtà, concedendo al nipote, in tal modo, possibilità di compiere quanto pianificato, sottraendole la propria spada e, con un calcio, spingendola a inginocchiarsi definitivamente a terra, in una postura giudicata più comoda per mantenerla sotto controllo, nella minaccia non velatamente suggerita dalla fredda carezza di una lama… della propria lama contro il collo, pronta a sgozzarla se soltanto avesse compiuto un qualche audace gesto di ribellione qual pur, certamente, non avrebbe desiderato lasciarsi mancare.

« Midda! » esclamarono i dieci, in quello che risultò essere un coro di sconcerto, per quanto accaduto, per come accaduto e per quanto, in ciò, avrebbe potuto immaginare, senza particolare sforzo sarebbe ancora potuto avvenire, a loro condanna.
« Fermi! » ordinò Leas, secco verso il resto di coloro che, solo un istante prima, erano stati per lui compagni di ventura e che, ora, null’altro sarebbero risultati che avversari, antagonisti, nemici « Non un solo gesto, oppure… »

E l’alternativa da lui suggerita fu sì chiara che alcuno ebbe necessità di richiedere ulteriori spiegazioni, maggiori dettagli, nell’aver già drammaticamente colto tutto ciò che sarebbe stato necessario comprendere, non tanto sulle ragioni alla base di quel gesto, di quella ribellione, quanto e piuttosto sulle conseguenze che avrebbe necessariamente comportato qualunque altra libertà loro stessi si sarebbero potuti riservare.
Allora soddisfatto, nel non cogliere alcuna precipitosa brama di morte da alcuno degli uomini e delle donne della Jol’Ange, sia appartenenti alla più ristretta cerchia di coloro che, effettivamente, erano da sempre marinai a bordo della goletta, sia entrati ormai a far parte di tal gruppo per il non superficiale legame che li aveva visti tutti legati insieme in conseguenza alle azioni compiute, alle battaglie vinte e, ancor più, a quelle ancora da vincere, e per la conquista delle quali sarebbero stati tutti disposti a rischiare le proprie vite; Leas si concesse di rivolgere la propria attenzione verso colei scopertasi qual sua prigioniera, forse avvertendo la necessità di offrirle una qualche spiegazione o, forse e soltanto, nella volontà di ribadire la propria vittoria, la supremazia ottenuta.

« Per quello che può valere, ormai: mi dispiace… madre… » tentò di giustificarsi, quasi come se, una parte di lui, del suo spirito, avesse realmente creduto al proprio stesso inganno, alle parole da lui pronunciate in quegli ultimi giorni, quelle ultime settimane, per conquistarsi la fiducia sua e degli altri; e pur, malgrado ciò, non riuscendo ad apparire realmente credibile in simile affermazione, non soltanto per la lama allora appoggiata contro il collo di lei, quanto e ancor più per la scelta volta a riconoscerla esplicitamente, in maniera assolutamente inedita, qual propria genitrice, in termini ovviamente non biologici, laddove ella non lo era né avrebbe potuto esserlo, quanto e piuttosto sotto un profilo ideale, così come, purtroppo, sarebbe risultato soltanto spiacevolmente smentito dalle sue azioni e dalla sua, stupida, scelta di tradirli in maniera sì esplicita e plateale.

Non fosse stato quel giovane l’unica loro speranza per raggiungere, indenni, le spiagge di Rogautt, ancora a troppe miglia di distanza, e troppo ben sorvegliate, per poter credere di conquistarle semplicemente con la forza, in un numero così ridotto di risorse opposta e un quantitativo tanto straordinario di predoni dei mari; la Campionessa di Kriarya non avrebbe mai accettato di arrendersi senza lottare, senza reagire e, in ciò, senza dilaniare violentemente chi l’aveva aggredita in maniera sì indegna, aprendogli il ventre dal pube alla gola e lasciando le sue viscere libere di ricadere a terra, anticipandone la fine.
Purtroppo, al di là di ogni considerazione su quanto non semplice, non ovvio, non immediato sarebbe stato per lei riuscire a giustiziare in simile misura quel figlio negatole e colpevole, innanzitutto, di essere stato allevato nell’odio più puro nei suoi confronti e nei confronti di chiunque potesse esserle vicino; in quel momento Leas avrebbe dovuto essere riconosciuto, per loro, l’unica esile barriera esistente fra la vita e la morte, dal momento in cui, senza la sua presenza a bordo, nessuna fra le dozzine di navi che già li avevano circondati, avrebbe avuto ragione per trattenersi dallo scaricare contro di loro una vera e propria pioggia di dardi e di frecce. Ragione per la quale, al di là dei colpi subiti e del tradimento riservatole, ella non avrebbe potuto far altro che tacere… e tacere in attesa di un momento migliore per agire e restituire ogni addebito con i giusti interessi.


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