11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

giovedì 11 luglio 2013

1998


Un grido continuo, costante e ossessivo, quello in tal modo scandito, che non avrebbe potuto evitare di far rabbrividire coloro che, al contrario rispetto al messaggio in tal modo offerto, scandito, sbraitato, non desideravano la prematura conclusione della vita della Figlia di Marr’Mahew, della loro amica e sorella, addirittura amata e amante. Conclusione innanzi alla quale, pur, se nulla fosse occorso a ovviarla, sarebbero stati costretti a permanere in frustrata e rabbiosa contemplazione, nel ritrovarsi lì imprigionati entro i limiti propri di pesanti catene e, ciò nonostante, siti allora in posizioni eccellenti per poter assistere all’intero svolgimento di quanto lì sarebbe accaduto, .sino al più piccolo particolare, al più minuscolo, e pur sempre crudele, dettaglio della tortura e della morte di Midda Bontor.
A pochi piedi dal tavolo, che forse sarebbe stato più opportuno definire quale una vera e propria ara, sul quale sarebbe stata distesa la Campionessa di Kriarya, per subire le torture già annunciate, lo scuoiamento, lo sventramento e lo smembramento, infatti, erano stati condotti i suoi dieci compagni, coloro che con lei avevano condiviso quell’ultimo viaggio e che, pertanto, innanzi a una sadica interpretazione di merito, erano stati considerati dalla regina dei pirati dei mari del sud degni di assistere a quanto sarebbe accaduto, e assistervi meglio di quanto mai sarebbe stato concesso a chiunque altro e di quanto, oggettivamente, anch’ella non avrebbe avuto interesse a riservarsi, nel permanere, al contrario, su un trono eretto a maggiore distanza e in posizione tale, persino, da potersi permettere di ignorare quanto sarebbe accaduto. Da quel particolare punto, Noal e Hui-Wen, Masva e Av’Fahr, Ifra e Camne Marge, Howe e Be’Wahr, Seem e Be’Sihl, già si ponevano a perfetto confronto con la ricca collezione di lame predisposte per il trattamento che, di lì a breve, avrebbe dovuto avere inizio. Lame che, in varie forme, dimensioni e proporzioni, avrebbero potuto essere riconosciute quali utili a singoli compiti estremamente specifici, orrendamente puntuali, quali, la rimozione delle unghie, così come dell’epidermide delle dita, o, ancora e diversamente, la rimozione del cuoio capelluto, così come della pelle del viso, orecchie, palpebre, labbra e naso inclusi. Nessuno, fra i dieci, avrebbe potuto vantare una qualche passata esperienza da torturatore o da boia e, benché tutti loro, chi prima, chi tardi, avessero già ucciso, qualcuno soltanto nel cuore di una battaglia, qualcun altro anche in circostanze meno emotive, tale esperienza, simile pregresso, non avrebbe garantito agli stessi quella medesima competenza utile a comprendere, con amor di dettaglio, il compito di ognuno degli strumenti lì predisposti ed esposti, strumenti dell’impiego dei quali, in verità, neppure desideravano maturare una qualunque conoscenza, non in quel particolare giorno, né mai.
E pallidi tanto da risultar prossimi a due albini, in simile contemplazione, avrebbero potuto essere riconosciuti sia il buon Seem, sia la cara Camne, entrambi legati alla donna guerriero, seppure in conseguenza a esperienze diverse, da vincoli d’amore fraterno qual quello proprio di un fratello o di una sorella minore verso la maggiore, se non, ancor peggio, quello proprio di un figlio o di una figlia verso la madre, tanto centrale, in tempi diversi, avevano avuto occasione di considerare il ruolo della mercenaria nelle loro vite. Quasi una fortuna, in tale, teso contesto, pertanto, avrebbe dovuto essere riconosciuto il fatto che quasi una giornata intera era trascorsa dal loro ultimo pasto degno di essere definito tale, dalla cena della sera prima che, a tal punto, avrebbe dovuto essere considerata qual più che digerita e impossibilitata, in ciò, a riemergere prepotentemente attraverso le loro labbra, in conseguenza a inevitabili conati di vomito che non avrebbero potuto essere negati al cospetto, già soltanto, con l’idea di quanto sarebbe potuto presto accadere, di quanto tragica sarebbe allora stata la sorte di chi pur, mai, avrebbero voluto vedere né soffrire, né tantomeno morire.

« … dannati figli d’un lurido cane… » sibilò Be’Wahr, fra labbra strette e denti contratti, trattenendo a stento l’ira che, ineluttabile, stava in lui risalendo dalle viscere sino al cervello, offuscandogli, in tal senso, qualunque pur vaga opportunità di ragionare, benché, come suo fratello Howe si sarebbe sicuramente premurato a sottolineare, difficilmente tale prerogativa avrebbe dovuto essere associata a quella stessa, particolare, figura, oggettivamente non rinomata per l’arguzia caratteristica del proprio intelletto, per la profondità del proprio pensiero, pur ove, in passato, non fossero mancate per lui occasioni di salvare la giornata in grazia a intuizioni tranquillamente considerabili a dir poco geniali, per quanto, sovente, sì semplici da rifuggire all’attenzione dei più nella propria effettiva opportunità di successo « … gridano come indemoniati, nell’invocare la morte di Midda… maledetti… »
« … avranno ciò che meritano, fratellino… » cercò, allora, di rassicurarlo Howe, accanto a lui, il quale, malgrado il frastuono di sottofondo, non restò sordo a quell’affermazione, a quel commento, in parte perché così confidente con la voce dell’amico di sempre da riuscire a distinguerla, pur appena sussurrata, fra tutte, e in parte perché, in fondo, da parte del biondo null’altro che il suo stesso pensiero era lì appena stato espresso ed esplicitato, quasi l’uno avesse dato voce a quanto la mente dell’altro si era limitata semplicemente a pensare « … per Lohr… lo avranno… »

Purtroppo, in un momento come quello, in una situazione quale quella lì loro presentata, a ben poco avrebbe potuto un qualunque benevolo dio, qual pur avrebbe potuto essere riconosciuto quello in tal luogo appena citato. E se ben poco avrebbe potuto una divinità, non soltanto assurda, ma anche improponibile avrebbe potuto essere giudicata qualunque idea di riscossa da parte loro, nella necessità, altresì, non soltanto di liberarsi dalle proprie catene, dai propri più severi vincoli fisici che, in quel frangente, avrebbero loro impedito fosse anche e soltanto di grattarsi la nuca, ma anche, e soprattutto, di riuscire a sconfiggere centinaia di avversari ciascuno, assediati e senza possibilità di fuga qual si stavano lì presentando in una sorta di triste offerta votiva che, difficilmente, si sarebbe alfine vista condannare a una sorte particolarmente diversa da quella della mercenaria, seppur, probabilmente, non sbilanciandosi in conclusioni tanto sofisticate al pari di quella che, quasi a volerne onorare la straordinaria esistenza in vita, le stava venendo promessa per presentarsi innanzi alla morte.
Ma se, non un pur effimero cenno di esitazione aveva veduto protagonista la donna guerriero, avventuriera e mercenaria, in quel proprio ultimo miglio, non lasciando trasparire alcuna particolare agitazione, alcuna particolare angoscia nel confronto con tutto ciò, con la propria condanna così come con l’isola inneggiante alla sua morte; parimenti, neppure innanzi all’altare che avrebbe accolto il suo ben poco volontario sacrificio, ella si rese protagonista di una qualche reazione utile a soddisfare la brama di dolore e morte che stava animando chiunque, a partire dalla sovrana di Rogautt per giungere sino all’ultimo dei mozzi suoi sudditi, inevitabilmente in ciò tradendo le aspettative della massa e, in egual misura, in identica e precisa proporzione, non tradendo quelle dei suoi compagni, dei suoi alleati. E proprio questi, dal primo all’ultimo, da Noal a Be’Sihl, nel ritrovarsi tutti a essere posti innanzi al suo esempio, non poterono che costringersi a riconquistare ogni più effimero barlume di autocontrollo per così come, pur umanamente, era stato sino ad allora eventualmente perduto, consci di quanto, da parte loro, sarebbe stato ingiustificabile qualunque smarrimento psicologico, sarebbe stato imperdonabile qualunque cedimento all’isteria, in uno sconforto al quale, palesemente, ella non aveva accettato di arrendersi; affinché, se pur quella avesse avuto a intendersi qual la loro ultima ora, gli dei li avrebbero visti affrontarla con fierezza degna dell’intera vita che ognuno fra loro aveva vissuto sino a quel giorno, in misura tale che alcuna esitazione, alcuna incertezza, avrebbe potuto contraddistinguerli nell’istante in cui sarebbe stato loro richiesto di emettere un giudizio sul fato delle anime immortali di quei valorosi.
Quasi, in tutto ciò, ella avesse quindi colto la reazione dei suoi compagni alla propria comparsa, la risposta dei suoi amici, alleati, fratelli e sorelle, alla propria apparizione al cospetto dell’intera Rogautt e di tutti i suoi sanguinari abitanti, Midda Bontor si riservò la possibilità di voltarsi, per un lungo istante, verso gli stessi, per volgere a loro i propri occhi color ghiaccio e, dopo aver tratto un profondo respiro, destinare a loro quelle che avrebbero potuto essere le proprie ultime parole, le proprie ultime asserzioni in vita, frasi che, in un tanto tragico contesto, ella scelse allora addirittura di cantare, rendendo proprie le note e le strofe di un’antica ballata…


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