11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

www.middaschronicles.com
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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

mercoledì 7 agosto 2013

2025


« Dei… »

Nel momento in cui le solide forme di quell’ascia si infransero in un’esplosione di schegge, che ebbero a riversarsi come una scintillante pioggia metallica lì attorno, nel mezzo di tanti, troppi dubbi, domande e incertezze sul futuro, e su quanto nell’immediato sarebbe potuto essere riservato a tutti loro; all’attenzione di chi lì presente per assistere a quegli eventi, a quei drammatici sviluppi, non fu altro che la potenzialmente tragica consapevolezza di quanto, ormai, l’Ucciditrice di Dei fosse rimasta disarmata. E disarmata innanzi alla propria nemesi, alla propria avversaria, alla propria nemica che troppo facilmente, in quel momento, alla luce di ciò, avrebbe potuto pretendere la sua vita offerta in sacrificio al proprio nome, alla propria gloria, sola e ineluttabile conclusione di quell’insano gioco al massacro, di quella battaglia forse protrattasi anche per troppo tempo, nel considerare i trent’anni trascorsi, i trent’anni di lunga attesa per giungere a tutto ciò.
Una consapevolezza, quella in tal modo immediatamente diffusasi, che non avrebbe potuto evitare di essere propria anche della stessa Nissa, la quale, malgrado la tragica epicità di quel momento, non esitò neppure per un istante, non si concesse un solo, effimero attimo di attesa prima di agire, in quella parentesi che, ove la loro fosse stata una drammatica ballata, ella non avrebbe potuto pur tradire, non avrebbe potuto pur ignorare, nel rispetto del proprio ruolo e dell’intensità di un tanto sanguinoso epilogo. Ciò non di meno, non essendo la protagonista di una canzone, di una qualche sonata, la signora di tutti i pirati dei mari del sud non avrebbe potuto ignorare la pericolosa certezza di quanto, allora, anche il più semplice momento di esitazione, fosse conseguente a un mero addio riservato alla sorella, alla propria gemella, avrebbe potuto garantirle una qualche possibilità di riscossa, tale da capovolgere completamente le sorti di quanto in atto, in una misura che, personalmente e sinceramente, avrebbe preferito evitare di sperimentare.
Così, nel contempo in cui quella semplice e comune esclamazione rivolta agli dei tutti venne scandito sulle labbra dei più, in larga parte compagni e alleati della stessa Midda Bontor, premura della sua candidata assassina fu quella di lasciar roteare il proprio lungo tridente, per poter rivolgere, allora, la sua terrificante triplice estremità in direzione del proprio nuovo obiettivo e, immediatamente, affondare verso il medesimo, con la stessa freddezza e lo stesso controllo di un pescatore innanzi alla propria preda, a una preda da colpire e, immediatamente, uccidere, nell’incertezza di poter godere di un secondo tentativo, di un nuovo momento utile a tale scopo…

« … Thyre… ahh! »

Una preghiera, o forse una bestemmia, fu quella che, impietosamente, ebbe allora a mutarsi in uno straziante grido di dolore, un urlo di sofferenza, che esplose dalla gola della Figlia di Marr’Mahew con la stessa furia con la quale il suo sangue, in contemporanea, esplose violento e travolgente al di fuori del suo corpo, in uno spettacolo di morte nel quale, purtroppo, alcun futuro avrebbe potuto essere garantito.
Ciò non di meno, per quanto sangue e per quanto dolore il suo fu, simile tributo non rappresentò, ancora e fortunatamente l’epilogo della sua esistenza mortale, così come anche la sua stessa antagonista e nemesi ebbe allora ragione di cogliere, non senza un certo moto d’insofferenza, di delusione per quanto lì appena occorso e, soprattutto, per quanto lì non era, alfine, avvenuto. Perché, in ubbidienza a un innato, e per lunghi decenni incredibilmente sviluppato, istinto di sopravvivenza, la mercenaria non era rimasta impassibile innanzi a quella sentenza, a quella condanna, ma, ricorrendo alla propria ultima risorsa, o, per lo meno, a quanto rimastole di quell’arto che un tempo era la propria prima risorsa, aveva sollevato quanto ancora rimastole della propria protesi in nero metallo dai rossi riflessi, schierandola innanzi a sé qual scudo.
Uno scudo che, a giustificazione del dolore e del sangue, era stato tristemente infranto dall’impeto di quella triplice punta, ritrovando non soltanto il metallo a essere straziato, ma ancor più, e soprattutto, la carne  e le ossa al di sotto del medesimo, quel residuo d’arto che, malgrado la mutilazione impostale vent’anni prima, le era ancora rimasto, da sempre celato al di sotto di quell’armatura tenebrosa. Carne e ossa che, poco sotto la sua spalla, nell’estremità superiore di tale arto, erano stati travolti senza pietà alcuna da quell’aggressione, ritrovandosi a essere non soltanto praticamente trapassati da parte a parte ma, addirittura, quasi segati di netto, così come nessun’arma, se non quella, con la propria speciale lega, avrebbe potuto sperare di ottenere, avrebbe potuto illudersi di conquistare.
Ferita, quindi, e probabilmente ferita a morte, laddove se quell’emorragia non fosse stata arginata, presto ella sarebbe morta per dissanguamento. E, ciò non di meno, ancora viva. Ancora viva per combattere, ancora viva per tentare, un’ultima volta, di opporsi al trionfo della propria gemella.

« Maledetta! » imprecò la sovrana, storcendo le labbra verso il basso a lasciar trapelare tutta la propria frustrazione per quel parziale fallimento, prima di sforzarsi per ritrarre la propria arma da lei, al fine di rimediare, immediatamente, a quella mancanza « Non riesci neppure a morire come sarebbe dignitoso che tu compissi. Maledetta… maledetta… per tre volte maledetta! » definì, nel contempo in cui, proprio malgrado, si scoprì impossibilitata a riottenere controllo sul proprio tridente.

Perché, al di là di quanto straziante avrebbe potuto essere il dolore in quel momento, in quel frangente, tale da spingerla a pregare affinché quanto rimastole del proprio arto destro venisse del tutto separato dal suo corpo nella speranza di riuscire a porre minimamente a tacere tanta pena, sì roboante all’interno della sua mente in misura tale da lasciarla a dir poco stordita; Midda Bontor, con le proprie ultime energie, con le proprie ultime forze, stava lì sforzandosi, con l’aiuto della propria mancina, di lì trattenere immobile l’arma nemica, a ovviare alla possibilità, per lei, di rientrarne in possesso e, in ciò, completare quanto iniziato, concludendo, alfine, la loro sfida.
Un gesto, il suo, che all’attenzione della sua gemella, e assassina, non avrebbe potuto che risultare del tutto privo di ragione, di fondamento, nel non potersi comunque riservare alcuna possibilità di sottrarsi all’inevitabile e, ciò non di meno, la vide allora fermamente impegnata, e impegnata, apparentemente, al solo scopo di andarle comunque contro, sino all’ultimo…

« Tale è quindi il tuo disprezzo verso di noi, sorella?! » richiese possibilità di spiegazioni Nissa, ancora sforzandosi di ritrarre a sé la propria arma, quasi essa fosse diventata una sorta di ludo con il quale intrattenere due bambine, in termini che avrebbero potuto essere considerati addirittura ironici se non fossero stati incredibilmente tragici « Tale è quindi la tua avversione a nostro discapito, in termini che ti preferiscono accogliere lentamente la morte quale conseguenza delle ferite riportate, qual ineluttabile traguardo del dissanguamento ormai inarrestabile, ancor prima che accettare la grazia che soltanto noi potremmo concederti, nell’alleviare il tuo patimento e nello spingerti immediatamente in gloria a Thyres? »

Necessariamente concentrata a trattenere in sé, entro i limiti del proprio corpo mortale, quegli ultimi cenni di vita, Midda Bontor non rispose, e, ciò non di meno, non allentò la presa, non le restituì la propria arma, facendo sì che il proprio sangue potesse scorrere lungo tutta la sua impugnatura sino alle mani di colei che lo avevano preteso, allorché offrirle vittoria, concederle quella soddisfazione che, se solo gli dei fossero stati con lei, non le avrebbe mai concesso. Gli dei e… qualcun altro.

« E sia… » acconsentì la signora dell’isola « Se questo è il tuo gioco, che ci possa essere offerta l’occasione di giocarlo insieme. » soggiunse, nel mentre in cui, a contorno di tutto il dolore allora vissuto, a contrastare gli sforzi della Figlia di Marr’Mahew ebbe allora a imporsi anche uno sgradevole formicolio, un formicolio che vide coinvolta la ferita e tutto il suo braccio non qual conseguenza della vita che la stava abbandonando, quanto e piuttosto di qualcos’altro, e, nella fattispecie, di una nuova scarica di energia che, in quell’arma, stava venendo condensata, per poterla allora investire in pieno, in un impeto che, da distanza sì ravvicinata, l’avrebbe probabilmente vista letteralmente deflagrare, esplodendo in dozzine di frammenti di carne e ossa, grondanti sangue.


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