11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

venerdì 16 agosto 2013

2034


Sono nata quarant’anni fa. Mese più, mese meno.
Sono nata in una piccola isola di nome Licsia, nell’estrema periferia meridionale del vasto regno di Tranith, la maggior superficie del quale si è da sempre estesa più nelle immensità dei mari che nei ridotti spazi continentali là dove, ciò nonostante, vive la maggior parte del genere umano.
Figlia di una famiglia di pescatori, ho condiviso i primi dieci anni della mia vita, in ogni loro singolo istante, con una sorella gemella a me identica. Una sorella che mi era amica, complice e confidente. Una sorella che in me aveva riposto sogni e speranze. Una sorella che, ciò non di meno, non mi sono serbata scrupolo alcuno a tradire. E nel tradirla, ho scelto il modo e il momento peggiore. L’ho tradita fuggendo nelle tenebre della notte, abbandonandola sola nella nostra camera da letto. E l’ho tradita un anno prima che nostra madre, prematuramente e inaspettatamente, scomparisse.
E benché non avrebbe potuto essermi attribuita, in alcun modo, una qualche responsabilità per la morte di nostra madre; la mia condizione di triplice spergiura non mi ha garantito pietà alcuna innanzi al giudizio della mia gemella. Così, quando dopo due anni ho fatto ritorno, ormai fanciulla e marinaio, alla mia isola e alla mia famiglia, alcuna amichevole accoglienza mi è stata offerta. Anzi. Trovando intollerabile poter riconoscere il proprio stesso viso sul mio, la mia rabbiosa sorella ha tentato di strapparmi la faccia dal cranio, il volto dalla testa… letteralmente: un’ipotesi per lei allora priva di possibilità di successo e che, ciò non di meno, non la volle vedere qual sconfitta.
Esiliatami volontariamente dalla mia terra natale e da quanto rimasto della mia famiglia, per il dolore di quanto ho compreso essere stato da me causato, ho vagato ancora qualche anno per le vie del mare, diventando una giovane donna e una giovane donna innamorata, accanto al bambino, divenuto uomo, con il quale avevo condiviso quella nuova stagione della mia vita, prima di rincontrare la mia gemella. E quanto tale momento di riunificazione ci ha vedute protagoniste, ciò non ha condotto a un risultato migliore rispetto a quello della precedente occasione, dell’ultimo nostro incontro. Anzi. Mia sorella, colei che un tempo mi era amica, complice e confidente, aveva scelto di unirsi a una ciurma di pirati per riuscire a conquistare una qualche possibilità di vendetta in mio contrasto e, non paga, ne era divenuta addirittura capitano. Dallo scontro che ne seguì, io uscii spiacevolmente sconfitta, con una orribile cicatrice a dividermi il volto, in corrispondenza del mio occhio sinistro, e, peggio ancora, il ventre squarciato. E benché allora sopravvissi, tale ferita mi segnò per sempre, negandomi qualunque speranza di poter divenire un giorno madre.
Vittima di un anatema scagliato contro di me dalla mia stessa gemella, fui costretta a lasciare le vie del mare lungo le quali ero vissuta sino ad allora, nel desiderio di evitare che la furia della mia nemesi potesse rivalersi su coloro che più mi erano cari, primo fra tutti il compagno che, allora, abbandonai. Fu in quel momento, in quel frangente, però, che la mia vita ebbe, ove possibile, ancor a peggiorare, nel ritrovarmi colpevolizzata, in luogo a mia sorella, di reati di pirateria, per i quali, nella città di Kirsnya, venni condannata a morte. Esecuzione che, per iniziare, mi vide amputato il braccio destro, quello attorno al quale tutta la mia esistenza, sino a quel momento, si era concentrata. Ciò non di meno, riuscii a scappare.
Pur sfregiata, resta sterile e mutilata, oltre che esiliata dal sol genere di esistenza che avevo mai desiderato vivere; mi rifiutai di cedere innanzi alla sorte avversa. E, al contrario, mi impegnai oltremodo per riconquistare la dignità perduta e, soprattutto, la mia autodeterminazione. Per effetto di un empio patto con un’antica razza dimenticata dall’umanità, ottenni un nuovo arto destro, in nero metallo dai rossi riflessi, e, nello scoprirlo tuttavia completamente inutilizzabile nel delicato giuoco di forze necessario per maneggiare una spada, mi riaddestrai al fine di divenire mancina, anche laddove gli dei mi avevano voluto destrorsa.
Fu in tal modo, quindi, che dopo un paio di cicli stagionali, all’età di vent’anni, mi presentai in quel di Kriarya, città del peccato del regno di Kofreya, per lì tentare la sorte in una nuova professione, qual avventuriera mercenaria. E nella fiducia riconosciutami da un giovane mecenate, che in me volle vedere qualcosa di più di una prosperosa donna con la quale impegnarsi nelle più appassionate attività fra le lenzuola; ebbi occasione di compiere la prima impresa, l’uccisione di una chimera, con la quale alimentare la leggenda che, attorno al mio nome, da quel giorno iniziò a crescere e a diffondersi.
Per dieci lunghi anni restai lontana dal mare e, con esso, dalla mia vita passata, dedicando ogni mia energia, ogni mio sforzo, al fine di offrire un nuovo senso alla mia quotidianità, alla mia stessa esistenza mortale, nel recuperare reliquie perdute, nel combattere mostri ritenuti invincibili e nell’affrontare qualunque genere di sfida mi venisse posta innanzi. Per dieci anni mi illusi di poter dimenticare quanto accaduto prima d’allora, quanto occorso in quel drammatico passato, con mia sorella… contro mia sorella. Purtroppo, però, alfine scoprii come non fosse possibile fuggire per molto ai conti rimasti in sospeso. E non appena commisi l’imprudenza di poter tornare a solcare i mari, fosse anche per un semplice viaggio verso nord volto a riaccompagnare a casa una giovane donna; il prezzo della mia superficialità fu pagato dallo stesso uomo per salvare la vita al quale avevo cercato una vita da eremita, perdendomi nel continente e prestando attenzione a mantenermi il più possibile lontana da quell’elemento che per ma avrebbe dovuto considerarsi natio.
Malgrado più di un decennio fosse allora trascorso dal nostro ultimo incontro, la mia gemella, la mia nemica, non aveva ancora perduto interesse nei miei riguardi. Al contrario, dall’alto di una straordinaria posizione di potere, da lei meritatamente conquistata in quegli stessi anni e tale da condurla a essere, addirittura, sovrana di tutti i pirati dei mari del sud, nonché di un’isola di nome Rogautt, eletta a capitale del proprio dominio; ella venne ispirata a riprendere aperta offensiva nei miei riguardi, violando, persino, le regole da lei stessa stabilite e spingendosi a violare il mio nuovo territorio, per ferire e uccidere le persone a me più vicine, da me più amate.
Al suo fianco, quasi il potere da lei in tal modo accumulato con le sole proprie forze, con la sola propria straordinaria determinazione, non avesse a doversi riconoscere qual più che sufficiente per rovinarmi l’esistenza; ella ebbe occasione di trovare altre due potenti alleate, uno spirito e un’entità che, per mia colpa, nel corso di quella che volli considerare una semplice missione come altre, erano stati liberati dalla prigione in cui, per secoli, avevano riposato. Ma, in tal modo forte della possibilità di spingere la propria minacciosa ombra sul mondo intero, la mia gemella commise l’errore di considerare me stessa quale propria, unica e sostanziale nemesi, quale solo ostacolo fra lei e il dominio del Creato intero.
Come io stessa ebbi occasione di scoprire il giorno in cui mi fu concesso un indegno surrogato in sostituzione al mio perduto arto destro, ogni scorciatoia, ogni stregoneria volta a piegare a sé e ai propri capricci la realtà, prevede sempre un terribile prezzo da pagare. Un prezzo che, per qualche stolido, qual io stessa sono stata in gioventù, nella speranza di poter rimediare alla mutilazione subita, può essere considerato equo, giusto, accettabile; ma che, presto o tardi, dimostra sempre tutti i propri limiti, tutta la propria tragica essenza, sino a negare, nel migliore dei casi, ogni beneficio offerto, o, nel peggiore, ogni speranza di vita. E se, mia sorella, accettò di lasciarsi plagiare dall’idea di quanto semplice, di quanto facile, di quanto banale avrebbe potuto essere raggiungere i propri obiettivi, i propri risultati, ricorrendo al potere delle proprie empie alleate; il destino impietoso si mosse contro di lei, per presentarle un terribile saldo.
Un saldo che, alla fine, l’ha veduta costretta a uccidere il suo primogenito, reo di non essere più in grado di riconoscere, in lei, la stessa amata madre che lo aveva cresciuto, che lo aveva nutrito e protetto per venti, splendidi anni di vita. E nell’insopportabile dolore della morte del frutto del suo seno, ella ha accettato di lasciarsi morire contro la mia stessa spada, nella speranza, in ciò, di punire coloro realmente colpevoli di tale tragedia, quello spirito e quell’entità che di lei si erano serviti per i propri scopi, nel conseguimento dei quali non si erano posti scrupolo alcuno a farle immergere le mani nel sangue del proprio sangue.
Ma se mia sorella è morta; sopravvissuti sono altresì coloro che per mia responsabilità, per mia colpa, sono stati liberati dalla propria prigione, dalla letale trappola in cui erano rimasti relegati per secoli, ponendo al sicuro l’umanità e l’intero Creato da ogni loro brama di dominio e di distruzione. E ora, che io lo possa esserne lieta o meno, è mio compito dare loro la caccia, per vendicare la mia famiglia, per vendicare me stessa e, soprattutto, per evitare che interi mondi possano essere distrutti in conseguenza a un loro semplice capriccio, per loro mero sollazzo.
Così come, ancora bambina, sono stata pronta a partire senza nulla in mano, in un viaggio che, indubbiamente, avrebbe dovuto essere riconosciuto più grande di me, e destinato a portarmi alla scoperta di una realtà per me allora del tutto inimmaginabile; oggi, trent’anni dopo, sono nuovamente pronta a lasciarmi ogni cosa alle spalle, in termini che mai, come ora, hanno da essere riconosciuti qual estremamente reali, concreti e del tutto privi di qualunque possibilità di metaforica enfasi. Perché, nel fuoco di vita della mia più potente alleata, la fenice, io sto per abbandonare non soltanto le terre nelle quali ho vissuto in questi ultimi vent’anni, ma, con esse, ogni altra terra attigua, ogni altra terra appartenente al mio mondo, per spingermi oltre i confini del medesimo, verso il cielo infinito e, oltre a esso, le stelle lucenti, là dove il mio destino mi attende, là dove avrà a proseguire una guerra per me tutt’altro che finita e, al contrario, soltanto iniziata.
In questa occasione, tuttavia, non desidero commettere lo stesso errore che già ha contraddistinto e segnato la mia intera vita, nel tradire e nell’abbandonare chi mi ama. Chi, negli ultimi vent’anni, è stato mio amico, complice e confidente, e, negli ultimi cinque anni, mio compagno e amante. E a rinnovata dimostrazione di quanto io non desideri credere nella predestinazione, in una storia già scritta per ognuno di noi a partire dal giorno della nostra nascita sino al momento della nostra morte; e benché una visione del futuro che mi attende, per intercessione di una coppia di antichi scettri, mi abbia mostrato sola in questo nuovo viaggio, così come sola ho sempre voluto essere in ogni altra mia avventura; il mio compagno e amante, l’uomo con il quale ho deciso che condividerò quanto resta ancora della mia esistenza mortale e, che gli dei lo vogliano o meno, anche il resto dell’eternità, verrà con me, in questo viaggio alla conquista del cielo e di tutte le stelle.
Qualcuno potrebbe far maliziosamente notare che un amante non ha lo stesso valore di una sorella. E altri, magari più informati sui fatti, e nel merito dello spirito del semidio immortale che si trova attualmente ospitato all’interno della medesima mente del mio compagno, che per una strana sequenza di circostanze è anche il mio non propriamente amato né desidero sposo; potrebbero insinuare che la mia scelta derivi, unicamente, dalla volontà di mantenerlo sotto controllo, a ovviare al rischio che, in mia assenza, nel mentre in cui io vagherò fra le stelle, quello stesso sgradito inquilino possa prendere in controllo e, magari, ambire a imporre un qualche ben poco originale predominio sul mio mondo.
Che dire? Si pensi quello che si vuole. Per intanto, però, il mio uomo viene con me.
Sono nata quarant’anni fa in una piccola isola di nome Licsia. Da allora ho combattuto, ho amato, ho trionfato e ho perduto. E ho esplorato vasta parte del mio mondo. Ora, sono in procinto di spingermi oltre…
… molto oltre!
Il mio nome è Midda Bontor… e questa storia è la mia storia.



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