11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

giovedì 31 ottobre 2013

2085


Per nostra fortuna, così come ancora, in quel frangente, non ci stava venendo offerta possibilità di giusta considerazione, a nostro vantaggio avremmo comunque dovuto prendere in esame una risorsa sino ad allora ingiustamente trascurata e che pur, ancor prima di Nero, aveva offerto riprova di sapersi muovere con non minore confidenza, rispetto a lui, all’interno del sistema, senza neppure forzarne le regole, ma ciò non di meno aggirandone i vincoli con la grazia di un ombra nella notte…
… e sì. Ovviamente mi sto riferendo proprio alla nostra amica ofidiana, che più avevamo rincontrato da quella sera proprio nelle stesse docce ove ci aveva poi offerto visita il nostro comune antagonista, e che, ciò non di meno, con una non casuale scelta di tempi, non mancò di tornare a noi proprio il giorno seguente a questi ultimi eventi, sorprendendoci, addirittura, nel corso della sosta offertaci dalla pausa pranzo.

« Per fortuna state bene… » esordì, sorprendendoci, come ormai di consueto, nel sorgere inattesa e imprevista alle nostre spalle, sbucando non vista, né percepita, dai meandri di una galleria in prossimità alla quale Duva ed io ci eravamo accampate a consumare il lauto… sic… pasto offertoci dai nostri anfitrioni, sempre uguale al giorno prima così come sempre uguale sarebbe stato anche nel confronto con il giorno seguente, a contribuire, ancora e ancor più, se possibile, al senso di smarrimento di contatto con la realtà, e con lo scorrere del tempo, lì dentro impostoci « Quando ho saputo che ieri sera Nero vi ha fatto visita, ho temuto il peggio. »
« Lys’sh… » sussultai, quasi mordendomi la lingua in conseguenza alla sorpresa e, forse e ancor più, all’intimo rimprovero derivante dalla consapevolezza di averla resa possibile, nel non essere nuovamente riuscita, mio malgrado, a cogliere il suo arrivo fra noi « Dannazione… ti va bene che sono disarmata o ti saresti potuta già ritrovare con un pugnale conficcato in gola. Per favore: abbiamo compreso che sei brava a muoverti con discrezione… ma non sbucare sempre così all’improvviso! » le richiesi, in maniera estremamente sincera, nonché obiettivamente timorosa per quanto sarebbe potuto avvenire il giorno in cui mi avesse colta con un po’ più di nervosismo in corpo e reazioni un po’ meno rallentate di quanto, comunque, non mi avrebbe necessariamente imposto la stanchezza derivante dalle ore di lavoro in miniera.
« In effetti… » concordò Duva, che non era stata più capace di me a ovviare a un momento di sconcerto per quella comparsa prima di qualunque speranza di preavviso, spiacevolmente utile, in tutto ciò, soltanto a porre alla prova la nostra resistenza, il nostro sangue freddo, in una misura che, tuttavia, avrebbe avuto a doversi considerare del tutto ingiustificata nell’ipotesi dell’esistenza di un buon rapporto fra noi e l’ofidiana, se non, già, di alleanza « Se avessi avuto un’arma, probabilmente ti avrei sparato ancor prima di comprendere chi tu fossi. »
« Uhm… nervosette. » sorrise la giovane donna rettile, non negandosi un certo, palese, divertimento nel confronto con quelle nostre minacce, che, dal suo punto di vista, stavano venendo probabilmente minimizzate a un semplice sfogo, benché, obiettivamente, non prive di una certa fondatezza nel proprio offrirsi « Scusatemi… è che, per i canoni del mio popolo, mi sono mossa in maniera persino troppo chiassosa in questa occasione, senza riflettere su quanto, comunque, la vostra sensibilità sensoriale sia differente rispetto alla nostra. »
« … chiassosa? » esitai, aggrottando la fronte, nell’osservarla di sbieco e nel cercare di comprendere in che misura, allora, stesse volutamente esagerando e in quale, altresì, stesse esprimendosi con onestà.
« Al di là del fatto che olfatto e gusto sono più sviluppati negli ofidiani che negli umani, voi tendete a fare troppo affidamento alla vista, ancor prima che all’udito o al tatto. » mi spiegò, con tranquillità, incrociando le gambe e lasciandosi accomodare a terra accanto a noi, con un gesto spontaneamente elegante, piacevolmente sinuoso « La mia vista, in effetti, rispetto alla vostra potrebbe essere considerata sufficientemente limitata, benché, grazie agli altri quattro sensi, ciò non mi risulti d’ostacolo. »
« Ero convinta che voi ofidiani poteste cogliere gli infrarossi… » osservò la mia compagna di prigionia, con una questione che, se su un fronte ebbe ragione di incuriosirmi e, forse, di intimorirmi, al pesniero di tutto ciò che simile dettaglio avrebbe potuto sottintendere, dall’altro non poté mancare di compiacermi, all’idea di non essere, fortunatamente, l’unica bisognosa di spiegazioni da parte della nostra amica chimera, così come, alla lunga, avrebbe potuto risultare persino spiacevole e frustrante nella propria occorrenza « Mi sbaglio?! »
« Sì. E no. » confermò e nego Lys’sh, spostando l’attenzione fra me e lei, forse nella volontà di non risultare scortese nei confronti dell’una o dell’altra o, forse, nel desiderio di meglio studiarci entrambe, così come, del resto, noi non ci stavamo negando possibilità di studiare lei « Alcuni di noi hanno maggiore sensibilità agli infrarossi, altri no. Io, giusto per dirla tutta, appartengo alla seconda categoria, anche in conseguenza alla mia ascendenza tutt’altro che pura... quindi, se vi state preoccupando per il fatto che possa studiare le vostre emissioni di calore, tranquillizzatevi. Non è così. » sorrise, non tanto con delle labbra per lei fondamentalmente assenti, quanto e piuttosto con tutto il volto, in un gesto che, ove possibile, apparve in ciò persino più sincero e naturale di quanto non avrebbe potuto risultare altrimenti « Comunque sia... e non per cambiare discorso… volete dirmi come è andata con Nero? Cosa voleva da voi?! In giro si iniziano a raccontare un po’ di storie… ma nessuna a cui mi sono sentita di offrire peso, malgrado non possa ancora asserire, in fede, di conoscervi a sufficienza da poter escludere categoricamente qualcosa.. »

Non avendo, in verità, motivazioni valide a escludere una risposta sincera a tale quesito, Duva e io riferimmo, per filo e per segno, gli eventi per così come occorsi e per così come, anche, in questa sede ho avuto premura di riportare per iscritto. Nel mentre di ciò, devo ammetterlo, trovammo in Lys’sh un’ascoltatrice attenta, che non soltanto seguì con trasparente interesse quanto le riportammo ma, anche, ebbe occasione di riservarsi opportunità di porre domande indicate al momento più opportuno. Così come, quando, alfine, da parte mia non poté mancare un interrogativo nel merito dell’effettiva identità del nostro antagonista, non tanto in termini di nome o cognome, quanto e piuttosto di informazioni biografiche utili a contestualizzare meglio chi egli fosse e qual genere di individuo avesse a doversi considerare.
E dal momento che, personalmente, ho sempre ritenuto di fondamentale importanza conoscere il proprio nemico, sia questi mortale o immortale, uomo o bestia mitologica; la possibilità di godere di qualche dettaglio in più in merito a quella figura ancor ammantata da uno sgradevole velo di mistero, non avrebbe potuto evitare di sollazzarmi, in misura tale da rendermi più che grata nei confronti della giovane ofidiana al punto da poterla perdonare, senza esitazione, non solo per la sorpresa impostaci in quell’ultima occasione, ma anche in quella precedente e, sulla fiducia, pur per quella che, mi sentivo già certa, non sarebbe mancata di occorrere in futuro.

« Il suo nome è Kirthar Voor Lonnegerth, per quanto preferisca farsi chiamare semplicemente Nero, nella speranza, in questo modo, di far dimenticare quella che considera qual impurità nel proprio sangue, nella propria genealogia. » iniziò a spiegare, partendo ovviamente dal suo nome, in quell’ordine psicologico tipico di questo genere di introduzioni, quasi come se, conoscendo tale dettaglio, sarebbe potuta essere, in Duva o me, maggiore confidenza con lui « Per quanto, infatti, lo rinnegherà sempre e comunque, egli altri non è che il pronipote del celebre Joohna Voor Lonnegerth, un umano, ex-capitano di fregata della flotta dei Nove Mondi che, dopo la caduta dell’Impero delle Rose, era divenuto un corsaro. »
« Lo conosco… » dichiarò la mia amica, offrendo, indirettamente, ragione alla scelta di Lys’sh di iniziare a parlarci di Nero dal suo nome e, in ciò, dalla storia della sua famiglia, tutt’altro che prima di un’importanza storica, a quanto in tal modo specificato « … cioè, non personalmente ovvio. E’ vissuto oltre due secoli fa. Ciò non di meno, è stato uno dei maggiori protagonisti del proprio periodo storico… nonché uno dei più celebri corsari di sempre. Era conosciuto come il Corsaro della Rosa Scarlatta, proprio in ricordo della sua partigianeria in favore dello scomparso Impero. » definì, a spiegazione della propria affermazione « Tuttavia, ignoravo il fatto che avesse avuto un figlio… e, soprattutto, che lo avesse avuto da una chimera… » soggiunse poi, meditabonda attorno a tale dettaglio.

mercoledì 30 ottobre 2013

2084


« … allora? Che opinione ti sei fatta?! »

A richiedere il mio parere, ovviamente, fu la voce della mia compagna di prigionia che, quella sera, giungendo dalla branda sotto la mia, mi trovò sorprendentemente ancora sveglia. Sveglia, per lo meno, quanto anche lei lo era nel confronto con un’inattesa capacità a prendere sonno, ad affidarsi al riposo dei giusti malgrado la stanchezza derivante da troppe ore di lavoro e, se possibile, ancor più conseguente al confronto con Nero, nel quale avrebbe dovuto esserci imposto il fatidico colpo di grazia, tale da assicurarci un’occasione di profondo riposo forse e persino privo di sogni a margine, privo di distrazioni di sorta a corredo. Al di là della stanchezza fisica, tuttavia, proprio il confronto avuto con quella strana chimera non avrebbe potuto ovviare a lasciarci entrambe decisamente meditabonde e, in questo, impossibilitate ad affidarci in termini eccessivamente banali, semplicistici, al riposo entro il quale pur avremmo desiderato cercar rifugio. Perché, non tanto per il combattimento occorso, quanto e piuttosto per le parole a esso conseguenti, entrambe non avremmo potuto evitare di riflettere seriamente sulla possibilità di evadere da quella prigione ai confini dell’universo e, in ciò, ovviare a una condanna che alcuna delle due, francamente, desiderava attendere in maniera passiva, continuando ad affrontare la quotidianità con la stessa indolenza con la quale ci eravamo permesse occasione di confronto in quell’ultima settimana… in quella prima settimana, per me, quantomeno.
Se su un fronte, tuttavia, estremamente ghiotta non avrebbe potuto che apparire l’offerta di Nero, nella prospettiva di riconquistare la libertà perduta; su quello opposto, altresì, tutt’altro che entusiastica avrebbe avuto a doversi considerare l’idea di scendere a patti con un individuo del genere. E non tanto per questioni razziali, che in tal contesto avrebbero avuto a doversi considerare del tutto ininfluenti, quanto e piuttosto proprio per il soggetto in questione, per il suo modo d’essere e d’agire, nel confronto con il quale né io, né Duva, mia pari, avremmo mai potuto riconoscerci a nostro agio, avremmo avuto ragione di sentirci in sintonia con esse.
Non, per lo meno, senza in ciò rischiare di dover rinunciare a una parte del nostro stesso io, al quale pur, neanche nella prospettiva di una possibile fuga da lì, avremmo avuto desio di privarci…

« Partendo dal presupposto che, nel corso della mia vita, non ho mai considerato un’impresa qual irrealizzabile, una sfida qual insormontabile, il suo piano per uscire da qui non mi pare privo di concrete possibilità di successo… anzi. » ammisi, cercando di offrirmi il più equilibrata possibile, nella mia analisi, nel non voler negare neppure a Nero i propri meriti, le proprie ragioni, soprattutto ove corrette e giustificate come, indubbiamente, avrebbero avuto a doversi riconoscere allora « Ciò non di meno, mi sento pronta a scommettere il mio braccio sinistro che, non appena gliene sarà offerta l’opportunità, soprattutto nel momento in cui sarà raggiunto il suo scopo, egli non mancherà di tradirci… e di abbandonarci a qualche spiacevole fato di morte, senza riconoscerci la benché minima gratitudine per tutta la collaborazione che potremmo essere in grado di offrirgli al di là di ogni differenza di opinioni. » soggiunsi, scuotendo appena il capo, nel non osservare il soffitto sopra le nostre teste soltanto perché impegnata a mantenere gli occhi chiusi, nell’attesa di un sonno che, quella sera, non sembrava effettivamente desideroso di giungere, malgrado le suppliche proprie di ogni singola membra del mio corpo.
« … tu? » domandai poi, senza riformulare l’intera questione, laddove già sufficientemente chiara avrebbe avuto a doversi considerare in tal modo scandita.
« Né più, né meno, quanto hai già detto… » sospirò, dimostrando, forse, una certa insoddisfazione nel confronto con quella sostanziale assenza di possibilità di confronto critico fra noi, che pur, allora, sarebbe probabilmente stata gradita in misura persino maggiore di quanto non avrebbe mai potuto esserlo un parere comune, un’opinione così sostanzialmente sovrapponibile, e tale da rendere quasi vana, in quel frangente, un qualunque dialogo, fra noi, a tal riguardo « E, sinceramente, avrei di molto gradito l’idea di una diversa veduta fra noi, in questa occasione, per poter meglio comprendere in quale strada averci a poter muovere. » proseguì, offrendo voce a quel disagio da me prima soltanto intuito e, in quelle parole, pienamente confermato, tanto nel bene quanto, forse, nel male « … senza nulla voler togliere a questa nostra armoniosa collaborazione, s’intende. »
« Non ti preoccupare… ti comprendo benissimo. » sorrisi, sforzandomi di riaprire gli occhi e, ancor più di lasciarmi girare su un fianco, quanto sufficiente, per lo meno, a sporgermi dal bordo della branda quanto sufficiente a cercare la mia interlocutrice con lo sguardo e, in ciò, a invocare un confronto visivo diretto fra noi, oltre che quel mero rapporto verbale « Sai… nel mio mondo, al di là di ogni mia tendenza ad agire in solitaria, non volendomi concedere troppi affetti per ragioni delle quali, in questo momento, risulterebbe dispersivo parlare, mi sono ritrovata sovente a collaborare con un piccolo gruppo di mercenari, e amici, tutti fra loro estremamente diversi, tanto nel proprio carattere, quanto nei propri pensieri, nelle proprie idee e nelle proprie convinzioni. E per quanto non siano talvolta mancati anche scontri decisamente vivaci fra noi, nel dover porre a confronto spiriti tanto… alternativi l’uno all’altro, la nostra collaborazione ha sempre portato a straordinari risultati, in misura tale per cui, singolarmente, dubito che alcuno di noi sarebbe riuscito a riportare eguale successo. » rievocai, non negandomi una certa malinconia al pensiero di quei compagni ormai così lontani, e che forse mai avrei avuto occasione di rincontrare « E ciò si è reso possibile proprio in conseguenza a ogni nostra differenza, quella varietà di unicità che, trovando la giusta intesa, era in grado di trasformarsi in una straordinaria sinergia… »
« Capisco quello che vuoi dire. » annuì Duva, sorridendo con un’espressione non meno malinconica rispetto alla mia, nello spingere, trasparentemente, il proprio pensiero verso ricordi poi non troppo diversi dai miei, come subito volle evidenziare « E’ un po’ quello che avviene, ogni giorno, a bordo della Kasta Hamina… e, soprattutto, fra Lange e me, quando riusciamo a evitare di disperdere troppe energie in inutili discussioni. » aggrottò la fronte, per un istante critica forse più verso se stessa che verso il proprio ex-marito, nel domandarsi, lo compresi, in quale misura non avrebbe dovuto essere considerata colpa sua quella difficoltà di collaborazione fra loro, senza la quale, tuttavia, forse il loro stesso matrimonio non sarebbe mai venuto meno, così come, altresì, era stato « In fondo, non credo sia stata mai considerata l’abbondanza di alternative un problema, quanto e piuttosto la sua assenza… »
« Giusto. » confermai, in tutto e per tutto concorde con lei, benché, paradossalmente, in quel frangente fosse proprio la nostra perfetta sincronia a rappresentare un potenziale problema di fondo « … ed è proprio per questa ragione che, ora, sarebbe per noi utile riuscire a individuare almeno un’alternativa al piano di Nero, in termini utili a permetterci, se non di ignorare la sua proposta, quantomeno di non essere costrette a correre l’azzardo di fidarci di lui… come, e su questo siamo concordi, non desideriamo in alcun modo pensare di essere obbligate a compiere, soprattutto nostro malanimo. »

Al di là di quanto, tuttavia, potessimo essere allora, e ancora una volta, indubbiamente allineate sull’esigenza di diffidare di Nero e dei suoi propositi, a nostro discapito, nell’analisi di ipotesi alternative a una collaborazione con lui, non avrebbe potuto evitare di sussistere l’evidenza di quanto, purtroppo, entrambe avremmo dovuto ammetterci ignoranti nel suo confronto, in merito alle debolezze strutturali di quel piccolo ecosistema carcerario, con i suoi complessi equilibri interni.
Chiunque fosse Nero, e su questo, è importante ricordarlo, ancora poche informazioni, sostanzialmente alcuna, erano in nostro possesso; quanto appariva evidente, quanto risultava chiaro, era come egli fosse indubbiamente ben inserito all’interno di tale contesto, tanto non semplicemente da conoscerlo ma, addirittura, da poterlo manipolare a proprio piacimento, per i propri scopi, finanche a potersi permettere una certa libertà d’azione che gli aveva consentito quella visita alle nostre docce e che, al momento opportuno, non gli avrebbe di certo negato la possibilità di trovare occasione di breccia nelle difese della prigione, per evadere dalla stessa. Noi, al contrario, ancora entrambe straniere in terra straniera, io se possibile ancor più di Duva, non soltanto non avremmo potuto vantare un’eguale confidenza con tutto ciò ma, ancor meno, avremmo potuto illuderci di aver già maturato sufficiente conoscenza di quel piccolo mondo per poter giuocare in contrasto a esso, e alle sue leggi, alla pari, violandone le limitazioni, superandone i confini, con reale cognizione di causa.

martedì 29 ottobre 2013

2083


Quando, alfine, Nero recuperò consapevolezza di sé e del mondo a sé circostante, devo riconoscerglielo, ebbe a dimostrare maggiore autocontrollo di quello che avrei potuto attribuirgliene, soprattutto a seguito degli eventi appena occorsi. Entro certi versi, quel breve periodo di svenimento, fu per lui sicuramente utile a smaltire le emozioni in eccesso e a concedersi la possibilità di ritornare coerente con l’immagine che, in occasione del nostro primo incontro, aveva offerto di sé.
Per tale ragione, quindi, da parte sua non vi furono né grida rabbiose, né imprecazioni, e neppure, a ben vedere, tentativi volti a cercare libertà dal blocco impostogli dal mio asciugamano, nel limitarsi, banalmente, a restare lì, immobile e ciondolante, quasi ciò avesse a doversi riconoscere quanto di più ovvio esistente al mondo; oppure, e forse persino peggio, quasi ciò non avesse per lui a doversi riconoscere quanto qualcosa per cui sarebbe valsa la pena di prendersela a male, di spendere  una sola parola, un solo insulto, un solo grido, o, ancor meno, un solo gesto. Terza opportunità, che mi volli concedere di prendere subito in considerazione qual la più corretta: nel giudicare l’operato del mio antagonista con il medesimo criterio di valutazione che avrebbe potuto appartenermi ove posta nelle sue identiche situazioni, fu poi quella atta a considerare tutto quello una semplice dimostrazione di forza nei nostri riguardi, nel desiderio di non offrirci soddisfazione alcuna nei termini che, altresì, avrebbero potuto ritrovarci più appagate.
A prescindere dalle ragioni per le quali egli ebbe a comportarsi come si comportò; quando Nero recuperò coscienza, si limitò, semplicemente, a spalancare gli occhi, e a volgere il proprio sguardo prima in direzione dei propri piedi bloccati, poi del pavimento al di sopra della propria testa e a debita distanza da ogni possibilità di contatto per le proprie mani, infine verso di noi che, doccia conclusa, lo stavamo attendendo con pazienza, certe, quella sera, di poter avere molto più del tempo abitualmente a nostra disposizione per la doccia, ove la sua presenza fra noi avrebbe potuto significare, solamente, un nuovo coinvolgimento delle guardie carcerarie in suo sostegno, in suo appoggio, tale da escludere, pertanto, tempistiche ristrette a suo… e, quindi, nostro discapito.

« Il fatto che io sia ancora in vita, e che voi siate lì, immobili, in mia attesa, ritengo abbia a considerarsi qual evidenza di un desiderio di confronto verbale con me, in misura non inferiore rispetto a quello che, pocanzi, io ho espresso nei vostri riguardi. » scandì, con maggiore serenità possibile, visto e considerata la sua posizione, e lo spiacevole accumularsi del sangue nel cervello « Bene. » annuì, concedendosi, addirittura, un sorriso sornione in tal senso « Vorrà dire che sarà mia premura, ora, dimostrarvi quanto diverso possa aversi a considerare diverso il comportamento di un esponente di una razza superiore, qual la mia, rispetto a quello di una razza violenta e barbarica, qual la vostra. »
« Quasi mi mancava un delirio razzista da parte sua… » suggerii, non tanto rivolgendomi direttamente a lui, quanto e piuttosto a Duva, che, per nostro precedente accordo, era stata scelta al fine di interloquire con il nostro ospite, forte di quella pur minimale diplomazia che, purtroppo, a me difettava quasi completamente e che, per quanto sarei stata comunque capace di offrire buon viso a cattivo giuoco ove necessario, mi avrebbe allora preferita veder impegnata a prendere a calci quel volto di tenebra, almeno quanto sufficiente a cancellargli ogni traccia di sorriso « … peccato non abbia farcito il tutto con qualche insulto al nostro sesso, giusto per gradire. » soggiunsi, sospirando, e decidendo, in ciò, di incrociare le braccia al di sotto dei seni giusto per mantenere sotto controllo anche le mie mani, così come già, obbligatoriamente, lo erano le gambe, nel mostrarmi allora seduta a terra, al pari della mia compagna di prigionia, e a un’altezza allora utile a confrontarci in maniera comoda con il nostro antagonista.

Al di là del mio sfogo, se non necessario, comunque in parte richiesto dal contesto e, soprattutto, dal desiderio di non offrirmi del tutto passiva innanzi a Nero dopo essere stata, fondamentalmente, salvata dall’intervento di Duva a fronte di una situazione di spiacevole difficoltà; da parte della mia compagna e, allora, interlocutrice eletta, non vi fu evidenza di volontà alcuna di replica nei miei confronti né, parimenti, da me fu allora attesa, non desiderando in alcun modo, in alcuna misura, ripetere nuovamente il giuoco nel quale già ci eravamo impegnate in precedenza e che pur, all’atto pratico, aveva infine offerto i propri frutti. Ormai, Nero, da possibile carnefice era stato lì ridotto al ruolo di vittima e, in ciò, alcun nuovo impegno atto a suscitare in lui nervosismo o ira avrebbe pertanto avuto senso.
Così, allorché replicare al mio indirizzo, la mia amica fece proprio il ruolo concordato e offrì tutta la propria attenzione, tutto il proprio riguardo, in direzione del nostro ospite, a lui rivolgendosi con non minore quiete e formale cortesia rispetto a quanto da lui appena ottenuta…

« Signor Nero. » riprese, ricorrendo ancora una volta a quella particolare declinazione per abituarmi alla quale mi ci sarebbe voluto, indubbiamente, molto tempo, proponendosi quale concreta, e forse incolmabile, differenza linguistica fra l’educazione di una vita intera e qualcosa, allora, di completamente alieno, in misura forse persino superiore all’idea stessa di viaggi attraverso lo spazio e le stelle, laddove, nel mio mondo, persino ai sovrani e a qualunque aristocratico signore, non sarebbe mai stata rivolta una forma dialettica diversa da quella destinata all’ultimo fra tutti i pezzenti « Al di là di una banale dimostrazione di superiorità nei nostri confronti, e con essa lo sfoggio di quante risorse siano in suo possesso anche all’interno di questa struttura carceraria benché lei abbia a dover essere riconosciuto comunque un prigioniero, né più, né meno rispetto a noialtre; voglio credere che, alla base della sua inattesa visita, avesse a doversi riconoscere qualcosa di più profondo. » premesse, prima di giungere al punto « Prima ha accennato a un’alleanza… che genere di alleanza? E, soprattutto, per quale scopo…?! »
« La prego, signora Nebiria, di non voler offendere la sua stessa intelligenza con domande di cui, sono certo, possa essere per lei estremamente semplice giungere in maniera autonoma a una risposta più che consona, assolutamente adeguata e del tutto corretta. » replicò pertanto l’interrogato, continuando a sorridere apparentemente sereno, e sforzandosi di apparire, se possibile, ancor più tale nel risollevare le mani in direzione delle tasche della propria uniforme carceraria, per lì infilarle al fine di assumere una postura, se possibile, più naturale rispetto a quella che, sino a quel momento, lo aveva veduto pendere come un manzo al gancio del macellaio « Del resto, come ha appena sottolineato, al di là di quanta autorevolezza sia stato in grado di conquistare all’interno di questo istituto di pena, quanto purtroppo ha comunque a doversi considerare indubbio è il fatto che io, qui, nulla sia di più che un semplice carcerato vostro pari, mentre là fuori molte… addirittura troppe questioni attendono la mia supervisione, il mio coinvolgimento in prima persona. » argomentò, esprimendosi a partire dal presupposto che, da parte nostra, vi potesse essere una qualche consapevolezza nel merito di chi egli fosse e di quanto stesse narrando, benché, almeno personalmente, sino a quel momento non mi fosse stato fornito alcun dettaglio a tal riguardo « Quindi… » soggiunse, lasciando volutamente in sospeso la frase.
« Quindi lei sta cercando in noi delle alleate utili a pianificare un’evasione da qui. » concluse Duva, socchiudendo appena gli occhi e osservando con rinnovato interesse il nostro interlocutore, non potendo di certo sottovalutare l’importanza di quelle parole.
« Pianificare… no. » scosse il capo Nero, escludendo quietamente simile eventualità « Il piano già esiste e, senza nulla voler pregiudicare delle vostre… capacità strategiche, non ritengo che voi due possiate offrire qualche particolare valore aggiunto alla definizione del medesimo. » escluse, ribadendo in ciò, al di là delle sue stesse parole per così come appena pronunciate, tutto il proprio pregiudizio a nostro discapito, nel non prendere neppure in esame l’eventualità secondo la quale due donne, e donne umane, potessero contribuire in qualche modo a un compito volto a sfruttare in maniera positiva il proprio intelletto « Ciò non di meno, a oggi, ciò di cui sono, mio malgrado, rimasto carente, ha da intendersi proprio la presenza di collaboratori sufficientemente abili da poter permettere a tale piano di essere condotto a compimento senza che si abbia a trasformare in un colossale fallimento. Collaboratori… scusatemi, collaboratrici… che, in voi, credo proprio di aver altresì individuato. »

lunedì 28 ottobre 2013

2082


« Soliti uomini… » commentai, non riuscendo a evitare di ironizzare nel merito di quella situazione, non tanto nella volontà di distrarlo, quanto e piuttosto in quella di negare alla mia mente qualunque occasione di panico, per quanto giustificabile « … prima vi fingete tanto superiori, e poi, appena possibile, non disdegnate la possibilità di sdraiarvi sopra di me, sperando di averla vinta. » soggiunsi, volutamente allusiva sebbene, in quel frangente, difficile, realmente difficile, sarebbe stato riuscire a individuare una qualche malizia in quanto stava lì accadendo, al di là del fatto che io fossi nuda e lui, razza a parte, fosse un uomo effettivamente sdraiato su di me.

Che quelle parole avrebbero potuto riservarsi occasione utile a riconoscermi salva la vita, obiettivamente, non lo avrei mai potuto né sperare né immaginare. Che quelle parole ebbero modo di riservarsi occasione utile a riconoscermi salva la vita, paradossalmente, fu soltanto e semplicemente vero.
Perché, al di là di ogni possibile giuoco, al di là di ogni possibile beffa a esse associabile, nel confronto con le medesime, e con il loro non eccessivamente velato significato, Nero si riservò un istante di esitazione. Un istante di esitazione che, come sempre nel cuore di un combattimento, e di un combattimento a ritmo serrato qual quello lì in corso, ebbe ragione di segnare in maniera netta e incontrovertibile le sorti del medesimo, trasformando una sconfitta quasi certa, qual quella che sola avrebbe allora potuto essermi promessa in tutto ciò, in una, per me, sicuramente piacevole possibilità di rinvio al futuro per il mio incontro con gli dei, per l’ultimo, irrinunciabile appuntamento della vita di qualunque mortale.
Se quell’esitazione fu conseguenza del disgusto all’idea di star, fisicamente, giacendo con una femmina umana, così come egli mi aveva in più riprese descritta; oppure se fu conseguenza di un qualche intimo disorientamento nel confronto con la prospettiva in tal modo riservatagli, e magari con sensazioni diverse da quelle che avrebbe potuto ritenere proprie; sinceramente non ho mai avuto modo di scoprirlo. E benché il mio amor proprio avrebbe indubbiamente preferito propendere in favore della seconda opportunità, non negandosi un certo orgoglio all’idea di poter star costringendo persino uno xenofobo misogino come lui a rivedere le proprie convinzioni in quella particolare condizione; il mio raziocinio non avrebbe potuto che preferire, e prendere in effettiva considerazione, l’idea di quanto, altresì, simile incertezza in lui altro non fosse che nel confronto con il disgusto derivante da un contatto tanto intimo con me… con buona pace per il mio amor proprio.
A prescindere, tuttavia, dalle ragioni di quanto accadde, ciò avvenne. E in conseguenza a ciò, Nero si ritrovò costretto a crollare del tutto privo di coscienza e di animazione su di me, nel momento in cui, approfittando di quel fugace istante, Duva poté permettersi di intervenire, e di colpire, alla base della nuca, il nostro antagonista con tutta la forza di una violenta tallonata, un calcio lasciato ricadere dall’alto, addirittura da sopra la propria testa, sino a quel punto in tal modo presentato qual del tutto scoperto…

« Questo è per esserti dimenticato di me… » osservò la mia amica, non senza un riconoscibile sentimento di riscossa non soltanto in tal gesto ma, ancor più, nel tono che si premurò di rendere proprio nello scandire tali parole « … senza nulla voler togliere alla cara Midda, non è mai piacevole essere posta da parte, a far da tappezziera! » soggiunse, con allegato un ovvio errore di traduzione, laddove, certamente, ella aveva scelto la parola “tappezzeria”.
« Che ci vuoi fare…?! » replicai in direzione di Duva, dopo essermi resa conto di quanto accaduto e, in conseguenza al cessato pericolo, aver sospinto il corpo di Nero da parte, per concedermi la possibilità di rialzarmi da terra « Non è colpa tua se sono sufficienti un paio di taglie in più per minare la solidità del pensiero maschile. Non avertene a male… »
« Definire le tue come un paio di taglie in più equivale a considerare la tragedia della Knigei Teddira qual un semplice incidente. » obiettò, apparentemente contraddetta per la banalizzazione con la quale stavo gestendo la questione, benché, a stemperare eventuali fraintendimenti, intervenne il suo mancino teso verso di me, per offrirmi aiuto a rialzarmi da terra « Forza… che sotto la pressione di tanto peso, la tua cassa toracica potrebbe collassare da un momento all’altro. » soggiunse, ovviamente e ancora in riferimento al mio seno, in un giuoco innanzi al quale non avrei potuto sollevare alcun genere di obiezione, nell’essere stata io la prima a tirarlo in ballo.
« Che cosa è la Knigei Teddira?! » domandai nel lasciarmi aiutare, incuriosita dal paragone a cui ella aveva allora appena offerto riferimento, con la naturalezza di chi stesse parlando di qualcosa di tanto ovvio, tanto conosciuto, da risultare addirittura retorico nel proprio stesso proporsi, ragione per la quale alcuno avrebbe dovuto porsi il dubbio che pur, io, in quel momento, non ebbi incertezze a esplicitare, nell’ammettere la mia più completa ignoranza a tal riguardo.
« Sai… a volte corro il rischio di dimenticarmi quanto tu non sia propriamente di queste parti. » sorrise, scuotendo appena il capo « Comunque sia, ci sarà tempo di parlare anche di questo. Ora, piuttosto, preoccupiamoci del nostro amico… prima che possa recuperare consapevolezza di sé. »

E se pur, per un fugate istante, fui prossima a obiettare il mio dissenso all’idea di accoppare Nero a sangue freddo, non tanto per una questione di coscienza quanto, e piuttosto, nell’impossibilità, in ciò, a comprendere le ragioni della sua presenza fra noi e, di conseguenza, di quell’intera battaglia; mi fu sufficiente osservare negli occhi la mia interlocutrice per comprendere quanto ella, in verità, non avesse mai preso in esame l’ipotesi di ucciderlo mentre svenuto, tutt’altro che desiderosa di perdersi l’occasione di un tanto importante confronto con lui e con ciò che, allora, avrebbe potuto raccontarci.
Chiarito, rapidamente, tale punto di vista, il vero problema che entrambe fummo costrette lì ad affrontare fu quello relativo a come riuscire a rendere inoffensivo qualcuno contraddistinto da un paio di braccia robotiche in grado di esercitare energia sufficiente da sollevare, senza affaticamento alcuno, non meno di mille libbre di peso cadauna. E ove tutt’altro che saggia sarebbe stata l’ipotesi di tentare di immobilizzarlo, nell’assenza di qualunque genere di catena ipoteticamente utile a poterne arrestare eventuali, successivi tentativi di rivolta a nostro discapito; più interessante ebbe a dimostrarsi l’idea di negare a quelle stesse braccia, almeno nell’immediato, qualunque facile possibilità di esercitare la propria straordinaria forza, appendendo, gambe all’aria, il nostro nuovo ostaggio in attesa del suo risveglio.
Fu così che, il mio asciugamano, ancora una volta, venne snaturato nel proprio ruolo e, piuttosto che per coprirmi, venne lì impiegato al fine di tradurre in azioni concrete tale proposito, lasciando ciondolare il corpo ancora inanimato di Nero dal soffitto sopra le nostre teste, lassù legato proprio dal mio asciugamano per le caviglie. Nulla di permanente, certo, e nulla di tanto solido da poter presupporre di mantenere Nero a lungo in tal posizione. Ciò non di meno una soluzione apparentemente utile al proprio scopo, così come, tuttavia, avrebbe avuto modo di dimostrarsi realmente soltanto al momento del risveglio dello stesso.
E anche ove, non immediata, non nuovamente e straordinariamente repentina fu per lui quella ripresa, richiedendo quasi un quarto d’ora, ciò non ebbe a scontentare né me, né tantomeno la mia compagna, nel concederci, anzi, la possibilità di approfittare di tale intervallo per goderci le sempre più meritate docce, nella quiete garantitaci da quell’addirittura piacevole silenzio dopo, forse, sin troppo rumore.

« Scherzi a parte… non male, Midda. Non male davvero.. » fu tutto ciò che la mia compagna di prigionia ebbe volontà di condividere con me, e, parimenti, tutto ciò che io stessa mi attesi da parte sua, non avendo, dopotutto, combattuto per cercar lode o vanto, quanto e piuttosto per difendere, ove attaccata, il diritto di entrambe a vivere, e a vivere nei termini e nei modi per noi più consoni, al di là delle possibili, morbose fantasie di Nero o di qualunque altro avversario lì si fosse voluto schierare in nostro contrasto, per imporre il suo volere sul nostro imprescindibile libero arbitrio.


domenica 27 ottobre 2013

2081


Che la sorte, in tal scelta, ebbe ad arridermi non posso evitare di considerarlo un fatto. Perché, ove pur quell’asciugamano avrebbe potuto limitarsi a sfiorarlo e nulla più o, anche e peggio, avrebbe potuto da lui semplicemente essere respinto con un gesto infastidito; qual risultato della mia azione esso ebbe a ricadere, in maniera praticamente perfetta, sul suo capo e sulle sue spalle, oscurandogli completamente la visuale e, addirittura, ostacolandogli per un prezioso istante i movimenti. E se non fortuna fu la mia, quanto, e piuttosto, conseguenza di una mentalità particolarmente pudica e incapace a pensare che la sottoscritta avrebbe mai potuto denudarsi volontariamente, e in tal modo, nel bel mezzo di un combattimento, così come non ebbi né timore, né ritrosia, né ripensamento alcuno a compiere; sinceramente a posteriori ben poco ha importanza, se non nell’ipotetica conta dei meriti dell’una piuttosto che dei demeriti dell’altra parte. Quanto, in ciò, fu soltanto di rilievo ebbe a doversi riconoscere proprio quell’effimero successo, che mi consentì, in propria conseguenza, non soltanto di eludere, ancora una volta, la violenza delle protesi cromate del mio antagonista, ma anche, e ancor più, di sfruttare la sua stessa carica, il suo stesso impeto, in suo esplicito contrasto, nel chinarmi quanto sufficiente per offrire la mia stessa schiena quale perno, quale punto d’appoggio, per far leva e per catapultarlo, in un’estensione repentina delle gambe, ben oltre la mia posizione, ben oltre il suo obiettivo, rovinando rumorosamente al suolo e incassando, ancora una volta, gli effetti del mio contrattacco, della mia risposta ai suoi tentativi in mia offesa.
Laddove, forte di tale riscontro, troppo semplice sarebbe potuto essere per me, in simile duello, minimizzare l’effettivo livello di pericolosità del mio antagonista, riducendolo a nulla di più rispetto a molti, troppi altri avversari affrontati in passato e, per quanto apparentemente devastanti nel danno da loro promesso, sostanzialmente incapaci a reggere un qualunque genere di confronto; in tale ambiente per me ancora nuovo, per me ancora alieno, e destinato a restare tale forse per sempre, non mi concessi alcuna possibilità in tal senso, preferendo, altresì, partire dal presupposto di dovermi considerare più fortunata che abile, più benvoluta dagli dei che effettivamente meritevole di tale successo, misurando con modestia il medesimo e, ancora, concedendo fiducia a Nero e alla minaccia che egli avrebbe potuto rappresentare per me. Del resto, al di là di ogni considerazione, soltanto stolido sarebbe stato da parte mia ignorare come, ognuna delle sue braccia, possedesse almeno la stessa energia del mio arto meccanico, garantendogli, in conseguenza, una forza che definire sovrumana avrebbe avuto a doversi considerare già, di per sé, una banalizzazione della situazione per così come lì presentatami. E benché, sia chiaro, in passato non mi sia limitata ad affrontare soltanto antagonisti con livelli di forza a me equivalenti, prestando, anzi, una certa attenzione a selezionare sempre e solo sfide ben oltre non soltanto i miei limiti, ma oltre ogni supposto limite umano; ignorare la potenzialità intrinseca nelle braccia di quella chimera avrebbe lì comportato, né più, né meno, contribuire all’erezione della mia stessa pira funebre. Eventualità che, ancora, non ero francamente disposta a prendere in considerazione, malgrado tutto.
Solo per mezzo di tale mia prudenza, probabilmente, fui allora in grado di salvarmi. E di salvarmi, nella fattispecie, dal suo secondo tentativo di riscossa. Perché, ancora prima di rialzarsi dal punto in cui io l’avevo proiettato, lasciandolo ricadere fragorosamente al suolo, quella coppia di arti robotici si mossero a colpire, con violenza, il pavimento sotto i nostri stessi piedi, provocando qual effetto secondario un lieve fremito tellurico, e qual evento principale il distacco di un grosso frammento del materiale stesso con il quale quel complesso era costruito, frammento il quale venne immediatamente utilizzato qual proiettile balistico a mio discapito. Una scelta tattica, la sua, che forse non avrebbe potuto essere considerata particolarmente originale, nel riprendere, con una certa libertà, quanto da me stessa compiuto in occasione del nostro precedente incontro e che pur, non si può negare, ebbe ragione del proprio momento di gloria. Soprattutto nel considerare come, nella mia versione, quel gesto aveva previsto l’impiego di due piccole schegge di pietra, ottenendo come risultato i cadaveri di due persone; mentre nella reinterpretazione di Nero si videro coinvolti non meno di un centinaio di libbre di qualunque cosa fosse quella da lui lì staccata dal pavimento, i quali, se solo avessero avuto la possibilità di raggiungermi, di me avrebbero lasciato ben pochi resti sui quali esprimere giudizi.

« … Thyres… » gemetti, invocando in maniera sincera e spontanea il nome della mia dea prediletta.

E se pur, con il senno di chi, a posteriori, tenta di ricanalizzare eventi e scelte passate, ora non posso evitare di domandarmi se sarei stata in grado di arrestare tale minaccia con la mia protesi destra, in fondo valutandone il peso entro limiti più che accettabili per la medesima anche nel considerarne la massa in movimento; ritrovandomi costretta a scelte del tutto estemporanee, e priva della confidenza necessaria con quella mia nuova risorsa, e con le sue nuove potenzialità, entro limiti utili a impiegarla in maniera tanto spontanea e immediata qual in simile frangente sarebbe stato necessario, non potei evitare di agire e reagire per così come già per lunghi anni, decenni addirittura, avevo compiuto in nome della mia sopravvivenza, evitando lo scontro frontale con tutto ciò e limitandomi, piuttosto, a sottrarmi alla traiettoria di un tale detrito, dell’appiattirmi, repentinamente, al suolo e lì, tuttavia, non sostando, non permanendo, nel timore che, nella violenza di quel gesto, anche ove non colpita in maniera diretta, avrei potuto allora subire danni collaterali conseguenti al momento dell’impatto di quel pesante proiettile con la parete non troppo lontana da me, dietro di me, nel punto in cui, originariamente, si era presentato lo stesso Nero.
In ciò sospinta più dall’adrenalina che da altro, laddove non avrebbero potuto essere dimenticate le diciotto ore di lavoro in miniera che mi stavo portando sulle spalle, mi slanciai, quindi, immediatamente in avanti… e in avanti in direzione del mio medesimo avversario, sperando, allora, di poterlo cogliere, se non di sorpresa, quantomeno distratto dall’osservazione dell’esito del proprio ultimo attacco, del proprio ultimo gesto ancor non del tutto compiuto. E, animata da un tale desiderio, non mi permisi, neppure, di risollevarmi sostanzialmente dal suolo, a lui giungendo radente al pavimento e, in ciò, mirando non al volto e neppure al busto, quanto, e più semplicemente, ma non per questo meno efficacemente, alle gambe.
Una decisione, quella da me in tal modo abbracciata, che avrebbe dovuto essere imputata più alla serie di dinamiche in tal modo descritte che a una qualche scelta effettivamente consapevole da parte mia, e che pur, ciò non di meno, non avrebbe avuto a doversi considerare qual mera improvvisazione, frutto di un estemporaneo estro creativo ancor prima che di un qualche concreto controllo sul mio corpo e sulle conseguenze che avrebbero potuto derivare dal mio operato. Perché, e non lo scrivo per enfatizzare i miei supposti meriti in tal conflitto, ma soltanto nella volontà di offrire un quadro d’insieme più completo possibile, così muovendomi, così aggredendo il mio avversario, altro non feci che reimpiegare un’interessante tecnica di combattimento con la quale avevo avuto occasione di confronto diversi anni prima, e che, nel trasferire il conflitto da una postura elevata a una così minimale, mi aveva vista vicina a soccombere al mio antagonista, al mio avversario contro il quale concreto era stato il rischio di non riuscire a cavarmela.
Piombando, pertanto e in tal modo, in contrasto alle gambe e, nel dettaglio, alle ginocchia di Nero, ebbi lì, effettivamente, possibilità di coglierlo in contropiede, impedendogli di reagire con sufficiente prontezza per eludermi e, in conseguenza a ciò, ritrovandosi, ancora una volta, privato violentemente di ogni possibilità di controllo sulle proprie membra, e sul proprio equilibrio, per effetto di un intervento della sottoscritta. Ciò nonostante, nel ritrovarsi costretto a cedere sotto il mio attacco, egli volle comunque dimostrare adeguato controllo tale da permettergli, per lo meno, di reindirizzare la propria caduta in termini e modalità tali da potersi concedere un’occasione di contrattacco in conseguenza alla mia azione. E così, sul pavimento sconquassato di quell’area docce, mi ritrovai per un istante schiacciata sotto il peso del suo corpo, una mole in verità non di particolare rilievo come, in passato, avrebbe potuto essere vantata da altri antagonisti affrontati e vinti, senza neppure bisogno, in ciò, di citare le proporzioni colossali del mio sposo.
Ancor più che il suo peso, che il suo corpo sul mio, tuttavia, quanto ebbe ragione di preoccuparmi furono, sempre e comunque, le sue braccia metalliche, nel confronto con le quali, mio malgrado, ebbi occasione di sentirmi decisamente troppo esposta...


sabato 26 ottobre 2013

2080


« Le ragioni per le quali sono venuto qui, oggi, probabilmente trascendono la tua capacità di comprensione, femmina umana… » dichiarò, in un misto di rabbia, rassegnazione, delusione e, forse e persino, di amarezza, nel confronto con l’occasione per lui in tutto ciò apparentemente mancata « … perché se, su un fronte, ero pur consapevole di quanto osceno sarebbe stato ipotizzare una qualunque alleanza con voi, esponenti inferiori di una razza inferiore; dall’altro non avrei potuto negarmi interessamento nei vostri riguardi, soprattutto alla luce di quanto occorso l’altra volta, delle capacità da voi dimostrate. Purtroppo, però, mi rendo conto di quanto soltanto la prima parte della mia più istintiva reazione avrebbe avuto a doversi considerare corretta! »
« Un’alleanza…? » domandò Duva, anticipandomi del tempo proprio di un semplice battito del mio cuore, nello scandire quell’interrogativo esattamente come io stessa l’avrei offerto se non avresse sopperito lei a una tale incombenza « ... quale fronte potrebbe mai trovarci accomunati, in misura tale da concedere spazio a un’alleanza fra noi?!... »

E se anche, per un istante, abbandonando toni faceti in favore di espressioni più serie, il dialogo fra noi parve trovare quella via che, probabilmente, da parte di Nero era stata inizialmente presa in esame come possibile; un solo, semplice attimo dopo tutto degenerò, sicuramente complice il comportamento stolidamente polemico sul quale Duva e io avevamo tanto insistito, nel ritrovare il nostro ipotetico avversario, e pur, sino a quel momento, soltanto interlocutore, votare in favore di una diversa risoluzione e, nel dettaglio, una risoluzione rivolta solo e unicamente allo scontro con noi.
Fu così che, per la prima volta, ebbi occasione di venire alle mani con Nero. E che, per la prima volta, ebbi modo di porre alla prova l’effettiva potenza del mio nuovo braccio destro, qual risorsa difensiva e offensiva, non tanto richiedendogli di interagire con comuni avversari ma, mio malgrado o mia fortuna, ritrovandomi costretta al confronto con ben altre due braccia a esso del tutto equivalenti. Due braccia che, se solo avessero avuto possibilità di libero arbitrio, nel gestire quell’intera questione, non lo escludo, sarebbero state ben liete di farmi a pezzi, letteralmente… e dopo di me di ridurre a brandelli anche la mia compagna di prigionia. Un’eventualità indubbiamente spiacevole, innanzi alla prospettiva della quale, pertanto, non ebbi alternativa alcuna alla lotta. Non che, sino ad allora, mi fossi dimostrata particolarmente desiderosa di altro genere di confronto con lui.
Ad aprire le danze, in quel ballo con la morte, pertanto, fu il mio antagonista. E benché, generalmente, io tenda a offrire sempre la prima mossa alle mie controparti, per poterne studiare le scelte tattiche, lo stile di combattimento e, in ciò, per potermi riservare la possibilità di valutare con relativa quiete la migliore reazione con la quale rispondere a tutto ciò, oltre che, ovviamente, la migliore via con la quale porre fine a tale conflitto nel minor tempo possibile, o, comunque, con il minor rischio possibile; in quella specifica occasione, non voglio negarlo, ritrovarmi a subire la prima offensiva rischiò di costarmi molto più di quanto non mi sarebbe piaciuto ammettere nella possibilità, per lui, di concludere quella pericolosa partita già alla prima mossa. Perché l’impeto con il quale egli si fiondò contro di me, e scagliò in mio contrasto la violenza di una coppia di devastanti pugni, uno diretto al centro del mio petto e l’altro al mio basso ventre, avrebbe potuto, troppo facilmente, troppo banalmente, frantumarmi membra, ossa e interiora, lì costringendomi a ricadere a terra come una bambola rotta, come un burattino a cui fossero stati tagliati i fili.
Per mia fortuna, unica ragione per la quale, oggi, sono in grado di essere qui a narrare questa vicenda allorché a farla narrare ad altri in mia vece, nel condividere, in ciò, le cause della mia morte con tutti coloro che, in questi anni di mia esistenza in vita, hanno dimostrato un qualsivoglia interesse nei miei riguardi; la mia formazione all’arte della guerra, e, nel dettaglio, della sopravvivenza, non ha mai avuto a doversi intendere qual conseguente a un profilo di ordine meramente accademico, all’impegno di un qualche istruttore, di un qualche maestro d’armi, quali pur non mi sono mancati negli anni, volto a educarmi alle movenze da porre in essere a fronte di una minaccia. No. Se nel mio mondo sono arrivata a essere conosciuta con l’appellativo di Figlia di Marr’Mahew, dea della guerra, ciò è stato soltanto perché, nel confronto con l’orrore di una battaglia, ho imparato a offrirmi in maniera così naturale, così spontanea e, forse, addirittura psicologicamente dipendente, da non avere neppure necessità di ponderare sulla reazione da offrire innanzi a un qualche pericolo, all’aggressione di un antagonista, sia esso umano, mostro o quant’altro, in misura tale da aver maturato un istinto tanto affinato da risultare incredibilmente prossimo a un certo grado di precognizione e, in ciò, utile a permettere al mio corpo di reagire ancor prima che la mia mente abbia, effettivamente, elaborato il contesto a contorno. E così come, in passato, ero riuscita a eludere offensive delle quali, teoricamente, neppure avrei dovuto avere speranza di maturare consapevolezza; in quella nuova occasione, in quel nuovo momento di battaglia impostomi, agii e reagii con completo autocontrollo innanzi a un attacco tanto violento quanto incredibilmente repentino nei miei confronti, permettendomi di eluderlo, ed eluderlo con un movimento rotatorio del mio arto destro, a intercettare i suoi e a deviarli nelle proprie traiettorie, non soltanto con una velocità che non concesse a Duva di apprezzare quanto fosse occorso, ma, anche, che rese difficile persino a me stessa riconoscere che ciò fosse effettivamente accaduto, con tutto quello confrontandomi quasi come in un sogno, senza quel grado di profonda coscienza per giungere al quale, ciò non di meno, sarei sicuramente morta.
Contenuta, così, la prima, devastante, carica, ebbi appena l’intervallo di tempo proprio di un fremito di ciglia per ipotizzare una qualche risposta. Risposta che, nell’intrattenere ancora, con la destra, le braccia di Nero, venne affidata alla mancina e, in particolare, a un montante che si riversò, con impeto da parte mia privo di moderazione, in direzione del suo mento, nell’augurio di riuscire a nuocergli il più possibile. E dove anche la violenza di cui avrei potuto essere promotrice con il mio pugno sinistro non avrebbe in alcun modo potuta essere posta a confronto con l’energia che, in grazia al recente innesto, era stata garantita al mio arto destro, sono pronta a dichiarare, senza correre il rischio di apparire priva di modestia in ciò, che il mio antagonista ebbe comunque ragione di accusare tale mia replica. Non nel ritrovarsi il cranio frantumato dalla violenza del mio attacco, ovviamente, così come sarebbe potuto altrimenti essere, ma, comunque, nel ritrovarsi sbalzato all’indietro, probabilmente più in conseguenza alla sorpresa derivante da tal gesto che all’effettiva violenza del medesimo, non ricadendo al suolo soltanto in grazia al sostegno che, in tutto ciò, gli fu concesso, provvidenzialmente, dalla parete alle sue spalle, quella stessa parete appoggiato alla quale lì ci aveva atteso.
Riconoscendo, ciò non di meno, al mio avversario le proprie giuste doti, non posso ora che ammettere quanto indubbiamente ammirevole ebbe a dimostrarsi la sua capacità di confrontarsi, in tempi rapidi, con ogni, eventuale, disorientamento conseguente al colpo subito, dal momento in cui, al di là dell’estemporaneo successo del mio contrattacco, egli si volle riservare un’incredibilmente minima opportunità di recupero, riuscendo a recuperare quasi istantaneamente il controllo e, in ciò, tornando immediatamente a ipotizzare di aggredirmi, quasi nulla fosse, allora, occorso fra noi, quasi quello avesse a doversi considerare, qual pur non era, né avrebbe più potuto essere, l’esordio del nostro confronto.
Ma dove anche, un solo istante prima, egli aveva potuto vantare dalla propria un certo fattore sorpresa, utile a concedergli persino la possibilità di confidare in un qualche successo a mio discapito; quel secondo attacco non avrebbe potuto che essere considerato per quello che era: ovvero, appunto, un secondo tentativo, la speranza di una riscossa, e, in questo, del tutto impossibilitato a pretendere, da parte mia, qualunque genere di sbalordimento, a meno di non prendere in esame l’ipotesi di una mia totale, e, perdonate, sufficientemente improbabile, perdita di senno. In ciò, a fronte della sua seconda aggressione, ebbi lì tempo sufficiente per meglio valutare in che direzione sospingere i miei sforzi, scegliendo, senza alcuna esitazione, di strapparmi repentinamente l’asciugamano, già allentato, dal corpo, per gettarlo, aperto, in direzione di Nero, qual diversivo, nella speranza che, se pur non sarebbe stato utile a frenarlo, quantomeno avrebbe dovuto ottenere quale risultato quello di rallentarlo, nel mentre in cui a me sarebbe comunque rimasta maggiore libertà di movimento rispetto a quanto non avrebbe potuto concedermi quell’inutile impiccio dalla presenza del quale non sarebbe per me potuta sostanzialmente derivare alcuna utilità.


venerdì 25 ottobre 2013

2079


« E sei venuto fino a qui per dircelo?! » ironizzai, dimostrandomi per un istante pensierosa, meditabonda nei suoi confronti, nei riguardi di quell’ipotesi ovviamente sconclusionata, agendo in ciò in maniera volutamente forzata e il più possibile poco convinta, tanto dallo spingermi, anche, a impegnarmi in una grottesca smorfia atta a spingere in fuori e verso il basso le labbra al solo scopo di rendere ancora più palese tanto dubbio da parte mia « Per carità… non che mi dispiaccia avere un ammiratore anche da queste parti, ma avresti potuto evitare di nasconderti nel nostro bagno. »
« In effetti… » concordò immediatamente Duva, trattenendosi a stento dal ridacchiare, innanzi all’idea che una persona come quella, di cui ancora conoscevamo poco ma di cui non avremmo potuto dimenticare l’impegno volto a tentare di farci uccidere dai propri tirapiedi, inclusi due secondini, avesse a doversi considerare allora un nostro estimatore e sostenitore, a un livello di fanatismo tale da giustificare un’azione qual quella in tal modo compiuta « … anche perché, così facendo, rischi più che altro di passare per una sorta di maniaco sessuale. E, non per sottovalutarci, ma con tutte le belle ragazze qui attorno, potresti anche puntare a qualcuna di più giovane rispetto a noi due… » soggiunse, dedicandogli allora un tono quasi materno, nel suggerirgli una simile alternativa, la possibilità di reindirizzare altrove il proprio interesse, possibilmente, tuttavia « … che sia comunque adulta e consenziente, s’intende! » puntualizzò, a scanso di equivoci.
« Mah… su questo si potrebbe avere di che disquisire a lungo. » obiettai, palesando, per intento giocoso più che per altro, più che per una qualche offesa subita in tutto ciò, la mia contrarietà a quell’ipotesi e all’idea di poter essere rimpiazzata, senza colpo ferire, da qualcun’altra, semplicemente perché più giovane di me, quasi a ricollegarmi, in tal modo, al discorso affrontato proprio con lei soltanto un paio di giorni prima « Non tanto per la nota dell’adulta e consenziente, quanto per l’alternativa più giovane. » ribadii « Va bene voler essere modeste… d’accordo voler affrontare in termini onesti il rapporto con la nostra età non più fanciullesca, ma da qui a farci apparire come due vecchiarde, sinceramente, ancora ne passa. E ne passa molto, e molto di più, per quanto mi riguarda! »
« Ma tu sei una vecchiarda, Midda cara. » ammiccò la mia compagna, prestandosi alla mia strategia, a quella tattica in tal modo completamente improvvisata, del tutto priva di possibilità di previo accordo, ma, ciò non di meno, gestita allora con straordinario sincronismo fra noi, escludendo apparentemente dalla nostra attenzione Nero, intruso inatteso e imprevisto la pericolosità del quale, in simile disinteresse, non avrebbe potuto mancare di essere posta non soltanto in dubbio, ma addirittura in ridicolo, riducendolo, da possibile antagonista principale della vicenda a mera comparsa, in chiave comica « Il fatto che tu abbia, malgrado tutto, conservato il tuo corpo in maniera ammirevole, non esclude i tuoi quarant’anni… né la verità celata dietro al dettaglio che, per tua stessa ammissione, nel tuo mondo sia un’età da considerarsi praticamente veneranda! »
« Nel mio mondo… certo. » annuii, nulla recriminando attorno a tale concetto « Ma, se non te ne fossi accorta, ora non sono nel mio mon… »
« Basta! »

Devo ammetterlo: Nero deluse sinceramente le mie aspettative. Perché, a fronte dell’ottima gestione della propria immagine al nostro primo incontro, e di un ingresso in scena indubbiamente adeguato in occasione di quel secondo appuntamento, resistette decisamente meno rispetto a quanto non avrei potuto crederlo capace. Anzi… tecnicamente non resistette proprio per nulla.
Certo. A favore mio e di Duva potrei evidenziare una squisita intesa, tale da averci permesso di gestire in maniera obiettivamente riuscita quell’improvvisazione, quella recita a soggetto fra noi. E a sfavore del nostro ipotetico avversario potrei addurre il suo spirito xenofobo e misogino già ampiamente condiviso con noi. Ciò non di meno, sicuramente sbagliandomi, gli avrei attribuito maggiore autocontrollo, e la capacità di resistere ad almeno un altro paio di scambi di commenti fra la mia interlocutrice e me.
Poco male. Come si suole dire… nessuno è perfetto. E per un maschio di qualunque razza od origine, resistere in maniera schiettamente imperturbabile innanzi a chiacchiere volutamente futili fra donne non ha a doversi considerare impresa semplice. Al contrario…

« Mmm…?! » insistetti nel tentare di provocarlo, fingendo ingenuità nel confronto con la sua reazione, il suo sbotto di indubbia interpretazione, addirittura inarcando un sopracciglio nel concedergli uno sguardo quasi scandalizzato per la mancanza di educazione con la quale aveva appena agito, interrompendoci.
« Mi spiace aver dato spazio ad ambiguità nella ragione della mia presenza in questo luogo, stupide femmine umane… ma non ha in alcun modo a doversi attribuire a un qualunque genere di interesse nei vostri riguardi o, peggio, di desio! » dichiarò, con un momento di vivo furore a nostro discapito, del quale, pur, sembrò immediatamente pentirsi, nel concedersi un istante di silenzio utile a recuperare l’equilibrio in tal modo apparentemente perduto « Piuttosto che giacere con una di voi, sinceramente, preferirei evirarmi con le mie stesse mani. »
« Ecco… questa frase non è molto carina da dire a una signora… » osservai di rimandò, socchiudendo appena gli occhi, con fare ancora eccessivamente enfatico e, ciò non di meno, in minima parte anche lesa nel mio orgoglio personale, abituata, forse in con finanche eccessivo riguardo, al ritrovarmi sempre positivamente al centro dell’attenzione maschile e, talvolta, persino di quella femminile, in una misura tale per cui quello spregio, pur in parte obbligatoriamente evocato, non avrebbe potuto essere completamente minimizzato in mera indifferenza.
« Non avertene a male, amica mia… » intervenne Duva, sempre al mio fianco, fisicamente e psicologicamente « … il suo è chiaramente il giudizio di un frustrato che da troppo tempo è in carcere, impossibilitato a sfogare i propri desideri se non a discapito di qualche poveraccio incapace a opporsi a lui e alla sua prepotenza. » argomentò, a mia e nostra difesa, completamente svalutando l’importanza di quella sentenza così appena scandita a riguardo di entrambe.
« Tacete, stupide vacche! » ringhiò Nero, ancora una volta dimostrandosi incapace a un confronto verbale con noi, forse perché semplicemente non abituato ad accettare possibilità di un qualunque genere di dialogo con chi estraneo alla sua concezione del mondo… perdonate… dell’universo e della sua molteplice varietà di razze, fra cui, anche la nostra, contro cui già tanto, persino troppo pregiudizio si era concesso occasione di palesare « Le vostre voci hanno già offeso eccessivamente il mio udito e non intendo concedervi un ulteriore istante d’attenzione. » sancì, se possibile apparendo ancor più cupo di quanto già non fosse « E, al di là di quanto minimo interesse possiate dimostrare per l’indomani, dovreste comunque riservarmi maggior rispetto nel ricordare ciò che avete computo… quel duplice omicidio a sangue freddo di cui, ancora, si stanno cercando i responsabili e, in merito al quale, persino troppo facile sarebbe per me poter offrire ogni spiegazione del caso, senza neppure avere necessità di mentire o distorcere, in alcun modo, la realtà dei fatti. » puntualizzò, benché, obiettivamente, non vi sarebbe stata alcuna necessità in tal senso.
« E’ per questo che sei venuto qui, Nero…?! » domandai, trascurando, alfine, ogni giuoco, ogni scherzo, per esprimermi con voce gelida e distaccata, frutto di anni di esperienza e di autocontrollo nel pormi, in tal modo, a confronto con quasi ogni mio avversario, oltre a offrire loro, generalmente, il ghiaccio dei miei occhi in maniera quasi integrale e assoluta, nel lasciar quasi sparire, all’interno delle chiare iridi, le nere pupille, ridotte, nei momenti di maggiore tensione, a mere capocchie di spillo « E’ per ricordarmi quanto abbia sbagliato a permetterti di sopravvivere al nostro primo incontro e, in ciò, a invocarmi di porvi al più presto rimedio? » esplicitai, seria come la morte che, in tali parole, ero pronta a promettergli senza troppe esitazioni e senza timore di particolari occasioni di rimorso « Se è davvero questo che desideri, non temere, sarà mia premura accontentarti! » conclusi, storcendo le labbra verso il basso e, per quanto non ancora riservandomi una postura di guardia, predisponendo la mia mente già allo scontro.


giovedì 24 ottobre 2013

2078


Mi può essere perdonata un’altra piccola parentesi?
Immagino che qualcuno, nel leggere questo mio resoconto che, da qualche pagina, si sta concentrando su una lunga serie di chiacchiere fra Duva e me, starà iniziando a sbuffare domandandosi per quanto io possa avere intenzione di proseguire in questo modo, trascurando l’elemento per il quale, in questi anni, ho maturato una certa fama nella mia terra natale: l’azione.
Verso questo eventuale qualcuno, mi si conceda, quindi, la possibilità di rispondere. E di rispondere in due semplici punti.
Punto primo. Come avevo premesso all’inizio di questo… boh… capitolo?... mio scopo nel selezionare questi estratti da una settimana di duro lavoro in miniera accanto a Duva, ha da intendersi la volontà di offrire, in maniera un po’ discorsiva e meno possibile didascalica, una serie di informazioni che anche a me furono concesse in egual maniera. Informazioni sul contesto a me circostante, e obiettivamente nuovo, così come sulle persone a me vicine, e fondamentalmente prima di allora sconosciute, a eccezion fatta per l’anteprima concessami in grazia a un sogno ricorrente nel merito del quale ho già offerto sufficiente riferimento. Se poi, fra coloro nelle mani del quale finirà questa mia testimonianza, esisterà chi avrà già a doversi considerare edotto nel merito di queste informazioni, per carità… buon per lui o per lei, chiunque sia. Con il mio più sincero invito a proseguire oltre e a cercare scene più idonee ad appagare qualunque eventuale sete di sangue e violenza possa aver sospinto a questa lettura.
Punto secondo. Come già ho avuto occasione di sottolineare, io non sono un bardo, non sono un cantore, né, tantomeno, ho mai avuto velleità di divenirlo. Questo mio testo, in ciò, non desidera essere un’opera letteraria degna d’alcunché, quanto e piuttosto una sincera occasione, per la sottoscritta, di fare ordine nella propria mente, nei propri pensieri e nei propri ricordi e, in ciò… perché no?... tenere traccia degli eventi straordinari di cui sono stata partecipe nel mio viaggio al di fuori dei confini propri dell’unico mondo che avessi mai conosciuto prima dell’inizio di questa grande avventura. Difficilmente, quindi, riuscirò a dimostrarmi capace di competere con chi della narrazione ha fatto il proprio mestiere, la propria professione, soprattutto nel ricordare quanto, da parte mia, l’unica arte in cui mi sia mai realmente impegnata abbia a doversi considerare quella della guerra. Che mi si possa chiedere di uccidere in qualche dozzina di modi diversi, pertanto, è assolutamente legittimo… e, vi posso assicurare, che la fantasia in tal senso non mi manca. Che mi si possa chiedere, altresì, di curare i tempi della mia prosa al fine di meglio intrattenere possibili lettori o ascoltatori, mi spiace, ma esula dalle mie competenze.
Ovviamente, se fra voi esistesse qualcuno interessato a cogliere questa mia testimonianza e a rielaborarla al fine di tradurla in un testo avvincente come molti fra quelli che, in passato, hanno trovato occasioen di intrattenere persino me stessa, nel rinarrarmi quanto da me vissuto e combattuto… prego, si faccia avanti e si consideri in tutto e per tutto autorizzato dalla sottoscritta in tal senso.
Per intanto, comunque, io continuerò a scrivere nell’unico modo in cui sono capace…

Detto questo, e ci tenevo veramente tanto a farlo, arrivo finalmente a quanto, immagino, la maggior parte, fra voi, stava attendendo da qualche tempo: il ritorno di Nero.
Trascorsa, infatti, un’intera settimana di apparente tranquillità all’interno di quella sfibrante e ripetitiva realtà di lavoro, che, senza l’occasione di distrazione offerta dalle chiacchiere con Duva, difficilmente mi avrebbe vista non dare di matto; apparentemente senza ragione la mia compagna di cella e io fummo castigate con un paio di ore di straordinario in più. E benché, almeno all’inizio, né lei, né tantomeno io, riuscimmo a capacitarci del perché di quella punizione tanto mirata e, parimenti, immotivata, nel momento in cui fummo, finalmente, accompagnate alle docce, lì ritrovando, in nostra attesa, proprio il succitato…

« … Nero! » esclamai, colta in contropiede, nel ritrovarlo, a braccia conserte, appoggiato contro una parete dello spazio che avrebbe dovuto essere riservato all’intimità mia e della mia amica, o, tuttalpiù, di altre ritardatarie, donne e umane, nostro pari; ma non, certamente, a un uomo, né, tantomeno, a un uomo chimera, come lui.

Credo sia quasi superfluo sottolineare come, da parte di Duva o mia, al di là della sorpresa di trovarlo lì, non vi fu il benché minimo imbarazzo in conseguenza al nostro essere pressoché nude, coperte solo da una coppia di asciugamani, innanzi a lui. Né ve ne sarebbe potuto essere anche nel caso in cui fossimo state completamente nude, laddove, sufficientemente confidenti con i nostri corpi, non ci saremmo mai permesse alcun senso di inibizione o di pudore per essi innanzi a un estraneo, e soprattutto innanzi a un potenziale nemico qual difficilmente egli non avrebbe potuto evitare di apparire.
Al di là, tuttavia, di ogni possibile, facile e pur giustificato, timore volto a riconoscere quella qual una trappola, Nero non si presentò accompagnato da alcun guardaspalle in tale occasione, né, in effetti, si scompose dalla postura di quieta attesa nella quale ci aveva accolte per dimostrare un qualche intento offensivo a nostro discapito. In ciò, due avrebbero potuto essere le logiche conseguenze da trarre: o egli avrebbe dovuto essere riconosciuto qual un antagonista ancor più temibile di quanto non avevo potuto inizialmente supporre, oppure egli non si era spinto fino ai nostri bagni animato da un intento a noi apertamente ostile.
Beninteso che la seconda alternativa non avrebbe, in alcun modo, inficiato l’eventuale valenza della prima.

« Midda Namile Bontor. Un anno di lavori forzati in attesa di processo per aggressione a pubblico ufficiale, oltre che rissa, clandestinità e altre amenità varie. » commentò per tutta risposta, rafforzando, se possibile, la sorpresa che già era riuscito a impormi con la proprie presenza lì nel chiamarmi per nome… e per nome completo « Si dice che tu provenga da un pianeta primitivo, per quanto tutto ciò abbia a considerarsi quantomeno assurdo. E si dice anche che tu abbia aggredito un gruppo di marinai della Midela Niseni dopo averli adescati presentandoti a loro completamente nuda. » soggiunse, non negandosi uno sguardo incuriosito in direzione delle mie forme, cercando di scrutarle attraverso l’asciugamano nel quale pur ero ancora avvolta.
« … Namile?! » ripeté Duva, aggrottando la fronte nel guardarmi con aria interrogativa, in attesa di eventuali conferme o smentite.
« E’ il mio secondo nome… il nome di mia nonna… » le spiegai, senza troppi giri di parole « Ma l’ho detto soltanto all’accusatore Zafral. Come fai a saperlo, tu?! » questionai, in direzione dell’intruso.
« Duva Nebiria. Sei mesi di lavori forzati in attesa di processo per omicidio di primo grado, aggravato da finalità politiche. » riprese Nero, dedicandosi allora, in tale esposizione di informazioni a nostro riguardo, alla mia compagna, quasi non desiderasse lasciarla priva di riconoscimento per la propria partecipazione a quell’incontro clandestino e, soprattutto, non voluto « E… sì. Lo so che non hai strappato il cuore di un uomo perché picchiava sua moglie. Anche se non posso negare di aver apprezzato la suggestiva immagine da te in tal modo suggerita. »
« Sei mesi soltanto…?! » fu il mio turno di ripetere, inarcando un sopracciglio nel fissare, con aria contrariata, la mia compagna di cella, riflettendo attorno a quell’informazione « Perché tu soltanto sei mesi mentre a me un anno? Non è giusto! »
« Ehy… il mio reato è più grave. » protestò ella, di rimando, minimizzando la questione « Non puoi paragonare un omicidio di primo grado a semplice aggressione a pubblico ufficiale… per quanto quel pubblico ufficiale fosse l’accusatore in persona. » soggiunse, per non offrire spazio a dubbio alcuno.
« Come vedete mi sono informato su voi due… » proseguì il nostro ospite, mantenendo imperturbabilmente la posizione nella quale lì lo avevamo trovato « E per quanto su una abbia trovato molti più dettagli che sull’altra, non si può negare che siate entrambe soggetti estremamente interessanti, anche alla luce di quanto ho avuto modo di verificare in prima persona in occasione del nostro ultimo incontro. »


mercoledì 23 ottobre 2013

2077


« Che poi è un po’ quello che mi continuo a ripetere per quanto riguarda quella smorfiosa di Rula… » sorrise, scandendo quelle parole con tutta l’asprezza e il risentimento di cui solo avrebbe potuto essere capace il cuore di una donna tradita, malgrado, con la scelta di porre fine al proprio legame con Lange, non avrebbe avuto più avuto ragione alcuna di esprimersi nel merito delle scelte del proprio ex-marito.
« Chi…?! » mi sforzai, ancora una volta, di apparire ignorante in merito a tutto ciò, benché, pur non rammentando occasione di incontro con il soggetto in questione, nel corso del mio sogno di futuro, avessi ben chiaro in mente a chi ella stesse allora riferendosi.
« Rula Taliqua… la nuova moglie del mio ex-marito. » esplicitò, quasi ringhiando fra i denti quella definizione, salvo, un istante dopo, maturare consapevolezza di quanto stesse allora perdendo in appropriatamente il controllo sulle proprie emozioni, in termini tali per cui troppo facilmente avrebbe potuto rischiare di passare dalla parte del torto, costringendosi, pertanto, a ritornare a un atteggiamento più moderato e, soprattutto, distaccato attorno a un argomento pur particolarmente sensibile « Per carità… nel momento in cui abbiamo deciso di divorziare, ovviamente, ogni impegno fra noi è venuto meno e l’unica cosa che ha continuato ad accomunarci è stata proprio la nostra nave, la Kasta Hamina. Ciò nonostante, ritrovarsi, dopo meno di un lustro, ad assistere al matrimonio di Lange con una ragazzina della metà dei miei anni, non è stato gradevole. » sbottò, in un eccesso di sincerità « Se proprio desiderava portarsi dietro una figlia avrebbe potuto adottarla… non sposarla! »
« Uhm… mi riservo il diritto di mantenere il silenzio. » mi limitai ad affermare nel momento in cui, con uno sguardo, la vidi in attesa di una mia qualche replica a tal riguardo « Scusa ma, a quanto comprendo, la questione è decisamente… spinosa… e piuttosto che esprimermi in maniera superficiale, credo che tacere possa essere la scelta più idonea. »

Breve specchietto illustrativo sulla questione decisamente spinosa di cui sopra. Altrimenti detta: pettegolezzo.
Come ho implicitamente riportato, Lange Rolamo è stato sposato tre volte.
La prima volta, a venticinque anni, con una donna di nome Kasta Hamina, il suo primo, vero e forse unico grande amore. Sciaguratamente, tale matrimonio ha trovato conclusione nei termini più tragici possibili, nel momento in cui Kasta, in attesa del loro primogenito, è rimasta vittima di un terrificante scontro a fuoco fra la nave in cui, all’epoca, serviva Lange come primo ufficiale e due navi di predoni chimere, motivo per il quale, per inciso, il buon capitano non è stato più capace di vedere di buon occhio qualunque non umano.
A trentotto anni circa, mese più, mese meno, non conosco il dettaglio delle date, Lange è convolato a nuove nozze con la focosa Duva, in un’unione celebrata il giorno stesso del varo della nave che entrambi avevano acquistato e sulla quale entrambi, avevano investito il proprio tempo e le proprie risorse per rimetterla in sesto: la Kasta Hamina. Nome sicuramente evocativo e al quale, malgrado il proprio forte carattere, la mia amica non aveva opposto alcun veto… anzi. Non ho ancora avuto da lei una chiara confessione in tal senso, ma sono quasi certa che, addirittura, sia stata proprio Duva a suggerire tale nome, nella speranza che ciò potesse permettere, al proprio amato, di meglio superare il proprio lutto. Dopo sette anni, tuttavia, le apparentemente incolmabili differenze caratteriali fra i due hanno portato alla conclusione di tale unione, in maniera del tutto consensuale e, ove possibile, persino serena.
Questo, ovviamente, fino a quando, a ormai cinquant’anni, vittima di quella che Duva mi ha sempre descritto quale una “crisi di mezza età”, nel confronto con aspettative di vita decisamente più ampie di quelle a cui mai mi sarei potuta considerare abituata; Lange ha perseverato per la terza volta nell’idea di un matrimonio, in tale occasione scegliendo, per l’appunto, la giovanissima Rula, la quale, lungi da me voler essere un giudizio di merito, per la propria età, vent’anni, avrebbe potuto essere più sua figlia che sua moglie.
Fine del breve specchietto illustrativo sulla questione decisamente spinosa. Altrimenti detta: pettegolezzo.
Ora è chiaro perché, personalmente, non avrei potuto evitare di preferire l’idea di tacere allorché lasciarmi coinvolgere in un tal macello, se possibile persino peggiore rispetto alla mia già complicata vicenda personale?!

« Così non vale, però! » protestò Duva, offrendomi un’occhiataccia indubbiamente accusatoria, qual reazione al mio tentativo di mantenere una posizione neutrale sulla faccenda « Io ho commentato senza problemi il morboso triangolo amoroso che si è venuto a creare fra te, tuo marito e il tuo compagno, soprattutto nel momento in cui questi due hanno finito per condividere lo stesso corpo… » mi ricordò, risentita « Se ora tu te ne cavi fuori, mi fai apparire come un’impicciona saccente. E’ questo che vuoi?! »
« Non sia mai! » mi difesi, o, per meglio dire, mi arresi, non levando le mani a contorno di ciò nella necessità di mantenerle, spiacevolmente, ben salde attorno al manico del piccone « E, di certo, non è stata propriamente una scelta saggia, da parte del tuo ex-marito, quella di condurre a bordo della vostra nave una nuova moglie… soprattutto così giovane. »
« Appunto! » annuì, in parte soddisfatta dal mio intervento in suo favore, per quanto non completamente appagata dal medesimo, forse giudicato, ancora, troppo moderato rispetto a quello in cui avrebbe potuto sperare « Cioè… lungi da me l’idea di voler essere additata come bagatto… » bigotta, ennesimo errore di traduzione « … ma quando ti ritrovi più vicina ai quaranta che ai trenta, non è proprio il massimo vedersi rimpiazzata da una cagnetta del genere. » argomentò, arricciando appena le labbra con fare infastidito « A te piacerebbe scoprire che il tuo Be’Sihl se la intende con una ragazzina del genere?! »
Ammetto che la domanda, posta così a bruciapelo, mi costrinse a un momento di silenzio, non tanto nella volontà di non prendere posizione, quanto per riflettere sulla posizione da assumere: « Razionalmente, se Be’Sihl e io dovessimo decidere di lasciarci, so che non dovrei più permettermi di presupporre alcuna libertà nei suoi confronti… » decretai alla fine, con tono meno fermo di quello che avrei preferito rendere mio nello scandire una tale affermazione « … ciò non di meno, a volte temo di essermi comportata in maniera leggermente vendicativa… e non escludo che, questa supposta ragazzina, potrebbe incorrere in qualche spiacevole incidente tale da farle rivedere le proprie posizioni. » ammisi subito dopo, a completamento di tale pensiero, nell’impormi assoluta sincerità in simile analisi.
« Eccola! » esclamò la mia compagna, con tono decisamente più allegro, finalmente e realmente appagata da tale mia affermazione volto a concederle giustificazione morale per il proprio risentimento a discapito della pur innocente Rula.
« Comunque non credere che non abbia anche io degli ex… » specificai, cercando, quantomeno, di salvarmi in contropiede, benché ormai mi fossi inequivocabilmente sbilanciata a favore di un netto risentimento nel confronto con tale prospettiva « E con tutti loro ho sempre conservato ottimi rapporti, anche quando, legittimamente, hanno trovato occasione di farsi una nuova vita con altre compagne e, persino, di avere dei figli da loro. » precisai, in mia difesa, riportando il pensiero a Ebano e ai suoi due figlioli… che, diamine, ormai dovrebbero essere decisamente grandicelli, giusto per non farmi sentire vecchia.
« Mmm… » rifletté Duva, ascoltando quelle mie ulteriori parole e, in ciò, non potendo evitare di riservarsi, a propria volta, un breve istante di riflessiva laconicità, a ponderare in maniera più seria sul proprio possibile comportamento in un tale contesto « Non so… forse sei effettivamente una persona migliore di me. » ipotizzò, poco convinta non tanto di quell’affermazione, ma più che altro di se stessa, giudicandosi in maniera estremamente critica « Pensare che, addirittura, possano avere dei figli non è qualcosa che, credo, potrei sopportare tranquillamente, restando lì a osservarli… »
« Ehy! Ora non esageriamo… » negai, scuotendo il capo con un sorriso divertito « Io non sono rimasta a osservare nessuno! » sottolineai, a scanso di ogni equivoco « Ogni volta che ho lasciato qualcuno, ho cercato di tenere giuste distanze fra noi. Perché altrimenti, sì che neppure io sarei riuscita a sopportare la cosa tranquillamente! » dichiarai, non potendo ovviamente immaginare l’idea di essere costretta a restare partecipe della vita di qualunque dei miei ex in compagnia di un’altra donna, soprattutto negli anni immediatamente successivi alla fine dei nostri rapporti.


martedì 22 ottobre 2013

2076


« Comunque sia, per rispondere al tuo quesito iniziale, ero ancora adolescente quando l’ennesimo tentativo di insurrezione da parte delle colonie degenerò in una vera e propria guerra. » riprese voce Duva, nel ricollegarsi al mio interrogativo nel merito delle dinamiche dell’incontro fra Lange e lei « Sebbene cresciuta in una famiglia di indole estremamente pacifica e pacifista, nel giorno in cui il mio quartiere venne bombardato e quasi raso al suolo, nel giorno in cui della mia casa non restarono che poche macerie fumanti e della mia scuola, poco più, concedendo comunque a uno sparuto gruppetto di studenti, fra cui la sottoscritta, di sopravvivere a tanto orrore, ripudiai ogni principio di non violenza che mi era stato inculcato in testa fin da bambina e scelsi la via della vendetta come risposta a quanto mi era accaduto. » narrò, riuscendo ad apparire straordinariamente fredda e distaccata nel riferire dell’uccisione dei propri genitori… e forse di qualche fratello, o sorella, dettaglio dei quali, in quel momento, non osai ovviamente domandare, nel pormi già sufficientemente in imbarazzo per averla costretta a simile rievocazione « Fu allora che mi arruolai, apprendendo l’arte della guerra e trovando occasione d’impiego in fanteria… »
« … fanteria?! » la interruppi, non riuscendo a restare in silenzio innanzi a quell’affermazione, soprattutto nella difficoltà a conciliare l’idea di una guerra interplanetaria con quella di un fante, ammesso che il traduttore non avesse giocato l’ennesimo scherzo.
« Sì… e so quello a cui stai pensando: perché in fanteria e non in aeronautica?! » esplicitò i miei dubbi, benché, forse, non cogliendo effettivamente, in quel momento, quanto fosse il concetto stesso di fanteria a risultare dubbio alla mia attenzione « Per diventare pilota sarebbe stato necessario troppo tempo, troppo addestramento, e con una guerra in corso non vi sarebbe stata disponibilità né dell’uno, né dell’altro. » spiegò, con la consueta pazienza già dimostrata nei miei confronti, nel concedermi tutte le informazioni di cui avrei potuto aver bisogno dal basso della mia ignoranza su ogni aspetto, anche il più normale, ovvio, consueto, del suo mondo, della vita che lei aveva vissuto « E, a dispetto di qualunque idea tu possa esserti fatta della nostra tecnologia, ti assicuro che la guerra di trincea è ancora troppo spesso una realtà… soprattutto per la conquista, o per la difesa, di obiettivi strategici. »
« … mmm… d’accordo… » annuii, sebbene avrei avuto probabilmente necessità di approfondire meglio quell’argomento prima di poter affermare, in fede, di averlo compreso.
« Per quasi cinque anni ho combattuto quella guerra… la mia guerra… sopravvivendo a ogni battaglia e, nel sangue dei miei avversari e, purtroppo, di troppi miei compagni, forgiandomi, crescendo e maturando, non soltanto in quanto donna ma anche, e ancor più, in quanto soldato. » proseguì, nel mentre in cui io, obiettivamente, cercai di immaginarmi la violenza di una simile guerra, di una guerra combattuta non con spade, picche e balestre, quanto e piuttosto con armi laser o al plasma, contro le quali qualunque ipotesi di difesa, di protezione, sarebbe risultata pressoché vana « Fu proprio in tal contesto che, per la prima volta, conobbi Lange Rolamo. Io avevo, all’epoca, poco più che vent’anni. Lui già trentacinque, di cui l’ultimo lustro trascorso nel dolore per la perdita di sua moglie Kasta, e del loro figlio primogenito mai nato. Non chiedermi cosa mi attrasse in lui… non ti saprei rispondere. » ammise candidamente, scuotendo il capo.
« Per carità… » riprese immediatamente « Per essere un bell’uomo era sicuramente un bell’uomo. E lo è ancora… malgrado la barba. » puntualizzò « E, nel cuore di una guerra, nell’incertezza sul poter essere ancora in vita il giorno dopo, si finisce per non essere mai troppo schizzinosi nei confronti dei propri compagni di letto… » argomentò, aggrottando appena la fronte « Ciò non di meno, con lui fu qualcosa di diverso. Non semplice sesso, del quale pur non mi ero mai fatta mancare occasione. Tanto, addirittura, che, per lui, accettai di rinunciare ai miei propositi di vendetta, e a quella guerra apparentemente priva di speranze di conclusione, per fuggire lontano, imbarcandomi clandestinamente sulla nave di contrabbandieri nella quale egli stava impiegandosi in quegli stessi anni, lavorando talvolta al servizio delle colonie, talvolta dei mondi centrali, a seconda di chi si fosse dimostrato pronto a pagare di più. »
« Woah… » commentai, con sincera sorpresa, nel confronto con quella vicenda dal sapore tragicamente epico, degno di molte ballate ascoltando le quali ero cresciuta.
« Già… woah… » ripeté Duva, con un sorriso dolce e, al tempo stesso, amaro « Soprattutto nel considerare come, così facendo, egli mi salvò la vita, dal momento che, neppure una settimana dopo la mia diserzione, la guerra terminò con una delle sue più sanguinarie battaglie, nel corso della quale anche il mio intero battaglione venne completamente annientato. »

Malgrado la disponibilità da lei dimostratami nel raccontare tale vicenda, nel condividere con me quella triste parentesi della propria esistenza con la più trasparente quiete, non ebbi, in fede, coraggio alcuno di insistere ulteriormente sull’argomento, di domandare maggiori dettagli né sulla guerra, né sulla sua storia personale con Lange Rolamo; nel riconoscermi, mio malgrado, più in imbarazzo di quanto non avrei gradito essere o apparire in quel momento, nel confronto con lei e, ancor più, con il quesito chele avevo posto, già rimpiangendo di averlo formulato, sebbene, obiettivamente, non avrei mai potuto immaginare nulla di tutto quello, nulla della storia che l’aveva condotta sino a essere la donna straordinaria con la quale, in quel momento, stavo trovando occasione di confronto quotidiano.
Per mia fortuna, comunque, non soltanto ella non ebbe a muovermi il benché minimo rimprovero per tutto ciò, ma, anche, non ebbe a farmi pesare in alcun modo la mia curiosità, lasciandola apparire, al contrario, qual normale, qual priva di qualunque malevolenza, così come, in fondo, realmente si era offerta da parte mia; riducendo la questione a una mera chiacchierare e approfittando, di ciò, per chiedermi a propria volta dettagli nel merito del mio, non facile, rapporto con Be’Sihl e, soprattutto, con Desmair.

« … non riesco ancora a capacitarmi di quello che mi hai raccontato ieri, su tuo marito e sul tuo compagno. » commentò il quinto giorno di lavoro, meditabonda « E, soprattutto, non riesco a capacitarmi che nulla di quanto tu possa dire o fare ti potrà permettere di svincolarti dalla promessa nuziale che ti ha legata a Desmair quel giorno. »  incalzò, aggrottando la fronte « Possibile che, dalle tue parti, il concetto di divorzio non sia in voga…?! »
« Putroppo no. Non, quantomeno, quando ci si sposa innanzi agli dei formulando un certo impegno… » sospirai, mio malgrado non più felice, più soddisfatta o più appagata rispetto a quanto ella non avrebbe potuto esserlo nei confronti con una tale verità « Sai… gli dei ci tengono molto agli impegni che noi mortali prendiamo coinvolgendoli. Ed è per questa ragione che, prima di giurare e di giurare innanzi a un qualche dio o dea, è sempre opportuno riflettere… e riflettere seriamente su quanto si sta per fare. » sottolineai, senza concedermi la benché minima ironia nella voce, non volendo rischiare di lasciar apparire quella verità seria e pericolosa qual un mero giuoco « Poi… per carità. Nel mio mondo i matrimoni, quelli come il mio, per intenderci, sono tutt’altro che eventi comuni. La maggior parte delle coppie trascorrono la loro vita insieme senza necessità alcuna di coinvolgere gli dei in tale scelta… e chi, invece, sceglie di compiere un passo tanto importante, generalmente è perché è perfettamente consapevole di quanto sta per compiere. Regnanti a parte… »
« Regnanti a parte…?! »
« Beh, sì. » feci spallucce, allora sì minimizzando l’importanza di quanto stavo per dichiarare « Loro non hanno problemi a giurare e spergiurare innanzi agli dei… e, ancor meno, ne hanno a pagare un sicario per liberarsi di un compagno o di una compagna scomodi, che possano accorciare di molto la strada sino al fatidico, irrevocabile, e, in tal caso, liberatorio, ultimo appuntamento… la morte. »
« Che poi non è molto diverso da quello che speravi di poter compiere anche tu con il tuo, di sposo. » ridacchiò Duva, dimostrando di essere stata realmente attenta il giorno prima, durante il mio resoconto di quegli eventi passati.
« Assolutamente… ed è qualcosa che, in fondo, spero ancora di poter trovare una maniera di compiere, prima o poi! » ribadii, ferma sulle mie posizioni volte a sperare nel dono della vedovanza « Anche se, purtroppo, inizio ad avere il timore che questo matrimonio durerà ancora per molto… molto tempo. »


lunedì 21 ottobre 2013

2075


« E… se mi posso permettere di chiedertelo, ovviamente, come hai incontrato il tuo ex-marito…? » domandai alla mattina del mio quarto giorno in miniera, desiderando buttarmi su tematiche più frivole, se possibile, rispetto a quelle di guerra sulle quali ci eravamo già ampiamente dilungate « Per inciso, ti domando scusa ma temo di non rammentare il suo nome… » soggiunsi, dissimulando la verità dei fatti e di come, ovviamente, ben ricordassi non soltanto il nome di Lange Rolamo, ma anche il suo viso e il suo carattere, forte e autoritario.
« In effetti non credo di avertelo mai detto… » osservò Duva, sforzandosi di ricordare se ciò potesse essere occorso o meno, in tale impegno non avendo da prendere in esame, in effetti, un arco di tempo particolarmente lungo, avendosi da considerare, la nostra reciproca conoscenza, ancora un evento sufficientemente nuovo e, come tale, contraddistinto, dopotutto, da un numero particolarmente limitato di interazioni fra noi, così come anche quello stesso dubbio, del tutto legittimo dal mio punto di vista al di là delle informazioni in più in mio possesso, avrebbe potuto facilmente comprovare « Comunque sia, si chiama Lange Rolamo… capitan Lange Rolamo, comproprietario, insieme alla sottoscritta, della Kasta Hamina, una splendida bambina di classe libellula. » puntualizzò, in termini per i quali mi fu persino difficile trattenere un sorriso, laddove parve rivolgere… e realmente rivolse maggiore dolcezza, maggiore tenerezza nel confronto con il pensiero della nave ancor prima che dell’ex-marito con la quale la divideva.
« Classe… libellula?! » finsi nuovamente di ignorare quell’informazione, per non destare in lei sospetti inappropriati.
« E’ una categoria di navi mercantili, un po’ vecchiotta in effetti, ma ancora in uso. » spiegò, prontamente, dimostrandosi più che desiderosa di spendere qualche parola sulla sua Kasta Hamina, in misura sicuramente maggiore rispetto a quanto non avrebbe potuto esserlo nel confronto con l’idea di dilungarsi a rievocare il proprio passato insieme all’uomo con il quale, per essa, ancora condivideva il proprio presente ed era pronta a fare altrettanto con il proprio futuro, malgrado tutte le divergenze per le quali il loro matrimonio aveva trovato prematura conclusione « Il nome della classe deriva dalla caratteristica forma che la nave assume nel proprio assetto a pieno carico e in quei rari casi in cui, sfortunatamente, si ritrova costretta a spiegare le vele solari per potersi cavare da qualche impiccio: le quattro vele solari, disposte a coppie sui lati del corpo centrale, nonché il convoglio di vani cargo allineati dietro al medesimo, sembra che richiamino proprio l’idea di una libellula… da cui il nome. »

Una nota a margine: partendo dal presupposto di come, nel corso della mia vita, mi sia fin troppo sovente ritrovata posta a confronto con profonde differenze fra ipotetiche descrizioni e concrete apparizioni, soprattutto nel merito di quasi ogni mostro mitologico con il quale abbia avuto modo di scontrarmi, devo ammettere che, all’atto pratico, chiunque abbia definito qual tale la classe libellula, non si sia poi preso eccessive libertà interpretative. Obiettivamente, infatti, nelle condizioni esposte dalla mia interlocutrice, tutt’altro che assurdo sarebbe stato ritrovare un collegamento ideologico fra il profilo della Kasta Hamina, ancora ben impresso nella mia mente, e quello di una libellula, ovviamente a patto di voler dimostrare sufficiente elasticità mentale nel considerare quanto l’una abbia a doversi riconoscere qual frutto dell’ingegno umano mentre l’altra opera di un atto creativo divino.

« Comprendo… » annuii pertanto, dimostrando di star seguendo il discorso da lei in tal modo suggerito, la chiave di lettura da lei in tal maniera esposta « … quindi devo chiamare anche te “capitano”? » soggiunsi subito dopo, in riferimento alla questione della semiproprietà della nave in oggetto al nostro confronto.
« Na… figurati. » fece spallucce Duva, escludendo tale eventualità « Per quanto, in effetti, metà della nave mi appartenga, molto tempo fa Lange e io abbiamo deciso, in comune accordo, di lasciare affidato a lui il ruolo di comando, relegandomi a suo, semplice, primo ufficiale. Come credo tu abbia già avuto modo di sperimentare, non ho propriamente quello che si può definire un carattere semplice… e la diplomazia non è esattamente la mia qualità migliore. Ragione per la quale non credo che potrei mai essere riconosciuta quale un buon capitano. Anzi… »
« A costo di ripetermi, non posso che dire, nuovamente: comprendo… » le sorrisi, per tutta replica « Anche perché, seppur in termini lievemente diversi, anche io ho vissuto una storia non troppo dissimile da quella di cui mi stai offrendo testimonianza. » le confidai, ripensando al mio passato, alla mia giovinezza a bordo della Jol’Ange e accanto al suo capitano, all’epoca mio compagno « E dal momento in cui, come credo tu abbia già avuto modo di apprezzare, i nostri caratteri non sono poi eccessivamente dissimili… neppure io avrei mai potuto incarnare l’immagine di un buon capitano. » confermai, con il giusto livello di autocritica « Gente come noi… soldati come noi… sono più idonei a combattere una battaglia nelle prime linee, allorché a coordinare altri uomini e donne, anteponendo una visione d’insieme a quella direttamente propria della differenza fra la vita e la morte di un nostro avversario. »
« Esatto. » sorrise, senza celare una certa soddisfazione, un’evidente sollievo nell’aver trovato, in me, qualcuno con cui parlare in maniera diretta, in maniera esplicita, senza dover essere costretta a celare ciò che era… ciò che è tutt’oggi, in grazia a Thyres.

Un sentimento, il suo, che non voglio negare venne allora più che condiviso dalla sottoscritta, non ponendo evitare, a mia volta, di ritenermi particolarmente felice, per non dire, addirittura, entusiasta, alla prospettiva di aver dovuto, sì, attraversare l’intero universo per incontrarla… e pur, alla fine, di aver incontrato quella che, poeticamente, avrebbe avuto a potersi descrivere la mia anima gemella, una compagna che fosse in grado di comprendermi e di comprendermi ancor prima di me stessa, non tanto per una pur meravigliosa empatia, qual quella che il mio amato Be’Sihl ha sempre dimostrato nei miei confronti, quanto e piuttosto per un’affinità che, in tante amicizie, in tante frequentazioni, non avevo ancora avuto modo di incrociare, né, tantomeno, di rendere parte della mia quotidianità.
Quasi come, infatti, null’altro fossimo che due volti della medesima medaglia, in quella donna, in Duva, compresi immediatamente di aver trovato quell’intesa, quella complicità, che pur non mi era neppure stata concessa occasione di trovare in me stessa. E, nel dire questo, non intendo riferirmi a qualche questione di ordine metaforico o metafisico, quanto e piuttosto un’esperienza concreta, qual quella nel corso della quale, qualche tempo prima di quegli eventi, mi ero ritrovata a condividere una mia folle avventura con ben sei altre versioni di me provenienti da realtà estranee alla mia, provenienti da universi alieni anche a quell’immensità che avevo, allora, iniziato a esplorare, e che, pur, avendo vissuto esperienze di vita lievemente diverse dalle mie, avendo compiuto scelte appena differenti rispetto a quelle che mi avevano contraddistinto, avevano avuto modo di sviluppare un ego diverso dal mio, in piccola parte così come, anche, in misura straordinariamente maggiore, tali da rendere difficile, all’atto pratico, considerarci effettivamente la stessa persona, quali, pur, tutte eravamo.
In quella donna, in Duva, altresì, mi stava venendo incredibilmente concessa l’occasione di pormi in relazione con una donna a me completamente e totalmente estranea, oggettivamente aliena, per quanto pur comunque umana, contraddistinta da una storia necessariamente diversa dalla mia, da una vita obbligatoriamente differente rispetto alla mia, e che pur, in maniera sorprendente, l’aveva condotta a sviluppare una concezione di se stessa, del Creato, e di tutto il resto, assolutamente identica alla mia, in misura tale da renderla, obiettivamente, a me più prossima, più vicina, più solidale, di quanto persino io stessa non avrei potuto vantare di essere. E nell’aver incontrato, pur dall’altra parte dell’universo, una donna del genere, soltanto blasfemia da parte mia sarebbe stato sprecare l’occasione concessami da quella potenziale amicizia, non impegnandomi, con tutte le mie forze, per coltivarla, per farla crescere e prosperare così come, in effetti, ben poca dedizione mi ero concessa, in passato, nel confronto con altre persone che a me avevano voluto avvicinarsi, pur animate dalle migliori intenzioni, dal più sincero affetto.