11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

venerdì 31 gennaio 2014

2177


Mi è già capitato, nel corso della stesura di queste mie testimonianze, di questi miei resoconti, o diari di viaggio che dir si voglia, di porre l’accento su un paio di dettagli di ordine generale l’apprezzamento dei quali ha, purtroppo o per fortuna, a doversi riconoscere qual obbligato per riuscire ad apprezzare, o, quantomeno, a tollerare, questo mio stesso modesto sforzo volto a tentare di imporre un certo ordine mentale su ciò che sto avendo occasione di vivere sin dal giorno in cui, sulle ali della fenice, ho accettato di abbandonare i confini propri del mio pianeta natale.
Innanzitutto, benché sotto lo sguardo premuroso di mia nonna, io e la mia gemella Nissa avessimo imparato a leggere e scrivere ancora bambina, e benché, nel corso degli anni, mi sia comunque impegnata a cercare di non permettere a simile conoscenza di appassire nella mia mente, rifiutandomi di concedere all’ignoranza predominante sul mio mondo e sulla maggior parte della popolazione del medesimo, di omologarmi a se stessa, anche laddove, nel mestiere da me scelto, nella professione che ho voluto eleggere qual mia propria, l’importanza di simili conoscenze, innanzi al giudizio dei più, avrebbe avuto a doversi considerare addirittura d’ostacolo, ancor prima che semplicemente vana, nell’offrire distrazione dall’unica arte altresì di fondamentale rilievo, quella della guerra; di fondamentale importanza, a margine di tutto ciò, ha a doversi riconoscere il fatto che io, a conti fatti, non sia né un bardo, né un cantore, né un’artista, né, ancora, un’acculturata, quanto e soltanto un marinaio e una mercenaria, una figlia dei mari e una professionista della guerra, che, pur capace a leggere e a scrivere, e capace a farlo con una certa fluidità, per mia grazia, è proprio malgrado destinata a restare fondamentalmente ignorante nel merito di tutte quelle regole, e di tutti quei trucchi, propri di chi, altresì, della narrazione ha reso il proprio scopo di vita, il senso ultimo della propria esistenza. Così, per quanto possa anche cercare di impegnarmi al fine di offrirvi un lessico quanto più possibile adeguato, e una forma quanto più possibile ricercata, allo scopo di non rendere tutto questo una semplice accozzaglia di pensieri disordinati, confusi, e impossibili, a posteriori, anche e soltanto da decifrare; temo di essere destinata a restare straordinariamente carente in termini di potenza drammatica, di tensione passionale, dei quali, magari, anche la ballata più semplice, priva della complessità propria degli eventi di cui mi sono ritrovata a essere partecipe, è pur capace di dimostrare, e di dimostrare con incredibile energia, con straordinaria forza, nell’energia e nella forza di coloro i quali, con le parole sanno destreggiarsi nella medesima misura con la quale io ho appreso come destreggiarmi fra avversari pronti a pretendere il mio sangue e la mia vita, e con la penna sono capaci di difendere le proprie idee, e le proprie posizioni, nella medesima misura con la quale io sono capace di difenderle con la mia spada.
Inoltre, benché non sia mio desiderio, come appena accennato, quello di redigere un semplice elenco disordinato di eventi, di fatti, di pensieri relativi a quanto possa star contraddistinguendo questa mia pur straordinaria esperienza al di là dei confini propri del mio pianeta; l’intento alla base di questo mio impegno ha comunque a doversi riconoscere entro i limiti propri della testimonianza e non, altresì, di quelli di un’opera romanzata, desiderando, quindi, informare, coloro che ne potrebbero essere interessati, nel merito di quanto occorsomi e di quanto, ancora, mi stia ritrovando coinvolta, e non desiderando intrattenere, benché non mi possa negare consapevolezza di come, questo stesso materiale, adeguatamente riorganizzato e rieditato, potrebbe offrire sicuramente spunti interessanti anche sotto un simile profilo.
In tutto ciò, nulla inventando, e alcun tributo offrendo all’arte, il mio contributo a quest’opera, se così dir si possa, ha da intendersi quello proprio di una mera cronista, dedita a riportare, in maniera quanto il più possibile precisa e puntuale, la propria percezione degli eventi, nulla a essi adducendo o sottraendo. E per questa ragione, benché, probabilmente, in questo particolare contesto, in questo particolare momento, ogni attenzione possa essere stata, necessariamente, rivolta in direzione di Lys’sh, e del suo straordinario impegno al fine di superare quell’ostacolo, mi ritrovo spiacevolmente costretta a distogliere, e distogliere persino bruscamente, l’attenzione da tutto ciò, soltanto per reindirizzarla alla volta di un ben diverso obiettivo, un ben diverso evento destinato, purtroppo, a rendere tutti gli sforzi ipotizzati dalla mia compagna e dalla sottoscritta, quali persino ridicoli nel confronto con quanto, altresì, avvenne e ci vide, spiacevolmente, confinate al ruolo di semplici spettatrici, allorché concrete protagoniste.
Cosa accadde…?!
Accadde che, nel mentre in cui, ancora inerme vittima della mia stessa tensione, esattamente come già innanzi all’altra porta chiusa, all’altra soglia in attesa di superare la quale ero stata costretta a permanere per più tempo di quanto non avrei preferito essermi imposto, stavo allor aspettando che Lys’sh tornasse a offrire il proprio volto, contraddistinto, avrei potuto esserne certa, per l’occasione da un amplio sorriso di sorniona soddisfazione per un nuovo, indiscutibile, risultato ottenuto a dispetto di ogni mio pur innegabile timore, di ogni mia pur non trascurabile ansia; un terrificante boato ebbe a scuotere l’intero edificio, e non tanto in termini metaforici, ma, piuttosto, in una misura di ordine squisitamente fisico… e di ordine fisico nella misura in cui, quasi, mi trovò sbalzata all’indietro per effetto dell’impatto subito.
Un impatto che, ancora, non avrei potuto immaginare in conseguenza a quale evento fosse derivato; ma che pur, senza un particolare margine di incertezza, non avrei potuto evitare di riconoscere qual conseguente a qualcosa destinato a scombinare spiacevolmente i nostri piani. Oltre che, come solo pochi istanti dopo mi sarebbe risultato più che evidente, anche l’elegante profilo del grattacielo di proprietà della famiglia Calahab… al centro di una facciata del quale una navetta si era fragorosamente incuneata, qual conseguenza di un obiettivamente terrificante incidente che, pur, incidente non avrebbe avuto a doversi altresì riconoscere.

« Thyres! » protestai, non comprendendo, né avendo occasione di immaginare, cosa potesse allor star accadendo, e, ciò non di meno, non lasciandomi mancare un’imprecazione, in tutto ciò doverosa, per non dire addirittura obbligata, atta a esplicitare quanto, comunque, mia avesse a doversi riconoscere una certa contrarietà per tale evento straordinario, qual pur, anche dal basso della mia ignoranza, non avrei avuto ragione a dover necessariamente considerare tanto quel boato, quanto la vibrazione che a esso era conseguita in maniera tanto chiaramente percettibile.

Più in risposta a una semplice ispirazione istintiva, ancor prima che in conseguenza a un effettiva consapevolezza volta ad assicurare che tal gesto non avrebbe avuto a doversi considerare completamente fine a se stesso, e in tutto ciò addirittura ridicolo, nella propria attuazione, da parte mia; subito dopo aver scandito il nome della mia dea prediletta, subito dopo aver proclamato le due sillabe che, da sempre, nella mia mente, erano associate a colei sempre ringraziata, sempre adorata e pur, al tempo stesso, quasi sempre bestemmiata, arretrai e mi voltai in direzione delle scale che Lys’sh e io ci eravamo appena lasciate alle spalle, per poter cercare una qualche spiegazione utile a offrire un senso a quanto appena avvenuto. E il senso, in tutto ciò, ebbe a doversi considerare per me di ordine di cose indubbiamente superiore e, ciò non di meno, squisitamente apprezzabile, soprattutto a soddisfazione del mio sempre ardimentoso spirito guerriero che, soprattutto allora, nel confronto con tante emozioni di ansia, di eccitazione e, probabilmente, di inquietudine per quanto avrebbe comunque potuto avvenire; nel momento in cui, volgendo lo sguardo verso il basso, e verso tutta quella lunga sequenza di piani da noi già conquistato, da noi già consumato, ebbi occasione di individuare non soltanto la sagoma di una navetta là dove prima non esisteva, ma anche, e ancor più, quella di una decina di uomini ben equipaggiati e, in tal senso, pronti a trasformare tutto ciò in un terrificante campo di battaglia, a colpi di plasma e di laser, a seconda delle proprie più personali preferenze alternative. 
Un campo di battaglia nel confronto del quale, a ben valutare la mia condizione personale e, ancor più, la mia brama di trovare una qualunque ragione utile a permettermi di scuotermi dall’apatia nella quale, mio malgrado, stavo allora venendo costretta, non mi sarei mai sottratta. Anzi…

giovedì 30 gennaio 2014

2176


Tralasciando che, entro i confini della parola “circo”, ella aveva appena racchiuso elementi propri di una qualunque manifestazione popolare del mio mondo, dalla fiera di paese alla festa religiosa, in quello che, pertanto, avrei potuto considerare un altro errore di adattamento lessicale benché, come ebbi occasione di scoprire qualche tempo dopo, tale sia effettivamente l’idea qui fuori imperante in associazione a simile significante; le ragioni alla base del ricorso a quell’aneddoto avrebbero avuto a doversi riconoscere proprio in quell’ultima parola, in quell’ultimo riferimento addotto, e persino mal tradotto, entro i confini propri del quale ella desiderava, chiaramente, suggerire l’eventualità di un proprio impegno contorsionistico al fine di poter penetrare nell’intercapedine esistente dietro quella parete, in un’impresa che, obiettivamente, avrei dovuto riconoscere qual superiore a ogni mia più semplice possibilità d’intendimento. E proprio io che, per prima, avevo dimostrato, con il mio operato, con tutte le imprese affrontate e vinte nel corso della mia esistenza, quanto la parola impossibile fosse, abitualmente, abusata, nel definire in tal modo tutte quelle gesta nell’ipotesi di un confronto con le quali i più non avrebbero neppure voluto compiere lo sforzo di suppore necessario o possibile impegnarsi; proprio che, ancora, anche in quel nuovo mondo, in quella realtà estesa rispetto al Creato da me da sempre considerato qual tale, ero già stata in grado di sorprendere persino me stessa, nel dimostrarmi in grado di giungere illesa al solo dopo il già citato volo nel confronto con il quale, in altri momenti, in altre occasioni, mi sarei considerata sostanzialmente già spacciata; proprio io che non avrei dovuto dimostrare alcun particolare premura nel giudicare impossibile, o anche soltanto improbabile, il raggiungimento di un qualche traguardo, per quanto apparentemente tale, soprattutto ove, nel confronto con il medesimo, fosse stato dimostrato ardimento e dedizione fuori da ogni comune canone, fuori dai limiti propri dell’indolenza condivisa fra i più, e soltanto innanzi alla quale, alla fine, il mito si sarebbe tradotto in realtà, la leggenda sarebbe potuta divenire semplicemente Storia.
Esattamente in ciò, e forse a volermi in tal senso ricordare quanto, mio malgrado, stessi allor commettendo il medesimo errore di tutti coloro i quali ero solita criticare, quasi intimamente beffeggiare, nella sin troppo osteggiata incapacità a comprendere come il loro primo, e sovente, unico limite avrebbe avuto a riconoscersi in loro stessi e nella propria mancanza di fede nei confronti delle proprie possibilità; Lys’sh non sprecò un singolo, ulteriore istante di tempo a discutere con me, preferendo in proprio supporto, a sostegno della propria iniziativa, intervenire non tanto con ulteriori argomentazioni verbali, con nuovi dibattiti dedicati allo scopo di convincermi di quanto ragionevole avrebbe avuto a doversi considerare la sua posizione, di quanto corretta avrebbe avuto a doversi considerare la sua idea, ma, piuttosto e semplicemente, agire. E agire al fine di tradurre in un risultato concreto e incontrovertibile il proprio successo, per così come, in tutto ciò, da lei mai posto in dubbio, mai considerato in forse.
In tal modo, sotto il mio sguardo stupito, innanzi ai miei occhi più che sorpresi nel contemplare quanto, in quel modo, mi stava venendo presentato, ella si accostò a quel già ristretto varco nel muro, e all’ancor più ristretto pertugio in tutto ciò offerto, prendendo sapientemente confidenza con il medesimo prima di iniziare a penetrare al suo intero, apparendo, in tutto ciò, addirittura apparentemente capace, persino, di rimodellare le proprie ossa, la propria struttura fisica, per riuscire a transitare là dove alcun altro avrebbe potuto altrimenti realmente illudersi di poter essere capace di compiere, fosse anche il più straordinario contorsionista dell’universo intero. In verità, come in un secondo momento ella ebbe a spiegarmi, alla base di un tale risultato non avrebbe avuto a doversi considerare un qualche potere sovrumano, e, neppure, una qualche, pur accettabile, straordinaria capacità per lei in ciò potenzialmente derivante dalla propria natura ofidiana: quanto ella compì, allora, fu tale soltanto e unicamente in conseguenza a un pur non comune autocontrollo, tale da permetterle, in ciò, di gestire con mirabile efficacia non soltanto ogni proprio gesto, ma anche, e ancor più, ogni singolo muscolo del proprio corpo, nonché il proprio stesso respiro e, forse e paradossalmente, anche il proprio battito cardiaco, in misura utile a contrarsi e distendersi, allungarsi e comprimersi, di volta in volta, nei termini che più sarebbero potuti esserle utili al fine di aggirare la sfida per così come, in tutto ciò, riservatale, offrendo in tal senso tutto l’impegno, allora, richiestole. E prima ancora che io potessi realmente maturare coscienza di quanto stesse accadendo, ella era già scivolata all’interno del muro, con l’evidenza di una naturalezza tale per cui, piuttosto che confrontarsi con la solidità di una parete, avrebbe potuto offrire l’impressione di essersi letteralmente tuffata in un placido specchio d’acqua.

« Thyres… » non potei mancare di gemere, nel confronto con quanto lì compiuto, nuovamente avvicinandomi, in maniera spontanea e quasi incontrollata, al buco dischiuso a seguito della rimozione del pannello, allungando le dita della mancina a percorrerne il bordo superiore, oltre il quale la mia amica era scomparsa, per assicurarmi che esso, effettivamente, fosse quanto appariva essere e non, piuttosto, frutto di un qualche particolare e per me ancora sconosciuto trucco utile a far credere che lì fosse una parete quando pur, altresì, lì inesistente « … ma come diamine…?! »
« Donna di poca fede. » mi schernì, giustamente, da dietro la parete che, allora, ci stava dividendo, un confine straordinariamente sottile e, al tempo stesso, simile a un baluardo impraticabile, innanzi alla psicologica solidità del quale il gesto così compiuto dalla medesima Lys’sh avrebbe assunto, ove possibile, un valore persino maggiore, una valenza quasi epica, soprattutto nel confronto con il giudizio ancor del tutto attonito profferto dal mio sguardo incredulo e, quasi, sconcertato « Più in alto mi sembra di cogliere un passaggio per l’altra parte… dammi un quarto d’ora per controllare e, se tutto va come spero, ti verrò ad aprire io stessa. » mi richiese e, in parte, mi informò, necessariamente fiduciosa nei confronti del proprio successo, per così come era allora certa avrebbe contraddistinto quel proposito.

Posta innanzi all’evidenza di quanto avevo appena veduto, di quanto si era appena consumato sotto al mio sguardo attonito e sorpreso, non mi azzardai a ipotizzare alcun genere di replica a quella sua ultima affermazione, nel timore che qualunque cosa avrei potuto dire, allora, sarebbe potuta risultare inappropriata e, soprattutto, priva di fondamento alcuno, nella straordinaria capacità, per quella giovane donna, di imporsi sul mondo a sé circostante: una caratteristica, la sua, che, del resto, non avrei potuto ovviare ad apprezzare, ad ammirare e, persino, ad applaudire, all’idea di tutto ciò attorno a cui mi ero impegnata a fondare la mia vita, di tutto ciò nel merito del quale avevo speso energie e dedizione nel corso della mia intera esistenza, quel continuo tramutare l’impossibile in realtà, l’assurdo in quotidianità, e che, allora, in lei stava psicologicamente trovando una mia possibile, e assolutamente degna, erede. Osare, pertanto, aggiungere una sola sillaba a quanto già ella aveva scandito, avrebbe significato voler porre sfida e dubbio nel merito proprio di quanto pur stava compiendo, e delle sue possibilità di compierlo, in una misura tale per cui non avrei, sinceramente, trovato coraggio utile a guardarla ancora negli occhi, a sostenere ancora il suo suo sguardo, non tanto per motivazioni futili… non di certo per questioni più serie.
A preservare intatta ogni mia possibilità di confronto con Lys’sh, quindi, si impose qual necessario, da parte mia, un composto silenzio e, accanto a esso, un rinnovato esercizio di paziente attesa innanzi, mio malgrado, una porta chiusa, esattamente così come già era avvenuto diversi piani più in basso nel confronto con l’ingresso di servizio all’intero edificio. Ed esattamente così come già era avvenuto diversi piani più in basso nel confronto con l’ingresso di servizio all’intero edificio, nell’attesa che ella mi impose nel mentre in cui, personalmente, si impegnava al fine di dischiudere, innanzi a me, ogni passaggio, facendomi superare lo scoglio rappresentato da tutti i controlli che pur, obiettivamente, non avrei mai potuto autonomamente soddisfare; quell’attesa non poté che dimostrarsi emotivamente impegnativa, soprattutto nel confronto con l’impossibilità, per me, di poter anche e soltanto intuire quanto potesse star accadendo oltre quella soglia chiusa e, in ciò, di poter anche e soltanto immaginare quanto la mia amica, la mia alleata, la mia complice, potesse, o meno, star allora abbisognando di supporto, di sostegno, di aiuto, piuttosto che, invece, tutto stesse allor procedendo per così come da lei desiderato, da lei voluto, in maniera tale per cui, di lì a pochi istanti, il suo volto si sarebbe effettivamente proposto attraverso quel varco, lì, ancora chiuso.

mercoledì 29 gennaio 2014

2175


« Deve essere quello… » decretò, dopo un breve istante utile a prendere in esame ogni elemento a noi circostante, indicando, alfine, un pannello appena visibile nell’angolo in basso a destra della medesima parete sulla quale era stata ricavata la porta di collegamento fra le rampe di scale e il piano eletto qual nostro traguardo « … anche perché non ne vedo altri. » soggiunse a immediato compendio, aggrottando appena la fronte a implicita critica nel confronto della retorica della propria precedente asserzione.

Senza renderle necessario ribadire il concetto così espresso, in subitanea conseguenza alla condivisione di quell’informazione, mossi pertanto la mancina a estrarre, da un fodero legato, per l’occasione, in corrispondenza alla mia coscia sinistra, un pugnale di foggia militare, strumento sicuramente privo del medesimo fascino e dell’ancor più indiscutibile eleganza di una qualunque arma del mio mondo, per quanto eventualmente dozzinale, e pur, ciò non di meno, non privo di una sua efficacia e di una sua applicabilità a diversi contesti, qual, anche, quello così presentatoci. E, in tal modo accompagnata dal medesimo, armata con simile lama che, in tutto ciò, avrebbe assolto più che altro al ruolo di semplice attrezzo da lavoro, avanzai fino al pannello prescelto, facendo poi affondare, con delicatezza e, ciò non di meno, con fermezza, la lama del pugnale lungo un bordo del mio obiettivo, al fine di trovare un punto d’appoggio, un perno, sul quale ottenere leva per poter, alfine, forzare l’apertura dello stesso.
In ciò, fu questione di pochi istanti e, senza particolare impegno né fatica, dischiusi in tal modo un’apertura pressoché quadrata, sul muro, di non più di due piedi per lato, dietro la quale la maggior parte dello spazio presente avrebbe avuto a dover essere riconosciuto qual occupato da quella che, senza particolare sforzo di comprensione… non, per lo meno, nel confronto con la mia attuale coscienza della tecnologia, avrebbe avuto a dover essere identificata qual una centralina di controllo, relativa, allora, a non saprei dire qual genere di sistemi lì discretamente celati, non tanto per questioni di sicurezza, quanto e piuttosto per ragioni di mero ordine estetico. Ma se pur, tutt’attorno alla centralina, in effetti, avrebbe potuto essere facilmente verificata l’esistenza di un ipotetico accesso all’intercapedine presente dietro quella parete e, da lì, probabilmente, in qualche punto allora meno evidente, meno palese, anche ad altre aree di quel livello dell’edificio, inclusa, sicuramente, anche quella di nostro effettivo interesse; al di là di quanto, confrontandomi con le pregresse descrizioni concessemi da Lys’sh, avrei potuto in fede dichiarare di star attendendo di trovare, ciò che, in quel momento, mi fu concesso alla vista, ebbe a doversi riconoscere uno spazietto così infimo, al punto tale non soltanto da rendere del tutto impensabile l’accesso di una semplice gamba della sottoscritta, quant’anche, e meno piacevolmente, ogni ipotesi di passaggio per la mia amica, per quanto straordinariamente snello avrebbe potuto essere riconosciuto il suo quasi imbarazzante giro vita.
Per tal ragione, a costo di poter guadagnare, in quella mia reazione, un’occasione di critica nel confronto con l’evidente mancanza di fede nella Provvidenza e, ancor più, nelle potenzialità della mia complice; non mi riservai opportunità di silenzio, preferendo prendere voce e, in ciò, palesare ogni mio dubbio, pur giustificabile e, allor, ritengo giustificato, con l’idea di proseguire nell’attuazione del nostro piano, per così come inizialmente concepito…

« D’accordo… » storsi le labbra verso il basso, nel ritrarmi appena e nel contemplare, con aria critica, la situazione nella propria triste evidenza, per così come, quantomeno, tale non sarebbe potuta che apparire al mio sguardo « … qual era il piano di riserva?! » sbuffai poi, voltandomi in direzione di Lys’sh animata, mio malgrado, dalla consapevolezza dell’inesistenza di una qualche strategia alternativa che non prevedesse, allora e obbligatoriamente, il passaggio diretto attraverso la soglia che pur, sino a quel momento, avevamo prestato attenzione a non dischiudere.
« Non ci serve un piano di riserva… » sorrise ella, con serenità ammirevole, con pacatezza invidiabile, qual, credetemi, avrebbe persino potuto irritarmi non mi fossi già sentita a lei unita da un legame di sincera stima e affetto, non riuscendo a trovare, suo pari, una ragione per tanta tranquillità qual quella da lei così impunemente sfoggiata « … quello originale andrà più che bene. »
« … quello originale andrà più che bene…?! » ripetei, cercando di non strabuzzare gli occhi nel riproporre quelle medesime parole, a esse cercando conferma nel dubbio che, per l’ennesima volta, il traduttore automatico si fosse concesso qualche particolare libertà nel corso del riadattamento lessicale « Non per voler apparire critica nei tuoi riguardi, mia cara… ma neppure tu sei così magra da poter prendere veramente in esame l’idea di passare lì in mezzo. »
« Immagino tu non sia mai stata al circo… » continuò a sorridere, in quel mentre addirittura apparentemente divertita nel confronto con l’evidenza della mia incredulità, nel merito della quale, palesemente, ella non riusciva a capacitarsi… non, per lo meno, in misura maggiore di quanto io non sarei stata in grado di capacitarmi dell’impresa che, in tutto ciò, ella stava pretendendo di potersi dire capace di compiere.
« Certo che sono stata al circo… » protestai, pur non comprendendo cosa accidenti potessi avere a che fare, in quel momento, simile domanda con il discorso in atto « Qualche anno fa, addirittura, sono stata protagonista indiscussa nell’Arena di Garl’Ohr, combattendo contro fiere assetate di sangue e, persino, abbattendo un tifone, prima di essere eletta campionessa e, in ciò, di ritrovarmi costretta a confrontarmi con qualunque figlio di Gorthia potesse essere intenzionato a porre in dubbio il mio nuovo titolo. » riferii, conscia di quanto, probabilmente, parole come Garl’Ohr e Gorthia sarebbero risultate del tutto prive di significato alla sua attenzione, ammesso di non essere riadattate in maniera del tutto folle e, malgrado ciò, certa di come il significato proprio di tale messaggio non avrebbe mancato di offrirle riprova di quanto, al di là della sua ultima accusa, non mi fosse mancata passata occasione utile a prendere parte a quell’esperienza… e a farlo in maniera indubbiamente intensa, qual solo avrebbe potuto essere propria per chi, mio pari, si fosse ritrovato, per propria stessa iniziativa, a dichiararsi pronto per affrontare una sequenza così folle di combattimenti, e di combattimenti che non avrebbero trovato occasione di termine se non nella mia supremazia totale o, piuttosto, nella mia più totale, e allor necessariamente tragica, disfatta.
« Non sono certa di aver ben compreso quello che hai detto… ma non credo che il tuo concetto di circo abbia a considerarsi il mio stesso concetto di circo. Anzi… » osservò Lys’sh, dimostrandosi tutt’altro che convinta dalle mie asserzioni « … mi sento sufficientemente sicura di ciò. » sancì, aggrottando la fronte così come se, nel doverle descrivere il concetto proprio di giorno, le avessi appena definito le caratteristiche intrinseche della notte più oscura.
« Mercenari che combattono all’ultimo sangue… animali selvaggi affamati che vengono liberati all’unico scopo di ucciderti nei modi più atroci… e, se ciò non fosse sufficiente, anche una qualche creatura mitologica impiegata soltanto a simile scopo… » riassunsi brevemente, non desiderando improvvisare, in quella particolare sede, una disquisizione nel merito di quale definizione di circo avesse a doversi considerare la più corretta, benché, obiettivamente, fosse stata lei la prima a offrire riferimento a un tale discorso, seppur per ragioni che, ancora, in quel momento, non sarebbero potute essermi note, comprensibili o, anche e soltanto, immaginabili.
« Ho capito… » annuì, in nulla e per nulla mutando espressione e, anzi, ove possibile, aggrottando ancor più la fronte, a dimostrare tutta la propria incredulità per quanto le stavo dicendo « Quando questa faccenda sarà finita, ricordami di portarti a un vero circo… con giocolieri, lanciatori di coltelli, mangiatori di fuoco e, soprattutto, contro riformisti… »
« … contro riformisti?! » ripetei, su quella parola, del tutto priva di significato nel contesto allora attuale, che non ebbi allora dubbi a considerare un errore di traduzione, al quale, comunque, riuscii abbastanza rapidamente a porre rimedio, cercando un’associazione fra le figure appena elencate e quell’ultima mancante « … contorsionisti! » commentai, tornando a osservare lo stretto varco e, alternativamente, la mia compagna, avendo finalmente inteso cosa ella potesse aver in mente di compiere e, malgrado ciò, ancora reputandomi del tutto incredula nel merito dell’effettiva attuabilità di tale proposito.

martedì 28 gennaio 2014

2174


Con pazienza, in questo modo, Lys’sh e io conquistammo piano dopo piano, livello dopo livello, risalendo in maniera più o meno costante all’interno del grattacielo per ben oltre quaranta piani, passato il limite dei quali, non voglio negarlo, smisi volontariamente di conteggiarli nel timore di poter scoprire quanta strada effettivamente ci stessimo costringendo a compiere in salita, strada che poi, a tempo debito, non avremmo potuto rifiutarci a consumare anche in discesa, a meno di non voler imparare a volare. E nel considerare quanto, solo pochi giorni prima, avessi già avuto la mia prima, spiacevole esperienza di “volo”, nel ritrovarmi catapultata fuori dal un palazzo estremamente più basso rispetto a quello, in ciò salvandomi soltanto in grazia all’opera del mio nuovo arto destro che, a discapito di ogni critica di valore estetico mossagli dai più, ancora una volta dimostrò tutto il proprio straordinario valore, tutta la propria incredibile energia, derivante dalla propria natura di ordine squisitamente lavorativo, e per lavori pesanti; potendo allora scegliere, avrei sinceramente fatto a meno di qualunque nuova occasione in tal senso, a replicare simile esperienza, nel preferire, di gran lunga, mettere a dura prova i muscoli delle mie gambe allorché sfidare la sorte in qualche altra, folle azione pari a quella che, in ciò, mi aveva visto non entusiasta protagonista. Ciò senza ignorare un pensiero malizioso che mi colse superato, appunto, il limite dei quaranta piani e che, a modo suo, fu in grado di rallegrarmi quanto sufficiente a fami meglio tollerare simile prova, all’idea di come, in fondo, consumare così tante scale, in salita, prima, come in discesa, poi, non avrebbe fatto altro che rassodare all’inverosimile i miei già desiderabili glutei, aiutandomi a prepararmi a sfoggiare il massimo della mia forma fisica per il momento in cui mi sarebbe stata concessa l’occasione di rincontrare il mio amato, così come, presto o tardi, ancora volevo illudermi sarei stata in grado di rintracciarlo.
Diversamente da me, Lys’sh non perse il conto o, più probabilmente, si ritrovò a essere aiutata a mantenerlo dai cartelli di indicazione posti in corrispondenza a ogni singolo piano e, in ciò, utili a permettere a chiunque fosse in grado di leggerli di non smarrire l’orientamento all’interno di quello che, altrimenti, avrebbe potuto anche considerarsi un dedalo verticale, senza apparentemente né capo, né, tantomeno, coda. E se la sottoscritta, purtroppo, soltanto ignoranza avrebbe potuto vantare nel merito di simile alfabeto, tale da non essere in grado di distinguere in quelle indicazioni null’altro che degli scarabocchi decisamente poco artistici, almeno nel confronto con il mio personalissimo gusto estetico; per nostra fortuna la mia compagna avrebbe saputo vantare rispetto a me maggiore confidenza con tutto quello, in misura tale per cui, quando alfine arrivammo là dove eravamo dirette, non ebbe esitazioni a sollevare la propria mancina per invitarmi ad arrestarmi, nella più che faticata conquista del nostro obiettivo in termini di collocazione spaziale.

« Ci siamo… » evidenziò con un intervento verbale, un alito di voce quasi impercettibile e che pur prestai massima attenzione a cogliere, così come, malgrado la presenza dell’ofidiana avrebbe reso tutto ciò superfluo, per non dire persino paradossale, non avrei mai rinunciato a concedere orecchio a ogni pur minimale parvenza di suono a me circostante, nel costringermi, allora, a tentare di enfatizzare la mia pur consueta paranoia a nuovi e inesplorati livelli, qual, necessariamente, avrebbero dovuto essermi propri in quel frangente « … ora il gioco inizia a farsi serio. »

Ove, infatti, superare la soglia d’ingresso all’edificio e inerpicarsi per tutti quei livelli, prestando attenzione a sporadici gruppi di guardie, così come a ben distribuiti sensori di sorveglianza, avrebbe dovuto essere riconosciuto qual un impegno obiettivamente semplice, soprattutto a confronto con quanto, ancora, ci avrebbe potuti attendere; il raggiungimento di quel particolare piano, per noi destinazione se pur, ancora, non traguardo finale, avrebbe significato l’ingresso all’area potenzialmente più pericolosa di tutta la torre, là dove, razionalmente, i gruppi di guardie non sarebbero più stati tanto sporadici e i sensori di sorveglianza, ancor più ben distribuiti rispetto al resto del complesso, sarebbero stati mantenuti sotto stretto controllo, in misura utile ad assicurare l’incolumità della padrona di casa. Un’incolumità, la sua, che a confronto con l’evidenza dell’assassinio del padre,  non avrebbe avuto a doversi considerare così banale, così retorica qual tanto dispiegamento di forze e risorse avrebbe potuto lasciar supporre; nell’evidente assenza di punti ciechi e di debolezze tali per cui, se adeguatamente sfruttati, avrebbero potuto permettere a un assassino ben determinato di giungere a Milah Rica Calahab, così come, speranzosamente, avrebbero potuto permettere a Lys’sh e a me di raggiungere l’apparente infermeria nella quale ero stata ipoteticamente vaccinata, salvo poi scoprirmi qual sgradevolmente esposta a una vera e propria condanna a morte, al fine di indagare nel merito della natura della quale, allora, noi due avremmo avuto a doverci ricordare quali lì sospinteci.
In tutto ciò, anche soltanto l’idea di superare la soglia esistente fra le rampe di scale laddove noi eravamo in quel momento e il resto del piano, con i suoi corridoi e le sue stanze, avrebbe avuto a doversi riconoscere qual un azzardo tutt’altro che insignificante. Al contrario. Aprire quella porta, allora, avrebbe potuto significare, per noi, una serie di alternative fra loro egualmente sgradevoli, quali far scattare un qualche allarme in semplice conseguenza all’apertura non autorizzata di quel varco sensibile; quali ritrovarci potenzialmente a confronto con una schiera di sensori pronti a rivelare, comunque, non soltanto la nostra presenza, ma anche le nostre identità; così come, ancora e alfine, vedercisi poste innanzi a una qualche dozzina di uomini e donne oltremodo armati, e lì necessariamente addestrati a far prima fuoco su propri, ipotetici, obiettivi, e poi a porsi domande nel merito sull’esistenza o meno di una ragione utile a giustificare simile risoluzione.
Ben distante dall’aversi a considerare qual un avviso fine a se stesso, in tutto ciò, avrebbe avuto quindi a riconoscersi quello di Lys’sh, a me destinato non tanto in una qualche volontà di critica preventiva, atta a porre in dubbio la misura in cui mi sarei potuta dimostrare allor capace di confrontarmi con adeguata serietà e attenzione alla problematica, alla sfida lì riservataci; quanto e piuttosto, animata in tal senso dalla volontà di riuscire, in qualche misura, a esorcizzare il pericolo che, dietro a quella porta chiusa, avrebbe potuto attenderci, avrebbe potuto esserci riservato, e innanzi al quale, che potessimo apprezzarlo o meno, avremmo necessariamente avuto un ben minimale margine di manovra. Minimale, sì, e pur non nullo, pur non inesistente… non laddove, quantomeno, la mia compagna aveva ben pianificato le proprie scelte, la propria strategia, riservandosi la possibilità di rivolgere, allora, la propria attenzione non tanto a un approccio esplicitamente diretto, e tale da esporci in misura persino eccessiva al confronto con i nostri antagonisti, quanto e piuttosto a un approccio più moderato, più discreto, termine attorno al quale avrebbe pur dovuto essere ricordata essere fondata, allora, tutta la nostra missione.
Un approccio che, nel dettaglio, volle quindi prevedere impiegate, a discapito dei nostri ipotetici antagonisti, le debolezze strutturali dello stesso edificio che, in ciò, stavamo prendendo d’assalto, e volle sfruttare quelle peculiarità che mai avrebbero contraddistinto una qualunque architettura propria del mio mondo, nel non essere neppure concepibili, nelle logiche proprie del pianeta sul quale sono nata e cresciuta, idee come quelle caratteristiche di un impianto elettrico, idrico o, tantomeno, di… condizionamento, tal da rendere necessario creare, ovunque e comunque, vaste intercapedini fra una parete e quella attigua, o, addirittura, controsoffitti e pavimenti tecnici tanto ampli da permettere il passaggio, al loro interno, di una persona di medie proporzioni e di peso sufficientemente contenuto da non porne in dubbio l’integrità medesima: una persona qual, forse, io non avrei potuto allora essere, nel considerare, mio malgrado, una corporatura non propriamente volta all’anoressia; e che pur, in Lys’sh, avrebbe potuto individuare un modello d’indubbia eccellenza, oltremodo esaltato, nelle sue possibilità, in simile compito, dalle prerogative fisiche caratteristiche della propria razza, nel confronto con le quali avevo ottenuto, più volte, amplia riprova.
Così, ove anche io non avrei potuto permettermi di avanzare, in esplorazione, all’interno di quel piano né attraverso la porta principale, né, tantomeno, all’interno di una delle intercapedini lì offerte; la mia alleata, la mia sodale ofidiana, non avrebbe avuto alcuna difficoltà a procedere in tal senso, verificando, in tal modo, quanto là dietro avrebbe potuto attenderci, allo scopo di minimizzare, per entrambe, ogni possibile fattore di rischio, allo scopo di banalizzare, in favore alla riuscita della nostra missione, ogni incognita…

lunedì 27 gennaio 2014

2173


L’occasione propria derivante dal poter osservare Lys’sh in azione, è da ammettere senza recriminazione alcuna, avrebbe avuto a doversi considerare un’esperienza a dir poco straordinaria. Nell’incredibile connubio caratteristico della sua natura, quella fusione fra donna e rettile che, probabilmente, soltanto l’anno precedente avrei considerato sinonimo di mostro e, in ciò, da cacciare e da abbattere senza pietà alcuna, ella appariva allora e altresì al mio sguardo qual semplicemente magnifica, e, persino, estremamente più sensuale e seducente di quanto mai avrebbe potuto vantare essere qualunque altra donna umana da me mai conosciuta prima, benché, obiettivamente, nel corso della mia vita avessi sino ad allora avuto occasione di poter vantare amicizie e conoscenze con donne incredibilmente belle, al punto da non riuscire neppure a essere banalizzate quali semplici donne. E lo dico senza ipocrisia alcuna.
In effetti, prima di conoscere Lys’sh, e di poter iniziare ad apprezzarne la straordinaria unicità, difficilmente mi sarei immaginata di associare un’immagine di sensualità femminile a quella di un rettile, o, addirittura, di un serpente, riconoscendo in questi ultimi, al più, soltanto ragione d’orrore, di ribrezzo, di ritrosia per ataviche motivazioni, innato retaggio di timore e di sospetto nel confronto con creature così del tutto estranee alla natura umana, o, più, in generale, di qualunque altro animale, di qualunque altra bestia del Creato. Io stessa, da parte di coloro che hanno voluto tessere lodi attorno al mio nome e al mio incedere, sono sovente stata definita qual contraddistinta da un fare felino, accomunando, in maniera credo persino troppo generosa i miei movimenti a quelli dell’eleganza propria di tali creature dotate, obiettivamente, di un loro intrinseco e imprescindibile fascino, accompagnato, puntualmente, da una temibile, ferina aggressività che, obiettivamente, non avrebbe potuto dispiacermi immaginare qual mia propria, metafora priva d’ogni ambiguità di sorta in merito al mio carattere, al mio atteggiamento, al mio essere donna e guerriero. Egualmente, dovendo descrivere, a titolo esemplificativo, la mia nuova amica Duva Nebiria, caratterizzata, io credo, da una beltade sicuramente più oggettiva di quanto non avrebbe potuto essere mai stata la mia, di quanto io non avrei mai potuto essere in grado di vantare, nulla di diverso da un magnifico gatto dal manto bruno avrei potuto immaginare in associazione al meraviglioso spettacolo da lei offerto in ogni proprio gesto, in ogni proprio singolo passo, ritrovando in simile creatura, e non, di certo, in un serpente, una nobile immagine con la quale ritrarla. Ciò non di meno, al di là di tanto pregiudizio, di tanta ottusità da parte mia, vittima, mio malgrado, di quella medesima stolidità che ero da sempre stata solita criticare ai promotori di atteggiamenti e comportamenti discriminatori verso il prossimo; non soltanto ottusa, non soltanto stolida, avrei dovuto essere, allora, per negare l’evidenza palese di quanto presentatomi innanzi, ma, addirittura e fondamentalmente cieca… perché soltanto ove privata dello sguardo, e forse neppure allora, ci si sarebbe potuti permettere di ignorare l’incanto soave offerto dall’ofidiana in conseguenza al proprio semplice essere, esistere, respirare e vivere.
A rendere, poi, tanta eleganza qual prossima a potersi considerare suprema, in effetti, avrebbe dovuto essere riconosciuto come essa non avrebbe avuto a doversi ritenere qual fine a se stessa, non avrebbe avuto a doversi giudicare qual dispendio gratuito di straordinarie capacità fisiche, quanto e piuttosto qual applicata, allora, in tale contesto, in simile frangente, a una prerogativa non di meno unica, qual quella di riuscire ad avanzare, all’interno di quel luogo, di quell’edificio, così come in ogni altro ambiente, ammantandosi in un silenzio, in una discrezione tale per cui neppure nel conservarne, ben presente, l’immagine innanzi allo sguardo, avrei potuto realmente dirmi certa della sua presenza innanzi a me, in tutto ciò più effimera, più evanescente di ogni spettro con cui potessi aver avuto trascorsa occasione di contatto. E se ritenete che, in questa mia testimonianza, possa star cedendo ora all’idea di esagerare, di concedere eccessiva generosità di giudizio alla mia compagna e amica, vi possa essere d’aiuto l’idea di oltre una dozzina di occasioni nel corso delle quali, in quel nostro costante progredire verso i piani superiori, ella fu costretta a spianarmi la strada, ad aprirmi il cammino, non tanto aggredendo di sorpresa eventuali guardie, quanto e piuttosto permettendo anche alla sottoscritta, mio malgrado contraddistinta da un incedere meno impercettibile rispetto al suo, di oltrepassare diversi posti di blocco, e di oltrepassarli nel mentre in cui ella, già sospintasi oltre simili frontiere, si prodigò al fine di richiamare l’attenzione delle guardie altrove, verso diversi obiettivi, in tal senso giuocando, letteralmente, con loro senza mai, ciò non di meno, esporsi realmente al rischio di poter essere non tanto catturata, ma, obiettivamente, neppure individuata. Un avanzata, la nostra, a rallentare la quale avrei paradossalmente e spiacevolmente dovuto essere riconosciuta soltanto io… motivo per cui, in effetti, non potei alfine ovviare a maturare un certo imbarazzo, un certo spiacevole imbarazzo nel confronto con un concetto con il quale non mi sarei potuta considerare normalmente confidente. Al contrario…
Tale problema, se così si fosse voluto descrivere, avrebbe dovuto tuttavia essere considerato solo ed esclusivamente questione riferita alla sottoscritta, laddove, obiettivamente, al di là del mio orgoglio, al di là della mia presunzione, al di là del mio egocentrismo, tale dal volermi porre sempre al centro dell’attenzione anche quando, come allora, non necessario, l’effettivo successo della nostra missione non avrebbe dovuto prevedere un concreto intervento da parte mia, non avrebbe dovuto prendere in esame l’ipotesi nella quale la mia presenza, nel mio ruolo di capo della sicurezza, avrebbe avuto a doversi ritendere non tanto indispensabile, ma anche e soltanto utile, giacché, in tal caso, ci saremmo dovute spiacevolmente scontrare con l’evidenza di un fallimento… e con la necessità di correre ai ripari, a una soluzione d’emergenza. E proprio in quei termini, invero, avrei dovuto costringere a riconoscere me stessa: una soluzione d’emergenza, un piano disperato da porre in essere nel confronto con l’evidenza del fallimento di ogni altra possibile alternativa.
Ancora una volta, quindi e pertanto, avrei dovuto impormi di volgere piena fiducia ai miei alleati e, ancor più, avrei dovuto impormi di essere pronta a farmi da parte nel confronto con il loro operato, con la loro competenza, con la loro professionalità, accettando, difficile a dirsi, di non essere più l’unica protagonista di quella che mi ero abituata a considerare la storia della mia vita; nel dover riconoscere quanto, con la loro presenza nella mia esistenza e con la mia presenza nella loro, le nostre storie avrebbero avuto a doversi considerare irrimediabilmente intrecciate, mischiate, riunite, in un’unica opera collettiva, un’opera al centro della quale non sarebbe più stata, soltanto, la sensazionale Midda Bontor, ma anche l’incredibile Lys’sh, la pericolosa Duva, il saggio Lange e così via dicendo… sino a giungere, almeno desideravo ancora sperarlo, al giorno in cui in tale vicenda corale si sarebbe potuta aggiungere anche la voce di colui in compagnia del quale, in effetti, sola avrei dovuto, e voluto, essere, ma che, nel pormi così sciocca da pensare soltanto a me stessa, soltanto alle mie esigenze e alle mie idee, unicamente alla mia persona, avevo troppo superficialmente escluso, sino, alfine, apparentemente a perderlo. E a perderlo in termini tanto spiacevoli che non mi sarei potuta più considerare capace di ritrovarlo, benché, soprattutto nei primi giorni, nei primi tempi, tale ricongiungimento fosse stato ad parte mia ancor più banalmente considerato ineluttabile, rendendo, in tal modo, il mio amato Be’Sihl qual la prima vittima eccelsa di quella mia imperdonabile incapacità a fare giuoco di squadra.
In ubbidiente silenzio, pertanto, accompagnai Lys’sh all’interno del grattacielo, dietro di lei, insieme a lei, risalendo un numero a dir poco folle di gradini, laddove ricorrere ad altre soluzioni avrebbe avuto a doversi considerare, allora, del tutto interdetto in palese conseguenza alla necessità di non esporci ad alcun sistema di rilevazione; accogliendo ogni suoi singolo, tacito ordine e ottemperando puntualmente al fine di tradurlo in azioni concrete, in movimenti puntuali, in misura tale da ridurmi, né più né meno, al ruolo della pedina all’interno della partita a chaturaji che stavamo allora tanto intensamente giocando.
E quando ella mi ordinò di avanzare, io avanzai. Quando mi chiese di arrestarmi, io mi arrestai. Quando mi domandò di correre, io corsi. Senza mai, neppure una volta, esitare. Senza mai, neppure una volta, temporeggiare. Nella consapevolezza di quanto, comunque, il successo che lì stavamo cercando di ottenere sarebbe in ampia misura dipeso sostanzialmente dalla perfezione di un sincronismo temporale tanto perfetto tale per cui un solo battito di ciglia in più o in meno del dovuto avrebbe potuto soverchiare, completamente, le sorti del confronto.

domenica 26 gennaio 2014

2172


Per amor di dettaglio, potrebbe essere utile sottolineare come proprio da un varco di servizio quale quello in prossimità al quale, allora, mi ritrovai ad attendere l’arrivo di Lys’sh, ero stata condotta fuori dal grattacielo in occasione della mia recente liberazione, nella necessità, per la padrona di casa, di non pubblicizzare eccessivamente il fatto che, per giorni, fossi rimasta sua forzata ospite… o, come sarebbe più giusto dire, prigioniera. Motivo per il quale, ancora una volta, una certa inquietudine non poté evitare di contraddistinguermi nel profondo delle mie viscere, al confronto psicologico, ed emotivo, con i ricordi di quanto, all’interno di quelle mura, avevo affrontato, avevo dovuto mio malgrado, e innocente, subire. E così, allorché attendere con serena indifferenza il momento in cui quella soglia si sarebbe dischiusa per farmi entrare, nella pacata fiducia nell’evolversi della situazione conseguente alla consapevolezza di quanto nulla avrebbe potuto ostacolare l’attuazione del nostro piano sul fronte della mia compagna, della mia amica e sodale; non riuscii a mancare di essere inquieta come poche volte nella mia trascorsa esistenza, scandendo istante dopo istante in un silenzioso conteggio mentale, e domandandomi, mio malgrado, per quale ragione la mia complice stesse impiegando tanto tempo a raggiungermi, già lasciandomi dominare da dozzine e dozzine di diversi, terribili pensieri alla prospettiva di quanto, nel contempo, sarebbe potuto già essere occorso a mia insaputa, e delle terrificanti condizioni entro le quali, forse e ormai, ella avrebbe avuto a dover essere individuata, qual, spiacevolmente, riversa, vittima dei peggiori orrori che mai la mente di Milah sarebbe stata in grado di elaborare, in quella perversione sadica che ella aveva reso incredibilmente prossima a un’arte.
Per un istante, non voglio nasconderlo, fui persino sul punto di dar ormai per spacciata la mia giovane amica ofidiana, nel momento in cui la soglia ebbe sì ad aprirsi ma, da lì, non fecero altro che la propria comparsa due guardie, due uomini del servizio di sicurezza privato della famiglia Calahab, i quali, vestiti ed equipaggiati esattamente come altri che avevo già avuto occasione di incrociare, proprio in tal preciso sito si soffermarono con atteggiamento pigramente indolente, estraendo ognuno da un rispettivo taschino un pacchetto di quelle che, solo dopo qualche tempo, compresi essere una diversa forma per consumare il corrispettivo proprio delle erbe di una pipa, per impegnarsi, quasi distrattamente, a chiacchierare e a fumare, senza offrire apparente interesse al mondo a loro circostante. E fu proprio in conseguenza di ciò, di tanta disattenzione da parte di entrambi nei riguardi di quanto avrebbe potuto circondarli, e atta a lasciar trasparire uno scopo rivolto non tanto alla sorveglianza, alla custodia di qualcosa o qualcuno, che mi permise di frenarmi in quello che, altrimenti, sarebbe allor necessariamente stato un intento rivolto ad assaltarli, ad affrontarli e a ucciderli in maniera più rapida e decisa possibile, per, superati entrambi, penetrare all’interno del palazzo e lì ricercare la mia complice. Poiché, nel caso in cui ella fosse stata scoperta, individuata e catturata, persino obbligatorio sarebbe stato per loro porsi in perlustrazione dell’intero circondario, al fine di volersi assicurare quanto ella avesse allora potuto contare su un contatto esterno o meno, e, in ciò, avrebbe avuto a rapportarsi con altri nella prospettiva di compiere qualunque cosa entro quell’edificio-fortezza l’avesse potuta condurre. E, in quella loro apparente serenità, in quel loro fondamentale disinteresse nei riguardi del mondo intero, e soprattutto del mondo esistente al di là dei limiti propri di quel loro momento di distrazione, di riposo, difficilmente si sarebbe potuta individuare una scusante utile a conciliare, allora, le mie paure con l’evidenza propria dei fatti.
Così mi trattenni. E se apparentemente interminabile fu l’attesa per la scomparsa di quella coppia di guardie; e ancor maggiore ebbe a considerarsi quella richiesta prima della ricomparsa di Lys’sh, alfine e comunque, al di là di ogni mia più o meno paranoica preoccupazione, ella non manco di completare quella prima, e più semplice, parte del proprio piano, della propria strategia, nell’aprire nuovamente quella stessa soglia a mio solo beneficio e nell’accogliermi, in ciò, all’interno di quello che, probabilmente, avrebbe avuto a doversi considerare l’unico luogo in tutto l’universo dove avrei preferito non avere l’occasione di essere… non allora, né mai.

« Sbaglio o sei in terrificante ritardo…?! » non riuscii a fare a meno di rimproverarla nel momento in cui la raggiunsi, pur, in tal senso, cercando di mantenere il tono della mia voce il più contenuto possibile, onde ovviare al rischio di poter vanificare ogni suo sforzo in favore di un discreto incedere.
« Sbaglio o sei terribilmente nervosa…?! » puntualizzò ella, per sola replica, in ciò negandosi qualsiasi incedere di rimprovero malgrado, da parte mia, tale premura non fosse stata dimostrata, e, anzi, addirittura impegnandosi al fine di trasformare tutto ciò in un’esclamazione scherzosa, così come dimostrato da quanto, immediatamente, ebbe a soggiungere, probabilmente nella speranza di aiutarmi a superare quel sempre più evidente ostacolo psicologico « Malgrado continui a ripetere di essere una vecchietta, sembri quasi una ragazzina al proprio primo appuntamento… »
« Ehy… io non sono stata una ragazzina neppure quando ero una ragazzina. » volli precisare, aggrottando la fronte e puntando l’indice della mancina contro il petto della mia interlocutrice, con incedere quasi minaccioso, nel rivolgere replica ipoteticamente irata alle sue affermazioni e, ciò non di meno, non desiderando altro che dimostrarle, da parte mia, interesse ad accogliere in maniera propositiva quel suo impegno nei miei riguardi, concedendole, in tal senso, occasione di facile polemica a discapito di posizioni tanto grottesche quali quelle che stavo allora coscientemente assumendo « E dalle mie parti, la parola appuntamento, non ha mai un’accezione romantica… anzi… »
« Uhm… ho sempre creduto di non aver avuto un’adolescenza semplice, ma mi rendo conto che esiste chi può vantare un passato peggiore del mio. » ridacchiò, sommessamente, per tutta risposta, scuotendo appena il capo e approfittando, dell’occasione, per reimpossessarsi della sua attrezzatura che, lì, stavo reggendo nella destra in freddo metallo cromato « Comunque, se il tuo mondo è davvero così triste come lo descrivi, non mi stupisce per nulla che tu abbia deciso di scappare da lì: molto meglio compiere un balzo nel buio che trascorrere tutta la propria esistenza immersi nelle tenebre, inconsapevoli dell’esistenza di qualcosa di più, di migliore. »
« Diamine! » mi trattenni a stento dall’esclamare, sempre e soltanto per motivazioni rivolte alla necessità di mantenere una certa discrezione, senza promuovere eccessivamente la nostra presenza all’interno di quella struttura, là dove non avremmo dovuto trovarci « Devo assolutamente ricordarmi, la prossima volta, di condurre meco anche carta, penna e inchiostro, per essere pronta ad annotarmi delle incredibili massime come questa. » ironizzai con tono, allora, esplicitamente sarcastico, benché, in verità, quella frase mi fosse veramente piaciuta, trovandola tutt’altro che sciocca, tutt’altro che superficiale o banale, così come, in simile replica, avrei potuto offrire riprova di desiderare considerare qual tale e, ancor peggio, rendere tale « Lunghi da me permettere che tanta saggezza possa andare sprecata… »

Come già in molte occasioni passate, in molti contesti di potenziale incredibile tensione emotiva con i quali mi ero ritrovata a dover scendere a patti, per ragioni che avrebbero avuto, probabilmente, a riconoscersi più condivisibili rispetto a quelle che, malgrado tutto, allora mi animavano, e mi animavano oltremodo concretamente; anche in quel mentre la possibilità di ricorrere a facile ironia, per stemperare gli animi… o, quantomeno, il mio stesso animo, non avrebbe avuto a doversi considerare in alcun modo inefficace. Anzi. Il quel breve, rapido, botta e risposta fra Lys’sh e me, buona parte dell’ansia che, nel silenzio dell’attesa a cui ero stata costretta, era cresciuta in maniera forte e incontrollata, ebbe occasione di scemare, e, in ciò, di concedermi non soltanto maggiore respiro, maggiore quiete, fisica ed emotiva, ma anche, e soprattutto, maggiore lucidità mentale, qual, allora, sarebbe stata pur irrinunciabilmente necessaria per affrontare quanto, ancora, avremmo dovuto affrontare.
Perché il superamento di quella prima soglia, di quel primo varco, avrebbe avuto a doversi riconoscere, palesemente, non qual il termine della nostra avventura ma, piuttosto, soltanto l’inizio. E l’inizio di un percorso nel quale, nostro malgrado, occasioni di tensione non sarebbero mancate… e non sarebbero mancate per ragioni più che giustificabili.

sabato 25 gennaio 2014

2171


Nell’avere a doversi confrontare con un edificio come quello allora presentatole innanzi, e con la necessità di penetrare al suo interno in maniera non semplicemente discreta, ma sostanzialmente impercettibile a chiunque avrebbe potuto avere ragione di dimostrarsi contrario a tale proposito, a simile prospettiva; Lys’sh sapeva di poter prendere in esame alcuni fattori a proprio, esclusivo, vantaggio, così come anche alcuni fattori a proprio, innegabile, svantaggio, in un rapporto tale da poter rendere l’idea di quella missione, in verità, meno azzardata rispetto a quanto chiunque non avrebbe potuto inizialmente ipotizzare, nel ritrovarsi informato nel merito della sfida che avrebbe avuto a doversi riconoscere nostra intenzione affrontare.
Un fattore a svantaggio, giusto a titolo esemplificativo? Quella torre smisurata e colossale avrebbe avuto a doversi considerare dimora della più potente e temuta organizzazione criminale di tutta Loicare, e, in quanto tale, necessariamente uno dei luoghi più protetti, più sicuri e, in conseguenza, più pericolosi dal punto di vista di qualunque ipotetico antagonista, di tutto il pianeta, e, probabilmente, di buona parte del circondario. Molto più, obiettivamente, persino rispetto alla sede dell’omni-governo, o a qualunque altra pubblica istituzione che, lì, avrebbe pur potuto essere riconosciuta qual protetta e custodita dalle comunque efficienti forze dell’ordine locali. E nella propria colossale e smisurata imponenza, quanto sarebbe avvenuto all’interno di quell’edificio, sarebbe necessariamente rimasto all’interno di quell’edificio, avesse ciò a doversi considerare anche una terrificante battaglia a colpi d’arma da fuoco in grado di demolire interi piani del medesimo: una volta là dentro penetrate, pertanto, Lys’sh e io saremmo state sole, completamente sole, contro, potenzialmente, un intero esercito, mercenario e non, soltanto bramoso, nel migliore dei casi, di stuprarci e ucciderci, così come sarebbe potuto gradevolmente avvenire entro i confini del mio mondo natio; e nel peggiore dei casi, di catturarci vive e di consegnarci alla loro signora… anzi, signorina, a permetterle di soddisfare sulle nostre carni, ogni proprio più sadico e terrificante capriccio.
Il suo corrispettivo fattore a vantaggio? Quella torre, obiettivamente, avrebbe avuto a doversi considerare eccessivamente smisurata e colossale per poter essere mantenuta concretamente sotto costante controllo, fosse a tal fine anche impiegati i più fedeli, devoti e, addirittura, fanatici tirapiedi che mai la famiglia Calahab avrebbe potuto vantare di aver arruolato all’interno delle proprie fila. Questo senza sottovalutare come, proprio in conseguenza a tale colossale e smisurata imponenza, quell’edificio non era stato destinato, in maniera esclusiva, a ospitare i propri stessi proprietari, ma, anche, molte, moltissime altre risorse e persone, sì facenti comunque riferimento alla famiglia Calahab, e, ciò non di meno, appartenenti a una parte di quell’insieme di attività legali che, nel presentarmi con quale genere di antagonisti stessimo avendo a che fare, Lange aveva definito come “di facciata”. Perché se vero avrebbe avuto a doversi considerare quanto alla famiglia Calahab avrebbe potuto essere imputata la quasi totalità delle attività criminali di Loicare e non solo, altrettanto vero avrebbe avuto a doversi ricordare quanto, comunque, tanto Maric, quanto la sua degna erede Milah Rica, fossero stati sufficientemente capaci a mantenersi fondamentalmente immacolati nel confronto con qualunque genere di accusa a proprio discapito: un risultato, il loro, allora ottenuto non soltanto in grazia a una particolare attenzione nella gestione dei propri affari illegali, ma anche al mantenimento di una vasta serie di altri affari legali tali da farli apparire, innanzi allo sguardo severo dell’omni-governo, purtroppo inattaccabili… inattaccabili a meno di non voler, colpendo loro, anche colpire centinaia di migliaia di persone che avrebbero potuto vantare qual propria unica colpa quella di essere impiegate all’interno di una delle attività facenti riferimento alla famiglia o, ancora, a una delle attività d’indotto collegate a esse.
Per ragioni come queste, e come molte altre accanto a queste, Lys’sh non avrebbe potuto considerarsi così poco fiduciosa nel confronto con quanto ci avrebbe atteso a prescindere da quanto, obiettivamente, pericoloso avrebbe avuto a doversi considerare quanto di avrebbe dovuto attendere. E muovendosi con competenza e professionalità a dir poco assolute sul mondo a lei circostante, tali da spingermi, obiettivamente, a credere come ella nulla di diverso rispetto a quello ella avesse mai compiuto nel corso della propria vita, come null’altro che quello avesse a doversi riconoscere il suo giusto impiego, ci concesse di giungere senza problema alcuno fino ai livelli superiori dell’edificio, là dove, alle attività “di facciata” della famiglia Calahab, avrebbero iniziato a cedere posto quelle, spiacevolmente, più concrete e reali, insieme all’effettiva dimora della famiglia stessa.
Come si dimostrò capace di ciò…?!
Beh… ammetto che il puntuale dettaglio del suo piano non fu mio interesse conoscerlo ancor prima della sua attuazione, in tal ritrosia sospinta dal timore di poter, altresì, risultare poco fiduciosa nei suoi riguardi, nei confronti con la sua competenza e il suo apporto, tutt’altro che secondario, a quella nostra missione. Ciò non di meno, per quanto obiettivamente ancora poco confidente con la tecnologia del mondo a me circostante per poter cogliere ogni malizia del caso, non mi sfuggirono del tutto le ragioni alla base di alcune scelte da lei, allora, compiute. A iniziare, nella fattispecie, dal punto d’accesso all’edificio stesso… anzi, dai punti d’accesso all’edificio stesso.
Per quanto, infatti, un’enorme ingresso contraddistingua il palazzo stesso sul proprio fronte principale, punto d’accesso pubblico e obbligato non soltanto per coloro che lì avrebbero avuto interesse a offrire visita, ma anche per tutti coloro impiegati all’interno di una delle già citate, molteplici attività lì situate; a garantire un primo, più appariscente, livello di sicurezza all’interno della medesima torre, proprio su tale fronte, a complemento di tale passaggio, non sarebbero allora potuti mancare una serie di controlli, in parte automatizzati, in parte manuali, volti a impedire a chiunque non fosse stato previamente autorizzato non soltanto l’ingresso all’edificio, ma ancor più severamente l’introduzione di qualunque genere di armi al suo interno, convenzionali o meno che esse avrebbero avuto a potersi considerare. Una misura tutt’altro che straordinaria, in verità, quella allora lì attuata, laddove, per così come già avevo avuto occasione di verificare io stessa nella mia, in verità, non particolarmente lunga permanenza su Loicare, simili protocolli e meccanismi avrebbero avuto a doversi considerare caratteristici di molteplici luoghi, tanto pubblici così come privati, nella rivisitazione in chiave tecnologica, a ben vedere, di quel genere di perquisizioni che, dopotutto, anche sul mio pianeta natale si era soliti attuare a tutela di obiettivi particolarmente sensibili.
Chiaramente, nel confronto con l’esistenza di una simile, palese, e pur difficilmente violabile, infrastruttura di controllo, il passaggio attraverso l’ingresso principale avrebbe avuto a doversi considerare inattuabile per la sottoscritta, non soltanto per il carico di armi che stavo conducendo al mio seguito, e al quale non avrei voluto rinunciare, e che anzi, avendone la possibilità, avrei ben gradito poter integrare con la mia allor ancor compianta spada bastarda, la mancanza della quale mi stava torturando, lo ammetto con un certo imbarazzo, non meno rispetto a quella del mio amato Be’Sihl; ma anche, e ancor più, nel confronto con l’evidenza di quanto il mio volto non avrebbe potuto evitare di suscitare immediato allarme, nell’aversi, mio malgrado, a doversi lì considerare più che noto, anche in conseguenza al lungo periodo da me, all’interno di quelle stesse mura, già affrontato. Diversamente da ciò, tuttavia, una simile limitazione d’accesso non avrebbe avuto a doversi riconoscere qual esistente a discapito della mia compagna, la quale, semplicemente rinunciando, estemporaneamente, alla propria minore quantità di equipaggiamento, per così come da lei scelta, nell’affidarla alle mie cure, alla mia premura, avrebbe potuto varcare quei confini in maniera a dir poco banale, nel ricorrere a uno stratagemma probabilmente non particolarmente originale e, ciò non di meno, quietamente attuabile con un minimo fattore di rischio: bloccare il primo fattorino contraddistinto da misure adeguatamente compatibili con le proprie e diretto, non a caso, verso la dimora della famiglia Calahab, per a lui, o lei, sostituirsi, e, in ciò, assicurarsi la scusa utile a garantirsi l’ingresso desiderato. Una possibilità conquistata la quale, null’altro avrebbe avuto a dover compiere che sfruttare la propria capacità di discrezione totale per sgattaiolare al di fuori del percorso che avrebbe ipoteticamente dovuto seguire, per potersi spingere all’interno di qualche area di servizio della struttura stessa e, da lì, a uno degli accessi secondari al medesimo, laddove io sarei dovuta restare in sua attesa.

venerdì 24 gennaio 2014

2170


« Ecco… magari abbattere l’intero edificio un pilastro alla volta non ha da considerarsi qual la soluzione più indicata al mantenimento di una certa discrezione. » commentò, per sola replica, la mia amica, scuotendo appena il capo e, in tal senso, escludendo la prospettiva da me in tal modo appena promossa, un’idea che, per quanto apparentemente grottesca nel proprio eccesso di enfasi, ella era perfettamente conscia non avrebbe avuto a doversi riconoscere qual così improbabile, così impossibile, soprattutto trattandosi di me, nell’avermi già adeguatamente inquadrata « Non che abbia a doversi considerare, la mia, qual una critica al tuo accurato piano strategico… sia chiaro. » soggiunse subito dopo, in quelle ultime parole lasciando scadere, completamente, il suo intervento in toni assolutamente ironici, che nulla avrebbero voluto mai, e in alcun modo, essere per me ragione d’offesa, nel rispetto che, sin dal primo istante, ella non aveva voluto negarmi, sicuramente in tal senso favorita dalla consapevolezza di quanto, in sua difesa, a sua protezione, in suo supporto, mi fossi offerta in compagnia di Duva quando alcun altro, probabilmente, avrebbe mosso un dito, nel non desiderare correre il rischio di intromettersi sgradevolmente in questioni nel confronto con le quali, sarebbero potuti soltanto derivare problemi.
« Tu dici…?! » domandai, fingendomi del tutto spiazzata all’idea di quanto poco discreta avrebbe potuto essere l’attuazione della tattica in tal modo paventata, quasi incapace a comprendere le ragioni di quell’appunto, di quell’osservazione, come se nulla di meglio di tal distruzione, di simile annichilimento, avrebbe potuto avere ragione di contraddistinguere il concetto stesso alla base della discrezione da lei desiderata « Strano… » soggiunsi, sollevando la mancina ad accarezzarmi il mento con un gesto volutamente enfatico, addirittura teatrale, nel confronto con l’esigenza di una riflessione attorno a simile pensiero, a quella critica che pur era stata apertamente disconosciuta qual tale « Dalle mie parti, difficilmente i morti si rendono conto di quanto accade attorno a loro. » ripresi e continuai, con incedere alfine volutamente macabro « Salvo eccezioni, s’intende… » puntualizzai necessariamente, non potendo ovviare al ricordo di quante volte, mio malgrado, mi fossi ritrovata a confronto con creature rianimate in grazia a qualche sempre sgradevole potere negromantico, tal da restituire anche ai morti maggiore consapevolezza della realtà a loro circostante rispetto a quanto non avrei potuto considerare apprezzabile.
« Sai… contrariamente alla mia consueta curiosità, credo proprio che questa volta trascurerò di cercare spiegazione nel merito di quanto tu abbia a voler intendere con questa tua inquietante uscita. » concluse Lys’sh, dal proprio canto già, in parte, consapevole a riguardo di come, nel mio mondo, nel mondo nel quale io sono nata e cresciuta, esistano arcane forze apparentemente assenti in ogni civiltà progredita, e tali, nostro malgrado, da generare orrori di indescrivibile portata, oscenità estranee a ogni concezione, e nel contrastare le quale, obiettivamente, ho dovuto trascorrere gran parte della mia esistenza, combattendo alcune fra le mie più importanti battaglie e conquistando alcune fra le mie più memorabili vittorie.

E se, allora, per lei… e non soltanto per lei, nel considerare identica reazione da parte di chiunque con il quale avessi condiviso simili memoria, l’idea di tali orrori, di quel genere di oscenità, avrebbe avuto a doversi considerare difficile da accettare e da digerire, nell’essere riconosciuti qual offerenti riferimento a quella parte più oscura e inquietante di ogni atavico e innato stereotipo proprio di qualunque creatura mortale, umana o chimera che avesse avuto a doversi riconoscere; allo stesso modo, al tempo stesso, non più semplice, non più immediato, avrebbe avuto a doversi riconoscere il discorso inverso, atto, allora, a trovare la sottoscritta posta in sincera difficoltà all’idea che quanto pur, per me, avesse a doversi considerare, da sempre, qualcosa di naturale, non diversamente dall’alternarsi fra il giorno e la notte, al di fuori dei confini propri del mio mondo natio avesse a doversi riconoscere qual semplice mito, in misura tale da rendere, paradossalmente, anche me stessa qual tale, non potendo, mio malgrado, prescindere dal mio stesso passato e, con esso, dall’evidenza dell’esistenza di tutto ciò con il quale avevo avuto a che fare prima di immergermi in quella nuova, e più amplia, realtà, e con il quale, pur, sarei alfine tornata ad avere a che fare, quotidianamente, il giorno in cui, presto o tardi, avrei fatto ritorno al mio pianeta, e alla mia vecchia vita.
Tuttavia, benché sui Loicare stregoneria e negromanzia non avessero a doversi considerare concetti comuni, né, in effetti, qual offerenti riferimento di sorta a una qualche idea di normalità; anche grazie all’esperienza della quale Milah aveva voluto rendermi testimone, non avrei potuto negare quanto, comunque, non avrebbe dovuto essere riconosciuta alcuna necessità di tali forze sovrannaturali per poter dal spazio al consumarsi di allucinanti oscenità, nel confronto con le quali, anzi e persino, qualche stregone o negromante del mio mondo avrebbe potuto riservarsi opportunità di apprendere qualcosa di nuovo. Per tale ragione, quindi, sebbene nel confronto con la sfida rappresentata da quell’edificio, Lys’sh e io non avremmo avuto a dover temere l’avvento di zombie, scheletri, spettri, legioni o quant’altro, ma neppure di gargolle o di altri artefatti stregati; alcun genere di giustificazione avrebbe potuto impedirci di dimostrarci comunque più che paranoiche innanzi alle insidie che lì avrebbero potuto attenderci, e avrebbero richiesto, da parte di entrambe, tutto l’impegno di cui ci saremmo potute dimostrare capaci. Un impegno che, allora, si sarebbe visto rivolto non soltanto in direzione del perseguimento dei nostri obiettivi ma, ancor più, della difesa del nostro diritto alla vita… e al mantenimento della nostra vita e della nostra libertà al di là di qualunque crudele o sadica brama in senso opposto.

« Tu non chiedi… io non parlo. » conclusi a mia volta, nel concederle di considerare chiusa, almeno per il momento, quella parentesi allor estranea a quanto ci stava attendendo, e, in conseguenza a ciò, a suo modo inevitabilmente superflua « Piuttosto… tornando a noi. » ripresi quindi le fila del discorso, per cercare di raccogliere un momento le idee e ricondurci in una giusta prospettiva nel confronto con quanto avremmo lì dovuto compiere « Volendo escludere da parte mia l’impegno ad abbattere l’intero edificio… come consigli di approcciarci alla questione?! » argomentai, non risparmiandomi una nota d’ironia nella voce, pur, allora, necessariamente offrendomi a confronto con lei in un’ottica più che costruttiva e collaborativa, e, anzi, a lei, e al suo giudizio, affidandomi in maniera più che sincera e assoluta.

Il tempo concessoci per prepararci non era stato molto. Anzi. Fondamentalmente, considerando quanto, istante dopo istante, il lento e pur inesorabile scorrere della sabbia nella clessidra della mia vita stesse riducendo, sempre più, inarrestabilmente, la mia prospettiva in favore a un domani; il tempo concessoci per prepararci era stato minimo. Giusto quello utile alla sottoscritta a passare in armeria, per equipaggiarsi a dovere, e, contemporaneamente, a Lys’sh per studiare rapidamente le planimetrie note nel merito dell’edificio al quale avremmo dovuto presto imporre assalto. Ciò non di meno, proprio nel confronto con simile divisione di ruoli, con tale scelta di priorità, la mia rivolta più a un piano di natura squisitamente fisica, e quella della mia compagna a un piano di natura indubbiamente intellettuale; mi sarei allora potuta considerare certa del fatto che mai e poi mai ella avrebbe potuto esprimersi, in risposta a quel mio interrogativo, azzardando un’ipotesi, provando a indovinare la soluzione migliore in base all’ispirazione del momento, non, quantomeno, senza al più sceglierla all’interno di una ristretta schiera di opportunità alternative tali da non permetterle di affidarsi, in maniera completa, alla benevolenza della sorte, senza che, in favore a tale benevolenza, potesse esserci un impegno concreto a evocare per noi una prospettiva di vittoria, il successo desiderato.
Nel volgerle tale interrogativo, pertanto, non avrei desiderato sottintendere alcun genere di sarcasmo nel confronto con quanto, ero certa, sarebbe stato il suo contributo alla nostra missione; ove, a dispetto di ogni eventuale, intima considerazione sulla giovane età dell’ofidiana, tale da farla impropriamente percepire al mio animo qual necessitante di sostegno, supporto e, addirittura e follemente, protezione da parte mia, mai avrei desiderato poterle mancare di rispetto, mai avrei voluto porre in dubbio la sua competenza e la sua preparazione, avesse ella vent’anni così come ottanta.

giovedì 23 gennaio 2014

2169


Un impegno, quello così promosso da parte della mia compagna, che non avrebbe avuto a doversi riconoscere, allora, qual animato da mera retorica, da un tanto semplice, quanto purtroppo vuoto, tentativo atto a rassicurarmi. Non, quantomeno, nel considerare le ragioni che, nella scelta di quella nostra accoppiata, avevano sospinto lo stesso Lange, il quale, necessariamente, non si era a tal fine espresso qual conseguenza di una banale assenza di alternative, essendo rimaste, alla fine, soltanto noi due ancora attorno alla tavolata di quel breve, ma intenso, consiglio di guerra. Anzi. In effetti, alla luce di quanto ci avrebbe atteso, e delle motivazioni a supporto di tale formazione; senza pur nulla voler togliere al valore e ai meriti degli altri membri dell’equipaggio della Kasta Hamina, qualche altra coppia, forse, probabilmente, avrebbe potuto essere considerata una forzatura utile a permettere a Lys’sh e a me di restare disponibili per quell’ultimo compito, per quella particolare missione… ma non, certamente, noi due.
Se a bordo della nave, all’interno di quell’equipaggio e della sua varietà di specializzazioni e di peculiarità, la sottoscritta era stata individuata qual ideale come capo della sicurezza, in conseguenza al mio passato, e al mio presente, guerriero, a tutti gli anni spesi in ogni genere di campo di battaglia, temprandomi nel sangue di ogni antagonista vinto o abbattuto; Lys’sh avrebbe potuto essere, allora e infatti, considerata, nella nostra schiera, qual la più esperta nel campo dell’infiltrazione e del controllo, in grazia, innanzitutto, alla sua stessa, intrinseca natura di ofidiana. Benché, infatti, ella sostenesse che la parte umana del proprio sangue, per quanto ormai più che smarrita all’interno della chiaramente predominante parte ofidiana, la rendesse, nel confronto con altri esponenti della propria stessa razza, soprattutto ove in grado di vantare un’ascendenza pura, incredibilmente goffa e rumorosa nel proprio incedere; i suoi movimenti, i suoi passi, erano da sempre risultati tanto leggeri, tanto delicati, da non riuscire neppure a porre in allerta i miei pur sviluppati sensi, gli stessi che, senza celarmi dietro a qualche falsa modestia, da sempre mi avevano permesso di sopravvivere a me stessa, impedendo a chiunque, uomo o bestia che fosse, di cogliermi impreparata, di sorpresa. Ciò, altresì, non avrebbe avuto a doversi considerare tale per la stessa Lys’sh, alle caviglie della quale, in effetti, non mi sarebbe dispiaciuta l’idea di legare un braccialetto composto interamente di campanelli, qual rimedio pratico al fine di non ritrovarmi più con il cuore in gola nello scoprirla, senza possibilità di preavviso alcuno, qual magari in piedi alle mie spalle già da tempo sufficiente non soltanto per potermi aggredire, ma per potermi esplicitamente uccidere, senza concedermene la benché minima percezione.
Così, allo stesso modo in cui avrei avuto ragione di essere più che preoccupata alla semplice idea di ritrovarmi posta a confronto con una tale avversaria o, addirittura, con qualcuno capace di essere da lei stessa riconosciuto qual più discreto di quanto ella non avrebbe mai potuto sperar di essere; egualmente, avrei avuto ragione di essere più che soddisfatta all’idea di poterla riconoscere e vantare, persino, qual mia alleata, qual mia amica, alcun dubbio, alcuna critica, potendomi riservare opportunità della quale nel confronto con il proprio personale campo di applicazione all’interno dell’equipaggio della Kasta Hamina, in generale, e della nostra estremamente ristretta squadra, in quel momento particolare. Momento nel confronto con il quale, pertanto, la scelta di Lange avrebbe avuto a doversi riconoscere qual, in assoluto, la migliore a sua disposizione, nel riunire, nel combinare, per l’occasione, il mio talento guerriero all’incredibile discrezione di Lys’sh, capacità in grazia alle quali, nella migliore delle ipotesi, saremmo riuscite a entrare e a uscire nuovamente dalla dimora dei Calahab senza imporre ad alcuno la benché minima ragione d’allarme… allarme nel caso del quale, ciò non di meno, sarebbe stata mia personalissima premuta compiere tutto il necessario al fine di tirarci, comunque e alfine, fuori, per ovviare a entrambe l’orrore di quanto avrebbe potuto esserci imposto da parte della temibile padrona di casa, nel confronto con l’ospitalità della quale, sinceramente, non avrei potuto augurare di trovare a porsi neppure al mio peggior nemico.
Ciò non di meno quasi paradossale, comunque, non avrebbe potuto che essere da me intimamente giudicato, allora, il pur apprezzabile, e apprezzato, tentativo di rassicurazione rivoltomi da parte della giovane ofidiana; in un impegno sincero, concreto, qual quello da lei allora preso, che, ancora una volta, non avrebbe potuto evitare di entrare in ironica collisione con l’errata idea che, nella mia mente, ancora era associata a lei, giudicandola scioccamente, al di là di quanto già mi aveva dato riprova di essere in grado di fare, al pari di una mia protetta, una figura per la quale avrei dovuto pormi qual tutrice e protettrice, almeno fino a quando non fosse stata in grado di badare, autonomamente, alla propria difesa. Particolare condizione, necessaria e sufficiente, quell’ultima, da lei in verità, e puntualmente, già raggiunta e già ampiamente dimostrata qual raggiunta, in termini tali che, potesse piacermi o meno, avrei dovuto costringermi quanto prima a comprenderlo, e comprenderlo veramente, al fine, quantomeno, di non offrirle ragione d’insulto nella mia altrimenti altresì dimostrata mancanza di fiducia verso di lei.

« Ti ringrazio per il tuo sostegno… » sorrisi verso Lys’sh, con sincera gratitudine per la premura in tal modo dimostratami, parola di conforto, la sua, che pur allora non avrebbe mai potuto risultarmi sgradita, soprattutto nel ritrovarmi posta innanzi, per la prima volta nella mia vita, a un fattore di inibizione psicologica qual quello, per me, si ergeva essere « … ma sono una professionista, e, in questo, sono io che ti do la mia parola nel merito del fatto che non permetterò che tu possa correre rischio alcuno. A costo di dover abbattere quell’intero edificio un pilastro alla volta. »

E così come l’impegno promosso da parte della mia complice non avrebbe avuto a doversi riconoscere qual gratuita retorica, vuota e fine a se stessa, in egual misura neppure quanto da me dichiarato in quella mia replica, in quella mia risposta, avrebbe dovuto essere troppo banalmente sottovalutato nell’onestà intellettuale alla propria base, a proprio fondamento.
Perché, a differenza della mia precedente visita a quella pur imponente dimora, a quella torre qual mai, in passato, avrei neppure potuto immaginare avrebbero potuto avere ragione d’esistere in forme tanto colossali, tanto smisurate al punto da risultare, persino, grottesche; nell’organizzare quel mio rapido ritorno all’abitazione di Milah Rica Calahab, non avevo mancato di tenere fede a ogni precedente promessa che avevo preso nei miei stessi riguardi in conseguenza all’insegnamento che, necessariamente, aveva dovuto derivare per me dalle prime, negative esperienze a confronto con quella per me nuova realtà, piccole o grandi disavventure che avrebbero, un giorno, potuto essere ricordate quali, e che, pur, in quell’immediato proseguo, in quel seguito ancor contraddistinto da straordinaria freschezza di ricordi e, con essi, di rimproveri, non avrebbero più potuto permettermi scusanti di sorta nel confronto con talune ingenuità. Ingenuità quale quella propria del concedermi il rischio di affrontare la minaccia derivante da armi laser senza condurre meco un adeguato equipaggiamento di primo soccorso, utile a medicare eventuali ferite e, soprattutto, a evitarmi la minaccia di strazianti e sempre premature conclusioni del mio viaggio in conseguenza, ancor prima che al danno riportato, all’avvelenamento necrotico a esso conseguente. E, ancora, ingenuità quale quella propria di concedermi il rischio di vagare in una realtà indubbiamente più vasta di qualunque mia possibilità di idealizzazione, senza un qualche mezzo utile a mettermi in contatto con i miei alleati, soprattutto a confronto con l’esistenza di tecnologie adeguate concepite proprio per tale scopo. Per non dimenticare, infine, ingenuità quale quella propria di concedermi il rischio di pormi a confronto con ogni pericolo in quel mondo e in quell’intero universo avrebbe potuto presentarmisi innanzi, senza neppure un adeguato equipaggiamento bellico, paradosso incomprensibile nel ricordare, fra l’altro, quanto io stessa avessi, e abbia, la responsabilità dell’armeria della Kasta Hamina.
Alla luce di simili considerazioni, e del rispetto di quei vincoli impostimi, alla residenza Calahab stavo lì facendo ritorno non soltanto adeguatamente equipaggiata con quanto necessario per il primo soccorso e per, eventualmente, mantenermi sempre in contatto con Lys’sh e con la stessa Kasta Hamina, ma ancor più, e soprattutto, adeguatamente equipaggiata con quanto necessario, potenzialmente, per abbattere quell’intero edificio ove mi fosse stato reso necessario.
Paranoica guerrafondaia… io?! Quando mai!

mercoledì 22 gennaio 2014

2168


Lungi da me voler apparire qual polemica nei confronti del capitano, per quanto ora sto per scrivere. Perché, obiettivamente, egli si dimostrò di parola, impegnandosi a riservare a Lys’sh e a me una prova in nulla meno impegnativa di quelle alle quali aveva richiesto al resto dell’equipaggio di dedicare i propri sforzi, il proprio tempo e le proprie capacità. Ciò non di meno… diamine… non avessi avuto a essere certa del contrario, avrei allora potuto sinceramente sospettare di quanto, dietro a quella propria apparente onestà intellettuale nei nostri riguardi, avesse a doversi riconoscere celato qualcosa di ben diverso, qualcosa di più e, nel dettaglio, qualcosa allora volto a volermi evidentemente punire per la mia mancanza di fiducia nelle sue intenzioni, se non, addirittura, qualcosa allora volto a voler punire entrambe per la nostra presenza a bordo, pur in contrasto alla sua iniziale approvazione.
Qui l’ho scritto, e qui, subito… anzi, ancor preventivamente, l’ho già rinnegato. Perché, esattamente come stavo accennando, non avrei potuto che essere certa del contrario, cioè di quanto per alcuna ragione, una persona dello stampo, della caratura morale di capitan Rolamo, avrebbe mai potuto offrire spazio alcuno a simili comportamenti, a scelte animate, qual solo sarebbero potute allor risultare, da tanta, palese malignità, ponendosi a un livello, per lui, assurdamente gretto e disdicevole. Un comportamento che, al contrario, la sottoscritta avrebbe anche potuto prendere in esame, a ruoli inversi. Ragione per la quale, che possa piacermi o meno, non potrò mai permettermi di ambire a una qualche simile carica, a un ruolo paragonabile, ove del tutto incapace, mio malgrado, sarei a gestirlo. E non, in effetti, che mai abbia io mai cercato o sperato, un giorno, di ritrovarmi a essere un capitano, o comunque un condottiero o, a prescindere, un riferimento per chicchessia: dopotutto, ho già sufficientemente spiegato e adeguatamente ribadito, no?..., quanto io apprezzi da sempre l’operare in solitaria.
E questo preambolo per arrivare a qual punto…?
… semplicemente a quello utile a presentare quanto Lange ebbe, pertanto, a richiedere a Lys’sh e a me.

« Ero certa che sarei ritornata a questo punto molto presto… ma, sinceramente, non credevo così presto. » commentai, in un filo di voce, nel rivolgermi verso la mia compagna di ventura, e nel confrontarmi, visivamente, con l’imponente sagoma del grattacielo dimora della famiglia Calahab, di fronte al quale, meno di un’ora dopo la conclusione della riunione con il capitano, ci stavamo allora ripresentando.

Non ricordo di essermi mai riservata particolari esitazioni, concreti timori alla prospettiva di pormi a confronto con un qualche scenario, per quanto esso avesse a doversi considerare sfavorevole, conosciuto o sconosciuto che fosse.
Neppure posta a confronto con l’idea di fare, volontariamente, ritorno entro i confini propri della fortezza nella quale Desmair, il mio semidivino sposo all’epoca ancora dotato di un corpo autonomo e, proprio in conseguenza a ciò, suo malgrado confinato per effetto di un maleficio riconducibile alla sua stessa madre, Anmel Mal Toise, all’interno di un prigione estranea alla nostra stessa realtà, alla nostra comune dimensione; luogo nel quale già una volta avevo corso il rischio di restare intrappolata per l’eternità e per evadere dal quale, addirittura, mi ero dovuta spingere all’unirmi in matrimonio al medesimo, per quanto, in effetti, contro le sue stesse aspettative, che a me avrebbe preferito una moglie dotata di negromantiche capacità in grazia alle quale concedergli speranza di evasione da quella propria condanna, non chiedetemi di spiegarvi come perché, francamente, non l’ho mai saputo; avevo dimostrato ritrosia alcuna, affrontando quella prova persino con eccessiva enfasi, nella certezza che, qualunque cosa fosse accaduta, sarei comunque riuscita a superarla. Malgrado ciò… malgrado Desmair avesse a doversi riconoscere qual un mostro alto più di sette piedi, e caratterizzato da una massa di oltre trecentotrenta libbre, una muscolatura a dir poco ipertrofica, con pelle come cuoio rosso, enormi corna bianche ai lati del già smisurato capo e zoccoli equini in luogo ai propri piedi; malgrado avrei dovuto ammettere, non senza una certa contrarietà, la sua apparente invincibilità, nell’essere stato più volte capace di ricomporsi anche dalle peggiori mutilazioni impostegli; e malgrado, ancora, egli fosse posto a capo di una legione pressoché sterminata di spettri… non avevo avuto timori. Non, quantomeno, quali quelli che, al contrario, mi avevano contraddistinta nel momento stesso in cui, accanto a Lys’sh, mi posi in contemplazione del luogo entro il quale, che mi piacesse o meno, avrei presto, e molto prima di quanto creduto, dovuto fare ritorno.
Possibile che Milah Rica Calahab avesse a doversi riconoscere, nel confronto con la mia psiche, persino peggiore di Desmair?!...
Certo. Possibilissimo. Soprattutto nel considerare quanto ella avesse infierito a mio discapito, portandomi a esplorare nuove, straordinarie e terrificanti vette di dolore, di sofferenza, non accontentandosi, in tutto ciò, di uccidermi soltanto una volta, ma, puntualmente, in pericolosa e quasi ambita prossimità alla mia dipartita, riuscendo a ricondurmi indietro in grazia ai miracoli della scienza medica del proprio mondo, e delle proprie smisurate risorse, salvandomi la vita, e curandomi in tempi sempre, mirabilmente rapidi, al solo fine di potersi permettere, solo poche ore più tardi, il giorno seguente, di ricominciare tutto da capo, sperimentando soluzioni diverse e, puntualmente, ancor più devastanti.
In ciò… per quanto io fossi, e sia, Midda Bontor, la Figlia di Marr’Mahew così come sono stata rinominata nel mio pianeta natale, in riferimento a una divinità della guerra alla quale sono stata associata qual ipotetica progenie mortale; per quanto abbia affrontato ogni genere di avversari, umani, mostri o divini che essi avrebbero potuto rivelarsi essere, al punto di conquistare anche l’appellativo di Ucciditrice di Dei, nell’essere riuscita, non a caso, ad abbattere persino il genitore del mio sposo, il dio minore Kah; per quanto abbia accettato l’idea di abbandonare il mio pianeta natale, facendomi trasportare sulle ali della fenice fino a questa per me nuova realtà, tutta da scoprire, tutta da esplorare, e, pur, sì diversa, sì estranea, sì aliena a qualunque altra avrei mai potuto immaginare di conoscere… non avrei potuto evitare un moto sincero moto di nausea alla semplice idea di dover nuovamente varcare il perimetro di quell’edificio, nel quale mi era stato imposto molto più dolore, molta più sofferenza, molta più pena rispetto a quanto, mi sento sufficientemente sicura a scriverlo, non fosse mai stato imposto ad alcun altro. In termini assoluti.
Purtroppo, nei termini espressi da Lange, compito di Lys’sh e mio, avrebbe avuto a doversi riconoscere proprio quello di riuscire, in maniera discreta, clandestina, a introdurci insieme in quella struttura e, in particolare, nella stessa infermeria entro la quale ero stata condotta per subire la particolare iniezione che mi aveva sostanzialmente condannata a morte; per lì ricercare qualunque genere di informazione, di dato, utile a ben comprendere qual genere di sostanza avesse a doversi riconoscere quella così a mio discapito impiegata, dettaglio la conoscenza del quale, ove ogni altro piano fosse poi fallito, ogni altro tentativo di accontentare Milah si fosse dimostrato vano, avrebbe forse potuto consentirmi una qualche speranza di futuro. Tutt’altro, quindi, che una banale ritorsione a nostro discapito, da parte del capitano, e, anzi, obiettivamente, forse una delle attività più importanti verso la quale concentrare i nostri sforzi, ennesima dimostrazione di quanto, indubbiamente, il suo approccio non avrebbe a doversi riconoscere né improvvisato, né privo di solide ragioni alla propria base; ma, ciò non di meno, una sfida che non avrebbe potuto evitare di impormi un fardello emotivo assolutamente non ovvio, non banale, e che, anzi, se non fossi stata in grado di gestirlo, e di gestirlo con freddezza e razionalità, avrebbe potuto tranquillamente schiacciarmi.

« Non credo di essere neppure in grado di immaginare quello che tu puoi star provando in questo momento, amica mia… » commentò, per sola replica, la giovane ofidiana, sfiorandomi appena l’avambraccio sinistro con la propria destra, in un gesto di solidarietà e sostegno, tanto psicologico quanto fisico « Ciò non di meno, ti do la mia parola che nessuno si accorgerà della nostra presenza… e, in questo, non correremo rischio alcuno. Famiglia Calahab o no che lì risieda. »

martedì 21 gennaio 2014

2167


« Domanda sciocca: perché coinvolgere il direttore, invece che cercare di ottenere anche queste informazioni direttamente da qualcuno su Loicare…?! » mi azzardai a intervenire, con incedere sinceramente interrogativo e per nulla, in tal senso, animata da qualche volontà polemica nel confronto con l’idea in tal modo appena suggerita, con il proposito in quelle parole appena comandato in direzione delle due donne a quel punto coinvolte, nella definizione degli incarichi.

Pur non avendo nulla in contrario, ovviamente, all’idea di sfruttare l’aiuto che avrebbe potuto fornirci quell’uomo, che con Duva, Lys’sh e me si considerava, e a ben vendere si considera tutt’oggi, ancora in debito per l’aiuto che a lui e alla sua famiglia avevamo offerto, nel sedare una violenta rivolta che avrebbe condotto, qual solo risultato, allo sterminio suo e dei suoi cari; ciò non di meno, mi stava allora ingenuamente sfuggendo la ragione, il senso, posto alla base di un simile giro, di un tale carosello di richieste, visto e considerato, soprattutto, come per raccogliere le altre informazioni, quelle richieste al dottore, o al capotecnico e al mozzo, il capitano non si fosse assolutamente premurato di suggerire l’impiego di un tale canale.
Ragione e senso, così, che non mancarono di essere evidenziati dall’immediata, e successiva, replica dello stesso Lange, il quale, pur aggrottando appena la fronte a dimostrare una certa mancanza di volontà di sopportazione per quell’interferenza, non volle sottrarsi alla prospettiva di aiutarmi a maturare maggiore consapevolezza nel merito di quanto, allora, sarebbe stato per noi necessario evitare di compiere, nel non trascurare l’identità della nostra antagonista, e, con essa, il suo potere.

« Perché non dobbiamo escludere che l’influenza di Milah possa estendersi persino a qualche rappresentante dell’omni-governo, o dell’interno sistema giudiziario di Loicare. Ragione per la quale, per ottenere informazioni a suo riguardo in maniera il più possibile sicura, sarebbe preferibile passare attraverso un canale fidato… » commentò, quieto « Un conto, in fondo, è racimolare informazioni nel merito del suo defunto genitore… un altro è correre il rischio di concederle evidenza di come, da parte nostra, possa essere in atto un impegno volto a ottenere maggiore confidenza con lei, dimostrando, in tal senso, quanto potrebbe non essere effettivamente nostra premura quella di accontentare le sue richieste. Anzi… »
« Ehy… io l’avevo detto che era una domanda sciocca! » puntualizzai, levando ambo le mani in segno di resa, e, in cuor mio, non potendomi negare un certo piacere nel potermi nuovamente permettere di comandare il mio arto destro, robotico, dopo che, tornata a bordo della Kasta Hamina, il suo nucleo all’idrargirio era stato nuovamente energizzato, restituendogli l’autonomia che, altresì, Milah si era ben premurata di negargli per tutta la durata della mia permanenza all’interno del suo palazzo « Non mancate di porgere i miei saluti al direttore, per favore… » conclusi pertanto, nel rivolgermi, in tal senso, direttamente a Rura e Thaare, che già, a propria volta, stavano alzandosi per lasciare la tavolata sempre meno affollata, e attorno alla quale, in effetti, allora saremmo rimasti soltanto in quattro.
« Duva… » riprese, quindi, il capitano, trascurando anche quel mio ultimo commento aggiunto, laddove, obiettivamente, non ci sarebbe stata necessità di dire molto altro, per dedicarsi al proprio primo ufficiale, nonché sua ex-moglie e proprietaria di metà dell’intera nave « Tu e io ci faremo un nuovo giro su Loicare, per cercare di comprendere come mai, improvvisamente, la tua amica sia divenuta tanto famosa: c’è qualcosa che non torna nell’eccesso di dettagli in possesso di Milah nel merito del passato di Midda. E, ancor più, mi trova perplesso il pensiero che lo stesso individuo che si è preso la briga di riadattare tale storia a un contesto indubbiamente diverso dal proprio, abbia anche aggiunto dettagli particolarmente pericolosi… come quello che la vede responsabile per l’assassinio di Maric Calahab. »
« D’accordo. » annuì la mia amica, senza riservarsi occasione di aggiungere altro.

Un consenso, quello così destinatogli, che, per la prima volta, almeno nel confronto con il mio sguardo, fece apparire Duva insolitamente remissiva innanzi al proprio ex-marito, o,  quantomeno, tale ritrovandosi a essere necessariamente giudicata dopo che, in più di un’occasione, ella si era sempre e comunque apertamente impegnata a mettere in dubbio le scelte del medesimo, ufficialmente allo scopo di assicurare il dialogo fra posizioni contrastanti, sostanzialmente nella volontà di divertirsi facendo, puntualmente, penare quel disgraziato colpevole di averle imposto, a bordo della propria nave, una nuova e più giovane moglie con la quale non poter evitare di ritrovarsi ad avere a che fare quasi ogni giorno. In ciò, ineluttabilmente, non potei che leggere, in lei, evidente preoccupazione per la mia sorte, al punto tale da spingerla ad accettare in maniera incondizionata qualunque genere di strategia potesse dimostrarsi utile alla mia causa, qual, obiettivamente tale, avrebbe avuto a doversi considerare comunque quella in tal modo proposta da parte del capitano.
Da parte mia, del resto, non avrebbe potuto essere sollevato alcun genere di dubbio o di contestazione nel merito delle scelte che stava allora compiendo Lange Rolamo nel merito della gestione dell’intera questione e, con essa, di tutto il suo equipaggio. Cresciuta, dopotutto, a bordo di una nave, avevo imparato sin da bambina ad apprezzare e a rispettare l’autorità di un capitano, soprattutto quando accompagnata da evidente autorevolezza, e autorevolezza conseguente alla dimostrata capacità di saper prendere decisioni giuste al momento più opportuno, pensando in maniera sempre estremamente rapida, e puntualmente razionale, nella consapevolezza di non potersi permettere alcun margine di errore, laddove, un suo errore, avrebbe significato, necessariamente, la morte di qualcuno, se non della propria, intera famiglia allora, sempre e ovunque, rappresentata dall’equipaggio a cui avrebbe fatto riferimento e, al quale, non avrebbe ovviato, reciprocamente, di offrire riferimento, oltre che ascolto, rispetto e fiducia. E per quanto, inevitabilmente umano, anche Lange non avrebbe potuto evitare di palesare delle proprie pecche e delle proprie mancanze, prima fra tutte un pur giustificabile pregiudizio nei riguardi delle chimere, da lui irrazionalmente ritenute, nella propria infinita ed infinitamente eterogenea varietà, responsabili per la morte di sua moglie e del loro, ancor non nato, primogenito; nei pur pochi giorni in cui avevamo già avuto occasione di confrontarci, aveva immediatamente dato riprova di essere, comunque, un buon capitano, capace non soltanto di dispensare ordini, ma, anzitutto, di porsi al servizio dei propri compagni, sopra tutti loro… sopra tutti noi, non presente, tanto, con il disastroso incedere proprio del monarca, quanto e piuttosto con quello del buon padre di famiglia, un padre che, ancor prima di porre a rischio la vita di uno dei propri figli o figlie, avrebbe di gran lunga preferito sacrificare la propria.
Al di là di simili considerazioni, tuttavia, un quesito non poté mancare, allora, di essere nuovamente sollevato da parte della sottoscritta, nel constatare quanto, escludendo alfine anche il capitano e il primo ufficiale, attorno a quel tavolo sarebbero rimaste soltanto due figure, ancora, apparentemente, disoccupate…

« A-ehm… Altra domanda sciocca... » premessi, tossicchiando e intervenendo, non senza un certo imbarazzo nel continuare a introdurre, in tal maniera, ogni mia incertezza nel merito di quanto avrebbe dovuto essere compiuto « … ma Lys’sh e io…?! » proseguii, in primo luogo votando a favore di un approccio meno diretto, salvo, tuttavia, subito dopo votare in favore di una risoluzione decisamente più esplicita, che non lasciasse spazio ad ambiguità di sorta « Non vorrai escluderci dalla questione, capitano. » asserii, in una negazione che di retorico avrebbe avuto a dover intendere soltanto l’intonazione con la quale venne allora scandita, nel soggettivo timore che, in effetti, tale avesse a doversi intendere il suo obiettivo, il suo scopo ultimo.
« No, Bontor. Non desidero escludere alcuna risorsa a mia disposizione dalla “questione”. » dichiarò, con fermezza atta a rigettare radicalmente ogni possibile polemica a tal riguardo, qual, mio malgrado, avrebbe avuto a doversi intendere alla base di quel mio forse non propriamente azzeccato intervento « Per quanto lei e Har-Lys’sha siate acquisti decisamente recenti di questo equipaggio, il tempo che la signorina Calahab ci ha concesso non è propriamente sufficiente a permettermi discriminazione alcuna. E, in questo, vi posso assicurare che il vostro compito non avrà a doversi considerare né più semplice, né meno rilevante rispetto a quello di chiunque altro… anzi. »