11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

giovedì 9 gennaio 2014

2155


Il mio nome è Midda Bontor… e questa storia è la mia storia.

Prendete una giovane donna. Vent’anni, non di più. Pelle chiara, simile quasi a madreperla e, del tutto priva della benché minima imperfezione. Lunghi capelli neri, lucenti come il manto di uno splendido corvo. Grandi occhi verdi, come smeraldi, abilmente truccati, lungo il proprio bordo, con un tocco di nero, tale da renderli, ove possibile, ancor più attraenti di quanto già non avrebbero potuto vantar d’essere. Morbide labbra a propria volta rifinite in tonalità di un intenso e lucente rosso scarlatto, quasi fossero ricoperte da sangue fresco. Corpo snello, longilineo, con piccoli, ma sodi seni ben proporzionati lungo la sua figura, e lunghe e tornite gambe a ridiscendere da una coppia di glutei sui quali difficilmente lo sguardo di un uomo avrebbe ovviato a ricadere; il tutto avvolto all’interno di abiti sempre sapientemente scelti allo scopo di coprire soltanto il minimo indispensabile, per sfoggiare, senza imbarazzo o apparente senso del pudore, tutta la magnifica femminilità di quel complesso a dir poco statuario.
Riuscite a immaginarla, vero?
Francamente non ho dubbi a tal riguardo, certa di quanto, anzi, qualcuno fra voi potrebbe star addirittura domandandosi dove poter avere la fortuna di incontrarla, per provare ad approcciarla. Un approccio, in effetti, che potrebbe rischiare di risultare addirittura qual un’esigenza, nella consapevolezza di quanto, simile presenza, oltre a essere stata benedetta da un aspetto fisico tanto accattivante, avrebbe avuto a doversi considerare resa ancor più desiderabile da un notevole patrimonio personale, tale da renderla proprietaria di un’enorme grattacielo al centro di una delle maggiori città del proprio pianeta, Loicare. Ipocrisie a parte, gioventù, bellezza e denaro, in tali dosi, avrebbero necessariamente dato vita a una miscela a dir poco irresistibile per quasi qualunque uomo e per non poche donne, ove interessate, di base, a simile offerta.
Tuttavia…
Prendete questa giovane donna. Caratterizzatela qual unica figlia, nonché erede, di uno dei più potenti e pericolosi signori della criminalità organizzata del proprio mondo e, persino, di un’altra mezza dozzina di sistemi confinanti; per tutta la sua esistenza dimostratosi sufficientemente abile, nella gestione dei propri affari, delle proprie attività, da riuscire a mantenersi fondamentalmente intoccabile nei confronti del pur intransigente senso della giustizia proprio dell’omni-governo di Loicare. E, in ciò, contraddistinguetela con una personalissima attitudine alla crudeltà, un intrinseco sadismo tale da animare i suoi verdi occhi con la luce della lussuria all’idea della più feroce e impietosa tortura che possa essere mai concepita. Una tortura che, nel confronto con i suoi mezzi, con la sua disponibilità di uomini e risorse, ineluttabilmente, non potrebbe mai restare confinata nel campo delle ipotesi, necessariamente divenendo realtà, trovando occasione di applicazione sul primo malcapitato dovesse avere la sfortuna di attraversare inopportunamente il suo cammino.
Riuscite ancora a immaginarla…?!
Io che, nei miei allora quarant’anni di vita vissuta, avevo avuto molteplici occasioni di incontrare e affrontare delle streghe realmente degne di tale definizione, corrotte e feroci figure dedite alle più oscure e terribili arti mistiche, vittime del proprio stesso potere e della propria continua ricerca volta all’accrescimento del medesimo, e con esso al dominio su ogni cosa; io che, persino, avrei potuto vantare, ammesso che vi sarebbe mai potuta essere ragione di vanto, una parentela con una strega, e una strega tanto folle da essere arrivata a giacere con un orrendo dio minore per acquisire ulteriore potere, e una strega tanto potente da aver trovato modo di prevaricare i confini propri della morte, in misura tale da poter per me rappresentare una sgradevolissima rogna malgrado secoli, millenni forse, siano passati dal momento del suo trapasso; non avrei mai potuto ritenere, prima di conoscerla, prima di confrontarmi personalmente con lei e con la sua crudeltà, che potesse realmente esistere una figura simile, una donna comune capace di siffatta crudeltà e, soprattutto, soddisfazione per la propria stessa crudeltà, nonché piacere per gli effetti più macabri e raccapriccianti della medesima.
Purtroppo Milah Rica Calahab non ha a doversi ritenere semplice frutto dell’immaginazione, non può essere confusa qual banale parto di una fantasia malata. E per quanto il suo aspetto non può che trarre in inganno, non può che spingere a ritenerla una deliziosa fanciulla con, tuttalpiù, uno spiccato senso per la malizia, nonché un’indubbia confidenza con le potenzialità del proprio stesso corpo; ella ebbe a presentarsi a me esattamente quanto quello che ho descritto: ben peggio di una strega. E non metaforicamente parlando. Forse, e persino, di qualunque strega con cui avevo mai potuto avere a che fare prima di allora, prima di finire, mio malgrado, fra le sue tutt’altro che delicate manine. E, ancora, non metaforicamente parlando.
Perché, che mi possa piacere o meno ammetterlo e ricordarlo, e ammetterlo e ricordarlo, addirittura, all’interno di una testimonianza scritta, al cospetto di Milah Rica Calahab, della signorina Calahab qual la apostrofavano sempre gli uomini e le donne al suo servizio, con massima deferenza, ebbi occasione di ritrovarmi convocata, in maniera decisamente forzata, non per mia iniziativa, non per un qualche mio esplicito interesse in tal senso, quanto e piuttosto perché fulminata da un colpo di arma al plasma e dal lei trascinata priva di sensi, soltanto per risvegliarmi, alfine, confinata all’interno di una piccola stanza incredibilmente pulita a turbare il candore della quale, nei giorni, forse e addirittura nelle settimane successive, mi posi mio malgrado impegnata con il mio stesso sangue, nell’essere eletta nuova destinataria per ogni genere di perversa sevizia che la sadica mente del mio anfitrione riuscì a elaborare. E tutto ciò, a dispetto di quanto poté alfine superficialmente apparire, non tanto allo scopo di ottenere, nella mia sofferenza, vendetta per l’assassinio del padre, in modalità ancora tutte da chiarire attribuito impropriamente alla sottoscritta; quanto e piuttosto per l’ottenimento di qualcosa, un oggetto o un’informazione, nel merito del dettaglio della quale restai invero inconsapevole per tutto il tempo in cui ebbero a perdurare le torture a mio discapito, laddove, la definizione di questo qualcosa, venne giudicata tanto ovvia, tanto banale, tanto scontata da parte della mia interlocutrice da non essere mai, e in alcun modo, apertamente citata.
Benché, in tutto ciò, avrei quindi potuto denunciare l’esistenza di un grosso malinteso alla base dell’intera faccenda, tale da farmi essere una vittima del tutto inappropriata agli orrori che mi vennero imposti, e nel merito del dettaglio dei quali non ho interesse a dilungarmi; fu allora mia premura, a ragione o a torto, mantenere fermamente il ruolo assegnatomi, disapprovando, per una mai retorica affezione alla vita, l’idea di poter essere ritenuta inutile e, in ciò, essere banalmente uccisa senza che mi fosse concessa la pur minima possibilità di appello. Ove, con appello, ovviamente, il mio solo e unico interesse avrebbe avuto a doversi riconoscere lo sistematico sterminio di tutti coloro che, in quel periodo, avevano avuto un qualche ruolo nel tentare di farmi apprezzare la prospettiva della morte qual piacevole risoluzione per ogni sofferenza, per ogni dolore, per ogni male.
Colpevolizzata per un crimine nel confronto con il quale non avrei potuto serbarmi la pur minima possibilità di collegamento, nel non aver mai lasciato il mio pianeta natale prima di quegli eventi, e nel non aver neppure mai immaginato l’esistenza di altri pianeti e di altri pianeti abitati oltre al mio prima di questi eventi, e nel non aver neppure mai ipotizzato di poter immaginare l’esistenza di altri pianeti e di altri pianeti abitati oltre al mio prima di questi eventi; nonché catturata e seviziata per una ragione nel merito della quale non avrei potuto serbarmi la pur minima possibilità di confidenza, di consapevolezza, nel non poter neppure immaginare cosa mai avrebbe potuto pretendere da me la mia ospite, e nel non aver neppure mai potuto ipotizzare l’eventualità di dover immaginare l’esistenza di quella mia ospite prima di allora; non avrebbe avuto a doversi considerare per me né facile, né spontaneo, né immediato dimostrarmi in grado di volgere il mio miglior viso al pessimo giuoco con il quale ero stata costretta a confrontarmi. Tuttavia, nel momento in cui, rivestita in semplici e bianche vesti, se pur prive di grazia o eleganza quantomeno utili a restituirmi una parvenza di dignità umana in alternativa alla nudità nella quale ero stata costretta per tutta la durata della mia prigionia all’interno della sua dimora, mi ritrovai posta a confronto con l’occasione di un dialogo, e di un dialogo sufficientemente moderato con Milah Rica Calahab, permettermi di cedere ancora una volta i miei istinti, alle mie pur giustificabili brame di vendetta a suo discapito, non mi avrebbe garantito alcuna possibilità di venire a capo dell’intera faccenda e di troppi interrogativi, attorno alla medesima, ancor rimasti pendenti. Interrogativi fra i quali, certamente, non avrebbe potuto essere ignorato quello forse maggiormente carico di dubbi e perplessità, nel merito di come potesse essere stato possibile, in un mondo per me alieno, e a confronto con il quale io non avrei dovuto rappresentare alcunché, non avrei neppure dovuto formalmente esistere, se non per gli eventi che mi avevano, mio malgrado, ritrovata coinvolta, più o meno passivamente, in quelle ultime settimane, in quegli ultimi mesi, che il mio nome e dettagli nel merito della storia della mia vita passata potessero essere divenuti paradossalmente noti, e noti a sufficienza da farmi persino essere indicata, impropriamente, qual protagonista di gesta, battaglie e, persino, omicidi su commissione, da me mai compiuti.
Sfortunatamente, nel voler comunque mantenere eretto il pur fragile castello di carte sul quale avevo fondato la mia sopravvivenza in quei giorni di prigionia, nel negare al mio anfitrione quanto da lei richiesto e quanto, pur, da me del tutto sconosciuto; gli interrogativi che avrei potuto permettermi di rivolgerle, le questioni nel merito delle quali avrei potuto dimostrare sostanziale ingenuità, avrebbero avuto a doversi considerare incredibilmente limitate e, peggio ancora, fondamentalmente retoriche, ove, in caso contrario, troppo facile sarebbe stato per lei rendersi conto del tutt’altro che sofisticato inganno da me ordito a discapito dei suoi interessi nei miei confronti, in termini che ineluttabilmente avrebbero condotto a uno scontro aperto fra noi e, di conseguenza, all’inevitabilmente spiacevole e tuttavia del tutto costretta, obbligata, insoddisfazione di ogni mia brama di conoscenza, sete di informazioni, necessità di chiarimenti nel confronto con i quali non avrei più potuto permettermi alcuna leggerezza, alcuna banalizzazione. Quantomeno a ovviare, in ciò, all’eventualità di poter finire nuovamente vittima delle circostanze, di un’altra psicopatica di turno desiderosa di eleggermi qual bersaglio delle proprie più sfrenate fantasie in nome di un trascorso passato che, mio malgrado, non avrei potuto che ignorare, nella sua più completa, assoluta e pur paradossale inesistenza.
Così, anche ove posta innanzi all’accusa di averla resa orfana, pur scandita in termini tutt’altro che vessatori in mio contrasto, fu costretta a restare fedele al mio personaggio… qual, allora, mi ero ritrovata a essere.

« Credo sia stato meglio così. » argomentò in merito alla propria scelta di aver richiesto la mia cattura allorché il mio assassinio, così come, a quanto pareva, altri miei ancor ignoti antagonisti avevano provveduto a pretendere, in conseguenza a una cospicua taglia « Perché se ti avessi fatta uccidere non avremmo potuto mai giungere a questo sereno momento di confronto. E perché, in fondo, il fatto che tu abbia ucciso mio padre non mi ha poi imposto un reale torto. Al contrario… »

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