11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

sabato 11 gennaio 2014

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Ora… che io mi possa impegnare a disquisire di etica o di morale, probabilmente, innanzi ai più potrebbe risultar stridente e disarmonioso in misura decisamente maggiore di quanto mai potrebbe concedersi all’orecchio uno zither orrendamente scordato, giacché non ininfluente, in tutto questo, avrebbe a doversi comunque considerare quanto ho mai compiuto nel corso della mia esistenza, azioni che, volendo prestar semplicemente fede allo stretto significato dei termini, potrebbero facilmente essere descritte da termini qual furto, ricatto, rapimento, profanazione di tombe e omicidio, giusto per elencare soltanto quel genere di azioni che più facilmente potrebbero far leva su qualche senso di etica e di morale esterno e tale, di conseguenza, a condannarmi. E a condannarmi in misura non minore rispetto a un qualunque pirata da me così severamente appena giudicato qual feccia dei mari, giusto nella volontà di moderare il mio stesso linguaggio, di contenere i toni della questioni, al fine di non ricadere, in maniera troppo banale e, in questo contesto, sostanzialmente gratuita, in una qualche orazione a discapito di tale categoria di persone che pur, sin dalla più tenera età, sono stata educata a temere, odiare e rifuggire… e non senza ragione. Anzi. Ciò non di meno, al di là della facile retorica, degli assolutismi e degli estremismi, di ogni considerazione volta a generalizzare e a banalizzare l’esistenza stessa, considerando soltanto giusto e ingiusto, bene e male, bianco e nero; io non riesco in alcun modo ad accettare il pensiero che qualcuno possa davvero pormi sullo stesso piano di paragone di un ipotetico pirata. O che possa davvero porre le mie azioni sullo stesso piano di paragone delle sue.
“Ovvio…” qualcuno fra voi non mancherà di esclamare “Sarebbe quantomeno bizzarro, per non dire assurdo, che tu stessa ti condannassi per quanto hai fatto e continui a fare, ostinatamente e senza imbarazzo alcuno.”
E invece no. Perché, che dir se ne voglia o se ne possa volere, non sono mai stata né generosa, né pietosa nei miei confronti, nel momento in cui ho errato nel mio agire, nel mio parlare o, anche e soltanto, nel mio pensare. Mai ho cercato di giustificarmi nel confronto con la mia coscienza in quelle rare occasioni in cui mi sono concessa l’azzardo di tradire i miei principi, di venir meno ai miei impegni morali, a quelle regole di vita che io stessa, molti, moltissimi anni fa, mi sono imposta per cercar di difendere una coerenza di fondo fra il mio agire, il mio parlare e, appunto, il mio pensare. E mai, neppure, ho accettato che altri potessero minimizzare il peso dei miei sbagli o, peggio, dei miei tradimenti, nel momento in cui questi sono occorsi e, puntualmente, mi hanno sospinta a maledirmi, e a maledirmi aspramente, per quanto compiuto, per quanto detto o per quanto, sciaguratamente, ipotizzato.
In ciò, a concedermi la possibilità di distinguermi, psicologicamente e sostanzialmente, da un qualunque pirata, è ben altro. Perché se pur, in termini di natura squisitamente polemica, sotto un profilo di ordine meramente retorico, il mio indulgere, in maniera continua e priva di qualsivoglia rimorso, nell’omicidio qual estrema risoluzione a ogni mio conflitto, a ogni mio problema, potrebbe essere banalizzato qual un rimedio in nulla e per nulla diverso da quello che, per sé, potrebbe vantare un qualunque pirata; io, Midda Namile Bontor, in tutta la mia esistenza non ho mai levato mano contro una vittima innocente, contro qualcuno che non avesse dimostrato un qualche letale interesse nei miei confronti, e, anzi, all’occorrenza, mi sono persino riservata l’occasione di concedere a coloro i quali, pur miei candidati assassini, si fossero dimostrati contraddistinti da un livello di preparazione a me palesemente inferiore, una sin troppo generosa possibilità di quieta sopravvivenza, utile persino e paradossalmente a permettere loro di raffinare la propria arte, la propria maestria, prima di tornare a presentarsi da me.
Secondo quale logica, mi si voglia spiegare, l’uccisione di un avversario desideroso della propria morte e l’uccisione di un bambino tremante accanto al corpo della madre barbaramente stuprata, potrebbero mai essere posti su uno stesso piano morale?
Personalmente non sono mai cercato un qualche riconoscimento, una qualche ovazione, una qualche glorificazione pubblica per gli omicidi da me compiuti. E da un certo momento in poi della mia esistenza, superato il traguardo dell’aspettativa di vita che, per un mercenario in attività nel mio mondo natale, avrebbe mai potuto essere in qualche modo augurato; ho persino iniziato a considerare ogni avversario ucciso qual dimostrazione di quanto, spiacevolmente, non mi fossi dimostrata sufficientemente capace a gestire la situazione per così come offertami, come presentatami, in maniera adeguata, tale da imporgli in termini estranei a ogni possibilità di discussione, di argomentazione, di sfida, la mia supremazia, a lui offrendo non tanto il conforto della morte, quanto l’ignominia del superstite, del graziato. Ciò non di meno, a chiunque potesse mai supporre di giudicare le mie azioni al pari dei crimini di un pirata, io non esiterei mai a offrire fiero vanto per ogni vita da me pretesa, per ogni morte da me ricercata, nella ferma consapevolezza di non aver mai agito a discapito di ignare ostie sacrificali, olocausti bruciati nel nome della violenza in quanto tale, della crudeltà fine a se stessa, ma sempre e soltanto laddove, dietro a tutto ciò, animata dalla necessità di tutelare il mio stesso domani, di difendere la mia vita e il mio diritto alla vita. O, al più, la vita e il diritto alla vita di coloro incapaci a poterlo difendere autonomamente, a poterselo garantire con le proprie sole forze, ove, in mia assenza, destinati a ricadere, ancora una volta, nell’annovero di quelle stesse ignare ostie sacrificali appena citate.
Poi… sia chiaro. Non è mia volontà, in questo momento, cercar in alcun modo di sospingere miei eventuali detrattori a cambiare il giudizio eventualmente espresso a mia critica, o a mia condanna, per il mio operato, per quanto ho compiuto nel corso della mia vita e per come l’ho compiuto.
Ma proprio a costoro, a chi, non temendo di poter essere a propria volta accusato di ipocrisia, desiderano restare fedeli a tale idea, o, forse, ideale; io voglio dedicare una domanda ipotetica, con il sincero augurio che essa abbia a restare, per sempre, soltanto qual tale, senza che mai il fato abbia a doverli spingere a un confronto con la realtà e, in ciò, con la differenza fra il pensiero e l’azione, fra il raziocinio e ciò che, in tragici scenari, coglie anche il più mite tramutandolo nel più feroce fra tutti gli assassini…
… se, nel cuore della notte, un bruto si introducesse nella serenità delle vostre abitazioni, dei vostri focolari domestici, uccidendo il vostro compagno o la vostra compagna, vostro figlio o vostra figlia, vostro padre o vostra madre, o comunque qualcuno a voi caro; e a voi fosse concesso un solo istante per decidere se restare immobili, a prestare fede ai vostri ideali, oppure se gettarvi contro di lui, a mani nude, per affondare i denti nella sua gola e, barbaramente, ferinamente, invocare il sapore del suo sangue nella vostra… qual sarebbe la vostra scelta?!
Non a me e non ad altri vi chiedo di rispondere, e di rispondere con onestà, quanto a voi stessi. E, come appena scritto, ribadisco la mia preghiera, a Thyres e a ogni altro benevolo dio e premurosa dea, affinché mai vi abbiate a dover trovare a confronto con una tale scelta e, in essa, con la scoperta della risposta a cui, forse, in questo momento potreste non sentirvi pronti a spingervi.

Chiudendo questa breve digressione, della quale spero mi si vorrà perdonare, e tornando alla cronaca degli eventi che mi videro protagonista in occasione di quel quieto confronto con la stessa giovane donna che, sino a poche ore prima, aveva fisicamente goduto per il piacere derivante dalla mia soffrenza, e dalla sofferenza a me da lei imposta; in una sincera inconsapevolezza nel merito di qual genere di organizzazione avrebbe potuto essere quella al vertice della quale, delle mie ipotetiche azioni, avevano avuto possibilità di elevare Milah in sostituzione a suo padre, e pur, allora, non potendo che giudicarla, né più, né meno, al pari di quella propria di qualunque altro mio mecenate passato, non ebbi alcuna ragione di disagio nel confronto con lei, non ebbi modo di provare alcun ipotetico timore innanzi a quel nome che pur mi stava continuando a risultare necessariamente ignoto. Motivo per il quale, probabilmente e a differenza di chiunque altro eventualmente posto, allora, nei miei panni, mi potei riservare una quieta possibilità di sopravvivenza, non rapportandomi al mio anfitrione con qualche particolare deferenza, ma continuando a dialogare con lei da pari a pari, così come, dopotutto, non avevo avuto motivo alcuno per non compiere in passato, innanzi a qualunque altro suo pari mi si fosse presentato innanzi.
Mia preoccupazione, del resto, in quel momento, in quel frangente, non sarebbe dovuta essere riconosciuta quella di tutelare la mia incolumità, così come, sicuramente, altri si sarebbero premurati di compiere nell’essere informati nel merito del suo nome, quanto e piuttosto quella di comprendere cosa quella giovane e sadica donna potesse desiderare da me, cosa stesse ricercando da me. Informazione per maturare la consapevolezza della quale, allora, non avrei potuto fare altro che contrattare con lei non diversamente da come mi sarei riservato di compiere nei riguardi di qualunque altro mio potenziale mecenate.

« Innanzi alla tua soddisfazione per il ruolo che hai potuto conquistare qual positiva conseguenza innanzi alla prematura e tragica dipartita del tuo genitore, non posso che essere esser lieta… » replicai a quell’ultima dichiarazione da lei così scandita, in maniera terribilmente fredda e controllata, soprattutto nel confronto con il pensiero dell’assassinio d un padre, a suo dire, pur amato « … ciò non di meno, vorrei comprendere, di preciso, quali hanno a doversi considerare le tue aspettative nel confronto con questo nostro momento d’incontro. » dichiarai, per poi subito correggere lievemente la mira, nel non voler in alcun modo lasciar trasparire un’altresì concreta, e pur pericolosa, ignoranza nel merito di ogni questione la riguardasse e, in conseguenza, riguardasse ipoteticamente anche la sottoscritta « O, per meglio dire, quale abbia a doversi considerare la tua offerta nel confronto con l’ipotesi di riuscire a ottenere quanto, entrambe, sappiamo essere realmente al centro dei tuoi interessi. »
« Oh… ecco finalmente emergere quest’altra tua caratteristica di cui ho tanto sentito parlare! » sorrise ella, a metà fra il divertito e il deliziato, nel poter ritrovare, nell’evidenza delle mie azioni e delle mie parole, conferma a tutto ciò che era stata in grado di scoprire a mio riguardo… molto più di quanto, effettivamente, non avrebbe dovuto essere possibile scoprisse « Fammi comprendere come funziona, per favore. Io ora ti proporrò una cifra e tu, da qui ai prossimi tre giorni, ti divertirai a decuplicarla, fino a estorcermi l’impossibile per qualcosa che pur, lo sai, mi appartiene di diritto?! »
« … tre giorni? » domandai, in ciò sforzandomi di mascherare, ancora una volta, la sorpresa derivante dall’idea di quanto ella potesse informata in merito a dettagli della mia vita passata, e della mia vita passata in un mondo distante l’impossibile da Loicare e a tutti completamente sconosciuto, così come se fossero stati, effettivamente, argomenti di comune consapevolezza in merito a un’esistenza che pur non avevo mai vissuto fra quelle stesse stelle.
« Tre giorni… » ripeté, affabilmente e, quasi, maliziosamente « Perché questo è il tempo che ti concederò per restituirmi quello che mi hai sottratto. » sancì, improvvisamente seria quanto solo la morte avrebbe saputo esserlo « … dopo di che. Beh… c’è davvero bisogno che te lo illustri nel dettaglio?! »

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