11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

sabato 8 febbraio 2014

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Se il precedente teatro di quieto confronto fra me e Milah Rica Calahab era stata un’ampia terrazza, sulla quale ero stata invitata a prendere parte a una sorta di colazione di lavoro; il nuovo scenario nel quale ebbi occasione di ritrovarla si presentò, effettivamente, per così come introdotto, qual uno studio. E, a modo proprio, non poi dissimile da molti altri studi privati nei quali, in passato, mi sono ritrovata a confronto con i miei mecenati di turno qual, sempre a modo proprio, la stessa Milah avrebbe dovuto considerarsi lì essere per me, benché, a compenso per l’esecuzione dell’incarico affidatomi, non avrebbe avuto a doversi riconoscere una qualche particolare somma, quanto e soprattutto la mia stessa sopravvivenza.
Al centro, infatti, di un ampio spazio squadrato, con lignei rivestimenti alle pareti e sui soffitti, con una pavimentazione a sua volta in egual materiale, e, particolare di non priva importanza, senza alcuna finestra o, più in generale, diretto contatto con il mondo esterno, fatta eccezione per  la porta oltre la quale, allora, io stessa fui accompagnata, a evidenziare quanto, necessariamente diverso avesse, in quel mentre, a doversi considerare l’approccio della mia interlocutrice con il Creato intero rispetto all’appuntamento in terrazza, in razionale diretta conseguenza all’aggressione appena subita; mi si presentò un piacevole salotto, con ben quattro divanetti disposti attorno a un basso tavolinetto, nonché una serie di diversi componenti di arredo, di natura più o meno artistica, volti a soddisfare il gusto proprio della padrona di casa ed, entro necessari distinguo, a evidenziare la sua stessa personalità, che in tutto ciò non avrebbe potuto evitare di essere delineata o, quantomeno, anche e soltanto accennata. Non che, in tutto ciò, avesse a doversi considerare mio principale interesse quello di perscrutare entro i confini propri della psiche di quella giovane donna, a ben vedere persino temendo l’eventualità di quanto ivi avrebbe potuto essermi concesso di ritrovare. Al di là di questo, però, nel soffermare il mio sguardo, seppur fugacemente, sui tappeti preposti a coprire ampie porzioni di pavimentazione in legno, così come sugli arazzi appesi  sostanzialmente a ogni parete, e intervallati, nella propria presenza, da diverse librerie, sugli scaffali delle quali avrebbero potuto essere conteggiati non meno di un migliaio di libri, o forse ancor più, così come, e ancora, sulle statuette sparse a titolo decorativo per l’intero ambiente, in diversi materiali e di diverse dimensioni, a partire da piccole soprammobili in bronzo o argento, sino a giungere a dei sì compatti, e pur non privi di una certa intrinseca imponenza, complessi statuari in pietra, probabilmente marmo; non avrei potuto evitare di cogliere un marcato gusto per il bello, e per l’arte, tale da porre, effettivamente e sostanzialmente, la sadica figura centrale dell’intera organizzazione della famiglia Calahab, per così come edificata da suo padre, in un ordine di misura, in una categoria di riferimento, poi non così estranea a quella propria del mio storico mecenate, lord Brote di Kriarya, o, accanto a lui, molte altre similari figure.
Un dettaglio, quello in tal modo presentatomi, in verità, che avrebbe potuto avere sincera occasione di sorprendermi se solo, nel superare la soglia d’ingresso a quella sala, a quello studio, per così come era stato definito e per così come, pur, evidentemente si strutturava, si proponeva essere anche innanzi a uno sguardo alieno qual pur, obiettivamente, il mio era e avrebbe avuto a dover essere riconosciuto, una più vivace ragione di stupore, di sbalordimento, non si fosse imposta essere quella derivante dal confronto con la manifesta presenza, lì placidamente accomodata su una delle poltroncine, anche la mia amica, compagna e complice Lys’sh.
Cosa era accaduto? Era stata fatta prigioniera?
Immediatamente, questi due interrogativi pretesero completamente l’interesse di tutta la mia mente, di tutto il mio intelletto, benché, nel particolare dettaglio proprio del secondo, obiettivamente, la questione avrebbe avuto a potersi considerare anche sufficientemente retorica, avrebbe avuto a doversi giudicare, addirittura, scontata, soprattutto all’attenzione di chi, come me, aveva già avuto la sfortuna di essersi ritrovata a essere prigioniera di Milah Rica e, in ciò, in tal senso, avrebbe potuto sgradevolmente testimoniare qual genere di trattamento avrebbe contraddistinto una simile condizione, in termini ben diversi da quelli che, in quel momento, in quello stesso particolare frangente, apparivano contraddistinguere in maniera persino estranea a ogni genere di incertezza la giovane ofidiana mia alleata. Proprio in conseguenza, tuttavia, alla personale e diretta esperienza nel merito di cosa avrebbe mai potuto significare essere una prigioniera di quella dannata, perversa sadica, e nel merito di quali incredibili, e obiettivamente indescrivibili, orrori avrebbero mai potuto caratterizzare una simile condizione; nel ritrovarmi posta a confronto con una pur inconsistente ipotesi in tal senso, nel cogliere una semplice e pur allora fortunatamente inattuata potenzialità in ciò rivolta a esplicito discapito di quella mia sodale, un’obbligata, ansiosa reazione non poté evitare di contraddistinguermi, di dominarmi, per un fugace istante rimbalzandomi violentemente, prepotentemente prossima alla prospettiva di dare origine a quella devastante guerra a cui pocanzi accennavo, per esigerne non soltanto la morte, ma la più completa distruzione, il più totale annichilimento di chi già mi aveva offerto troppe ragioni idonee a poter essere considerata immeritevole di vivere.
Ciò nonostante, ad arginare l’evolversi di quella situazione, dello scenario in tal modo introdotto entro i propri peggiori termini allora auspicabili, per ambo le parti, intervenne prontamente proprio la stessa Lys’sh. La quale, levandosi in piedi e a me rivolgendosi con un’espressione persino eccessivamente serena, volle subito congratularsi con me per lo straordinario successo che ero stata in grado di riportare nella lotta appena conclusasi…

« Midda! » esclamò, con tono utile a palesare evidenza di rasserenamento nel confronto con quanto, lì, le stava venendo concessa occasione di constatare, e constatare apertamente, nell’osservarmi « Sei stata fenomenale… anche se, come al solito, hai voluto esagerare! » commentò, in una nota, quasi, di scherzoso rimprovero nei miei riguardi « Mi avevi detto che ti saresti limitata a trattenerli per il tempo necessario agli uomini della nostra squisita ospite di intervenire… e, invece, si sei voluta nuovamente esporre troppo, a soddisfare le tue manie di protagonismo! »

Benché, e non lo nego, in quell’ultimo periodo della mia vita, la mia capacità di autocontrollo, e, più in generale, il mio acume nel cogliere le dinamiche proprie delle situazioni a me circostanti, non avrebbero avuto a doversi considerare, purtroppo, esattamente ai propri massimi livelli, e non avessero fornito propriamente il meglio delle proprie potenzialità, nel riservarmi, anzi, più volte di quante non potrei apprezzare qui riportare, il ruolo di barbara incivile che, dal momento in cui avevo lasciato il mio pianeta natale, mi era stato assegnato sostanzialmente da chiunque mi avesse incontrata; permettetemi un minimo moto d’orgoglio, d’amor proprio, nell’evidenziare quanto, comunque, non avrei avuto a dover essere neppure considerata qual divenuta del tutto idiota. Non, per lo meno, nella misura utile a non essere in grado di cogliere quanto, dietro alle parole abilmente soppesate lì appena rivoltemi, altro non avesse a doversi considerare che celato il desiderio di rendermi consapevole di come, non senza una certa, e comunque doverosa, prudenza, tutto fosse perfettamente sotto controllo. E di come, ancora e soprattutto, nel mentre in cui io combattevo contro gli incursori lì sopraggiunti a minacciare la principale inquilina della torre, ella si fosse impegnata al solo scopo di fornire un solido alibi utile a giustificare quella nostra presenza che, probabilmente, impossibile sarebbe alfine stata da poter mistificare, così come pur, tanto, l’aveva pur vista a propria volta inizialmente impegnata, al punto tale, persino, da prendersi la briga di compiere una mirabile operazione di contorsionismo per infilarsi in un’intercapedine entro la quale, personalmente, sarei stata dubbiosa di essere in grado di insinuare, semplicemente, un mio braccio, una mia mano.
Colto, pertanto, il messaggio, in quel mentre per me anche e soprattutto utile a permettere alla tensione nuovamente crescente di scemare, e di ovviare all’eventualità, da parte mia, di una nuova, incredibilmente sciocca, azione istintiva, nel confronto con la quale, allora, tutti gli sforzi compiuti dalla stessa ofidiana si sarebbero semplicemente visti vanificati; non mancò d’essere mia premura quella di rendere, in tutto ciò, giusto omaggio alla mia padrona di casa, così come, probabilmente, già eccessivamente avevo tergiversato a compiere…

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