11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

venerdì 18 aprile 2014

2239


Non sono certo se, allora, a ispirarmi alla reazione che mi fu propria, ebbe maggiore ruolo l’idea di essermi, sostanzialmente, fatto pocanzi giocare da una donna ritenuta, in maniera terribilmente errata, mia amica; oppure, e ancor peggio, l’inconscio timore della consapevolezza di un ruolo di sostanziale subalternanza nei confronti della mia amata, per così come, pur, ben poco avrei potuto avere occasione di sollevare critica, dubbio, commento, esitazione. Forse… probabilmente, la questione avrebbe avuto a doversi riconoscere lì fondamentalmente duplice, partendo, sicuramente, da uno stimolo negativo qual, inoppugnabilmente, avrebbe avuto a doversi considerare quello rappresentato dal tradimento di Tannouinn; e a esso sommando, ciò non di meno, un carico emotivo non indifferente, non banale, nel merito di un rapporto che, purtroppo, non avrei potuto considerare fondamentalmente alla pari, fra me e la mia amata, al di là di quanto un qualche mio personale moto d’orgoglio non avrebbe potuto erroneamente suggerirmi. A prescindere da quale chiave di lettura avrebbe avuto ragion d’essere ricercata dietro a tutto ciò, comunque, eccessivamente repentina ebbe a dover essere giudicata la mia reazione… in termini che, purtroppo, ebbero lì a definire un timore esattamente antitetico all’affermazione tanto violentemente difesa, la paura che, al di là della mia negazione, potesse esserci, dietro a tutto, un fondo di intollerabile verità alla base delle parole della mia interlocutrice, della mia antagonista. « Io non sono una pedina nelle mani di Midda! » dichiarai pertanto, con vivace foga… con maggiore affanno di quanto, sicuramente, non sarebbe stato per me meglio argomentare « Non lo sono mai stato… e, comunque, ella non potrebbe riservarsi alcuna ragione per pretendere che io abbia a esserlo. Non è questo il nostro rapporto. Non ora. Né mai. » sancii, sforzandomi di risultare credibile in quella nuova, ostentata sicurezza, nella speranza di non finire per commettere lo stesso errore di valutazione precedente e, ciò non di meno, temendo di averlo già commesso, di essere di nuovo caduto esattamente come pocanzi, in quel momento, mio malgrado, meno capace di dimostrarmi saldo e composto, anche e soltanto psicologicamente, rispetto a quanto non avrei potuto preferire avvenisse. « Ancora una volta… affascinante. » si ripeté, con il medesimo incedere sornione già precedentemente difeso, a sostegno delle proprie idee, della propria posizione, della propria superiorità morale nei miei confronti « E’ incredibilmente affascinante come io non abbia minimamente accennato al fatto che potesse essere la tua amata a giuocare con te… e che, invece, la tua prima preoccupazione si sia rivolta a definire, esattamente, tale particolare. » puntualizzò, ponendo in evidenza i palesi, e indifendibili, limiti di quella mia tanto netta presa di posizione, in un contesto nel quale, pur, sarebbe per me stato maggiormente opportuno tacere « Anche perché, sia chiaro, dal mio personalissimo punto di vista Midda non è, in tutto questo, meno vittima di quanto tu non lo sia… offrendosi, semplicemente, qual un’altra pedina posta al di sopra di una scacchiera talmente amplia da non permetterle neppure di rendersi conto del proprio stato, della propria situazione, a sua volta convinta di poter conservare la propria tanto osteggiata autodeterminazione, la propria tanto ricercata indipendenza fisica e psicologica, emotiva e spirituale… » Rimproverandomi, in cuor mio, di aver ceduto tanto facilmente nel confronto di quella provocazione, palesando, mio malgrado, soltanto emozioni, dubbi e paure tali da offrire ragione a ogni parola da lei allora scandita, decisi di mordermi la lingua, letteralmente, ancor prima di concedermi una nuova occasione di replica alla mia interlocutrice, una nuova possibilità di concederle corda utile, metaforicamente, non soltanto a strozzarmi, ma anche e addirittura a impiccarmi. E sebbene, in questo momento, con la quiete propria di chi soltanto a posteriori riporta narrazione di eventi passati, mi piacerebbe poter asserire che quella mia ingenuità, quella mia leggerezza nell’approccio alla questione, avrebbe avuto a doversi considerare mera conseguenza del brusco ritorno a una realtà quanto mai per me fuori controllo, ancora una volta tutto ciò avrebbe a doversi riconoscere semplicemente qual un tentativo di inganno, da parte mia, a mio stesso discapito, ancor prima che a quello di eventuali, futuri lettori o ascoltatori di queste mie parole. Giacché, allo stesso modo in cui, allora, mi stava venendo concessa lucidità sufficiente per reagire alle provocazioni, certamente non avrebbe avuto a mancarmi lucidità sufficiente anche a ignorarle, a superarle e, soprattutto, a sostenerle, così come, invece, non mi dimostrai capace per mia sola e unica colpa. Così, per quanto, indubbio, abbia a doversi considerare quanto la mia interlocutrice, in tutto ciò, non avrebbe avuto a doversi confondere qual una semplice donna mortale, quanto e piuttosto l’incarnazione stessa di un principio basilare per lo stesso universo, per l’intero Creato, non è mio desiderio, ora, ipotizzare scuse di sorta utili a negare le mie fondamentali responsabilità nel mentre di quello stesso confronto, accettando, al contrario, il peso di tutti i miei errori per così come, allora, mordendomi la punta della lingua, volli immediatamente riservarmi occasione utile a punirmi. « Voglio che tu comprenda, mio caro, quanto insignificante abbia a doversi considerare la minaccia rappresentata da te e dalla tua amata a mio discapito… al punto tale da concedermi la possibilità di risparmiare le vostre patetiche esistenze per il semplice piacere di contemplare quanto vani avranno a considerarsi tutti i vostri sforzi in mia opposizione, e in opposizione alla mia ascesa al potere e al dominio assoluto su questa e su ogni altra terra. » riprese, a conseguenza del mio silenzio, in risposta alla mia laconicità, cercando, in tal maniera, di giustificare le proprie azioni, il proprio operato « Voglio che tu lo comprenda, affinché, nel momento in cui, in futuro, tu o mio figlio vi illuderete, ancora una volta, di poter capire chi io sia e perché io agisca in questa maniera; in te abbia a riecheggiare il peso delle mie parole… e con esse la consapevolezza di come, ognuna di esse, sia stata pronunciata soltanto con assoluta sincerità, nella più completa onestà e trasparenza, al di là di quanto, per vostro diletto, potrete convincervi altrimenti essere. » « Se davvero è tuo interesse risparmiare le nostre patetiche esistenze… e limitarti a osservare quanto possiamo essere in grado di contorcerci vanamente su una scacchiera tanto vasta da non poter essere neppure percepita sotto ai nostri piedi… dimmi, Anmel: perché ti sei premurata di catturarci entrambi?! » non riuscii a evitare di domandare, desiderosa di ottenere da lei, in tutto ciò, una qualche replica, maggiore dettaglio utile a poterne realmente apprezzare la logica, per quanto, eventualmente, perversa e lontana da qualunque barlume di umanità « Io neppure avrei potuto immaginare che tu fossi qui… su questo stesso pianeta… eppure ti sei data tanto da fare per corrompere Tannouinn, e spingerla a divenirmi amica al solo scopo di tradirmi. » « … corrompere quella cagnetta?! » commentò ella, prima di gettare il capo all’indietro per offrire libero sfogo a una risata colma di ilarità, in un gesto che avrebbe potuto evidenziare quanto, in conseguenza alle mie parole, ella avrebbe potuto temere di ritrovarsi soffocata dall’esplosione di tanto divertimento, eruttante direttamente dal profondo del suo petto, forse del suo cuore « Povero Be’Sihl. Davvero credi che io abbia necessità di corrompere qualcuno per spingere a commettere atti disdicevoli quali un tradimento? No… no mio caro. In questo, tanto la razza umana, quanto qualunque altra razza, evidentemente, sono sempre state sufficientemente brave ad agire di propria iniziativa, ubbidendo all’egoismo di cui ogni cuore è sempre ricolmo al solo e unico intento di conquistare maggiore potere, ottenere sempre più benefici, a discapito di tutto e di tutto. Della propria famiglia, dei propri amici, dei propri compagni, dei propri simili… » argomentò, sforzandosi di tornare seria per permettere a quella propria dissezione di non essere spiacevolmente influenzata, nel proprio valore, nella propria credibilità, dall’ilarità che, in tutto ciò, l’aveva conquistata « E’ l’egoismo presente in ognuno che, da sempre, mi ha permesso di trovare ospiti e alleati… e, per quanto probabilmente il tuo amor proprio preferirebbe un’altra spiegazione, è l’egoismo di cui il cuore di quella tua “amica” è oscenamente impregnato a essere stato la causa della tua rovina. Giacché è stata ella a cercarmi… e a cercarmi all’unico scopo di consegnarti a me al momento che io avrei potuto ritenere più opportuno, senza che, personalmente, avessi neppure ragione di sospettare della tua presenza, o di quella di mio figlio, in te, anche in questo mondo. »

giovedì 17 aprile 2014

2238


« Che succede, mio caro? E’ già esaurita tutta la tua sin troppo sfoggiata sicumera?! » sorrise Anmel, con trasparente soddisfazione, nel confronto con il mio sopraggiunto silenzio « Eppure, poco fa, sembravi tanto fermamente convinto delle tue idee, delle tue posizioni, da non poter prevedere alcun margine di confronto, non con me, non con altri… » osservò, non a torto, nel rinfacciarmi, pertanto, il mio errore precedente, il purtroppo gratuito sfoggio di me che avevo appena compiuto nell’agire così come avevo agito « No… davvero. Mi dispiacerebbe pensare di averti privato di ogni argomentazione, proprio ora che il nostro rapporto stava dimostrando un principio di formazione… di edificazione… »
« Se devi uccidermi, risparmiami, per lo meno, questo inutile beffeggio. » la invitai, riconoscendo quantomeno inopportuna, da parte sua, tanta stereotipata crudeltà nei miei riguardi, soprattutto nel confronto con la certezza del mio fato, della sorte alla quale non avrebbe mancato di condannarmi, quale dato di fatto, quale mera, retorica conseguenza di quella situazione, di tale contesto, per così come, purtroppo, a me del tutto sfavorevole « Non è per nulla elegante, per quanto mi concerne… »
« Ucciderti? » domandò ella, aggrottando vistosamente la fronte, a espressione di quanto, allora, avrebbe voluto apparire del tutto sorpresa, se non, addirittura, sconvolta, a quell’idea, a quella prospettiva per così come da me ipotizzata « E’ questo che credi io desideri? Che io stia cercando in questo momento…?! » incalzò, a ribadire l’evidenza di come, dal suo personale punto di vista, tutto ciò non avrebbe avuto a doversi considerare neppure vagamente auspicabile « E, per grazia divina, per quale ragione, mai, dovrei cercare la tua morte…? »
« Per quale ragione non dovresti, piuttosto…?! » replicai, comprendendo perfettamente di non star compiendo, sostanzialmente, un’abilissima mossa strategica, e, ciò non di meno, rifiutandomi di credere che una persona come Anmel potesse davvero ignorare le ragioni di quel mio discorso e, con esse, le ragioni della mia già accettata condanna a morte « Sono l’ospite di tuo figlio, del figlio che hai cercato di eliminare invocando, addirittura, l’intervento di un dio, e sono tuo prigioniero, reso incapace a prendere contatto con lui. Inoltre anche Midda, colei che ha giurato di seguirti in capo al mondo e ben oltre, per ucciderti e chiudere uno spiacevole cerchio da lei stessa aperto, è tua prigioniera… sicuramente in attesa del momento in cui tu le condurrai la mia testa decollata, a impietosa dimostrazione della tua vittoria. » commentai, scuotendo il capo entro i limiti dei movimenti che, in quel contesto, mi erano concessi « Quindi… per quale dannata ragione ora, tu, non dovresti uccidermi?... E non dovresti farlo con straordinaria gioia?!... »

Non sono certo di cosa avrebbe potuto commentare Desmair se soltanto, in quel momento, mi fosse stata concessa un’opportunità di intimo colloquio con lui. Certamente, egli avrebbe potuto vantare, rispetto a me, una maggiore confidenza con la mentalità propria della madre, con i suoi pensieri, le sue idee, e soprattutto i suoi percorsi mentali, gli stessi in base ai quali avrebbe avuto a dover essere deciso se la mia decapitazione, per così come da me appena profetizzata, sarebbe semplicemente stata propriamente la causa del mio decesso o, più originalmente, ne sarebbe semplicemente stata una conseguenza, e una conseguenza concepita a conclusione di un lungo percorso di dolore e di sofferenza che, sulle mie carni, avrebbe imposto una pena tale da farmi augurare che, allora persino gradevolmente, la morte sarebbe potuta alfine sopraggiungere a liberarmi da tutto quello, a salvarmi da quanto la sua perversa fantasia avrebbe mai potuto concepire a mio discapito.
In effetti, nel ritrovarmi, diversamente dal mio ospite, del tutto estraneo alle logiche proprie della mia avversaria, della mia interlocutrice per così come lì presentatami, non avrei potuto vantare alcun genere di certezza nel merito di quanto ella avrebbe avuto a doversi riconoscere non soltanto necessariamente malvagia ma, anche e ancor più, sadica, in misura tale da giustificare la seconda alternativa da me ora appena enunciata. Ciò non di meno, dal momento che ella avrebbe avuto a doversi riconoscere non semplicemente la cattiva di turno di una storiella per bambini, quanto e piuttosto l’incarnazione stessa del primordiale principio di distruzione, di devastazione, di morte dell’universo stesso, l’Oscura Mietitrice delle leggende, delle canzoni, delle ballate, a confronto con le quali tutti, nel mio mondo, erano cresciuti, difficile sarebbe per me stato riuscire ad associare alla sua immagine, alla sua figura, dei pensieri meno che negativi, meno che volti non semplicemente alla mia disfatta, ma alla mia più dolorosa, e terribile, disfatta… ragione per la quale, al di là di ogni genere di retorico discorso sulla necessità di non perdere la speranza, di non cedere allo sconforto, difficilmente avrei potuto, allora, concedermi un simile lusso, una tale possibilità.
Non per vittimismo. Non per una qualche superficiale reazione di resa nel confronto con l’ostilità degli eventi per così come sviluppatisi. Quanto, e peggio, per mera onestà intellettuale nei miei stessi confronti, nei miei medesimi riguardi. Perché, allora, nel mentire su quanto avrebbe potuto attendermi, sul fato al quale sarei stato necessariamente destinato, avrei ingannato soltanto me stesso… me stesso e nessun altro.

« Forse perché, a differenza di quello che tu e la tua bella potete credere, il mio scopo non è poi così banale e stereotipato come vi state illudendo che sia…? E perché, con la saggezza di chi è vissuta per ben più di una sola vita, sono in grado di ben distinguere quando ha da considerarsi utile, per non dire indispensabile, uccidere i miei antagonisti… e quando, invece, mantenerli in vita… e mantenerli in vita allo scopo di ottenere, da loro, esattamente quanto io possa desiderare ottenere?! » replicò Anmel, con meno ironia e più serietà di quanto non avesse contraddistinto le sue precedenti affermazioni, a dimostrazione di come, allora, quell’intervento non avrebbe avuto a doversi considerare di semplice provocazione a mio discapito, quanto e piuttosto destinato a trasmettere, effettivamente, un concetto… e un concetto meno superficiale di quanto uno sciocco non avrebbe potuto riservarsi occasione di ritenere nel confronto con lei « Certo… non nego che in passato, tanto mio figlio, quanto la sua ultima, imprevista sposa, abbiano conquistato, di diritto, una posizione di rilievo nella mia personale lista di obiettivi da individuare, sconfiggere ed eliminare. Ma, come credo che anche tu possa essere in grado di comprendere, in questi ultimi tempi gli equilibri precedenti sono stati indubbiamente alterati… e ora nulla è come prima. Né può essere considerato come prima. »
« Vuoi realmente convincermi del fatto che tu possa attenderti qualcosa da parte di Midda o di Desmair, e che per questa ragione lei e io sopravvivremo, malgrado tutti i tuoi sforzi per condurci in trappola?! » protestai, non riuscendo ovviamente a concedere fiducia a quell’ipotesi, all’idea per così come da lei suggerita, argomentata e difesa, in una situazione nella quale, pur, allora, non avrei avuto a dovermi dimostrare così tanto critico e restio come, altresì, mi stavo impegnando ad apparire… non, quantomeno, per conservare una qualche ambizione di sopravvivenza, fosse anche per un’altra ora, per un ulteriore giornata « E, soprattutto, se anche così fosse, credi davvero che lei o Desmair agirebbero ugualmente in asservimento ai tuoi scopi, nel momento in cui risulterà loro evidente questo tuo piano, questa tua strategia, questa tua iniziativa…?! »
« Mio caro Be’Sihl… » sospirò ella, sorridendo quasi con un’evidenza di compassione nei miei riguardi, non troppo dissimile da quella che una madre paziente avrebbe potuto rivolgere nei confronti dei suoi figlioli, innanzi all’ingenuità dei medesimi nei riguardi delle dinamiche proprie della vita « Forse non mi crederai, ma mi spiace davvero che tanto la tua amata Midda, quanto il mio scomodo erede Desmair, ti abbiano coinvolto in questa storia, trascinandoti così lontano dal tuo mondo… e dalla vita probabilmente semplice e, in ciò, straordinariamente serena, alla quale dovevi essere abituato. » commentò, concedendosi persino l’opportunità di sospingere le dita della propria destra a sfiorare, con il cenno di una carezza, il mio volto, a dimostrazione della sincerità di quell’asserzione « Perché, mai come ora, appare evidente la tua incapacità a relazionarti con le regole di un giuoco indubbiamente più grande di te… un giuoco nel quale ti è stata concessa l’illusione di poter essere un giocatore, senza, tuttavia e purtroppo, essere in grado di comprendere quanto tu, obiettivamente, nulla abbia a essere più di una semplice pedina. Una pedina che, di volta in volta, sarà mossa da qualcun altro… concedendoti, sicuramente, un’illusione di autodeterminazione, di libertà, di indipendenza, nei limiti di quanto, pur, abbia a risultare necessario al fine di mantenerti quietamente legato al tuo ruolo. »

mercoledì 16 aprile 2014

2237


Soltanto a posteriori mi potei rendere effettivamente conto di quanto tempo fosse passato dal giorno dell’agguato, e dall’inizio del mio forzato oblio nelle tenebre della mia stessa mente, al giorno in cui mi fu concessa occasione di riacquisire coscienza di me. E, importante a specificarsi, soltanto di me e non, purtroppo, per quanto paradossale sarebbe stato impiegare simile termine nel merito di una tale condizione, del mio semidivino ospite. E se simile consapevolezza postuma poté essermi concessa, tale fu soltanto per quanto si premurarono di riferirmi coloro che, nel merito di una simile valutazione avrebbero potuto esprimersi con cognizione di causa, con piena coscienza nel merito dei tempi e degli eventi occorsi, giacché, personalmente, non avrei saputo quantificare se la mia assenza avesse a doversi misurare in termini di ore, di giorni, di settimane o, persino, di mesi… anni interi.
Per mia fortuna, lo stato di coma indottomi dal collare metallico, o comunque conseguenza immediata all’applicazione del medesimo attorno al mio collo, non ebbe occasione di privarmi di qualche anno di vita, benché, mio malgrado, a qualche mese scoprii di aver allora pur dovuto, inconsapevolmente, rinunciare. Qualche mese, tale il tempo sottrattomi, al termine dei quali il primo volto che volle riservarsi occasione di comparire innanzi al mio sguardo fu quello di una perfetta estranea… una perfetta estranea che, tuttavia, non volle negarsi l’occasione di presentarsi, cortesemente, qual una persona a me più che nota, una figura da me già incontrata e già combattuta, lì facente sfoggio di una propria nuova incarnazione, dell’ennesimo corpo entro il quale aveva conquistato occasione di rifugio…

« Ben svegliato… » si premurò di salutarmi, nel momento stesso in cui aprii gli occhi, ancor prima di maturare coscienza di quanto, allora, non mi sarebbe stata concessa maggiore libertà rispetto a quella, nel ritrovarmi, mio malgrado, bloccato sulla fredda e liscia superficie di una sorta di tavolo, o forse di branda, difficile a definirsi, al centro di una piccola stanza bianca e incredibilmente luminosa « … e benvenuto nella dimora del mio nuovo, cortese anfitrione. Spero che mio figlio e tu stiate entrambi bene. E che non avrete interesse a crearmi troppi fastidi, in risposta alla mia pur premurosa ospitalità nei vostri riguardi. »

Non ci volle troppo per permettermi di ricollegare quell’ultima asserzione all’identità della mia interlocutrice.
E non ci volle troppo per permettermi di verificare quanto, ancora, Desmair non fosse raggiungibile dalla mia coscienza, quasi come se, improvvisamente, egli fosse stato estirpato dal mio corpo, a dispetto dell’invito appena rivolto a entrambi…

« … Anmel?! » domandai, aggrottando appena la fronte nel cercare retorica conferma a quell’identificazione, della comprensione del fatto che, innanzi a me, al di là di quanto non mi avrebbero potuto che suggerire i miei occhi e le mie orecchie, e con essi la mia memoria, non avendo la benché minima occasione di riconoscere quella nuova immagine femminile, quella nuova presenza proposta al mio sguardo e quella nuova voce offerta al mio udito, altri non fosse che la già spiacevolmente nota regina Anmel Mal Toise, madre naturale di Desmair e, soprattutto, ragione per la quale Midda e io avevamo abbandonato la serenità del nostro pianeta natale per imbarcarci in quell’assurda avventura oltre i confini del nostro mondo… letteralmente oltre i confini del nostro mondo « Che sta succedendo? Dove sono? Che cosa hai fatto a Desmair?! »
« Affascinante. » osservò ella, sorridendo sorniona, quasi le fosse appena stata concessa occasione di ottenere verifica di una qualche straordinaria e imprevista teoria, in semplice conseguenza alle domande che le avevo allora rivolto « Non hai idea di cosa stia accadendo, non hai idea di dove tu sia, e, in tutto questo, il tuo primo pensiero risulta rivolto in direzione dello stato di salute di mio figlio, anziché della tua amata. » constatò, scuotendo appena il capo « Sono l’unica a leggere, in tutto ciò, qualcosa di incredibilmente strano e ambiguo…?! Soprattutto nel merito dei tuoi rapporti di fedeltà nei confronti di colei che, altresì, prima dovrebbe essere nei tuoi pensieri, nelle tue priorità, fra le tue preoccupazioni… » ammiccò, strizzando appena un occhio nei miei confronti, con incedere persino malizioso, quasi come se, dietro a quel mio interesse in favore di Desmair, avesse a doversi intendere chissà cos’altro, chissà quale altra, ipotetica, possibile verità.
« E’ inutile che tu cerchi di giocare con me, Anmel Mal Toise. » replicai, in nulla desideroso di concederle facilmente quella vittoria psicologica nei miei confronti, più qual una questione di principio ancor prima che per un qualche, concreto motivo, per una qualche reale ragione utile a non permetterle in alcun modo quella conquista « Per quanto, in questo momento, io possa avere più domande che risposte, sono ancora in grado di comprendere che l’unica ragione utile a concedermi di restare in vita, di permanere in vita, ha da ricercarsi nel fatto che io abbia a dovermi considerare, per te, ancora utile al fine di catturare Midda Bontor, di sconfiggere colei che a cui stai rifuggendo sin dalla sconfitta di Nissa, tua ultima vittima. » argomentai, a sostegno di quanto avevo asserito e del perché, quindi, i miei dubbi, i miei interessi, avrebbero avuto a doversi considerare qual così repentinamente rivolti in direzione al mio ospite, allorché alla mia amata, come da lei posto in critica evidenza « Ragione per la quale, la mia compagna è ancora ben distante dal potersi considerare alla tua portata… a differenza di Desmair e di me. »
« All’incirca… » osservò Anmel, scuotendo appena il capo a negazione di quell’ultima mia conclusione, di quell’ultima mia deduzione, in ciò da lei decretata qual erronea, qual priva di quella medesima opportunità di superiorità psicologica in tal maniera da me forse frettolosamente ostentata « No. Dai. Sto scherzando. » si corresse subito dopo, levando ambo le mani in segno di resa, quasi da parte mia non fosse allora mancata una qualche reazione a quella breve replica, per così come, tuttavia, non era avvenuto « La tua compagna non è in alcuna misura ben distante dal potersi considerare alla mia portata. Non, quantomeno, nel considerare come ella, in questo stesso momento, sia distesa su un tavolo operatorio non dissimile da questo… in una stanza identica a questa… a meno di dieci piedi da te. »

Se nell’immediato avrei voluto replicare a quell’affermazione, a quella dichiarazione, con un secco « Stai mentendo! », qualcosa mi spinse a tacere, a riservarmi un istante di silenzio e, in ciò, di riflessione, non concedendomi la possibilità di vantare delle certezze dietro le quali pur mi sarei potuto scoprire privo di qualunque copertura, privo di qualunque difesa. Anche perché, nel poter e nel dover vantare, in grazia al mio particolare rapporto con Desmair, maggiore consapevolezza rispetto a chiunque altro di qual genere di carattere avrebbe potuto essere riconosciuto a distinzione della regina Anmel Mal Toise, difficile sarebbe per me allor potuto essere ignorare quanto, purtroppo, una tale presa di posizione non adeguatamente supportata da solide motivazioni, da concrete ragioni, non avrebbe avuto a potersi considerare appropriata rispetto alla sua figura, rispetto al suo particolare incedere, atto, difficilmente, a vantare delle caratteristiche non proprie, atto, improbabilmente, a dichiarare il falso nella consapevolezza di ciò, con il solo intento di tutelare, strenuamente, una propria in tutto ciò sol supponibile posizione di superiorità, così come, pur, mai sarebbe alfine avvenuto, nel riconoscere qual terribilmente minati i fondamenti stessi della sua credibilità.
Per tale ragione, laddove ella asseriva che la mia amata avrebbe avuto a doversi riconoscere qual presente in quello stesso edificio, ovunque allora fossimo, e imprigionata non diversamente da me e non lontano da me, estremamente pericoloso sarebbe stato rifiutare la veridicità di una simile asserzione. E, ancor più, estremamente pericoloso sarebbe stato sminuire quanto, a fronte di tutto ciò, sarebbe necessariamente conseguito a discapito della mia vita, della mia salute, dal momento in cui, per come da me stesso pocanzi troppo audacemente affermato, l’evidenza di quanto, allora, Midda non fosse più un pericolo per la nostra antagonista avrebbe, ineluttabilmente, reso la mia sopravvivenza in vita un’inutile complicazione, una vana perdita di tempo, nel posticipare senza alcuna ragione, senza alcuna motivazione, quanto pur, presto o tardi, non avrebbe potuto evitare di occorrere… la mia esecuzione.

martedì 15 aprile 2014

Intermezzo - parte decima e ultima


Il concilio era terminato. Ciò che doveva essere detto, era stato detto. Ciò che doveva essere fatto, era stato fatto. Le decisioni che dovevano essere prese, erano state prese. Ciò non di meno, qualcosa, forse, restava ancora da dire, qualche emozione ancora da esprimere, benché, ormai, non riguardasse più, esplicitamente, l’intera assemblea ma soltanto una figura all’interno della medesima. Una figura che, dal canto suo, dimostrò di possedere sufficiente empatia, nei riguardi del cantore, da non mancare di comprendere di dover intervenire quando necessario, di dover ricercare un momento di incontro privato con il loro anfitrione, a discapito dell’apparente conclusione di qualunque argomentazione.
Fu così che, nel mentre in cui gli straordinari partecipanti a quella riunione altrettanto straordinaria iniziarono a lasciare la dimora di colui che, forse, avrebbero dovuto considerare proprio amico, e il quale, certamente, aveva offerto riprova di volerli considerare propri amici, anche a dispetto delle differenze che li contraddistingueva, che li caratterizzava, l’ex-locandiere richiese alla propria amata, alla donna guerriero, di volergli concedere un ulteriore istante, un altro momento, un fuggevole attimo sottratto all’eternità, per soffermarsi ancora a dialogare con il cantore, benché, formalmente, nessun invito in tal senso gli fosse stato rivolto dal medesimo…

« Ehy… » richiamò l’attenzione del medesimo, dopo averlo individuato qual già diretto alla propria postazione di lavoro, là dove, certamente, si sarebbe impegnato allo scopo di onorare l’impegno preso, a dispetto di ogni emozione negativa che, sino a quel momento, poteva averlo contraddistinto e, spiacevolmente, frenato.
« Ehy! » replicò l’altro, dimostrandosi quasi sorpreso da quella ricomparsa e, in ciò, apparentemente negando che, da parte propria, potesse esservi altro da aggiungere, altro da disquisire attorno a quel tema già, abbondantemente, affrontato « Credevo foste già ripartiti… che accade? »
« Dimmelo tu… » sorrise l’altro, accomodandosi non distante da lui, in maniera tale da poterlo osservare alla medesima altezza, senza, in ciò, gravare sgradevolmente dall’alto « Due mesi fa sono venuto a cercare dialogo con te, in questa stessa stanza, e per quanto tu mi avessi accennato all’essere inguaiato, non avevo compreso l’effettiva misura del tuo problema. » commentò, rievocando le dinamiche di un loro precedente incontro, dell’ultimo loro precedente incontro, quando egli stesso aveva ricercato occasione di confronto con il cantore nel desiderio di un fuggevole momento di distensione psicologica ed emotiva innanzi a tutta l’intima tensione necessariamente accumulata in quegli ultimi mesi, a sua volta, per tutti gli stravolgimenti occorsi anche nella propria vita « E di questo desidero domandarti scusa. Se solo non fossi rimasto tanto focalizzato, polarizzato sui miei problemi, forse vi sarebbe stato spazio sufficiente anche per affrontare i tuoi e, chissà, per evitare che tu potessi arrivare, oggi, a questo punto… »
« No. Non ti colpevolizzare per quanto è successo. » negò il cantore, scuotendo il capo « Te ne prego. Non è colpa tua… e, in ciò, probabilmente, non avresti potuto fare nulla per aiutarmi. Anche perché, all’epoca, ancora non avevo maturato la consapevolezza di avere un problema. »
« Si dice che ammettere di avere un problema sia il primo passo per riuscire a risolverlo. » sorrise amaramente il locandiere, annuendo appena a quell’ultima dichiarazione.
« Già… » confermò l’altro, appuntandosi mentalmente di riciclare quella frase, esattamente così come scandita dal proprio interlocutore, quanto prima, nel non poter essere più che d’accordo con la medesima e con le implicazioni conseguenti « E, nell’ostinarmi per giorni, settimane, mesi, anni addirittura, a negare di avere qualunque problema, sono arrivato a questo spiacevole punto di rottura. »
« Che pur rottura non vuol essere davvero… » puntualizzò il primo, in accordo con quanto, pocanzi, era stato lo stesso cantore ad affrettarsi a evidenziare, a discapito di qualunque fraintendimento « Perché, correggimi se sbaglio, hai ben sottolineato di non voler rinunciare a nulla di quanto può essere in grado di offrirti serenità o felicità… e, in questo, di non voler rinunciare anche al tuo impegno artistico con noi. »
« … artistico… » obiettò, con evidenza di scarsa considerazione per ciò « In verità non è che ci sia veramente molto di artistico in quello che faccio… gli artisti sono ben altra cosa rispetto a me. »
« Sempre intento a sminuirti e a sminuire il tuo operato… non è vero?! » domandò, retoricamente, l’ex-locandiere, per nulla sorpreso da quella precisazione in assenza della quale, evidentemente, il proprio interlocutore avrebbe potuto rischiare di entrare in conflitto con la propria stessa indole, con la propria natura, in una misura tale da rendere una qualunque altra asserzione non poi così lontana da uno stupro a proprio stesso discapito « In conclusione, tutte le belle parole di prima sono destinate a restare semplicemente tali…?! »
« No. Quello che ho detto lo credo veramente. Così come credo veramente che, alla base del mio impegno con voi, non abbia a dover essere riconosciuto nulla di artistico. Anzi. » si strinse nelle spalle, con aria serena « Comunque… non fraintendere le mie parole. Nel negare una natura artistica alla base di quanto compio quotidianamente, non intendo in alcun modo sminuire le ragioni della mia opera, giacché, con eccessiva facilità, quasi banalità, il termine “artista” e i suoi derivati sono associati a persone e opere tutt’altro che degne di un qualche interesse, tutt’altro che degne di una qualche attenzione, e pur imposte all’interesse e all’attenzione di tutti soltanto perché concepite, esplicitamente, come una provocazione. »
« D’accordo… d’accordo… » si arrese l’interlocutore, levano ambo le mani a espressione evidente di simile volontà di armistizio, di tregua soprattutto attorno a una questione che, obiettivamente, avrebbe avuto a potersi considerare decisamente futile « Al di là di tutto questo, comunque, sii sincero almeno con me… come ti senti?! »

Un’allora obbligata parentesi laconica non poté che seguire a quella questione, trovando il cantore tutt’altro che armato di un’immediata possibilità di risposta. Ciò non di meno, dopo un tempo inferiore a quanto l’altro non avrebbe potuto inizialmente temere necessario, il cantore riprese voce, per concedere replica a quell’interrogativo.

« Ho passato momenti migliori… » non volle negare, stringendosi fra le spalle, non tanto a minimizzare la questione, quanto a dimostrare un suo impegno in tal senso, allo scopo di non permettere a tutto quello di apparire peggiore di quanto già non fosse « Ma questo immagino sia quantomeno legittimo, nel considerare tutto quanto. » precisò, ammiccando appena con fare complice verso l’altro « Tuttavia… voglio essere positivo. Voglio essere sereno… e voglio credere che, al di là di tutto, questa, per me, abbia a doversi riconoscere non tanto quanto una dannazione, quanto un’opportunità. L’opportunità per rimettermi in giuoco… e rimettermi in giuoco seriamente, veramente, cercando di imporre alla mia esistenza la direzione che io desidero, tentando di afferrare saldamente il timone della mia vita, anziché lasciarmi sospingere dai venti della disgrazia verso una secca o verso degli scogli, sicura tragedia. Se mi consenti la metafora marinaresca… »
« A dispetto delle mie origini, e di quanto non avrei potuto apprezzare, ho trascorso sufficiente tempo per mare per poter apprezzare il paragone. » annuì l’ex-locandiere.
« E, del resto, per quanto anche la tua amata abbia sicuramente commesso i propri errori, i propri sbagli, tali da vederla privata di una buona parte dei propri sogni, dei propri obiettivi, di quello che credeva essere il fine ultimo della propria vita; ella stessa è dimostrazione di quanto, al di là di ogni sbaglio, di ogni errore, di ogni metaforica caduta, può esservi sempre l’occasione di rialzarsi se solo lo si desidera… e, in questo, persino di ottenere molto più di quanto non si sarebbe inizialmente atteso. » sorrise, non limitandosi ora ad ammiccare ma, esplicitamente, a indicare il proprio interlocutore, il quale, più di chiunque altro, avrebbe potuto incarnare il riscatto spirituale della donna guerriero « Questo è, forse, il suo insegnamento più importante. Ancor più della possibilità di essere i padroni del proprio destino, gli unici autori della propria sorte. E questo sarà ciò che mi impegnerò a ricordare ogni giorno, nei mesi e negli anni a venire, non più lasciandomi dominare dagli errori compiuti… ma gioendo per l’occasione concessami di poterne compiere ancora molti altri! »

lunedì 14 aprile 2014

Intermezzo - parte nona


« Quindi…? » domandò il semidio, preferendo, alla retorica dei discorsi, la concretezza delle azioni e, con esse, dei risultati che il loro anfitrione avrebbe potuto scegliere di perseguire, avrebbe potuto decidere di voler lottare per rendere propri, a discapito di qualunque avversità, in contrasto a qualunque pessimismo che, sino a quel momento, poteva averlo caratterizzato, poteva averlo contraddistinto e, persino, dominato, negandogli qualunque possibilità di divenire, realmente, padrone del proprio presente e del proprio futuro, del proprio destino, del proprio fato, e, con tutto ciò, negandogli anche qualunque possibilità di vivere, e di vivere realmente, la propria esistenza, a essa limitandosi a sopravvivere, limitandosi a lasciarsi dominare dagli eventi ancor prima che a dominarli egli stesso « Cosa intendi fare ora…? Desideri ancora smettere di scrivere? Desideri ancora perdere tempo a piangere per la malvagità degli uomini, colpevolizzandoti per essere stato tanto stupido da non comprendere per tempo chi ti avrebbe tradito e perché? Desideri ancora ritenerti, tanto stolidamente, tanto imperdonabilmente, sì privo di ogni possibilità, sì privo di presente e di futuro, in misura tale da dover trascorrere il resto della tua vita attendendo, semplicemente, la morte quasi come un’amante prediletta, un’amica fedele, una compagna a lungo tempo cercata e sol tardivamente conquistata? » tentò di provocarlo, infierendo volontariamente e, ormai, persino grottescamente a suo discapito, nella misura utile a cercare di ottenere da parte sua una qualche reazione, un qualche cenno di rivolta, una qualche dimostrazione concreta di quanto, egli, avrebbe potuto ancora avere desiderio di combattere, e di combattere per la propria autodeterminazione, a dispetto di tutti i discorsi di resa sino a quel momento occorsi.
« Poi… per carità… se davvero ha da essere considerato tuo sol desiderio quello di accogliere la morte in tal misura, in simile maniera, potrei decidere di dimostrarmi sufficientemente caritatevole nei tuoi riguardi e di provvedere io stessa a tal proposito… » suggerì la regina, sorridendo maliziosamente, in un asserzione che, dato il soggetto, avrebbe avuto a dover essere considerata decisamente complicata nella propria interpretazione, forse frutto semplicemente di un intento provocatorio, forse, e piuttosto, evidenza di una qualche concreta volontà indirizzata all’assassinio del cantore, non per una qualche, concreta avversione a suo discapito, quanto e semplicemente in conseguenza al proprio più totale disprezzo della vita, lei che, del resto, della morte e dell’annichilimento rappresentava incarnazione e incarnazione più violenta e autentica.
« Tu stai buona. » intervenne la mercenaria, lasciando ticchettare sulla superficie di vetro del tavolo del soggiorno del cantore la punta metallica delle dita della propria destra, a voler chiaramente ricordare, senza troppe metafore, quanto, in quel frangente, pur priva della propria spada, e apparentemente di ogni altra arma, non avrebbe avuto a dover essere fraintesa qual inerme e inoffensiva, anche e soltanto in grazia alla presenza della sua protesi robotica.

A escludere, allora, il proseguimento di quella possibile discussione, e della lite, o peggio battaglia, che da essa avrebbe potuto seguire, riprese ancora una volta parola lo stesso cantore, in risposta al semidio, direttamente, e a tutti quanti, indirettamente, nella definizione di quelle che, alla luce del loro incontro, di quel loro concilio, avrebbero avuto a dover essere riconosciute le sue decisioni. E decisioni che, necessariamente, non avrebbero potuto ovviare ad avere un certo impatto anche sulle esistenze di tutti loro lì radunati, se non in maniera diretta, quantomeno in termini indiretti, nel coinvolgerli nei limiti consueti del suo impiego al loro servizio, a testimonianza delle loro vicende, delle loro gesta…

« Mio desiderio non è accogliere la morte, quanto, e piuttosto, abbracciare la vita, nella consapevolezza che prima di quanto chiunque fra noi non potrebbe attendersi, non potrebbe avere piacere di accettare, ciò che abbiamo, ciò che ci è stato concesso, ci sarà tolto. E io non desidero arrivare a quell’improrogabile appuntamento con la nera signora, a quell’irrinunciabile ultimo ballo con l’oscura dama, nel rimpianto per una vita mai vissuta, per tutte le esperienze mai provate, per tutta la gioia che mi sono negato nel timore del dolore che, lungo tale cammino, per me avrebbe potuto derivare… e sicuramente deriverà. » asserì pertanto, con tono convinto, con incedere deciso, nella volontà di far risuonare quelle parole non quali retoriche, non quale vuoto manifesto di vita, quanto e piuttosto una decisione concreta, reale, solida, innanzi alla quale non riservarsi alcuna occasione utile a ritrattare, a retrocedere, a meno di non rinunciare, definitivamente, in tutto ciò, a ogni pur minimo frammento di amor proprio rimastogli.
« Bravo! » esclamò l’ex-locandiere, appoggiando e sostenendo completamente quell’opinione, quella decisione, e trattenendosi a stento, persino, dall’applaudire, a sostegno di tutto ciò.
« Per troppo tempo, nascondendomi dietro la scusa di volermi nascondere da tutti coloro che mi avrebbero potuto ferire, che mi avrebbero potuto fare del male, ho rinunciato a vivere la mia quotidianità, la mia vita di tutti i giorni, sempre sottraendomi innanzi a qualunque scelta, a qualunque azione potesse vedermi posto in gioco, sia con estranei, sia con amici, con persone che davvero avrebbero avuto piacere di essermi amici e che, così facendo, non ho fatto altro che allontanare da me, con impegno persino malato. » ammise, storcendo le labbra verso il basso, per nulla fiero di tutto ciò « Anche la scrittura delle testimonianze delle vostre avventure, delle vostre gesta, nel corso del tempo, ha assunto sempre più le caratteristiche di un’ennesima scusa atta a sottrarmi al confronto con la mia stessa vita, con la mia quotidianità, a essa rifuggendo per cercare ipotetico rifugio nelle vostre esistenze, nelle vostre vicende, tradendo, in tutto ciò, persino le ragioni per le quali, in origine, tutto questo mio impegno ha avuto inizio. »
« Quando ho iniziato a scrivere di voi, lo sapete bene, ero reduce di un’altra sgradevole batosta emotiva, di un altro spiacevole tradimento da parte di alcune persone da me ritenute erroneamente amiche e scoperte all’esatta antitesi di tale definizione. » rimembrò, a meglio argomentare le proprie parole, quanto lì sostenuto e difeso « Ho iniziato a scrivere nella volontà di dimostrare a me stesso, e al mondo intero, di poter essere in grado di fare qualcosa che mi piacesse e che mi interessasse nel solo desiderio di incontrare la mia approvazione, e non di dipendere, necessariamente e costantemente, dal beneplacito di altri… una ricerca di autodeterminazione, pertanto, che, tuttavia, nel corso del tempo ha assunto le caratteristiche della ricerca di un isolamento, di una vita da eremita, sostenendo qual sola scusa, qual unica ragione alla base di tutto ciò, la necessità di scrivere, e di scrivere costantemente, quotidianamente, per non tradire delle aspettative imposte solo da me stesso a me stesso. »
« Devo cambiare… » sancì, convinto « … devo cambiare nella misura in cui non è giusto che io snaturi tutto ciò che noi siamo, che noi abbiamo costruito insieme in questi ultimi anni, in qualcosa utile, soltanto, a negarmi di vivere la mia vita, sottraendomi a essa, isolandomi dal mondo, e da ogni esperienza rifuggendo, da ogni avventura sottraendomi. O, così facendo, nulla di diverso compirò rispetto a quanto tu stessa hai ammesso di aver erroneamente compiuto nel rinunciare al mare, e a tutta la tua vita lungo le sue infinite distese… » proseguì e incalzò, rivolgendosi, in tali parole, direttamente alla mercenaria, che, pocanzi, aveva avuto forza e autocritica sufficiente ad ammettere il proprio errore, il proprio sbaglio « Continuerò a scrivere. Continuerò a scrivere come ho fatto ogni singolo giorno in questo ultimo lustro e più… ma, accanto alla scrittura, accanto alla narrazione che sempre mi ha allietato, che sempre mi ha rasserenato, che sempre mi ha aiutato, delle vostre vite, delle vostre vicende, inizierò a cercare di vivere anch’io la mia vita, la mia esistenza quotidiana… e tutto ciò che, nel bene così come nel male, essa mi vorrà riservare. »
« Giusto! » approvò la donna guerriero, così tirata direttamente in causa, concedendosi di battere le mani a sostegno di tale asserzione.
« Forse mi capiterà di pubblicare con qualche giorno di ritardo… forse inizierò a riservarmi il fine settimana per recuperare gli arretrati e per portarmi avanti con la settimana seguente, senza necessariamente pubblicare altro nel corso della medesima… ma questo non significherà mai che, in me, è calato il desiderio di scrivere, e di scrivere delle vostre vicende, delle vostre avventure, delle vostre guerre e dei vostri risultati. Anzi… » difese la propria decisione « Questo significherà che, ogni qual volta mi impegnerò a scrivere, e a scrivere di voi, lo farò nella consapevolezza che è ciò che desidero, e che desidero realmente, e che non è, semplicemente, una scusa dietro la quale mascherare una qualche bramosia di fuga dalla realtà, e con essa dalla vita quotidiana, così come è stato, purtroppo, in questi ultimi due anni. »

venerdì 11 aprile 2014

Intermezzo - parte ottava


« Io… credo di capire quello che volete dire. » annuì il cantore, per quanto, in simile ammissione, egli non avrebbe potuto evitare di ammettere anche la propria ignavia, la propria indolenza e, in ciò, la propria colpa, scoprendosi proprio malgrado partecipe… compartecipe, quantomeno, di tutto ciò che, di male, la sua esistenza sembrava avergli voluto riservare in quegli ultimi due anni della propria vita, in quegli ultimi due anni della propria quotidiana avventura, lasciando in lui emergere tutte quelle debolezze, tutto quell’affaticamento di cui mai, prima, avrebbe avuto piacere di definirsi protagonista e che, nell’assenza di una sua resa, mai lo aveva visto protagonista, mai lo aveva condotto a essere protagonista e, in tutto ciò, mai gli era costato quanto, altresì, in quelle ultime stagioni, proprio malgrado, gli era costato.

Come era giunto a tutto quello? Come si era concesso l’occasione di gettare, metaforicamente, la spugna, negandosi ogni ulteriore possibilità di sfida nei confronti della sorte, e di ogni avversità per così come, pur, propostagli innanzi?... e, soprattutto, perché?!
Una risposta semplice, quella da lui in tal modo ricercata e, al contempo, estremamente complicata, estremamente dolorosa, in quanto volta, ancora, a individuarlo quale unico responsabile di tutto il male a sé destinato, a sé indirizzato, a sé rivolto.
Era stata colpa dell’ultimo tradimento subito? No. Come aveva già chiarito, come aveva persino premesso, quello avrebbe avuto a doversi considerare l’ultima, traboccante stilla in un vaso fin troppo pieno, in un contenitore che già, di per sé, stava tracimando. E un vaso che, dopotutto, era stato lui stesso a colmare… e a colmare con la propria mancanza di stima in se stesso, con la propria patologica mancanza di fiducia nelle proprie capacità, nelle proprie possibilità, nel proprio avvenire,
Così come, addirittura, vittima della malia impostagli dalle false amicizie a cui si era affidato, in cui ancora una volta egli aveva confidato, era arrivato ad ammettere, con semplicità persino disarmante, e che pur avrebbe avuto a doversi dimostrare preoccupante, straordinariamente preoccupante, nelle implicazioni in tutto ciò neppur eccessivamente celate; egli non era mai stato in grado di apprezzarsi, di stimarsi, di amarsi, e, in conseguenza a tale incapacità, si era sempre affidato al giudizio del proprio prossimo, alla valutazione delle persone a sé circostanti, per definire se stesso, per riuscire a offrire un senso al proprio essere e al proprio agire. Ma, nel procedere in tal maniera, nell’incedere in tal misura, egli aveva parimenti sempre offerto troppo facilmente il fianco a valutazione errate, a condanne gratuite, non derivante da una propria effettiva colpa, da una propria reale mancanza, quanto e piuttosto dalla crudeltà, dopotutto, intrinseca nell’umanità, la stessa crudeltà nel tentare di negare la quale si avrebbe dovuto negare la capacità dell’uomo di uccidere i propri simili, e di ucciderli per le più futili motivazioni.
Ma, in tal modo, egli non sarebbe giunto da alcuna parte. Proseguendo su un simile cammino, egli non sarebbe stato in grado di arrivare ad alcuna meta. Ad alcuna meta degna di nota. Ad alcuna meta diversa da quella che era già riuscito in tutto ciò a raggiungere, che era riuscito in tutto ciò a conquistare: la depressione, la sfiducia in se stesso, la stanchezza più intima e profonda, e una sensazione di costante disagio nei confronti del creato a sé circostante, del mondo del quale avrebbe voluto sentirsi parte, in quanto, comunque, animale sociale, e nel quale, tuttavia, non era mai riuscito a trovare il proprio posto, se non in effimeri momenti, in fragili parentesi nel mentre delle quali qualcuno aveva avuto bisogno di lui, e a lui si era avvicinato con nell’unico intento di ottenere, da parte sua, quanto desiderato, quanto ricercato, quanto allora necessario.

« Homo homini lupus est. » dichiarò, citando un’antica locuzione latina, nei confronti della quale non si era mai sentito in accordo, non tanto per una fiducia incondizionata verso l’umanità, quanto e piuttosto per un amore assoluto verso i lupi, e un’ammirazione smisurata verso il loro sistema sociale, i loro rapporti.
« … cosa significa? » domandò la donna guerriero, non comprendendo la lingua nella quale egli si era appena espresso e, in ciò, non potendo apprezzare alcuna sfumatura significativa nella dichiarazione da lui, in tal modo, appena scandita.
« Gli uomini sono lupi nei confronti degli altri uomini. » esplicitò, sorridendo amaramente « E’ una frase che non mi ha mai trovato concorde, dal momento che i lupi sono animali indubbiamente superiori, per taratura morale, a quanto mai uomo potrebbe sperare di divenire. E, in questo, se veramente gli uomini fossero per gli altri uomini come dei lupi, tutti noi vivremmo soltanto e necessariamente meglio. » argomentò, a sostegno della propria tesi, della posizione così assunta « Ciò non di meno, non posso evitare ora di riflettere su quanto, al di là del significante, il significato della frase sia terribilmente veritiero… e su quanto, mio malgrado, al di là di tutta la sfiducia che sfoggio possedere nei riguardi del Creato, e dei miei simili, mi sia cempre e solo comportato in modo tale da permettere a chiunque di accentuare in misura terrificante la mia già scarsa autostima, il mio già nullo apprezzamento per me stesso e per le mie capacità, mai combattendo realmente al fine di imporre chi io sia innanzi al mondo, mai combattendo realmente al fine di dichiarare, con orgoglio, la mia identità innanzi a chiunque mi circondi, ma, semplicemente, erroneamente, tragicamente, accettando la sconfitta qual presupposto, qual condizione di partenza, null’altro riservandomi, pertanto, al di fuori di quanto, ora, così ottenuto. »

Homo homini lupus est. Come aveva potuto permettere a tutte le proprie pessime frequentazioni, a tutte le proprie negative compagnie, di concedergli ragione per alimentare il proprio disfattismo? Come aveva potuto permettere a se stesso, all’unica persona che avrebbe dovuto stargli realmente a cuore, di conquistare essere posto tanto in secondo piano innanzi al supposto benessere di altri, di propri supposti amici, dimenticandosi quanto mai… e poi mai… un vero amico gli avrebbe permesso di comportarsi in simile maniera, gli avrebbe permesso di cedere, in tal misura, a proprio stesso discapito, a discapito del proprio cuore e del proprio animo, e in ciò della propria serenità, della propria pace, quella stessa pace in assenza della quale, ormai venuta definitivamente meno, l’aveva fatto precipitare in un baratro d’angoscia privo di qualunque speranza di evasione, possibilità di fuga, non dissimile da una dannazione ancor in vita, e tale da privare la vita stessa di qualunque ragione, di qualunque significato, di qualunque prospettiva, nel presente, così come in futuro, per quanto remoto, per quanto lontano esso avrebbe avuto a poter essere collocato?

« E’ esattamente quello che desideravamo tu potessi comprendere… » sorrise l’ex-locandiere, con sguardo quasi paterno innanzi al cantore, benché la loro differenza d’età non avrebbe potuto essere in alcun modo giustificatrice di una simile definizione « Nulla ti impedisce, ora, comunque, di arrenderti, di accettare la sconfitta, di chinare il capo innanzi al destino. Nessuno fra noi, e nessuno fra altri, può e potrà mai avere il potere di negarti la possibilità di una simile scelta, di una tale decisione. Quanto tuttavia è necessario che tu comprenda è chi, realmente, in tutto questo, potrebbe mai aver a dover essere riconosciuto il tuo antagonista, il tuo avversario, la tua nemesi… non fraintendendola in figure che, addirittura, potrebbero essere persino considerate indegne di un simile ruolo, di tanta importanza da parte tua, ove, a dispetto di ogni presunzione, di ogni dubbio, fondamentalmente prive di qualunque potere, di qualunque autorità su di te, sul tuo cuore o sul tuo animo… ma soltanto in te stesso. E nella sfiducia che tu, per primo, riponi nelle tue possibilità, nella tua forza, nel tuo domani. »
« Il fato non esiste… la predestinazione è soltanto la via di fuga dei perdenti, in grazia alla quale potersi riservare il ruolo di vittime allorché di carnefici, e di carnefici di se stessi. » proseguì e soggiunse la mercenaria, appoggiando e valorizzando le parole pronunciate dal proprio compagno « Tutti sbagliamo… e tutti noi, purtroppo, preferiamo cercare di scaricare la responsabilità dei nostri errori su altri, addirittura sugli dei, piuttosto che accettare di aver fallito. E di aver fallito così come mai avremmo voluto concederci occasione di fallire… »

giovedì 10 aprile 2014

Intermezzo - parte settima


Ennesimo silenzio. Ennesima necessità, per il cantore, di riordinare le proprie idee, di comprendere in che misura tutto quello avrebbe allora potuto avere senso di essere e quale significato avrebbe potuto avere senso di adottare nel confronto con la propria situazione. Perché se, obiettivamente, le massime appena scandite, e a lui dedicate, dal semidio, dalla regina immortale sua madre e dalla donna guerriero sua sposa, avrebbero dovuto essere considerate inoppugnabili nel loro senso più amplio, nel loro significato più generico, ben diversa questione, ben diverso significato, avrebbe dovuto, probabilmente, contraddistinguere il suo concreto contesto, laddove, forse per umiltà, più probabilmente per realismo, egli non avrebbe avuto ragione alcuna di considerare la propria vita simile a una guerra, simile a una battaglia esito della quale avrebbe potuto essere soltanto la propria vittoria o la propria sconfitta, la propria sopravvivenza o la propria morte.
Quanto egli, tuttavia, in simile intima argomentazione stava errando a compiere, stava ancora una volta sbagliando a effettuare, altro non avrebbe avuto che a dover essere considerato il cercare di giustificare la propria esistenza, il proprio caso specifico, proprio in una di quelle sfumature di grigio in tutto ciò appena deprecate, cercando di avvalorare, in tal maniera, e con tesi assolutamente personali, il fatto che, per lui, per la sua stessa vita, non sarebbe valsa la pena impegnare il benché minimo sforzo, nel riconoscere se stesso, e la propria quotidianità, qual del tutto immeritevole di qualunque sprone in tal senso. Egli, quindi, e soltanto egli, avrebbe avuto a dover essere considerato il proprio principale avversario, il proprio primo nemico, il proprio più grande ostacolo… così come, per sua fortuna, ebbe allora capacità di cogliere, di percepire, l’ex-locandiere, decidendo di intervenire, a sua volta, proprio in tale direzione.

« Permetti una parola…?! » premesse, per attirare, innanzitutto, la sua attenzione ancor prima di iniziare a esprimersi, nel voler essere certo che, perso qual egli appariva nelle proprie intime riflessioni, non potesse smarrire il senso ultimo di quel ricercato intervento.
« … certo. » annuì l’altro, a lui, pertanto, rivolgendo, come richiesto, tutta la propria attenzione, tutto il proprio interesse, nel non volersi permettere occasione di fallimento in tal senso, nel non voler permettere, malgrado tutto il suo impegno inconscio, a quella riunione, a quel concilio, di concludersi senza alcun concreto beneficio per sé e per la propria vita.
« Immagino che non ci sia bisogno di ricordarti il nome di colui che un tempo fu mio garzone, e successivamente si impegnò a divenire scudiero della mia amata, ruolo per il quale egli non avrebbe potuto, apparentemente, vantare la benché minima attitudine… e che, ciò non di meno, per primo, e unico nella Storia, egli riuscì a rendere proprio, a dispetto di qualunque altra presunzione. » introdusse, con un quieto sorriso, a dimostrazione di quanto, da parte propria, quel discorso non avrebbe avuto a dover essere considerato, neppure per errore, in antagonismo al cantore, ma sempre e soltanto in sua difesa, in suo supporto « Egli, perdonami se mi concedo il paragone, non era poi molto diverso da te… anzi. A conti fatti, mi potrei azzardare persino a considerarlo a te del tutto identico, a te del tutto eguale, nel momento in cui, soprattutto, tanto l’uno, quanto l’altro, scarso valore, alcun reale rispetto, avete mai avuto occasione di riservare in favore delle vostre stesse vite, delle vostre stesse esistenze, della vostra quotidianità, giudicandole, in quanto simili a quelle della maggior parte delle persone a voi circostanti, quali indegne di attenzione, quali immeritevoli di interesse, non soltanto da parte di altri ma, ancor prima, da parte vostra. E, in tutto ciò, non avete fatto altro che impedirvi di cercare qualcosa di più, di lottare per qualcosa di meglio, abbattendovi autonomamente fino a permettere a qualunque figlio o figlia d’un cane, e perdonami il termine, sufficientemente sensibile da cogliere questa vostra debolezza, di potersi riservare l’occasione di imporre su di voi il buono e il cattivo tempo, servendosi di voi nella consapevolezza che mai avreste reagito, che mai vi sareste riservati il colpo di reni utile a sottrarvi alla sua influenza, alla sua arroganza, al suo dominio… »
« Ti prego… ascoltami se ti dico che nella tua vita, nella tua quotidianità, c’è molto più di quanto tu non possa credere. E che dentro di te c’è molto più di quanto tu non voglia credere, sia per autoconvincimento che in conseguenza alle pessime compagnie di cui ti sei circondato, e che ti hanno condotto a credere che, tuo malgrado, realmente non vi fosse nulla, in te, meritevole di essere salvato, nulla in te meritevole di attenzione. » sancì, proseguendo nel proprio monologo, nella propria arringa « Tu più di chiunque altro, nell’aver vissuto così tante vite, scrivendo di esse, testimoniando pensieri, opinioni, idee di figure che, probabilmente, consideri più degne di te d’essere narrate, d’essere raccontate; dovresti essere in grado di analizzare obiettivamente quanto, all’atto pratico, il primo, vero e solo nemico di ognuno di noi abbia a essere riconosciuto colui o colei riflessi nello specchio, in quanto noi stessi siamo sempre stati, e sempre saremo, il primo, e più difficile, ostacolo da superare, il limite più prepotente e soffocante da vincere… e da vincere per poter prendere reale possesso delle nostre esistenze, del nostro oggi e del nostro domani. » insistette « E questo che tu sia un “semplice” cantore… sia che tu sia una straordinaria donna guerriero, ucciditrice di dei. » sembrò concludere, per quanto, in quell’ultima affermazione, si concesse di rivolgere uno sguardo all’indirizzo della propria compagna, attendendosi da lei un’immediata ripresa sul medesimo argomento, nella stessa direzione, nella consapevolezza di come ella avrebbe potuto tranquillamente sostenere quella tesi, apportando a essa testimonianze utili a offrire, alla medesima, maggiore valore, soprattutto innanzi allo sguardo del cantore.
« Sì… ha ragione… » annuì la mercenaria, non tradendo le aspettative e rivolgendosi, in tal senso, verso il loro anfitrione, per riprendere l’argomento là dove rimasto in sospeso « Ha ragione lui… » ribadì, riservandosi un istante per ricercare le parole più idonee sulle quali riprendere l’argomento « Parliamoci chiaro… credi forse che io non abbia mai avuto esitazioni? Che io non abbia mai avuto timori? Che io non mi sia mai sentita, obiettivamente, stanca della mia vita e di tutte le sventure che, con eccessiva ostilità, a discapito della medesima hanno continuato a imporsi nel corso del tempo, puntualmente negandomi ogni speranza di felicità nel momento stesso in cui, pur, speravo di potermi illudere di averla raggiunta?! » questionò, storcendo le labbra verso il basso « E, ancor più, sei davvero convinto che io non abbia mai commesso errori offrendo ascolto a questa stanchezza, a questo sentimento di frustrante impotenza innanzi a un fato che sembrava poter essere definito soltanto da altri e da me, semplicemente e sgradevolmente, subito? Credi che non abbia mai permesso a miei antagonisti di averla vinta su di me, in maniera tale da spingermi a cedere alla depressione e, con essa, al timore di non poter riservare più alcun significato, alcun valore alla mia stessa esistenza?! »

Soltanto silenzio si offrì come risposta da parte del cantore, il quale, allora, si sforzò di tradurre quelle domande, chiaramente retoriche, in esempi concreti che, a partire dal passato della donna, potessero offrire evidenza di quanto da parte sua in tal modo promosso. Ad anticiparlo, tuttavia, continuò ella stessa, non desiderando permettere, in quel frangente, alla questione di precipitare in una nuova parentesi di intima e laconica riflessione.

« Dimentichi, forse, i decenni che ho trascorso in esilio dalla mia stessa isola natia, come conseguenza del giudizio di condanna che la mia gemella aveva espresso a mio discapito? E dimentichi, forse e ancora, i decenni che ho trascorso in esilio dai mari, dalle infinità azzurre da me da sempre adorate, rinunciando non soltanto alla vita e alla felicità che avrei potuto avere lungo quelle vie, ma anche ai miei amici, al mio compagno, e a tutto ciò che per me era vita e quotidianità, come conseguenza della mia psicologica resa, ancora una volta, alla mia gemella?! » citò i primi due esempi a sostegno di ciò, primi di quelli che pur avrebbero potuto essere ancora molti altri « Certo… nella mia vita ho vinto molte sfide, ho trionfato su molti avversari, ma anche io, in momenti di particolare sconforto, mi sono permessa l’errore di arrendermi… e, nell’arrendermi, mi sono eletta a mio più grande ostacolo, a mia peggiore antagonista, in misura persino maggiore di quanto mai avrebbe potuto sperare di divenire mia sorella. »

mercoledì 9 aprile 2014

Intermezzo - parte sesta


« … ma… non so come dirlo… tutta questa stanchezza, tutte le sventure che mi hanno coinvolto in questi ultimi mesi, in questi due anni, sembrano quasi voler porre in evidenza quanto, tutto sommato, la mia vita sia sostanzialmente priva di valore persino per il fato… persino per qualunque principio divino esista lassù, a tendere la propria mano e, in ciò, a orchestrare tutto ciò che può contraddistinguere, nel bene o nel male, le nostre esistenze. » dichiarò, cercando di sfruttare quel momento di incontro per catalizzare i propri pensieri e le proprie emozioni, in una frase di senso compiuto che potesse essere adeguata a descrivere quanto stava allora vivendo, e quanto, proprio malgrado, temeva avrebbe avuto ancora a dover vivere, non riuscendo a identificare, in tutto quello che gli stava accadendo, alcuna parabola positiva, alcuna svolta entusiasmante, capace di garantirgli una qualche speranza per l’indomani « E, in tutto questo, non so quanto io possa ancora essere colui che sono sempre stato… e che, pur, vorrei continuare a essere. Non so quanto io possa ancora essere capace di essere tutto questo. »

Il cantore, proprio malgrado, non si attendeva di poter essere compreso. Tutti i problemi che egli aveva elencato, per così come egli stesso aveva evidenziato, avrebbero avuto a dover essere riconosciuti, addirittura, qual banalità nel confronto delle vere disgrazie, degli incommensurabili ostacoli, dei concreti orrori in contrasto ai quali tutti i presenti da lui allora radunati avrebbero potuto offrire testimonianza, in misura tale per cui, i suoi, sarebbero necessariamente dovuti essere relegati a semplici capricci, banali scuse per dissimulare una mancanza di volontà, di forza d’animo, colpevole della quale avrebbe avuto a dover essere considerato solo e soltanto egli stesso, senza che alcun altro, potesse esserne coinvolto: non il fato, non un qualche dio o dea, e neppure, obiettivamente, colui, colei o coloro i quali, nelle vicende da lui raccontate, lo avevano tradito, gli avevano offerto il colpo fatale, a seguito del quale egli, proprio malgrado, era precipitato in una tanto devastante apatia.
A differenza, tuttavia, di quanto egli avrebbe potuto attendersi, o meno, di essere compreso, le persone a lui circostanti, coloro che egli aveva, in quel frangente, scelto di radunare attorno a sé, per invocare il loro consiglio, il loro aiuto e il loro supporto, si vollero dimostrare decisamente più mature di quanto egli, probabilmente, non avrebbe loro attribuito essere, in quel pur palese velo di sfiducia che, anche allora, non avrebbe potuto mancare di ammantare il suo cuore, il suo animo tutto, nel confronto con la presunta evidenza di quanto le sue parole avrebbero avuto a dover essere considerate fondamentalmente vuote all’attenzione di tutti loro. Perché non uno fra loro, non la donna guerriero, non la regina immortale, non il semidio demoniaco e non l’ex-locandiere, lasciarono comparire sui propri volti delle espressioni di giudizio, la benché minima evidenza di una qualche facile condanna a suo discapito, così come, neppure, un qualche accenno di troppo facile, troppo banale pietosa commiserazione.
E nel tradire, paradossalmente, ogni sua aspettativa, essi non mancarono, in tutto ciò, di lasciarlo sconvolto, di lasciarlo spiazzato, negandogli ogni possibilità utile a capire non soltanto cosa stesse accadendo dietro ai loro sguardi, nelle loro menti e nei loro cuori, ma anche, e ancor più, di proseguire nello stesso cammino di troppo banale autocommiserazione in cui, allora, egli stesso avrebbe potuto spingersi, se solo uno fra loro gliene avesse offerta l’occasione.

« Allora…?! » tentò di provocarli, a rompere il silenzio così venutosi a creare fra loro, e a suscitare, da parte loro, una qualche reazione, possibilmente forte, possibilmente violenta, tale da ricondurre quell’incontro lungo gli stessi binari in cui egli, forse anche e soltanto inconsapevolmente, aveva previsto di indirizzarlo, di guidarlo « … non mi dite nulla? Non avete intenzione di accusarmi di voler perdere il mio tempo in facile autocommiserazione allorché nell’imbracciare le armi e nel riprendere a combattere, e a combattere con maggiore foga rispetto a prima, per dimostrare a qualunque mio avversario, sia egli umano o divino, che si sbaglia a considerarmi vinto?! » domandò, con incedere necessariamente retorico, nel comprendere egli stesso, nel mentre in cui quelle medesime parole stavano venendo pronunciate, quanto assurdo avesse a dover essere riconosciuto il suo stesso discorso, la tesi da lui così promossa, benché, ormai, avrebbe avuto a dover essere considerato troppo tardi potersi arrestare.
« Perché mai dovremmo…? » scelse di prendere voce il semidio, scuotendo appena il colossale capo, ornato da corna « Mi sembra che tu sia stato sufficientemente bravo ad accusarti da solo in tal senso. Anzi… sono certo che tu abbia persino già preparato la corda saponata per la tua impiccagione, nell’attesa che, qualcuno fra noi, ti fornisca la scusa utile per procedere, la condanna che tu stai invocando ora a gran voce non diversamente da un assetato nel deserto. »

Ancora silenzio. E, ancora una volta, non tanto conseguente a un’assenza di interesse ad aggiungere argomentazioni attorno alla tematica lì espressa, quanto e piuttosto per concedere, nella fattispecie allo stesso cantore, tempo utile per riuscire ad assimilare le parole che aveva scelto di destinargli il semidio, il quale, non diversamente dalla madre, non si era probabilmente riservato particolare delicatezza, concreta diplomazia, e che pur, in tal modo, era stato in grado di scandire termini sufficientemente adeguati con energia tale da scagliarli dritti nell’animo del proprio interlocutore, non diversamente da lame proiettate, con abilità e controllo assoluto, dalle sapienti dita di un lanciatore di coltelli.

« Per come la vedo io, mio caro, non hai molte alternative… » riprese, e proseguì, la regina, dimostrandosi in tal senso più che concorde con la valutazione offerta dal proprio pur non apprezzato erede, dalla propria pur mai amata progenie « Fin da bambini veniamo cresciuti nell’illusione che esistano infinite possibilità, infinite sfumature di grigio entro le quali ogni cosa possa avere a trovare una propria adeguata collocazione, una propria equilibrata collocazione, diversa per ognuno, originale per tutti. Ciò non di meno, credimi, all’atto pratico non esistono poi molte sfumature… non esiste, obiettivamente, alcuna sfumatura. E tutto si riduce al fare e al non fare, al vivere e al non vivere, al sopravvivere e al morire. » sancì, con tono carico di autorevolezza, ancor prima che di autorità, tale per cui anche lo stesso cantore, per quanto più che consapevole nel merito dell’identità di colei che, in tutto ciò, a lui si stava in tal modo rivolgendo, non avrebbe potuto evitare di ascoltarla, di prestarle attenzione, sinceramente e seriamente « C’è il giorno e c’è la notte, c’è il cielo e c’è la terra, c’è il fuoco e c’è l’acqua, c’è la vita e c’è la morte. Non esiste un giorno che sia anche notte, non esiste un cielo che sia anche terra, o un fuoco che sia anche acqua. E non esiste, te lo assicuro, una vita che sia anche morte. »
« … e se lo dice lei… » non riuscì a trattenersi dal sussurrare, sarcasticamente, la donna guerriero, in non troppo implicito riferimento all’anomalia rappresentata, obiettivamente, dall’ostinato attaccamento alla vita dimostrato da chi avrebbe potuto fregiarsi di essere vissuta persino troppo… e che, ciò non di meno, ancora e insistentemente desiderava vivere, e conquistare, e dominare « No… seriamente. So che mi pentirò per averlo detto ma… ha ragione lei. » soggiunse poi, cercando di evitare che il discorso potesse, ancora una volta, ridursi a una futile polemica fra lei e la propria antagonista, su argomenti che, fra l’altro, non avrebbero potuto aggiungere alcuna nuova considerazione a quanto già noto « Per quanto possa sembrare spiacevole e crudele a dirsi, soprattutto in un momento come questo, per te s’intende, ognuno di noi sa perfettamente come le sfumature siano il rifugio degli ignavi, siano le scuse a cui si aggrappano gli indolenti, per cercare di offrire un senso alla loro mancanza di volontà innanzi alla prospettiva di dover assumere una posizione definita… » continuò, ricollegandosi, in maniera persino eccessivamente puntuale, a quanto sostenuto dalla propria nemesi « E in tutto questo, quindi, tu hai, hai sempre avuto, e sempre avrai, solo due possibilità, oggi, così come in passato e in futuro: combattere o arrenderti. E per quanto, forse, la soluzione a questo enigma potrebbe apparire retorica, ti posso assicurare che non è assolutamente così: perché, a dispetto di ogni epica canzone e di ogni leggenda eroica, nello scegliere di combattere non è implicita una scelta a favore della vita e della vittoria… mentre, purtroppo, è assolutamente certo un voto in favore della sofferenza. E di quella sofferenza che, malgrado ogni gioia, malgrado ogni conquista, malgrado ogni trionfo, sempre contraddistinguerà l’esistenza mortale. Proprio in quanto tale. »

martedì 8 aprile 2014

Intermezzo - parte quinta


« E’ giusto. » si affrettò ad annuire il cantore, affinché non fosse intesa, da parte sua, una qualunque esitazione di sorta, utile a concedere spazio ad altre interferenze volte, allora, ineluttabilmente a spingere il discorso lungo percorsi diversi da quello da lui inizialmente previsto e ancor auspicato, ragione dell’istituzione stessa di quel momento di incontro per così come da lui invocato « Come stavo dicendo, per quanto le vicende che mi hanno visto coinvolto non siano in alcun modo paragonabili a quelle che hanno visto coinvolto chiunque fra voi, e per quanto i problemi che mi assediano non abbiano alcuna possibilità di essere posti a confronto con quelli di chiunque fra voi, oltre a essere, sicuramente, in parte conseguenti a mie errate valutazioni... a miei sbagli... a mie ingenuità... » puntualizzò, chinando appena il capo in direzione della regina, a dimostrazione di quanto non avesse alcun desiderio di escludere la questione precedente, di quanto non avesse alcuna volontà di minimizzare il valore della critica da lei rivoltagli, e innanzi alla quale, egli, aveva già ampiamente e quietamente ammesso le proprie responsabilità « ... io non sono, purtroppo, una persona forte quanto voi; non ho né il vostro carisma, né la vostra energia, né la vostra fermezza... e, sinceramente, inizio a sentirmi stanco. »
« Stanco...? » domandò l’ex-locandiere, a richiedere, implicitamente, da parte sua, un approfondimento di tale concetto, della situazione per lui celata dietro a una parola che avrebbe potuto assumere troppe diverse sfumature, e avrebbe potuto offrire adito a troppe diverse interpretazioni, per non meritare un impegno a una maggiore puntualizzazione, a una migliore definizione nel merito di ciò.
« Sì... stanco. A ogni livello. » confermò l’altro, storcendo appena le labbra verso il basso a dimostrazione di quanto, ciò, non lo rendesse né felice, né tantomeno fiero, ammissione, dopotutto, di quella che troppo facilmente avrebbe avuto a dover essere riconosciuta, da parte sua, qual una sconfitta, e una triste sconfitta in contrasto a quanto, sino a quel giorno, per lui era stata una strenua difesa della propria identità, della propria autodeterminazione, del proprio assoluto arbitrio sul destino, anche in conseguenza all’ispirazione a lui concessa, per lui derivante dall’assidua, costante e impegnata testimonianza di ogni avventura e disavventura dell’eroina lì a lui seduta allora accanto, e di fronte alla quale non avrebbe mai desiderato arrivare a dichiarare simili parole « Probabilmente ricorderete come lo scorso anno mi scoprii, mio malgrado, affetto di una patologia autoimmune, per cercare di contrastare la quale, per lungo tempo, sono stato costretto a saturare il mio corpo di terrificanti tossine in conseguenza all’abuso delle quali, solo tardivamente, mi venne concessa la premura di essere informato del fatto che avrei potuto ritrovarmi non soltanto con un fegato sostanzialmente distrutto e con un sistema immunitario del tutto devastato, ma anche, e ancor peggio, privato della vista. » riassunse, cercando di non dimostrare evidenza di vittimismo, quanto e piuttosto di riportare, in maniera quanto il più possibile obiettiva, i fatti occorsi, per così come effettivamente impostisi tali.
« E se, per fortuna, alcuno di tali effetti negativi, che mi sia stata concessa la possibilità di scoprire, ha avuto ripercussioni sul mio attuale stato di salute; l’abuso di quel veleno mi aveva fatto ricadere in una terrificante situazione di depressione farmacologica che, sommata a tutta la situazione contingente, mi ha probabilmente logorato più di quanto non avrei mai avuto piacere ad ammettere. » proseguì il cantore, non negandosi l’occasione di un profondo sospiro per quanto, proprio malgrado, subito « Un logorio che, se in conseguenza alla cessazione della somministrazione a mio discapito della tossina succitata, era stato forse troppo rapidamente considerato qual superato, mi ha comunque lasciato sufficientemente indebolito nella misura utile da non concedermi la forza di superare l’ennesima prova, l’ennesima sfida, ossia quella derivante dal tradimento di chi ingenuamente ritenuto amico. » concluse, a definizione delle ragioni della propria stanchezza, scuotendo appena il capo « E... alla fine... dove né il cambio di mondo e di vita, né la malattia, né ogni altra sventura e difficoltà erano, apparentemente, stati capaci di arrestarmi nel mio quotidiano incedere narrativo, nel mio costante impegno volto a offrire giusta testimonianza alle vostre vicende; quest’ultimo colpo, spiacevolmente, inaspettatamente, incredibilmente, mi ha spezzato il fiato, ha interrotto la mia corsa, in maniera sì violenta che, malgrado ogni sforzo, malgrado ogni impegno, non sto ancora riuscendo a riprendermi così come vorrei... »

Tale, infatti, avrebbe avuto a dover essere giudicato il rammarico del cantore, in misura ampiamente maggiore rispetto a ogni altra possibile considerazione. Tale, ancora, avrebbe avuto a dover essere riconosciuta la ragione per la quale, quindi, quella riunione aveva avuto ragione di essere indetta. Tale, infine, avrebbe avuto  a dover essere identificata la motivazione alla base della scelta compiuta a convocare proprio quegli interlocutori, proprio quelle figure per disquisire di una questione che pur, apparentemente, non avrebbe potuto avere nulla a che fare con loro, con le loro esistenze, con la loro quotidianità, riguardando, in tutto e per tutto, esclusivamente l’esistenza e la quotidianità di colui che, da tanto tempo, anni ormai, si stava impegnando sì fermamente, sì ostinatamente, a tentare di rendere immortali le loro vicende, le loro gesta e, obiettivamente, le loro stesse vite, riportandole su carta, a volte forse concedendosi anche qualche licenza, qualche fantasioso sviluppo poetico, e ciò, non di meno, in tal senso procedendo al solo, unico e onesto scopo di esaltare l’epica già intrinseca in tali vicende, ponendo in evidenza il mito che, al di là della Storia, avrebbe avuto a dover essere riconosciuto in tutto ciò.
Perché se nei riguardi della propria vita, della propria esistenza, considerata del tutto comune, considerata del tutto consueta, priva di fascino, priva della benché minima ragione d’esser narrata, e talvolta persino d’esser vissuta, egli non avrebbe potuto riservarsi la benché minima premura, il benché minimo interesse, accettando, all’occorrenza, l’eventualità di rinunciare alla medesima in funzione di quanto avrebbe potuto essergli riservato dalla sola possibilità di testimoniare, altresì e piuttosto, le vite degli altri, riconosciute qual decisamente più coinvolgenti, più meritevoli rispetto alla propria, così come sempre era avvenuto nel corso di quegli ultimi anni; l’ultima goccia, per quanto potenzialmente insignificante, costituita da quel probabilmente persino prevedibile tradimento, nella corretta ottica indicata da parte della regina immortale, aveva fatto tracimare il vaso già eccessivamente colmo, arrivando, alfine, a privarlo di fiducia in sé, nelle proprie capacità, nelle proprie possibilità, nelle proprie energie, al punto tale da negargli, persino, di proseguire in quell’unica attività che, realmente, lo aveva fatto sempre sentire appagato, gli aveva sempre riservato la possibilità di considerare la propria esistenza in vita qual meritevole di una qualche ragione, di un qualche significato… da negargli, addirittura, il proprio stesso ruolo di cantore, che pur, con tanto impegno, con tanta passione, al prezzo di tanti sacrifici, aveva sempre difeso e protetto.

« Non desideri più essere un… come è che ti definisci?!... cantore di mondi diversi? » parve voler riassumere in maniera estremamente brusca, terribilmente diretta, ancora una volta, la regina, aggrottando appena la fronte a esprimere una qualche emozione di disappunto innanzi a tale prospettiva, in misura utile, tuttavia, da permettere di presumere, dietro a quella questione ipoteticamente secca e diretta, ancora l’esistenza di una certa preoccupazione per lui.
« No… non è questo. » negò prontamente l’anfitrione, levando ambo le mani innanzi a sé, a difendersi dall’eventualità di una simile accusa « Il lavoro al quale mi sono dedicato, con strenua passione, in questi ultimi anni… l’opera che vi riguarda… è forse… probabilmente, l’unica cosa di cui mi può essere concessa la possibilità di essere realmente fiero, di essere effettivamente soddisfatto di me e della mia vita. E non potrei mai, consciamente o inconsciamente, prendere in esame l’idea di abbandonarlo… »
« … ma? » lo anticipò la donna guerriero, osservando il proprio interlocutore con espressione assolutamente seria, con concentrazione assoluta, a propria volta tutt’altro che indifferente alla prospettiva che, da tutto ciò, sembrava volersi delineare « Perché sicuramente c’è un “ma”… o non avrebbe avuto senso riunirci tutti quanti e condividere, con noi, tutta questa vicenda così come, a oggi, non hai mai fatto, non hai mai avuto pregressa necessità di fare… »

lunedì 7 aprile 2014

Intermezzo - parte quarta


« … pietà?! » ripeté la regina immortale, aggrottando appena la fronte, come a soppesare la valenza di un termine da parte sua fondamentalmente sconosciuto, con il significato del medesimo non avrebbe mai potuto avere ragione alcuna di confidenza.
« So che non ne sei avvezza, madre, ma è quel genere di emozione che si ha a provare innanzi a un essere palesemente inferiore quando posto in una situazione di difficoltà, in misura utile a impedire di infierire ulteriormente a suo discapito. » intervenne il semidio, ironizzando nel merito della difficoltà dell’altra a comprendere quanto riferitole, e, ciò non di meno, non mancando di palesare la propria indole, di rendere evidente il proprio atteggiamento nei confronto del mondo, e, con esso, del loro interlocutore, nell’ingenerosa definizione con la quale lo aveva, in tutto ciò, appena descritto.
« Risparmiati pure questo facile sarcasmo. » consigliò, di rimando, la donna, storcendo le labbra verso il basso a palesare tutta la propria disapprovazione per quanto, in tal senso, asserito a suo supposto discapito, in tutto ciò soltanto evidenza dell’avversione della sua stessa progenie in suo contrasto « Poiché, se non conoscessi la pietà, figlio adorato, ti avrei ucciso nell’istante stesso in cui sei stato posto, per la prima volta, fra le mie braccia, subito dopo la tua nascita... »
« Quella non è stata pietà, madre. E’ stata mera impossibilità... » puntualizzò l’altro, scuotendo pesantemente il grosso capo ornato da bianche corna « Tant’è, che subito dopo avermi preso, per l’unica volta, fra le tue braccia, hai deciso di esiliarmi al di fuori del tuo medesimo piano d’esistenza. »
« Futili distinguo lessicali. » minimizzò la prima, considerando chiusa la parentesi in tal modo inopportunamente apertasi « Al di là di facili provocazioni, la mia perplessità innanzi al significante adoperato dal nostro anfitrione, deriva non tanto da un’incapacità ad apprezzare il significato del medesimo, quanto e piuttosto il presunto raziocinio alla base di una tale affermazione: davvero ti saresti mai potuto attendere qualcosa di diverso da parte di un gruppo di perfetti estranei...?! » domandò, rivolgendosi direttamente al loro ospite « Per quanta fiducia tu possa riservare nei confronti dell’umanità, e per quanta fortuna tu possa illuderti di avere, è semplice statistica che, presto o tardi, tu abbia a essere tradito. E quando ciò ha a venire, sperare nella pietà di un antagonista nulla di diverso può significare rispetto a gettarsi in un dirupo illudendosi di poter sopravvivere alla caduta. » argomentò, con maggiore severità di quanto non avrebbe potuto essere attesa da parte sua, severità che, allora, paradossalmente, non avrebbe potuto evitare di essere considerata qual uno straordinario atto di premura nei riguardi dell’interlocutore.

Abituato, per indole personale, per passione innata, e, a modo suo, per deformazione professionale, a giocare con le parole, a impegnarsi al fine di cogliere le sfumature meno evidenti, meno palesi, celate dietro a qualunque significante, per catturarne l’effettivo significato, adeguatamente contestualizzato; il cantore non ebbe allora difficoltà a comprendere in quale accezione aver da interpretare quanto a lui così rivolto, ad apprezzare quale reale interesse avrebbe avuto a dover essere associato a quell’intervento da parte della regina immortale, a dispetto del proprio carattere o, per lo meno, in contrasto a tutto ciò che, sino a quel momento, aveva creduto avesse a dover essere considerato il suo carattere. E, in ciò, non poté che sentirsi intimamente grato verso di lei non soltanto per quelle sue parole, quanto e ancor più per aver scelto allora di pronunciarle, di donargliele, di dedicargliene, probabilmente con apparente rudezza, con supposta crudeltà, e, ciò non di meno, con molto più rispetto, nel riconoscergli maggiore dignità, di quanto non avessero fatto altre figure nel suo recente presente, celandosi dietro atteggiamenti più cordiali, persino affettuosi, e pur, in tutto ciò, null’altro che a lui rivolgendo la stessa cordialità, lo stesso affetto, che avrebbe potuto attendersi da parte di uno stuolo di cortigiani e cortigiane.
Un sorriso, quindi, si aprì, in diretta conseguenza a quel rimprovero, sul volto dell’uomo, nell’apprezzare l’ironia a lui riservata dalla sorte, nel porlo in tal modo a confronto con l’evidenza di quanto, alle premure di un falso amico avrebbe avuto sempre a preferire quelle di un onesto antagonista, qual, comunque, la regina non avrebbe potuto evitare di essere identificata, purtroppo, sempre e comunque.

« Hai ragione... » annuì, a conferma di quanto, allora, non potesse che condividere e sottoscrivere pienamente quelle parole « Ha pienamente ragione... e io sono stato uno stolido a permettere al mio cuore di aprirsi, senza prudenza alcuna, a persone delle quali nulla sapevo e nulla, per quanto sia spiacevole a dirsi, avrei mai potuto presumere di imparare a conoscere in maniera sì istantanea qual, pur, ho voluto credere di essere capace a fare. » commentò, a migliore argomentazione della posizione così espressa, anche a beneficio di tutti gli altri presenti, laddove essi, eventualmente, avrebbero potuto non cogliere tanto facilmente, con tanta immediatezza, le motivazioni alla base di una simile asserzione da parte sua.
« Certo che ho ragione! » proclamò la regina, incupendosi repentinamente, in permalosa reazione all’ipotesi in tal maniera implicitamente definita che ella avrebbe potuto, eventualmente, anche essere nel torto, anche non essere nel giusto così come, altresì, dal proprio punto di vista, era e sempre sarebbe stata.
« Domando scusa se le mie parole possano aver suggerito qualcosa di diverso... » chinò il capo il cantore, a evidenza della propria remissività nei confronti della donna, non desiderando cercare con lei occasione di conflitto... non, soprattutto, in quel contesto di ricercata tregua, da lui stessa promossa.

Un estemporaneo momento di silenzio calò, allora, all’interno della stanza, laddove, evidentemente, ognuno dei presenti stava, in quel frangente, in quella situazione, valutando in quale misura potersi permettere di intervenire a commento della questione e, soprattutto, del dialogo così intercorso fra i protagonisti di quegli ultimi istanti.
Quasi una violenza psicologica, di certo, risultò quella che tanto la mercenaria, quanto il suo allor più che degno sposo, si dovettero imporre per restare in silenzio, per risparmiarsi qualche sarcastica ripresa a discapito, ovviamente, della comune avversaria, in un’ironia che, tuttavia, non avrebbe potuto lì concorrere a nulla di diverso che ad alimentare la latente fiamma di un’esplosione belligerante a totale devastazione della fragile pace in quel contesto loro imposta. Ammirevole, pertanto, ebbe a doversi riconoscere simile sforzo, tale impegno, probabilmente, in quel tanto particolare frangente, ricercato al solo scopo di non disonorare l’ospitalità loro offerta dal comune anfitrione, dal cantore che aveva lì voluto riunirli, per uno scopo che alcuno dei due considerava già pienamente rivelato, dal momento che, entrambi, non avrebbero potuto evitare di sperare che alla base di tale adunanza avesse a dover essere riconosciuto qualcosa di più di un mero momento di sfogo.
A interrompere, tuttavia e necessariamente, quella laconica parentesi, fu un intervento da parte della stessa donna guerriero al solo scopo di appurare quanto, effettivamente, quella loro speranza avrebbe avuto a doversi considerare semplicemente e stolidamente tale e quanto, piuttosto, avrebbe avuto a dover essere riconosciuta qual basata concretamente su solide e reali basi, quali quelle che, allora, non avrebbe potuto sperare che essere… fosse anche e soltanto per mantenere un certo rispetto nei confronti del proprio interlocutore, non volendolo giudicare così privo di senno dall’esigere un simile concilio senza un’effettiva motivazione a sua giustificazione…

« Dal momento che l’argomento introduttivo sembra essere scemato in maniera naturale… che ne pensi di giungere al nocciolo della questione e di motivare la ragione della nostra presenza in questa stanza…?! » domandò pertanto, senza eccessivi giri di parole dal momento in cui, a differenza del proprio interlocutore, salvo rare eccezioni, ella non aveva mai avuto pazienza di porsi in giuoco diplomaticamente, in linea, dopotutto, con la propria indole guerriera, con la propria natura che, alla chiacchiera, non avrebbe mai potuto evitare di preferire l’azione… e l’azione violenta.

venerdì 4 aprile 2014

Intermezzo - parte terza


Si dice che ammettere di avere un problema sia il primo passo per riuscire a risolverlo.
Per molto tempo, per diversi mesi, il cantore aveva ostinatamente rifiutato di ammettere ogni problema. Egli si era impegnato a cercare di minimizzare qualunque questione, di rinnegare qualunque debolezza, quasi ammetterla potesse palesare un suo fallimento... un suo fallimento psicologico ancor prima che fisico.
Non che, né a livello fisico, né tantomeno a livello psicologico, egli non avrebbe avuto ragione di lamentare delle inoppugnabili difficoltà, delle evidenti sfide che, da semplici prove della sorte, con eccessiva costanza avrebbero avuto a potersi considerare quali conseguenze di un ostinato incattivimento del destino in sua opposizione. Al contrario. Altri suoi compagni e compagne di viaggio, altri suoi pari, posti a confronto con le stesse prove, e a volte con difficoltà persino inferiori alle sue, con gli stessi ardimenti, e a volte con ostacoli persino meno impegnativi rispetto a quelli che avevano contraddistinto il suo incedere, avevano già da tempo ceduto, ammettendo, tanto tristemente, quanto semplicemente, la propria impossibilità a continuare, a insistere in quella stessa direzione, proprio malgrado vittime della propria incapacità a far fronte tanta avversione da parte degli dei, o di qualunque principio superiore in cui potessero credere, a proprio stesso discapito. Ciò non di meno, egli aveva voluto proseguire, e proseguire cercando di mantenere la propria schiena eretta, la propria testa alta, in un atteggiamento che avrebbe potuto essere considerato giusto se, soltanto, non fosse derivato dalle premesse errate.
Errato, da parte sua, non era stato infatti proseguire nel proprio cammino, non era stato insistere nell’avventura chiamata “vita” malgrado ogni difficoltà, quanto e piuttosto incedere in essa sforzandosi di ignorare l’esistenza delle difficoltà pur impostegli, permettendo, alle medesime, e a ogni proprio avversario, di conquistare sempre maggiore potere. Perché la vera forza, così come avrebbe avuto a dover apprendere già da tempo, nell’esempio offertogli dalla stessa donna guerriero da lui esaltata nelle proprie imprese, nelle proprie gesta, avrebbe avuto a dover essere considerata non quella derivante dall’assenza di debolezze, di limiti, quanto dalla consapevolezza delle proprie debolezze, dei propri limiti, e in tutto ciò di se stessi. Ma laddove, proprio malgrado, di tale importante insegnamento, di tale fondamentale esempio, forse l’unico che non avrebbe potuto mai concedersi occasione di ignorare, di trascurare, egli non era riuscito a fare tesoro, e a farne tesoro nel momento in cui, più di qualunque altro, avrebbe avuto a doversi impegnare in tal senso, tutto aveva avuto sgradevole occasione di precipitare... e di precipitare con la discrezione e la violenza di una frana, una valanga derivata, eventualmente, nelle proprie origini, da soltanto pochi, piccoli frammenti, e destinata ciò non di meno a ingigantirsi, sino ad arrivare a travolgere interi paesi, e persino intere città, al culmine della propria potenza distruttiva, all’apice della propria devastazione.
Tuttavia, presto o tardi, arriva un momento nel quale la vita esige il giusto conto, il pagamento del giusto prezzo. E per lui quel momento era giunto, per quanto, ancora una volta, la sua ostinazione, lo stesse spingendo nuovamente ogni cosa, ogni considerazione, nell’illusione che potesse essere sufficiente non parlarne, non discuterne, per poter essere in grado di superare ogni ostacolo, non rendendosi, stolidamente, conto di quanto, così facendo, egli altro non avrebbe ottenuto che ignorare l’esistenza di un ostacolo da superare, restando bloccato innanzi a esso nella vana speranza che questo, da un momento all’altro, potesse scomparire. Per questa ragione, e soltanto per questa ragione, aveva richiesto la presenza, accanto a sé, di coloro che più, fra tutti, avrebbe potuto considerare a sé vicini, per potersi confrontare con loro, per poter domandare a ognuno di loro i propri pareri, le proprie opinioni, per quanto eventualmente contrastanti, per quanto possibilmente in sua aperta critica, e pur, ciò non di meno e, anzi, forse e persino proprio in grazia di ciò, a concedergli un quadro d’insieme realmente degno d’attenzione, concretamente utile, per quanto, forse e probabilmente, per lui non così immediato a poter essere accettato nella solidità delle proprie ragioni, delle proprie motivazioni, del proprio inoppugnabile valore.

« Siamo qui… » confermò, con tono di voce calmo e moderato l’ex-locandiere, invitandolo a proseguire, a non esitare ulteriormente, dal momento in cui, dopotutto ed effettivamente, essi erano lì, essi avevano risposto al suo appello e, al di là di ogni possibile contrasto personale, si erano riuniti attorno al medesimo tavolo, per discutere, insieme, di quanto egli avrebbe mai desiderato condividere con loro « Ti ascoltiamo. » soggiunse, senza insistere, esplicitamente, nel richiedere ulteriore chiarimento, in una scelta, in una decisione, la sua, che più di ogni altra avrebbe potuto essere allora riprova palese del proprio carattere, della propria indole, tutt’altro che solita nell’imporsi alla gente, fossero anche semplici interlocutori, nel preferire costruire un dialogo ancor prima che costringerlo o, addirittura, esigerlo, come altri, a quello stesso tavolo, avrebbero probabilmente… sicuramente richiesto se non fosse già egli intervenuto in tal senso, ad anticipare qualunque altra uscita meno moderata.
« Comprendo bene come, confrontato a quanto, ultimamente, è occorso a ognuno di voi, le mie vicende personali possano apparire di ben misero interesse… » premesse il cantore, in tal modo spronato dalle parole di colui tacitamente eletto qual proprio primo riferimento all’interno dei convenuti e che, sino a quel momento, non aveva offerto alcuna ragione in contrasto a una simile scelta « Tutti voi, chi per propria scelta, chi no, chi più, chi meno, siete stati costretti a lasciare il vostro mondo, la vostra vita, tutto ciò che avete sempre conosciuto e con il quale vi siete sempre sentiti, più o meno, a vostro agio, ritrovandovi in tutto ciò costretti al confronto con un intero, inesplorato universo di cui, prima, neppure avreste immaginato l’esistenza… non tutti, per lo meno. E un evento tanto forte, tanto significativo e rivoluzionario, non avrebbe potuto, vostro malgrado, occorrere, senza in questo esigere un giusto prezzo da ognuno di voi… un giusto tributo in termini, innanzitutto, di adattamento e, in conseguenza, di sacrificio, da tutti voi. Chi più, chi meno, ancora una volta. »
« … e fin qui, credo di poter parlare a nome di tutti, ci siamo. » annuì la donna guerriero, più per confermare quanto, le parole pronunciare, allora, dal cantore, avessero a doversi considerare corrette, e, ciò non di meno, offrendo in tal senso anche l’impressione di desiderare, dal medesimo, di giungere in tempi ridotti al punto, alla questione principale, nonché reale, dal momento in cui difficilmente una riunione del genere, del tutto inedita, mai occorsa in passato, mai richiesta in passato, avrebbe potuto essere allora giudicata qual resa necessaria, in semplice conseguenza all’esigenza di un allineamento collettivo, di un così banale aggiornamento su una questione che, come pur giustamente sottolineato, aveva coinvolto tutti loro e che, per questo, non avrebbe potuto trovare alcuno fra loro qual meno che allineato a tal proposito.
« Ironia del fato… forse non tutti sapete quanto, in questo stesso ultimo periodo, in questi stessi ultimi mesi, anche la mia vita abbia avuto occasione di mutare radicalmente, vedendomi a mia volta, in parte per scelta, in parte per necessità, strappato da quello che ero stato solito considerare tutto il mio mondo per essere posto a confronto con una realtà completamente diversa… una realtà a me, in parte, sconosciuta, contraddistinta sovente da usi e costumi, da modi di dire, da linee di pensiero, del tutto estranei rispetto a quelli che, da sempre, avevo avuto precedente occasione di conoscere, di immaginare e di apprezzare, anche e soltanto in semplice virtù del fatto che, da sempre, erano stati per me noti… finendo, inevitabilmente, per risultare familiari. » proseguì, forse eccedendo nell’impiego della dialettica nell’esprimere un pur semplice concetto, e pur, in tal senso, concedendo al proprio vero animo, a quanto pur avrebbe egli dovuto essere riconosciuto essere, possibilità di trovare concreto sfogo, nel confronto, in quell’occasione, con chi, pur, selezionato proprio a tale scopo, a simile fine.
« Il che, per noi profani, si dovrebbe tradurre in: “ho lasciato la dimora della mia famiglia, ho cambiato città e mi sono ritrovato a confronto con nuove persone”. Giusto?! » tentò di riassumere il semidio, con tono che non riuscì a evitare di apparire, a sua volta, di critica per l’eccessivo indugiare del cantore nell’ascolto della propria stessa voce, e che, ciò nonostante, dimostrò, comunque, quanto, malgrado tutto, stesse effettivamente seguendo il discorso.
« Sì… in parte. » confermò l’anfitrione, annuendo quieto a quella possibile provocazione, senza alcun desiderio di offrirle più spazio del dovuto e, anzi, impegnandosi semplicemente allo scopo di rendere, anche la stessa, costruttiva nel confronto con il discorso più ampio « Nuove persone nel merito delle quali, purtroppo, ho in parte compiuto errate valutazioni… e che, anche a confronto con la debolezza per me derivante da tutto ciò, e da altro ancora, hanno approfittato per accanirsi a mio discapito, senza pietà alcuna, senza il benché minimo riguardo. »