11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

domenica 31 dicembre 2017

2416


Che Tagae e Liagu fossero spaventati non avrebbe avuto a doversi considerare difficile da immaginare. Che, tuttavia, quei due bambini avessero allor ad apparire qual tali, in effetti, non avrebbe avuto a doversi considerare altrettanto ovvio, scontato, banale qual pur, altresì, ci si sarebbe potuti attendere sarebbero stati. In verità e loro malgrado, infatti, la paura avrebbe avuto a dover essere per loro ormai considerata così consueta per entrambi al punto tale da risultare obiettivamente familiare, e familiare nella stessa, identica, misura della prigionia, in una triste dimostrazione pratica di quanto, sovente, la consapevolezza dei una situazione negativa possa ritenersi addirittura peggiore della situazione negativa stessa, a meno di non riuscire a dimostrarsi sufficientemente forti da saper fronteggiare la stessa.
Se, infatti, sino a quando non era stato insinuato, nelle loro menti, il tarlo del dubbio nel merito dell’ingiustizia intrinseca nella loro stessa situazione di prigionia, risvegliando in loro i ricordi di un passato ben diverso da quel presente, e un passato nel quale, addirittura, avevano avuto diritto a dei nomi diversi da semplici numeri di serie, come Diciannove-Cinquantadue e Diciannove-Cinquantotto, i due pargoli avevano avuto, tutto sommato, occasione di una certa serenità a di là della condizione loro imposta, nel non avere idea di quanto, allora, la propria esistenza avrebbe potuto essere diversa da quella che stava venendo loro permesso di vivere; dal momento stesso in cui, altresì, la consapevolezza di quella situazione negativa era stata in loro risvegliata, soltanto insofferenza aveva finito per essere da loro provata nel confronto con tutto ciò. Un’insofferenza a fronte della quale, addirittura, essi erano stati in grado di ribellarsi, e di ribellarsi non una, ma ben due volte nei confronti dei propri rapitori e carcerieri, arrivando a incontrare, per pura benevolenza del fato, Midda Bontor, quella donna straordinaria che, a loro, si era volontariamente legata, arrivando a eleggersi al ruolo di loro custode, di loro protettrice, a loro vincolandosi, in tal senso, in grazia addirittura a un giuramento solenne. Ma laddove, accanto a Midda, malgrado la prigionia nuovamente a tutti loro imposta, Tagae e Liagu avevano avuto occasione, egualmente, di assaporare una vita diversa, una vita migliore, e, in questo, di dimenticare, estemporaneamente, tutta la paura passata, tutta la paura alla quale, altresì, avrebbero avuto a doversi considerare ormai persino assuefatti; nel ritrovarsi nuovamente separati da lei, ineluttabile sarebbe stato un profondo senso di smarrimento, e il ritorno di quell’intima angoscia, di quella sincera insofferenza, a confronto con la quale, quasi, tutto quanto loro occorso avrebbe avuto a doversi ritenere dimenticato.
Quasi dimenticato, ma non realmente tale, in quanto, malgrado tutto, qualcosa, in essi, era cambiato in conseguenza al periodo di tempo loro concesso in compagnia di quella nuova figura materna, quella donna che tanto si era impegnata per loro sotto ogni profilo, arrivando, addirittura, a trasformare una cella in una casa, e un periodo di prigionia in una sorta di vacanza di studio, nel corso della quale tante nuove, interessanti nozioni erano state loro donate, aiutandoli a crescere. Nozioni, quelle che ella aveva con loro condiviso, che non avrebbero avuto a doversi impropriamente giudicare ristrette semplicemente all’interno di quelle meravigliose conoscenze matematiche che tanto ella si era impegnata a trasmettere loro, superando, in tal senso, ogni differenza culturale, ogni divario linguistico altresì esistente, ma anche, e ancor più, quelle straordinarie esperienze di vita vissuta che, al pari di stupende fiabe, erano state loro narrate nel corso di quel periodo di prigionia condivisa, esperienze della vita di quella donna guerriero all’interno delle quali, invero, avrebbe avuto a dover essere inteso molto più rispetto all’apprezzamento nei confronti di tanto incredibili avventure: in ognuna di quelle storie, infatti, in quell’esperienza condivisa, Tagae e Liagu avevano appassionatamente assorbito una pur minima parte della dirompente personalità della loro tutrice, avendo occasione di comprendere quanto, se ella era stata in grado di affrontare tutto ciò, anch’essi non avrebbero dovuto esser da meno nella propria pur drammatica situazione.
In tutto ciò, quindi, per quanto spaventati, persino terrorizzati, essi avrebbero avuto a doversi sinceramente considerare nel profondo dei propri piccoli cuori, i due pargoli non avrebbero potuto ovviare a voler fortissimamente essere in grado di dimostrarsi coraggiosi, e coraggiosi almeno quanto, al posto loro, certamente sarebbe stata Midda, affrontando tutto quello con l’idea che, in un modo o nell’altro, ne sarebbero usciti, e che, a loro legata dalla propria promessa, nonché dal sincero affetto che sin da subito si era impegnata a offrir loro, la loro protettrice non li avrebbe mai abbandonati, non avrebbe mai permesso che realmente accadesse loro qualcosa di male.
In questo, durante tutto il tragitto che, a partire dalla stiva della nave nella quale, per l’ultima volta, avevano veduto Midda, sino ad arrivare al luogo, all’interno del Mercato Sotterraneo, dove, riunificati a tutti gli altri bambini trasformati in armi di distruzione di massa, erano stati posti in vendita, quasi nulla di più avessero a dover essere considerati rispetto a dei semplici capi di bestiame, alcuno dei due ebbe a emettere il benché minimo fiato, il più semplice lamento, il più comprendibile pianto, pur restando necessariamente stretti uno all’altra nella necessità, nello sforzarsi, in simile contatto, di essere l’uno la ragione di forza per l’altra, e viceversa, a dispetto di quanto, attorno a loro, stesse accadendo. Non un fiato essi emisero, pertanto, neppure nel momento in cui, finalmente restituiti alla luce nella rimozione del nero manto sotto il quale erano stati privati d’ogni consapevolezza del mondo a essi circostante, i due pargoli ebbero occasione di comprendere ove fossero finiti, e quale avrebbe avuto a dover essere inteso il loro destino, nel non essere forse in grado di leggere bene quanto avrebbero altresì gradito, ma, ciò non di meno, nell’essere egualmente capaci di interpretare correttamente il cartello che venne affisso accanto a loro, indicante il loro prezzo in crediti. E non un lamento, non un pianto, essi ebbero a offrire nel momento in cui, ancora, un gruppo di possibili compratori si fermarono innanzi a loro, osservandoli con fare a tratti serio, a tratti divertito ed esprimendo, in toni tutt’altro che garbati, i propri commenti nel merito del loro aspetto fisico, della loro altezza, della loro corporatura, del colore dei loro occhi o dei loro capelli, quasi simili dettagli avessero a doversi considerare, allor, effettivamente importanti in quanto, in fondo, null’altro avrebbe avuto a dover essere considerato se non qual un’arma e, ciò non di meno, un’arma in sembianze umane, sembianze che, in ciò, avrebbero avuto maggiore o minore possibilità di infiltrazione, probabilmente, nel luogo là dove avrebbero avuto a essere destinati anche sulla base di simili particolari, di tali minuzie.
Non un lamento, non un pianto, innanzi all’indifferenza offerta nei riguardi della loro pur palese natura umana, in quel momento banalizzata nel ritrovarsi ridotti a meri articoli di commercio, ma, anzi e addirittura, un moto di stizza, una reazione di rivolta a confronto con tutto ciò, da parte non di uno, ma di entrambi i pargoli, a iniziare, allor, da Tagae e, ciò non di meno, subito sostenuto, appoggiato, approvato anche da sua sorella…

« Se non vi piacciono i nostri denti, dovreste provare ad allungare una mano oltre queste sbarre… » inveì il piccolo, in diretta risposta all’ultimo commento espresso a loro riguardo.
« … ve la strapperemmo a morsi! » incalzò Liagu, spingendosi, persino, un passo in avanti, a voler dimostrare quanto, accanto alle parole, non avrebbe avuto paura a ricorrere ai fatti.

Un colpo violento, inferto allora contro le sbarre della gabbia da parte di uno dei commercianti incaricati della loro vendita, fu tuttavia la sola reazione che i due bambini ebbero a ottenere, nel mentre in cui, decisamente sorpresi da quella violenta risposta del tutto inattesa, i potenziali acquirenti pensarono bene di allontanarsi, di proseguire oltre, alla volta di merce più collaborativa rispetto a quei due.

« Cosa pensate di fare, randagi rognosi che non siete altro?! » ebbe a protestare il commerciante che, con tal gesto, li aveva allor richiamati immediatamente all’ordine, evidentemente non gradendo che i propri articoli in vendita potessero ribellarsi a fronte di possibili compratori « Mi avevano avvertito che voi due sareste stati un lotto alquanto problematico… ma se pensate che questo potrà impedirmi di vendervi, e di vendervi a prezzo pieno, vi sbagliate di grosso. » dichiarò, menando un nuovo colpo sulle sbarre, a meglio evidenziare il concetto « Non sono qui per divertirmi io. Ci mangio con questo lavoro! »

sabato 30 dicembre 2017

2415


Per la Figlia di Marr’Mahew, da sempre, l’unica differenza fra una sconfitta e una vittoria, a definire l’esito di una situazione, avrebbe avuto a doversi identificare nell’approccio individuale alla stessa, in misura utile a riuscire a imporre la propria volontà al di sopra di ogni avversità, a ribaltare quanto avrebbe avuto a doversi intendere qual un torto, un danno, in un favore, in un premio inatteso.
Così, quando ella si era ritrovata costretta al matrimonio con Desmair, ingannando il semidio nel fingersi colei che pur non era nel camuffare il proprio aspetto, e l’aspetto delle proprie compagne, in grazia a dei burqa, abiti della tradizione y’shalfica da lei pur sempre odiati in quanto ritenuti espressione dell’oppressione imposta sulle donne da parte di una cultura eccessivamente patriarcale, non soltanto aveva reso proprio vantaggio quella pur odiata veste ma, al contempo, aveva sfruttato quel non maggiormente apprezzato matrimonio per estorcere al proprio futuro sposo un impegno solenne, un giuramento vincolante, in sola conseguenza del quale egli non aveva mai potuto riservarsi possibilità di ucciderla, così come, pur, soprattutto in immediata conseguenza alla rivelazione dell’inganno subito, egli non avrebbe potuto ovviare a desiderar compiere: due possibili sconfitte, due svantaggi, da lei tradotti, in ciò, quali vittorie, quali punti di forza, in grazia ai quali riservarsi opportunità di trionfo anche in una situazione dalla quale, altresì, nessun altro avrebbe avuto possibilità di uscire, e di uscirne vivo. Allo stesso modo, in quel giorno, in quel frangente, anche ove chiunque, a confronto con l’idea di essere tracciato attraverso un composto radioattivo all’interno del proprio corpo, avrebbe avuto di che riservarsi ragionevole e corretta ragione di sconforto, lasciandosi persino dominare dall’ansia, dalla frenesia, se non, addirittura, dal panico, all’idea di dover trovare una soluzione a tale problema, a simile questione, a riottenere qual propria la libertà allor negata; Midda Bontor non ebbe altro a riservarsi se non ragione di speranza, di positività, addirittura di gioia, nel voler interpretare, tutto ciò, non tanto quanto una condanna a proprio discapito imposta, quanto e piuttosto la fortunata occasione, espressione della benevolenza divina nei suoi confronti, di poter ritrovare Tagae e Liagu, di poterli allor rintracciare a colpo sicuro e di poter, in ciò, garantire loro nuova occasione di libertà, attraverso quello stesso meccanismo concepito a loro imposto per una ragione del tutto antitetica, nell’intenzione di volerli incatenare in maniera indissolubile, anche nel momento in cui, come per lei accaduto, i suoi pesanti ceppi di metallo fossero venuti meno.
Forse, in effetti, proprio in simile capacità di poter trovare occasione di vantaggio per sé anche nelle situazioni peggiori, possibilità di trionfo per sé e per i propri alleati anche laddove chiunque altro avrebbe avuto soltanto motivo di inveire contro tutti gli dei per l’avversione da loro dimostrata, avrebbe avuto a dover essere così inteso il segreto della leggendaria Ucciditrice di Dei, della straordinaria Figlia di Marr’Mahew, della donna da dieci miliardi di crediti: non tanto nella propria pur invidiabile formazione guerriera, non tanto nella propria pur straordinaria forma fisica, così come nella sua agilità, nella sua velocità, nella sua destrezza con le armi, tutte caratteristiche notevoli, e che pur, facilmente, avrebbero avuto occasione di poter essere superate, presto o tardi, da un avversario, da un antagonista in tal senso migliore di lei, soprattutto nel considerare quanto, da ben prima di raggiungere le stelle, e scoprire numerose specie non umane e potenzialmente superiori, per innate capacità, a qualunque essere umano, ella si fosse già posta a confronto non soltanto con avversari a lei pari, ma, soprattutto, con creature d’ogni natura, mortali e non; quanto, e proprio, nella sua straordinaria capacità mentale volta a individuare, in qualunque momento, in qualunque contesto, quell’altresì inintelligibile chiave di lettura atta a reinterpretare, in termini completamente nuovi, quanto lì in corso, offrendole, in un combattimento, visione del punto debole del proprio pur ipoteticamente invincibile avversario, così come in una qualunque altra disfida, la soluzione all’unico, fondamentale problema di qualunque avventuriero, di qualunque guerriero, se non, addirittura, di qualunque mortale… come sopravvivere ancora un altro giorno?

« Sia chiaro… apprezzo sinceramente il fatto che le nostre divergenze si siano estemporaneamente appianate, e che tu mi abbia nuovamente eletto a tuo alleato anziché impegnarti in maniera sempre nuova e originale a farmi a pezzi… » premesse Reel, nel mentre, insieme a lei, accanto a lei, legato addirittura a lei dalla stretta che, allor, ella aveva deciso di imporgli, nel ribaltare completamente il loro rapporto, si ritrovò a correre attraverso le vie del Mercato Sotterraneo, diretto alla volta dei due puntini rossi lampeggianti atti a indicare la coppia di protetti della propria interlocutrice « … ciò non di meno, sei davvero sicura che la cosa migliore da fare sia precipitarsi al soccorso dei due pargoli, allorché studiare un qualche modo per far decadere più velocemente lo schifo che vi hanno messo in corpo e, in questo, liberarvi dalla possibilità di essere tracciati?! » le propose, non potendo ovviare la pensiero di come, in tutto ciò, non soltanto egli avrebbe avuto possibilità di individuare i due bambini ma, parimenti, la Loor’Nos-Kahn avrebbe continuato a riservarsi occasione di rintracciare non soltanto gli stessi, ma anche la donna a loro ipotetico soccorso, continuando a braccarla come, necessariamente, sarebbe stato nella brama in loro comprensibilmente generata dall’idea di dieci miliardi di crediti « Alla prossima, dobbiamo voltare a sinistra. »
« Dal momento che sono fortunatamente ancora in questo mondo, non intendo rischiare nuovamente di perderli tergiversando inutilmente. » definì ella, con tono che non avrebbe potuto ammettere alcuna occasione di replica, non nell’immediato, né mai, nel porre, al di sopra di ogni altra priorità, la salute dei due pargoli « E poi… sei davvero sicuro di volermi spingere a ricordare di chi abbia a dover essere considerata, in origine, la responsabilità per tutto questo?! » lo stuzzicò, a metà fra l’ironico e il serio, continuando a correre e svoltando a manca laddove indicatole, in quel frangente più interessata a ritrovare i bambini che a esigere nuovamente vendetta in contrasto a quell’uomo, e solo per questo allor in grado di soprassedere sull’accaduto, benché ben lunghi dal poterlo considerare un alleato, così come, troppo frettolosamente, da lui concluso « Al tuo posto, mi impegnerei a rispondere sempre e comunque “Sì, cara.”, anche nell’eventualità in cui ti volgessi aperto insulto o minaccia di morte… giusto per tentare di rabbonirmi il più possibile. » incalzò, osservandolo divertita con la coda dell’occhio, nel continuare a trascinarselo dietro, con la sua destra ben stretta nella propria mancina.
« “Sì, cara.”?! » ripeté egli, aggrottando la fronte con una certa perplessità a quell’invito « Se questo è il tuo concetto di libertà di espressione, francamente vorrei mai essere nei panni del malcapitato con il quale condividi il tuo letto. » commentò con una nota di sarcasmo, per poi annunciare « Un altro miglio e poi a destra… »
« Premesso che non potrà mai accadere che io abbia a condividere il mio letto con te… ti assicuro che, laddove ciò accadesse, l’ultima delle tue preoccupazioni potrebbe essere quella in difesa della tua libertà di espressione. » replicò la donna guerriero, incrementando, per tutta reazione, il ritmo della propria corsa, attraverso la folla pur presente in quelle vie, per coprire nel minor tempo possibile il miglio così annunciato « E, comunque, hai ragione: meglio evitare di concederti eccessiva confidenza. “Sì, mia signora.” andrà più che bene, per permetterti di sperare di sopravvivere al termine di tutto questo… » gli concesse, in quella che, senza eccessivo sforzo di pensiero, avrebbe avuto a dover essere intesa qual una quieta minaccia a suo discapito, minaccia che, forse, dall’esterno, avrebbe avuto a poter essere intesa qual gratuita e che pur, alla luce di quanto occorso in passato, ella non avrebbe mai potuto considerare tale, nel ritenere altresì esistente, fra loro, un debito a dir poco incolmabile, a prezzo di quella e di chissà quante altre vite egli avrebbe potuto allor sacrificare.
« Simpatica… » obiettò Reel, storcendo le labbra verso il basso, nel disapprovare tutto quello.
« Non ho mai desiderato esserlo. » puntualizzò Midda, riservandosi, allora e alfine, un sorriso di sincera soddisfazione nel risultato così raggiunto, nel mentre in cui, una falcata dopo l’altra, il termine del miglio andava approssimandosi e la nuova via da intraprendere, sulla destra, iniziò a delinearsi, nel prometterle, in tutto questo, una sempre minor distanza fra lei e i suoi due bambini, che presto avrebbe potuto riabbracciare e portare via da lì.

venerdì 29 dicembre 2017

2414


« Stanno tracciando la tua posizione. » dichiarò egli, levando entrambe le mani con palmi aperti innanzi a sé, a dimostrazione della propria mancanza di negative intenzioni nei suoi confronti « E’ per questo che loro sono riusciti subito a rintracciarti. E’ per questo che io stesso sono stato in grado di ritrovarti ora. » ribadì, a meglio esplicitare quell’asserzione, nel palese desiderio di comprovare quanto, allora, da parte sua avesse a dover essere inteso una sincera volontà di collaborazione con lei.

Una volontà di collaborazione, la sua, che, dopo tutto quanto accaduto sino a quel momento, soprattutto su Thermora, comprensibilmente difficile sarebbe stata, anche per egli stesso, a riconoscersi qual espressione di un qualsivoglia impegno a offrire una reale collaborazione nei riguardi di quella donna, colei che egli, indubbiamente e inappellabilmente, aveva tradito nel momento peggiore, in quella pur quasi non sperata felice conclusione, nel non facile ricongiungimento con Tagae e Liagu, a seguito della quale ella avrebbe potuto scomparire serenamente insieme ai due bambini, allontanandoli per sempre dalle mira dell’organizzazione responsabile di quanto loro accaduto. Ciò non di meno, anche innanzi alla promessa, alla certezza ancor prima che a un semplice rischio, della propria nuova condanna a morte, per quanto, probabilmente, non così irreversibile qual avrebbe potuto risultare per chiunque altro al suo posto; egli non si negò, egualmente, tale insistenza, tale tentativo di offrirle una metaforica mano tesa, in quello che chiunque, francamente, avrebbe avuto allor a giudicare qual un gesto semplicemente autolesionistico, potenzialmente masochistico, al punto tale da rendere quella situazione così paradossale da poter essere giudicata persino concreta, reale, giacché eccessivamente assurda avrebbe avuto a dover essere considerata per risuonar qual menzogna.
A confronto con tutto ciò, per quanto animata da ogni possibile cattiva intenzione nei riguardi di quell’uomo, di quel traditore, Midda non avrebbe potuto ignorare l’evidenza sì palese di quell’incoerenza, di quell’obiettiva difficoltà a poter considerare fola tutto quello, almeno partendo dalla pur non così scontata eventualità nella quale egli avrebbe avuto a doverla ritenere una completa idiota…

« Dimmi una cosa, Reel. » lo invitò pertanto a esprimersi a tal riguardo, a chiarire una volta per tutte la questione « Ritieni davvero che il mio quoziente intellettivo abbia a doversi considerare inversamente proporzionale alla mia circonferenza toracica? » gli domandò, scuotendo appena il capo a escludere una simile eventualità, suggerendogli, in tal senso, la risposta a quella questione in tal modo promossa qual mera retorica.
« Se lo ritenessi, non mi sarei presentato a te con la speranza che tu potessi credermi, malgrado quanto accaduto… » replicò egli, offrendole un lieve sorriso sornione, non perché, effettivamente, in quel frangente, desiderasse apparire tale, ma semplicemente perché per lui chiaramente caratteriale, non avendo mai agito diversamente sin dal momento del primo incontro con lei, quando, pur conscio di doverla tradire, non aveva mai cessato, per un solo istante, di tentare d’intendersela con lei « E prima che tu possa sollevare dubbi a tal riguardo, sono perfettamente consapevole della tua effettiva circonferenza toracica. Oh… sì! » ribadì, ampliando maggiormente il proprio sorriso, nel rievocare l’occasione allor concessale di maturare confidenza con tale suo aspetto, non soltanto a livello superficiale, laddove, in occasione del loro stesso, primo incontro, o, quanto meno, il primo incontro nel quale ella avrebbe avuto a doversi riconoscere pienamente cosciente, la donna guerriero gli si era presentata innanzi allo sguardo in tutta la magnificenza del proprio nudo corpo.

E se pur, anche e soltanto per quella continua, sfacciata impudenza nei suoi confronti, ella avrebbe ben gradito procedere a estrarre la propria lama e a decapitarlo, per così come promessogli; sufficientemente obiettivo avrebbe allor avuto a doversi considerare quanto, in quel modo d’agire, in quel comportamento così volutamente rivolto all’eccesso, nonché nella sua ossessiva insistenza nei suoi stessi confronti, egli avrebbe avuto a doversi veder riconosciuti dei punti di credito, non sufficienti a compensare il tradimento loro riservato, e, ciò non di meno, adeguato a permettergli di conservarsi, ancor, in vita.
Ancora, per lo meno, quanto sufficiente a tentare di portare a termine il discorso in tal maniera iniziato…

« E, sentiamo, in che maniera sarebbero in grado di rintracciarmi? » ebbe quindi a chiedergli maggiore dettaglio, a tentare di avvalorare, o di screditare, la sua posizione « E, soprattutto, per quale dannata ragione continui a parlare di loro quasi avessero a doversi considerare qualcosa a te estraneo, quando è ormai palese quanto anche tu ne faccia parte…?! » sottolineò, osservandolo seria e, ancor, mantenendo la mano in prossimità all’impugnatura della spada, tutt’altro che già adeguatamente soddisfatta da rinunciare a ogni proposito belligerante nei suoi riguardi.

Non senza riservarsi nuovamente una certa dose di coraggio, o di incoscienza, Reel tornò a infilare il proprio destro nel suo braccio sinistro, per invitarla, in tal maniera, a riprendere a camminare, e a riprendere a camminare nell’evidente preoccupazione di poter essere raggiunti, di lì a breve, da qualcuno dei suoi inseguitori. Non desiderando, tuttavia, richiederle un atto di fiducia, nel ritrovarsi a essere ben consapevole di quanto, allora, qualunque atto di fiducia sarebbe risultato quantomeno a sproposito in tal contesto, in simile frangente, nel compiere ciò egli volle fornirle una prova concreta di quanto, allora, stesse sostenendo, nello spingere il braccio sinistro innanzi al suo sguardo, a mostrarle un piccolo dispositivo elettronico da polso dotato di un altrettanto piccolo schermo, sul quale, tuttavia, si poneva chiaramente distinguibile il disegno di una strada, la strada che, in quel frangente, stavano percorrendo, e due puntini lampeggianti, uno rosso e uno verde.
Nell’osservare, pertanto, quella prova, invero per lei di non immediata interpretazione, la donna ebbe a volergli riconoscere non fiducia, ma, quantomeno, una possibilità, e una possibilità di condurre, per qualche istante, egli stesso i giuochi, in attesa delle didascalie utili a comprendere quanto, lì, stesse osservando…

« Tu sei il puntino rosso. Io sono quello verde. » spiegò l’uomo, in riferimento all’immagine allor condivisa con la propria interlocutrice « Onde evitare il rischio di nuove fughe da parte dei bambini, o tua, non appena siete stati catturati su Thermora hanno iniziato a somministrarvi, mischiate nei pasti, un derivato instabile dell’idrargirio, blandamente radioattivo, utile a marchiarvi con una traccia energetica unica, in grado di rendervi perfettamente individuabili in qualunque momento e in qualunque situazione, entro un raggio di qualche centinaio di miglia da un semplice tracciatore come questo… » approfondì, per la prima volta, nel loro complesso rapporto, riuscendo a esprimersi con quella che avrebbe avuto a doversi considerare apparente onestà e sincero desiderio di collaborazione con lei « In questo modo, loro sono stati in grado di ritrovarti immediatamente dopo la tua fuga. In questo modo, io sono stato in grado di ritrovarti immediatamente dopo la tua fuga. Fuga che, per inciso, vorrei ricordare essere avvenuta soltanto per mio merito, benché, in cambio, mi sia ritrovato con un pugnale conficcato nel bel mezzo del cuore… e non in senso metaforico. » puntualizzò, aggrottando la fronte « Hai idea di quanto possa essere doloroso estrarsi un pugnale dal petto…?! »

Ove, a confronto con quella situazione, Midda Bontor avrebbe potuto insistere nel proporgli questioni sulla sua natura, su chi egli fosse e quali avessero a doversi considerare le sue intenzioni, nonché, magari, su come riuscire a liberarsi di quel marchio energetico, in maniera tale da ovviare alle sgradevoli attenzioni della Loor’Nos-Kahn; un altro, più impellente, più importante interrogativo ebbe, allora, a coinvolgerla, e a coinvolgerla in diretta conseguenza alla stessa spiegazione appena udita…

« Hai detto che sia io, sia Tagae e Liagu siamo stati marchiati in questo modo…?! » domandò conferma, socchiudendo appena gli occhi nel mentre in cui, nel profondo del proprio cuore, non mancò di lodare tutti i propri dei per l’aiuto così appena offertole.

giovedì 28 dicembre 2017

2413


Midda Namile Bontor non si era mai riservata particolare ragione di inibizione psicologica all’idea di uccidere: nessuno, nel suo mondo, ne avrebbe mai avuto motivo e, in questo, neppure ella avrebbe potuto intendere l’idea di privare un’altra persona della propria vita qual fondamentalmente sbagliato, benché, in altre culture, in altre realtà, aveva scoperto sussistere simile concetto, pur, poi, smentito da così tante eccezioni tali per cui, francamente, ella non avrebbe potuto ovviare a giudicarla nulla più di mera ipocrisia. Ciò non di meno, la donna guerriero non avrebbe neppur avuto a doversi considerare sì bramosa di sangue e di morte da uccidere, necessariamente, qualunque proprio antagonista: nell’eventualità in cui una morte si fosse dimostrata utile, ella non si sarebbe fatta scrupolo a procedere in tal senso; laddove, altresì, essa avrebbe potuto anche essere ovviata, ella avrebbe quietamente evitato di giungere a simile soluzione, in una filosofia che, nel corso del tempo, l’aveva condotta a cercare, addirittura, di graziare quanto più possibile i propri antagonisti, e, soprattutto, i propri antagonisti di maggior valore, di maggior importanza, al fine, paradossale, di imporre loro un senso di umiliazione, e di umiliazione nel vedersi considerati privi di quella pericolosità utile a imporre loro ragione di condanna. Non una regola assoluta, non un principio al quale mantenersi sempre fedele, quella in tal maniera formulata, e, ciò non di meno, un’indicazione di massima nel confronto con la quale regolarsi nelle situazioni di ordinaria vita vissuta qual quella che, anche in tutto ciò, ella si era ritrovata a vivere, fosse anche e soltanto al fine di alimentare, attraverso il numero di coloro a lei sopravvissuti, il proprio mito, la propria leggenda, dove chiunque avrebbe potuto vincere un confronto soffocando nel sangue i propri antagonisti, ma soltanto chi incommensurabilmente superiore agli stessi avrebbe avuto la possibilità di dominare concedendo loro una nuova alba.
Anche in grazia a simile indicazione di massima, quindi, la donna da dieci miliardi di crediti aveva preferito ovviare a trasformare il retro di quel negozio in un macello, nel senso più letterario del termine, definendo, qual pur ella avrebbe potuto, occasione di morte per tutti i propri antagonisti, benché, in tal maniera, avrebbe potuto correre il rischio di ritrovarli, lungo il proprio cammino, di lì a breve. Una scelta, in verità, probabilmente non di meno dettata, a fronte di una più comoda alternativa quel quella alfine così perseguita, dalla necessità di ovviare all’ennesimo cambio di abiti, giacché decisamente vistoso, per quanto a sua volta nero vestita, sarebbe necessariamente stato vagare per le vie del Mercato Sotterraneo grondante del sangue dei propri avversari abbattuti.
Così, con una spada in più al proprio fianco, legata alla propria cintola e malcelata al di sotto del proprio giaccone di foggia vagamente militare, e pur con un paio di occhiali scuri in meno, ella ebbe a lasciare il negozio d’armi, lisciandosi con evidente contrarietà i lunghi capelli neri ai lati del capo, là dove, altrimenti, allorché ovviare ad attrarre l’attenzione in grazia a quel travestimento, con tanta confusione in testa avrebbe necessariamente finito per attrarne persino di più.

« C’è un motivo per cui, da sempre, ho preferito tenere i capelli corti… » sussurrò fra sé e sé, nel decidere, alfine, di lasciar perdere e nello sperare di non apparire eccessivamente scapigliata in conseguenza agli eventi occorsi « Invero, non ho mai compreso come Carsa riuscisse a scendere a patti con i suoi. » rievocò la memoria di un’antica conoscenza, a tratti alleata, a tratti antagonista, la quale, accanto a una bellezza obiettivamente più delicata e femminile rispetto alla sua, con un fisico più snello ed elegante di quanto ella mai avrebbe potuto essere ricordata, era solita associare anche lunghissimi capelli castani, semplicemente legati in un’alta coda sempre e comunque magnificamente ordinata nel proprio soave aspetto.

Quasi il destino desiderasse, allora, dimostrare quanto il proprio travestimento non avesse a doversi considerare adeguato per ingannare alcuno, o, forse, quanto fra lasciare i propri antagonisti vivi o morti alle proprie spalle non avrebbe comportato particolare differenza dal punto di vista del loro stesso ostinato riproporsi lungo il suo cammino; la Figlia di Marr’Mahew non fece in tempo a smarrirsi nella folla a sé circostante, inoltrandosi, in realtà senza una meta precisa, all’interno di quella nuova, e ancor sconosciuta città, che un braccio avvolse con fare garbato il suo mancino, nello stringersi quasi dolcemente a lei e, in ciò, dimostrando una mai meritata confidenza nei suoi riguardi che pur, in tutto quello, parve volersi offrire quantomeno spontanea e naturale. Benché nulla di spontaneo avrebbe potuto contraddistinguere il loro rapporto, e nulla di naturale avrebbe mai potuto caratterizzare, allora, un uomo che, già per due volte, era stato da lei ucciso e che, per due volte, era lì ritornato come se nulla fosse occorso: non la frattura della sua colonna vertebrale; non, tantomeno, un pugnale infilato a forza nel mezzo del suo cuore.
Reel Bannihil era tornato…

« Per Thyres, Tarth e qualunque altro dio dei mari a me più cari… » gemette la donna, arrestandosi di colpo e non potendo in alcun modo soffocare tutta la propria più sincera sorpresa nel riconoscere quella figura così sopraggiunta al suo fianco, sorpresa, al contempo, all’idea di essere stata nuovamente raggiunta da un esponente della Loor’Nos-Kahn e, soprattutto, da quel particolare esponente, a lei così ostinatamente legato da non volersi neppure separare a seguito della propria morte… per ben due volte « Che razza di stregoneria è mai questa, dannazione! » ebbe a protestare, cercando di sottrarsi alla sua presa nello strattonare il proprio braccio così da lui agguantato e, tuttavia, nel non ritrovare alcuna resistenza da parte sua, quasi non volesse imporle con la prepotenza la propria presenza, benché ogni altra evidenza sembrasse voler suggerire il contrario « O, per meglio dire, quante altre volte dovrò ucciderti prima che tu abbia a restare realmente morto…?! »
« La vera domanda è un’altra, rossa… » volle correggerla egli, scuotendo appena il capo « Come accidenti è mai possibile che, al di là della tua parrucca nera, che per inciso ti dona parecchio, e del cambio di abiti, la Loor’Nos-Kahn sia riuscita a rintracciarti così facilmente?! » le suggerì, esprimendo, in effetti, un dubbio degno di attenzione, benché, allora, ella non avrebbe saputo offrire particolare spiegazione se non in un proprio errore o, forse, in una semplice cattiva sorte, qual, in fondo, non avrebbe potuto negare stesse caratterizzando la propria vita in quelle ultime settimane.
« Pensi di volermelo spiegare tu, prima che io abbia a provare a decapitarti per provare, ancora una volta, a ucciderti…?! » lo invitò la donna dagli occhi color ghiaccio, la quale, pur non potendo trarre allora alcun evidente vantaggio dalla sua morte, non si sarebbe certamente tirata indietro innanzi a tale prospettiva… non laddove quella figura stava ormai venendo associata, nella sua mente, a emozioni sempre più negative, al punto tale da renderlo meritevole di ogni dannata morte ella sarebbe mai riuscita a imporgli, per quanto in maniera forse non così duratura.
« Ti prego… evitiamo le mutilazioni: è qualcosa di estremamente disgustoso da vedere… sia prima, sia dopo. » la supplicò egli, cercando nuovamente contatto con lei, questa volta nell’afferrarne dolcemente la mancina nella propria destra, per poi invitarla implicitamente a riprendere a camminare « E, già che ci siamo, evitiamo anche di star fermi: già hanno vita facile nel raggiungerti… non rendiamogliela ancora più semplice del dovuto. »

Esterrefatta dalla tranquillità con la quale egli aveva, in tal maniera, liquidato l’ipotesi di finir decollato, per quanto, ormai, avrebbe avuto a doversi considerare sicuramente confidente nel merito del fatto che ella non avrebbe esitato a tal riguardo; Midda Bontor si ritrovò a essere praticamente trascinata da lui a riprendere a camminare, sinceramente troppo spiazzata da tutto quello per potersi opporre.

« Non credo di essere mai stata tanto prossima a gettare la spugna… » gli comunicò ella, tradendo sincero sconforto alla luce di tutto ciò, di una realtà con la quale, pur tentando con tutte le sue energie, con tutte le sue forze di scendere a patti, non stava in alcuna maniera avendo successo a tal riguardo « Ma che io sia dannata se permetterò mai a un dannato negromante di avere la meglio su di me! » si riscosse subito dopo, ritraendo il braccio con forza dalla presa di lui, e, in ciò, nuovamente liberandosi solo per avere occasione di avvicinare la propria mancina all’impugnatura della spada, pronta, allora, ad agire per come promesso piuttosto che a concedergli quell’immeritata vittoria.

mercoledì 27 dicembre 2017

2412


« … » inveirono contro di lei gli uomini in nero, probabilmente intimandole di non muoversi.

Se soltanto la Loor’Nos-Kahn avesse avuto reale consapevolezza di quanto ella avesse a doversi considerare realmente pericolosa, se solo la loro fonte di informazioni non fosse stato il falso profilo su di lei diffuso da Anmel Mal Toise nel tentativo di rovinarle la vita anche fra le stelle, nello spazio siderale, il quale, per quanto atto a ritrarla qual una terribile assassina, riconoscendole, obiettivamente, una buona misura degli omicidi da lei commessi nel corso della propria esistenza ma obliando, a tal riguardo, nel merito di tutte le situazioni improbabili, se non addirittura impossibili, nel corso delle quali ella si era ritrovata a essere, trovando, ogni volta, occasione di sopravvivere, e di sopravvivere in sola grazia alla propria forza di volontà, alla propria tenacia, alla propria ostinazione nell’imporsi sopra tutto e tutti, uomini, mostri e dei che essi fossero; probabilmente, in quel particolare frangente, in quella singolare situazione, non avrebbero avuto ragione di tergiversare, così come stavano chiaramente compiendo, nel proporle intimazioni di sorta, nell’imporle perentorie ingiunzioni che, soltanto se disattese, avrebbero sicuramente comportato per lei una qualche offensiva, l’apertura del fuoco a suo discapito e, con esso, un’indubbia dose di pena. Al contrario, se soltanto essi avessero avuto una qualche effettiva possibilità di consapevolezza nel merito di chi ella avesse a dover essere considerata, nel merito di quali straordinari traguardi ella era riuscita a perseguire nel corso della propria esistenza, allora, forse, probabilmente, certamente, essi avrebbero lì immediatamente aperto il fuoco, non concedendole neppure il tempo di ritrovare consapevolezza del mondo a sé circostante, di tornare a porre a fuoco le immagini a lei offerte innanzi allo sguardo, in una leggerezza, in una dimostrazione di ingenuità che, per essi, avrebbe avuto a doversi considerare potenzialmente letale: ciò non di meno, nel corso del tempo, nel succedersi di nuovi straordinari successi da parte sua anche in quella più amplia concezione di realtà nella quale, sulle ali della fenice, era sopraggiunta qual semplice sconosciuta, retrograda barbara senza alcuna confidenza con la maggior parte dei concetti più elementari, sicuramente sarebbe stato posto rimedio a tale mancanza di necessario timore nei suoi riguardi, anche in grazia a poveri malcapitati che, come quelli in quel frangente tanto stolidamente prossimi a lei così schierati, avrebbero avuto occasione di contribuire a ricreare il mito proprio di quella donna straordinaria.
La vicinanza di quegli uomini in nero, armi in braccio, alla Figlia di Marr’Mahew, infatti, avrebbe avuto a doversi considerare, obiettivamente biunivoca e, in ciò, un terribile errore da parte degli stessi. Ove infatti, essi avessero avuto l’accortezza di schierarsi attorno a lei a distanza maggiore, forse, probabilmente, ma mai certamente, essi avrebbero avuto occasione di riservarle un disturbo, di complicarne la vita, nel più difficile confronto che, tutto ciò, avrebbe comportato un confronto a fronte del quale, allora, ella avrebbe avuto anche a doversi impegnare per trovare come colmare la distanza allor impostale, in un ostacolo che pur non l’avrebbe mai, realmente, potuta fermare: dal momento in cui, tuttavia, essi, forse vittime di eccessiva sicumera e, ancor più, della propria stessa enfasi, ebbero a coprire, autonomamente e pericolosamente, il divario esistente fra loro e la loro antagonista, la loro supposta preda, altro non si riservarono se non, proprio malgrado, occasione per eleggerla a propria predatrice, concedendole, ancora una volta, possibilità di dimostrare tutta la propria straordinaria abilità guerriera.
Così, allorché vittima, ella ebbe possibilità di dimostrarsi carnefice nel momento in cui, distesa al suolo qual ella si stava ponendo, al centro di quella mezza dozzina di avversari armati, ebbe a ritrovare, in maniera straordinariamente repentina, controllo di sé, e del proprio corpo, per sospingere il medesimo a una rapida rotazione avente qual perno le sue stesse braccia, azione, movimento, che vide, in ciò, le sue gambe inaspettatamente proiettate con straordinario impeto, con incredibile vigore e, inutile negarlo, ammirevole eleganza, non risultando eccessivamente dissimile da un’esotica danza, contro i propri stessi assaltatori, i quali, in ciò, ebbero a essere falciati esattamente all’altezza delle proprie caviglie, ritrovandosi, proprio malgrado, impossibilitati a mantenersi in una qualsivoglia posizione eretta e, in ciò, precipitando fragorosamente a terra, prima di poter non soltanto aprire effettivamente il fuoco a suo discapito, ma anche e soltanto di maturare coscienza del perché simile perdita di controllo sul proprio stesso corpo fosse lì occorsa. E se anche, in tutto ciò, qualche grido, qualche imprecazione ebbe a occorrere, la donna guerriero non ebbe a poterla avvertire, nella propria estemporanea sordità, situazione spiacevole e che pur non le impedì, allora, di recuperare controllo sulla propria nuova spada, o temporaneamente eletta a tale, per abbattersi, impietosamente, sulle armi dei propri antagonisti, a prevenirne possibilità di fuoco, restando, nel contempo di tutto ciò, prudentemente a terra, prossima al suolo sul quale ella era ricaduta e aveva fatto parimenti piombare tutto gli altri, nel non stolto timore di quanto, in conseguenza all’esplosione sonica appena subita, anche il suo senso dell’equilibrio potesse essere stato estemporaneamente compromesso.
Disarmati, certo, e ciò non di meno lontani dal potersi allor considerare sconfitti, gli uomini in nero che ella aveva così abbattuto, forti del proprio numero, cercarono di avventarsi su di lei, decisi, allor, a riservarsi occasione di predominio su quella singola donna in grazia alla propria superiorità fisica, commettendo, tuttavia, ancor l’errore di considerarla a se stessi inferiore e, soprattutto, dimenticando quanto ella, anche ove non fosse stata l’incredibile combattente che pur era, avrebbe potuto vantare, a proprio sostegno, a proprio soccorso, la presenza di un arto artificiale, dotato della capacità di sollevare finanche mille libbre di peso senza alcun affaticamento.

« … » li derise ella, suggerendo sorniona una chiave di lettura a sfondo sessuale attorno a quella particolare situazione ma ritrovandosi, in tutto ciò, francamente indispettita dal non poter udire le proprie stesse battute, non potendo godere della pienezza di quel momento in conseguenza al fastidioso, costante fischio che le aveva colmato le orecchie, assordandola.

E se pur facile sarebbe stato esprimere malizia nel confronto con l’immagine lì rappresentata da corpi intrecciati al suolo, di cui quattro maschili, tre femminili, uno dei quali contraddistinto dalle procaci forme della stessa Ucciditrice di Dei, improbabile, anche per il più lussurioso dei possibili testimoni di quella scena, sarebbe stato riuscire a fraintendere quanto, allor, avvenne, nel rapido e quasi feroce susseguirsi di colpi perfettamente mirati che la donna guerriero fu in grado di portare a compimento, a discapito di tutti i propri antagonisti, uomini e donne, umani e chimere che essi fossero, trionfando rapidamente su di essi e, soltanto al termine di ciò, riservandosi l’opportunità di tentare di risollevarsi dal suolo, per recuperare, innanzitutto, la propria postura eretta e, successivamente, il controllo di sé e dell’ambiente a sé circostante in misura utile a lasciare, finalmente, quel negozio.
Innegabile, allora, sarebbe stato per lei ammettere una certa, effettiva difficoltà a controllare il proprio equilibrio non tanto in assenza dell’udito, quanto e piuttosto per lo sconquassamento che, entro le proprie orecchie, la deflagrazione precedente aveva generato. Ciò non di meno, più per forza di volontà che per qualche altra effettiva ragione, costante fondamentale della propria intera esistenza, ella si costrinse, malgrado tutto, a mantenersi eretta, e a contemplare lo sfacelo attorno a lei venutosi a creare, fra i corpi svenuti o prossimi a essere tali di entrambi i contingenti di uomini in nero da lei affrontati, e comunque non uccisi, fra la terrorizzata commessa del negozio, ancor rannicchiata nel medesimo angolo là dove l’aveva lasciata, apparentemente indenne, scaffali, scatole e casse completamente sconquassate e, soprattutto, parte del proprio stesso camuffamento, allor lì sparso in giro: la propria nera parrucca, decisamente più arruffata di quanto non avrebbe avuto a doversi riconoscere all’ingresso nel negozio, infatti, penzolava da alcuni scaffali qualche piede più avanti rispetto a lei, mentre i propri occhiali, purtroppo con una lente in completamente in frantumi, e in ciò obiettivamente inutili, facevano capolino da sotto uno scatolone, forse responsabile della loro rottura.

« … evo anche pagati bene. » sbuffò, in riferimento a questi ultimi, nel mentre in cui, rendendosi conto di star iniziando a recuperare una parte del proprio udito, si impose di compiere qualche passo, a riappropriarsi, allora, quantomeno della parrucca, prima di cambiare, quanto più rapidamente possibile, aria.

martedì 26 dicembre 2017

2411


« Thyres! » esclamò, vedendo le proprie nere pupille per un attimo estendersi all’interno delle iridi color ghiaccio, nella sorpresa per quanto lì presentatole, per quell’evidente dimostrazione di sorte avversa che si stava accanendo nei suoi riguardi « … ma stiamo scherzando?! »

Preoccupata per l’incolumità della commessa e, ciò non di meno, costretta proprio malgrado a fronteggiare una situazione decisamente spiacevole, la Figlia di Marr’Mahew si ritrovò a immergersi, in tutto ciò, in un fronte di battaglia, in un campo di guerra, obbligata dal contesto a lei circostante a rinunciare, estemporaneamente, a qualunque velleità di quieta evasione da tutto ciò per abbracciare, e abbracciare con fermezza, il proprio spirito guerriero, quella non gratuitamente innata, ma faticosamente acquisita, straordinaria capacità di tener testa anche alle sfide più impari, che solo, allora, avrebbe potuto per lei distinguere la conservazione della propria autodeterminazione, della propria libertà, dallo spiacevole ritorno in catene, entro i limiti di quei ceppi dai quali, probabilmente, non le sarebbe stata concessa, almeno nell’immediato, nuova occasione di fuga.
Il sangue, pompato con impeto dal suo cuore attraverso ogni arteria, ogni vena, ogni capillare, ebbe lì a ossigenare i suoi muscoli, a distribuire in maniera omogenea l’adrenalina attraverso tutte le sue membra, inebriandola e rendendola, per un fugace istante, dimentica di ogni cosa se non dei propri antagonisti, coloro i quali ella avrebbe lì dovuto abbattere, e la configurazione del mondo a sé circostante, riserva potenzialmente ricca di occasioni, di risorse per garantirle tale obiettivo: una potenzialità, quella, che tale sarebbe stata anche ove si fosse ritrovata nel retro di un negozio di alimentari, e che, invero, essendo allora ella nel magazzino di un negozio d’armi avrebbe avuto sicuramente maggior significato, maggior ragion d’essere. E fu questione di un istante, nel tempo proprio di un singolo battito del suo cuore, che ella ebbe a scomparire dal fianco della commessa, ancora troppo attonita dagli eventi dei quali era stata resa inerme testimone per poter effettivamente comprendere quanto stesse accadendo, soltanto per riapparire pochi piedi più in là, in quello che difficilmente avrebbe potuto esser creduto qual un movimento, e un movimento umano, e che, tuttavia, allor fu, avvicinandola a un’altra rastrelliera, e una rastrelliera sulla quale, ordinatamente, si mostravano disposte diverse spade, di dimensioni inferiori a quella che ella avrebbe desiderato, e pur, allora, ragionevolmente apprezzabili, fra le quali ella ebbe a estrarne una a caso, e a eleggerla, di necessità virtù, qual propria nuova alleata, per lo meno entro i confini di quella battaglia.
Un movimento mirabile, nella propria velocità, nella propria precisione, e nella propria intrinseca eleganza, che non ebbe, allora, a sfuggire agli uomini in nero, i quali, ragionevolmente temendo lo scenario rappresentato dal riarmo di quella donna, non ebbero esitazioni ad aprire il fuoco e ad aprirlo malgrado i dieci miliardi di crediti da lei incarnati. Fuoco che, non diversamente da quello proprio dei loro compagni nella stanza a fianco, nella parte anteriore del negozio, ebbe a concretizzarsi nella forma di un attacco sonico, una devastante onda d’urto destinata a scuotere persino le fondamenta dell’edificio all’interno dell’ideale cono di propagazione di quel colpo. Così, scatole, scatoloni, casse, fogli e interi scaffali ebbero a essere letteralmente divelti in conseguenza a quell’attacco, quell’attacco non necessariamente letale, e ritrovarsi esposti al confronto con il quale, pur, non avrebbe potuto compiacere nessuno, quell’attacco innanzi al quale, allora, l’Ucciditrice di Dei, pur supposta destinataria, prestò ben attenzione a non esporsi, non desiderando concedere una vittoria così semplice ai propri antagonisti, nuovamente scattando, e scattando con velocità non soltanto paragonabile ma, allora, forse e persino superiore alla precedente, soltanto per impegnarsi un una traiettoria parabolica in grazia alla quale non soltanto si sarebbe sottratta agli effetti più negativi di quel tentativo a suo discapito ma, ancor più, avrebbe avuto allor occasione per puntare ad altro e, nella fattispecie, puntare a rispondere, a tono, a quell’offensiva a suo discapito.
Sfruttando la confusione necessaria conseguenza del colpo sonico generato in suo supposto contrasto, Midda Bontor ebbe così a correre e saltare, entro i pur non vasti, e neppur ristretti, spazi di quel piccolo deposito, da uno scaffale all’altro, da una cassa all’altra, solo per ritrovarsi, alfine, esattamente a meno di tre piedi di distanza dai propri nuovi antagonisti, proiettata, slanciata verso di loro con la spada in pugno, stretta nella mancina, e pronta a fendere l’aria per esigere un costo, al prezzo del sangue, per l’arroganza da lor dimostrata nei propri riguardi, nonché per l’insopportabile ostinazione con la quale, allora, si stavano continuando a ripresentare alla sua attenzione. Purtroppo, sebbene una qualunque arma sonica avrebbe richiesto del tempo sicuramente maggiore rispetto a una al plasma o, ancor più, a una laser per potersi permettere di aprire nuovamente il fuoco a seguito di un primo colpo sparato; quanto in quel gruppetto, allor censibile in almeno otto elementi, cinque maschili, tre femminili, quattro umani e quattro esponenti di altre razze non umane, e comunemente definite con il termine dispregiativo di chimere, non avrebbe potuto essere considerata qual assente avrebbe avuto a dover essere considerato proprio l’abbondanza di risorse, di armi che, allor già impugnate, allor già pronte al fuoco, non esitarono nel rispondere alla prospettiva di violenza da lei suggerita, e a rispondere, allor e contemporaneamente, in tre nuovi colpi sparati nella sua direzione. Un movimento, il suo, allor, già troppo impetuosamente intrapreso per poter essere arrestato e, ciò non di meno, altrettanto troppo impetuosamente intrapreso per poter essere adeguatamente intercettato dai suoi antagonisti e, allor, intercettato prima che ella potesse giungere a loro, o, quantomeno, a uno fra loro: così, il colpo di spada già ipotizzato ad aprire, con un preciso movimento verticale, il cranio del malcapitato, un maschio di specie feriniana che, fra gli altri, stava aprendo a sua volta il fuoco contro di lei, fu reindirizzato a colpirne, con violenza, le braccia con il piatto della lama in un movimento sgualembro roverso che, tuttavia, ebbe all’ultimo a mutare quasi in un ridoppio, e a colpirle con impeto sufficiente a costringere non soltanto quelle braccia, ma quasi il suo intero corpo a ruotare, e a ruotare in misura sufficiente da veder proiettato il colpo sonico in senso contrario a quello degli altri due che, contemporaneamente, vennero esplosi. E la somma fra simili, eguali, energie lungo sensi contrastanti ebbe a generare un effetto allor dirompente, non annullando i tre attacchi ma, semplicemente, confondendoli nelle proprie intenzioni iniziali, sino a condurre, all’atto pratico, a una vera e propria deflagrazione sonica che ebbe a coinvolgere, in ogni direzione, tutti coloro lì presenti, senza distinzioni fra la donna guerriero e i suoi persecutori.

« … » tentò di imprecare, riaprendo gli occhi.

Prima, immediata conseguenza di tutto quello, della quale, per lo meno, la Figlia di Marr’Mahew ebbe a poter maturare consapevolezza, fu l’imporsi di un assordante fischio all’interno delle sue orecchie, un fischio in grazia al quale ella ebbe a rendersi conto di essere stata, speranzosamente in maniera estemporanea, privata del proprio fine udito, troppo vicina qual ebbe a trovarsi nei confronti di quell’esplosione. Nel contempo di ciò, ella ebbe lì a scoprirsi qual sdraiata a terra, a quasi una decina di piedi da dove, inizialmente, si era sospinta, rigettata in maniera confusa, quasi una disarticolata bambola di pezza, contro il caso di interi scaffali colmi di scatole riversati altrettanto caoticamente a terra, a seguito di quello che, chiaramente, era stato un momento, o speranzosamente tale, di vuoto mentale, di effimera perdita di consapevolezza di sé e del mondo a sé circostante. Terza, immediata conseguenza di quell’esplosione, ella ebbe allor silenziosamente occasione di cogliere, ebbe a doversi riconoscere la scomparsa di una parte della parete di fondo del negozio, quella stessa parete oltre la quale avrebbe avuto a doversi considerare la strada esterna, il mondo nel quale, per rifuggire ai propri aggressori, non avrebbe avuto altro da fare che tornare a immergersi. Ma se, pur, il proprio traguardo avrebbe avuto a doversi considerare sì prossimo, altrettanto prossimi avrebbero avuto a doversi identificare i suoi antagonisti: non coloro i quali, suo pari, erano rimasti coinvolti in quella violenta deflagrazione, quanto e piuttosto i loro altri compagni, coloro che ella aveva lasciato dietro di sé dall’altra parte del negozio e che, allor, dovevano aver approfittato di quell’intervallo di sua fugace incoscienza per riguadagnare terreno e, così, giungere a lei, circondandola con armi spianate a suo discapito…

lunedì 25 dicembre 2017

2410


Come diamine potessero averla trovata, malgrado il proprio impegno a far perdere le proprie tracce, avrebbe avuto a doversi considerare un’ottima domanda. Ma, ciò non di meno, una domanda a cui non avrebbe potuto cercar risposta in quel particolare momento… non laddove avesse desiderato non rendere vano tutto l’impegno pur posto, sino ad allora, nel rifuggire dalla casa d’aste e non laddove, parimenti, avesse desiderato poter realmente offrire soccorso ai due pargoli, ovunque, essi, fossero venuti a trovarsi. Già troppo tempo, sino a quel momento, era stato da parte sua perduto, troppo tempo, sino ad allora, era passato dall’ultima volta che aveva potuto avere contatto con i due bambini e, per quanto ella ne avrebbe potuto sapere, essi sarebbero potuti essere già stati venduti al miglior offerente, imbarcati su una nave e, di lì, in partenza verso qualche ignoto angolo di universo.
Per questa ragione, quindi, ogni dubbio, ogni possibile domanda, nel merito degli eventuali errori compiuti nel corso di quella fuga e utili a permettere alla Loor’Nos-Kahn di rintracciarla, avrebbe avuto a dover essere posticipata, e posticipata a un’occasione migliore, a un momento più propizio, tale da garantirle comunque un’occasione di futuro, e di autodeterminazione, non tanto per il proprio bene quanto per quello dei propri piccoli, lasciando allor spazio solo e unicamente alla violenza, e alla violenza più brutale e primordiale, nel rispetto di una semplice legge di natura atta a uccidere per non essere ucciso, in un principio probabilmente privo di quella vena di eroismo che, forse, i due stessi bambini avrebbero allor potuto preferire vederle psicologicamente associato, e, ciò non di meno, allor giudicabile qual sacrificio necessario per un bene superiore, per il loro stesso bene. Senza battere ciglio, pertanto, alla comparsa degli uomini alle sue spalle, Midda Bontor raccolse, dalla prima rastrelliera al suo fianco, una lama, una delle tante daghe così apprezzate, così diffuse fra i più, per impiegarla, allora, non tanto in quanto spada, ma, piuttosto, in luogo all’idea di pugnale, e di pugnale da lancio, per proiettarla, con straordinario impeto e ancor più incredibile precisione nel bel mezzo della fronte dello stesso caporione che, contro di lei, stava già prendendo la mira e che, di lì a un istante, avrebbe potuto anche aprire il fuoco, per ferirla o, peggio, per ucciderla: un’occasione, allora, che allo sventurato non venne riconosciuta, non, quantomeno, nella violenta interruzione della propria esistenza terrena lì causata da ben oltre un piede di freddo acciaio che ebbe a trapassargli la scatola cranica da parte e parte, lasciandolo cadere cadavere fra i propri compagni, contro i propri compagni alle sue spalle.
Un grido, allora, ebbe a levarsi da parte della commessa, la quale, interrotta nella propria presentazione di quanto avrebbe voluto offrire alla propria cliente, ebbe lì a confrontarsi con un morto ammazzato, forse il primo della propria vita, forse no, e, ciò non di meno, conseguenza di un’azione tanto repentina, così improvvisa e sconvolgente, da non garantirle, in alcuna maniera, occasione utile per reagire in termini meno incontrollati rispetto a quello, colmando l’aria attorno a sé con quell’urlo colmo di sincero raccapriccio…

« Ti chiedo scusa per il disagio… » commentò la donna guerriero, rivolgendosi alla propria disponibile, e allor terrorizzata, interlocutrice, senza voltarsi verso di lei, troppo impegnata, allora, nell’elaborare la questione per potersi permettere quella possibilità di distrazione « … questo e quello che ancora causerò. » soggiunse, nel mentre in cui, già iniziò ad agire per il proseguo di quel disagio in tal maniera preventivamente giustificato.

Con il proprio riconquistato arto destro, allora, la Figlia di Marr’Mahew si spinse ad afferrare, saldamente, l’intera rastrelliera dalla quale aveva appena estratto la daga utilizzata come arma da lancio, una rastrelliera carica di altre lame di ogni forma e dimensione e, probabilmente, contraddistinta da un peso decisamente notevole, per sollevarla, senza problema alcuno, da terra, al solo fine di proiettarla, per intero, in direzione del gruppo di uomini in nero, utilizzando quell’intero espositore quasi fosse un unico, grande, proiettile balistico, in un gesto, allora, indubbiamente eccessivo, obiettivamente sovradimensionato rispetto alle esigenze del momento, e che pur, in tutto ciò, avrebbe potuto riservarsi l’opportunità di scombussolare le fila dei propri avversari, ogni loro organizzazione tattica, imponendo loro il necessario panico nel vedersi piombare addosso tutto ciò: un gesto, ancora, in grazia al quale ella avrebbe allor potuto anche concedersi occasione utile per reagire in maniera più concreta per la propria salvezza, e in maniera concreta qual quella che, allora, non tardò a vederla scavalcare il bancone oltre il quale, ancora, la commessa stava osservando atterrita, attonita e, allora, persino ammutolita, l’evolversi della situazione, per poter prendere, senza alcuna consapevolezza nel merito di dove essa l’avrebbe condotta, la porta del magazzino, sperando, quantomeno su quel fronte, di avere occasione per riservarsi opportunità di fuga e, in ciò, di far perdere, questa volta per davvero, le proprie tracce. Armata o meno che, allora, essa sarebbe stata, infatti, necessariamente avrebbe avuto a doversi impegnare nella ricerca di Tagae e Liagu, giacché, come gli eventi lì in corso stavano dimostrando, qualunque esitazione, qualunque ulteriore perdita di tempo, sarebbe stata sol pagata al prezzo della propria possibile disfatta, nella rinnovata cattura da parte di coloro a cui già avrebbe dovuto il conto per il viaggio loro imposto all’interno di quella cella, nonché tutti i guai, obiettivamente, occorsi sin da quella tranquilla giornata su Thermora.

« Sta cercando di scappare! » ravvisò uno dei suoi antagonisti, malgrado il macello nel quale ella li aveva così precipitati, decidendo di aprire il fuoco e di aprire il fuoco, allora, con un’arma sonica, in grazia alla violenza deflagrante della quale l’intera rastrelliera che li aveva travolti venne allor sospinta in senso opposto, ritornando al mittente e, in particolare, direzionandosi alla volta del bancone oltre il quale non soltanto Midda, ma anche l’inerme commessa, avrebbero avuto a dover essere riconosciute qual presenti.

E l’Ucciditrice di Dei, la guerriera da dieci miliardi di crediti, per quanto non avrebbe potuto riservarsi alcuna esitazione nel pretendere la vita di quegli uomini in nero, così come aveva già chiaramente dimostrato nel proprio gesto d’esordio, in quella morte freddamente dispensata attraverso quella daga conficcata nel cranio del primo dei quali; non avrebbe potuto, tuttavia, neppur dimostrarsi altrettanto indifferente alla sorte di una perfetta sconosciuta, potenziale innocente, qual quella semplice commessa, lì presente nel posto sbagliato al momento sbagliato, avrebbe avuto a dover essere giudicata.
Così, a fronte dell’immagine potenzialmente letale di quella rastrelliera nuovamente proiettata all’indietro, e catapultata, in ciò, a suo, e non solo suo, discapito; ella, allorché limitarsi a rifuggire preoccupandosi soltanto del proprio fato, ebbe a voler spendere il proprio interesse, il proprio tempo, la propria premura, anche per quella giovane donna, agguantandola, allora, letteralmente di peso, ancora una volta in grazia alla complicità del proprio arto in freddo metallo cromato, per sollevarla da terra e slanciarla, insieme a sé, oltre la soglia dell’altra stanza, preservandone, in tutto ciò, l’incolumità.

« Ma… cosa…?! » gridò ancora la giovane donna, sconvolta dall’evolversi sì rapido degli eventi, incapace in tutto ciò di cogliere quanto stesse succedendo ma, soprattutto, perché ciò stesse accadendo e accadendo a lei, non ravvisando, giustamente, particolare responsabilità a giustificare tutto ciò.
« E’ una storia lunga. » minimizzò Midda, odiandosi, subito dopo, per aver così banalizzato quanto stava accadendo ricorrendo alle medesime parole tanto odiate, e più volte rimproverate, del due volte defunto Reel Bannihil, e pur rendendosi conto di non potersi permettere, allora, maggiore approfondimento nel merito di quanto stesse accadendo « Sappi solo che quei bei tipi cercano me… quindi ti conviene liberarti alla svelta della mia compagnia, se non desideri ulteriori guai. » puntualizzò, accogliendo a proprio discapito tutta la responsabilità della situazione « C’è un’altra uscita, qui dietro…?! »

Ancora una volta dimostrando un tempismo decisamente sgradevole, tuttavia, la risposta a quell’interrogativo non poté esserle offerta da parte della propria interlocutrice, giacché, dall’altra parte della vasta stanza nella quale si erano così precipitate, del magazzino nel quale avevano allor cercato rifugio, una via di fuga venne sì dischiusa, salvo essere allor immediatamente occupata da altri uomini e donne della Loor’Nos-Kahn che, di certo, non si sarebbero riservati la gentilezza di farla passare senza combattere.

domenica 24 dicembre 2017

2409


Per quanto, rispetto alla limitata tecnologia presente nel pianeta natale dell’ex-mercenaria, ogni varietà di arma da fuoco avrebbe avuto a dover essere considerata qual all’ordine del giorno in quella più amplia concezione di realtà, e a totale disposizione per gli acquisti, soprattutto in un luogo come il Mercato Sotterraneo, accanto ad armi soniche, al laser o al plasma, ognuna con le proprie caratteristiche, ognuna con le proprie più specifiche possibilità di impiego e ognuna con il proprio possibile livello di danno; quanto non avrebbe avuto a dover essere frettolosamente considerato qual comunque venuto meno neppure nello spazio siderale era, per fortuna della stessa Figlia di Marr’Mahew, l’impiego di armi bianche. Armi che, proprio disponendo di una potenzialità distruttiva indubbiamente inferiore alle alternative altrimenti presenti, avrebbero avuto a dover essere considerate estremamente più idonee in un contesto all’interno del quale soltanto uno strato, per quanto significativo nel proprio spessore, di semplice metallo, avrebbe avuto a dover essere considerato l’unico discriminante esistente fra la vita e la morte, la vita offerta all’interno dell’ambiente pressurizzato e protetto di una nave stellare e la morte altresì promessa all’esterno del medesimo, nel gelido e letale vuoto dello spazio: uno strato di semplice metallo che, allora, sarebbe stato estremamente pericoloso porre alla prova nel confronto con armi eccessivamente distruttive e di difficile gestione, rendendo, pertanto, estremamente più idonea, estremamente più adatta l’idea dell’impiego di una più elementare lama, elementare, certo, ma non per questo meno che letale. Così, appunto, anche nello spazio siderale Midda Bontor aveva avuto occasione di trovarsi relativamente a proprio agio nell’aversi a confrontare con una realtà con la quale, ella, avrebbe avuto a doversi considerare già confidente, e confidente qual solo avrebbe avuto a doversi ritenere innanzi alla prospettiva della possibilità di impiego della propria più cara e vecchia amica anche in quel nuovo capitolo della sua esistenza riconoscibile qual presente al suo fianco: la sua lama bastarda. Una spada a una mano e mezza, in verità, forse non così consueta nel confronto con le prerogative proprie delle possibilità di movimento all’interno dei sovente stretti corridoi di una nave spaziale, all’interno dei quali si ponevano preferite delle corte daghe o, tutt'al più delle agili lame sottili, da spadaccini, e, ciò non di meno, la migliore spada con la quale avrebbe mai potuto sperare di ritrovarsi armata, di qualità, a livello di materiali e di lavorazione, imparagonabile nel confronto di qualunque altro genere di arma che, lassù, avrebbe potuto trovare.
Nel confronto con simili premesse, entrando in quel negozio d’armi, la donna guerriero non avrebbe potuto ovviare ad attendersi facilità nel reperire una lama, benché, probabilmente, un qualche problema, in tal senso, avrebbe avuto a dover essere associato alla prospettiva di trovare proprio quel genere di spada a lei più congeniale…

« Salve. » sorrise di rimando ella, senza privarsi degli occhiali scuri, nel non voler attrarre troppa curiosità da parte della propria interlocutrice nei riguardi dei propri occhi color ghiaccio o del proprio sfregio « Sono consapevole di quanto, probabilmente, non abbia a doversi considerare una richiesta consueta per te… » premesse, ovviando all’impiego della terza persona non per un desiderio di mancanza di rispetto nei riguardi della controparte, quanto e piuttosto per mera mancanza di abitudine a tal convenzione sociale, in misura tale, addirittura, da averle causato qualche problema di comprensione, in passato, sull’effettivo soggetto destinatario di talune affermazioni o questioni da parte di altri interlocutori « … ma… sto cercando una spada… e una spada un po’ particolare. Diciamo con una lama non inferiore, in lunghezza, a quattro piedi, da poter impugnare, all’occorrenza, con una o due mani. »
« Mmm… » esitò prevedibilmente la commessa, aggrottando la fronte « E’ un articolo decisamente inusuale: mi permetta di controllare nel nostro archivio e vedrò se posso soddisfarla immediatamente. » puntualizzò, a esplicitare le ragioni del proprio momento di incertezza « In caso contrario, a meno che lei non abbia urgenza, avrò necessità di ordinarlo e potrebbe richiedere qualche giorno prima di essere a disposizione. » sottolineò, nell’andare a infrangersi contro l’unico vincolo che, in quel momento, la donna guerriero non avrebbe potuto gradire: quello temporale.
« In effetti avrei un po’ di urgenza… » confermò Midda, cercando di dimostrarsi, egualmente, più accomodante possibile « In effetti sarebbe un regalo per il mio compagno... sa come sono fatti gli uomini. » mentì, a giustificare il perché di tanta urgenza, benché l’altra non avesse espresso alcuna curiosità a tal riguardo « Bambini troppo cresciuti, specie quando si tratta dei loro giocattoli. »
« Eh sì. » annuì l’altra, iniziando a digitare sullo schermo del proprio terminale, per verificare la disponibilità o meno dell’articolo richiesto « Mi domando cosa possa mai trovarci in una spada del genere il suo compagno… » insistette ridacchiando, a rispondere a quell’evidente ricerca di complicità femminile con la propria cliente « Un’arma così scomoda e così ingombrante non la consiglierei neppure a un tauriano… non so se mi spiego. »
« Già… » storse appena le labbra verso il basso la donna guerriero, cercando di trattenere il proprio disappunto nei riguardi di quell’implicita critica verso i suoi gusti in fatto di spade.

Qualche ulteriore istante di silenziosa attesa vide la commessa impegnarsi nel cercare la soddisfazione della propria ospite, sfogliando diverse schermate relative al magazzino del negozio. Un’attesa che, nel proprio prolungarsi, non avrebbe potuto suggerire alcun esito positivo in tal sforzo, in tal impegno, così come, ancor negative, avrebbero avuto a doversi interpretare le sue espressioni facciali, volte a esprimere un deciso disappunto per la mancanza di successo in tal direzione, a tal riguardo.
Ciò non di meno, quando ormai la stessa Ucciditrice di Dei avrebbe avuto a doversi riconoscere qual prossima a ringraziare la disponibilità della propria controparte e a salutare, per allontanarsi da lì e proseguire oltre, un inatteso, nuovo sorriso tornò ad aprirsi sul volto dell’altra, dimostrazione volta a definire la soluzione del problema, in una probabilmente inattesa quadra…

« Forse ho un’idea. » dichiarò con una certa soddisfazione « Mi può concedere un ulteriore istante di pazienza, per cortesia…?! » richiese verso la propria cliente, già accennando ad allontanarsi, e ad allontanarsi in direzione di un’altra stanza.

Con un lieve cenno affermativo del capo, la Figlia di Marr’Mahew garantì alla giovane donna un nuovo intervallo di tempo, che da questa venne speso senza esitazione alcuna, nello scomparire al di là della porta alle proprie spalle solo per ritornare, meno di un paio di minuti più tardi, conducendo seco una scatola di dimensioni indubbiamente più modeste di quelle che avrebbero potuto accontentare le richieste della propria cliente e che, anzi, a stenti avrebbero potuto contenere l’impugnatura stessa della sua spada.

« Ecco fatto… » sorrise, appoggiando la scatola sul bancone e aprendola, per mostrare, al suo interno, effettivamente, soltanto l’impugnatura di una spada, senza alcuna lama incastonata nella medesima, a completare l’aspetto probabilmente più importante della questione.

Anticipando, tuttavia, qualunque genere di replica da parte della donna guerriero, replica che, in quel frangente, non avrebbe potuto ovviare a esprimere un certo rammarico nel sentirsi quantomeno canzonata dalla commessa, il suono conseguente all’apertura della porta del negozio alle sue spalle non poté che invitarla a voltarsi, e a ritrovarsi a confronto, in maniera quantomeno spiacevole, con un gruppo di uomini in nero, il braccio armato della Loor’Nos-Kahn, lì chiaramente sopraggiunti in termini tutt’altro che casuali…

« Eccola! » esclamò, non a caso, il loro caporione, levando la propria arma da fuoco dritta innanzi a sé, al contempo a indicare la Figlia di Marr’Mahew e, senza esitazione alcuna, a prendere la mira, nel non volerle concedere, chiaramente, alcuna possibilità di manovra.

sabato 23 dicembre 2017

2408


Recuperata la propria libertà, la propria autodeterminazione, per la Figlia di Marr’Mahew la strategia a seguire avrebbe avuto a doversi considerare particolarmente obbligata nelle proprie scelte, nella propria successione. Laddove, infatti, fosse dipeso da lei, la priorità sarebbe andata esclusivamente a favore della ricerca di Tagae e Liagu, i due pargoli, obiettivamente dispersi in quel nuovo e ancor sconosciuto mondo. Ciò non di meno, per potersi considerare realmente utile a tal scopo, per potersi concedere una reale possibilità nel confronto con tale esigenza, con simile intento, ella avrebbe avuto a doversi riservare qualche ulteriore passaggio preventivo, volto a concederle il controllo, l’autonomia necessaria al fine di non tradire le aspettative dei suoi due protetti, finendo possibilmente per essere nuovamente e banalmente catturata così come già accaduto in passato.
Innanzitutto, pertanto, il primo impegno proprio della donna guerriero dovette essere quello atto a ristabilire la possibilità di gestire il proprio braccio destro, di controllarlo, di muoverlo così come, da troppo tempo a quella parte, le era stato negato. Un controllo, quello a lei allor necessario, non soltanto utile a garantirle una risorsa anziché un peso, qual quella protesi senza alcuna energia avrebbe avuto a doversi purtroppo considerare, ma anche, e ancor più, una risorsa squisitamente potente, e impiegabile tanto in azioni di difesa quanto e ancor più in azioni di offesa, così come, indubbiamente, le si sarebbero presentate innanzi ovunque ella fosse finita e, ancor più, ovunque ella sarebbe dovuta andare per raggiungere i due piccoli. E se obiettivamente ingombrante avrebbe avuto a doversi riconoscere quel braccio inanimato pendente dalla sua spalla destra, in una situazione di sconforto emotivo per quella reimposta menomazione a suo discapito, nonché decisamente più pesante rispetto all’armatura vuota animata dalla magia che, fino a un paio di anni prima, era stata soluzione antecedente a quella, accompagnandola per due decenni nelle avventure vissute entro i confini del proprio mondo; quella versione tecnologica di protesi, quell’alternativa per lei, addirittura, ottenuta senza il benché minimo sforzo o costo, avrebbe avuto a poter vantare una straordinaria comodità nelle proprie dinamiche di ricarica del nucleo all’idrargirio, conseguenti alla natura stessa dell’idrargirio, incredibile fonte di alimentazione per sostanzialmente qualunque macchinario, dai più semplici apparecchi di comunicazione sino, addirittura, alle navi spaziali, giacché, infatti, l’idrargirio avrebbe avuto a doversi riconoscere qual in grado di assorbire, sostanzialmente, qualunque fonte energetica, per la donna dagli occhi color ghiaccio e dai capelli color del fuoco, addirittura elementare sarebbe stato, allora, riuscire a riattivare il proprio arto, semplicemente raggiungendo una qualunque fonte di energia, come una banale centralina elettrica, e lì andando a schiantare, con indubbia mancanza di delicatezza, il proprio smorto arto meccanico. Così fu, e ancor prima di lasciare, effettivamente, l’edificio della casa d’aste, ella non mancò di farne saltare, involontariamente, l’impianto elettrico, nell’immergere, per l’appunto, il proprio braccio in metallo cromato all’interno del primo quadro che ebbe occasione di incontrare, imperturbabile a fronte dell’idea di pericolo allor rappresentata da quel gesto: come, infatti, in modi decisamente meno volontari e controllati, ella aveva già avuto occasione di verificare, l’isolamento del suo braccio metallico, in conseguenza al medesimo nucleo all’idrargirio, avrebbe avuto a doversi considerare pressoché assoluto, in termini tali da non permetterle, in alcun modo, di avere di che temere per la propria incolumità.
Riattivato il proprio arto, e decisamente più serena, a tal riguardo, nel merito dell’incombente avvenire, il secondo impegno al quale ella dovette necessariamente volgere la propria attenzione fu quello utile a mistificare la propria figura, la propria immagine, non tanto per un qualche senso di timore nei riguardi di quanti nemici avrebbe potuto altrimenti attrarre nel risultare facilmente identificabile qual valevole dieci miliardi di crediti, quanto e piuttosto nell’inevitabile ostacolo che tutto ciò avrebbe potuto comportare nella ricerca dei due bambini, ricerca che non avrebbe dovuto riservarsi imprevisti ulteriori rispetto a quelli che già, allo stato allor attuale delle cose, avrebbero avuto a dover essere lì riconosciuti qual propri. Per questa ragione, non appena uscita dall’edificio della casa d’aste, avvolta nel nero manto eletto a propria estemporanea cappa, l’urgenza più impellente sarebbe stata quella volta a cambiare i propri abiti e, soprattutto, a trovare il modo di celare, in qualche maniera, il proprio aspetto, altresì troppo facilmente distinguibile anche nella folla più caotica. Per sua fortuna, nello scoprirsi allora al centro di quanto avrebbe avuto a dover essere considerato un enorme mercato, e un mercato volto a un certo genere di clientela, risorse a tal riguardo non avrebbero avuto a dover essere lì elencate qual carenti. E dopo una rapida visita al primo negozio nel quale ella ebbe a inciampare, l’Ucciditrice di Dei ebbe a fuoriuscirne decisamente mutata nel proprio aspetto, in grazia non soltanto a nuovi abiti ma anche, e ancor più, all’ausilio di una lunga parrucca nera corvina, utile a donarle una chioma tanto elegante e femminile come mai, nel corso della propria vita, aveva avuto occasione di poter vantare, arrangiata in una lineare frangia alla medesima altezza delle sue sopracciglia, e in una lunga cascata atta a sfiorarne, persino, i glutei, dietro la sua schiena: al di sotto di quei capelli, i suoi occhi color ghiaccio si presentarono, in ciò, celati al di sotto di occhiali scuri, volti a minimizzare, contemporaneamente, l’attenzione tanto nel confronto con le sue iridi azzurre, quanto con la lunga cicatrice presente sul fronte mancino del suo viso, nel mentre in cui il resto del suo corpo ebbe a essere avvolto in abiti neri, di foggia egualmente tattica, non particolarmente dissimile da quelli da lei precedentemente indossati, e, tuttavia, allor accompagnati, oltre che da un giaccone utile a celarne le forme e, soprattutto, le braccia, la destra metallica, la sinistra interamente tatuata da motivi tribali in tonalità di blu, anche da una coppia di guanti di pelle egualmente scura, utile a ovviare qualunque occasione di sguardo indiscreto nei confronti della sua estremità cromata. Il tutto, allora, regolarmente pagato in grazia di un involontario finanziamento offertole da parte del defunto, o nuovamente presunto tale, Reel Bannihil, il cui cadavere ella non aveva mancato di frugare alla ricerca tanto di crediti, quanto, ovviamente, di qualunque ulteriore genere di risorse avrebbe potuto necessitare nella propria missione di salvataggio.
Nuovamente padrona del proprio arto, nonché in tal maniera completamente rivestita, al punto tale da poter essere considerata irriconoscibile persino innanzi all’eventuale sguardo dei propri compagni della Kasta Hamina, alla donna guerriero avrebbe avuto a mancare un ultimo, fondamentale dettaglio per potersi considerare pronta alla ricerca e al recupero dei due bambini: un dettaglio che, sin dall’inizio di quella vicenda, ella non aveva potuto vantare al proprio fianco, e che, in quel momento, in quel frangente, e, soprattutto, all’interno dell’ancor non conosciuto, ma già compreso nella propria natura e nelle proprie dinamiche, Mercato Sotterraneo, non sarebbe certamente mancato di poterle essere riconosciuto, se non nei termini per lei perfetti, certamente nelle forme e nelle dimensioni per lei più adatte, più prossime a potersi considerare effettivamente soddisfatta… una spada.
Dal momento in cui, infatti, la sua lama bastarda, storica compagna di due lunghi lustri di avventure, avrebbe avuto a doversi riconoscere qual purtroppo lontana da sé almeno quanto Be’Sihl, lasciata improvvisamente e inaspettatamente, insieme a lui, sulla Kasta Hamina; ella non avrebbe potuto ovviare ad abbisognare di un’arma sostitutiva per la medesima, e, possibilmente, una spada, laddove, se pur con le armi da fuoco aveva iniziato necessariamente a maturare una certa confidenza, la propria massima espressione guerriera avrebbe avuto a dover essere comunque riconosciuta qual legata alle armi bianche e, in particolare, alle spade, alleate costanti di tutta la propria lunga e avventurosa esistenza. Non un pugnale, non uno stiletto, non uno spadino, risorse sicuramente utili, e con le quali ella non avrebbe mancato, all’occorrenza, di destreggiarsi, quanto e propriamente una spada, una lunga lama a doppio filo, possibilmente a una mano e mezza, con la quale dare libero sfogo alla propria indole, alla propria natura più violenta e incontenibile, la stessa che, in quella casa d’aste, aveva finito per farla classificare al pari di un’arma di distruzione di massa.
Inoltratasi, pertanto, sempre più per le vie del Mercato Sotterraneo, alla vista del primo negozio d’armi ella non esitò a superarne l’ingresso, nella speranza di poter essere lì accontentata.

« Salve! » l’accolse una commessa, muovendosi sorridente verso di lei, per offrirle il proprio benvenuto « In cosa posso esserle utile…? »

venerdì 22 dicembre 2017

2407


Dopo le emozioni conseguenti alla vendita di un pezzo raro e pregiato qual Midda Namile Bontor, la giornata, all’interno della casa d’aste, aveva comunque continuato nel proprio consueto corso, proponendo altri pezzi non meno valevoli d’attenzione rispetto a lei, e, anzi, allor persino più litigati rispetto a quanto non avrebbero potuto essere altrimenti, nel confronto con l’evidenza di quanta insoddisfazione, necessariamente, avrebbe avuto a doversi considerare conseguenza di quella straordinaria trattativa chiusasi all’incommensurabile cifra di dieci miliardi di crediti.
Quasi, infatti, coloro insoddisfatti dall’esser rimasti privi della possibilità di vantare, fra i propri acquisti, una delle più importanti ricercate di quell’angolo di galassia, avessero a dover compensare tale senso di sconfitta, il clima di vivace trattativa non ebbe a doversi considerare esaurito a seguito della vendita della donna guerriero, quanto e piuttosto persino rinvigorito, nella volontà da parte di quegli agenti, di quegli intermediari, di potersi comunque accaparrare qualcosa di interessante per i propri rappresentati, pena, necessariamente, una spiacevole perdita nel proprio giro d’affari. Una situazione, quella così mantenutasi anche al termine della vendita di Midda Bontor, che non avrebbe potuto ovviare a compiacere, in primo luogo, i venditori di tali articoli, nonché, al loro fianco, anche gli stessi proprietari e gestori della casa d’aste, a rappresentanza dei quali, allora, il banditore, il quale non avrebbe potuto ovviare a una certa soddisfazione nel confronto con l’evidenza di quanto, a fine giornata, avrebbe potuto per lui essere riconosciuta la propria quota di partecipazione a tanto, importante guadagno.
Quanto, tuttavia, né gli acquirenti, né i venditori, né tantomeno il banditore, avrebbe potuto lì allora attendersi accadesse, sarebbe stata un’improvvisa, violenta esplosione di incontrollata furia animale provenire dal deposito delle vendite, una deflagrazione che ebbe a manifestarsi in una incontenibile carica di molte creature, provenienti dai più remoti angoli dell’universo e ben note per le proprie potenzialità, per la propria ferocia, sovente letale, per così come anche puntualmente promossa, ben pubblicizzata nel corso di precedenti trattative: merce ribelle che, per quanto, pocanzi, ordinatamente contesa fra gli astanti, nei loro riguardi incuriosita, quasi ingolosita, nel considerarne il valore commerciale ancor prima che nel riconoscerne l’incomparabile unicità individuale, che non fu altrettanto entusiasticamente accolta nel corso di quella rivolta, di quella ribellione, suscitando, anzi e al contrario, un moto di panico fra i presenti, fra i loro stessi acquirenti, tutt’altro che desiderosi, in tal senso, di ritrovarsi sgradevolmente esposti alla loro rabbia incontrollata, a quel chiaramente disperato tentativo di fuga da un destino di cattività al quale, a prescindere dalle loro rispettive capacità cognitive, alcuno fra loro avrebbe avuto piacere ad arrendersi.
A nulla valse, allora, l’invito alla calma promosso dal banditore, il quale, per primo, cercò di non palesare il proprio panico benché, alfine, non poté ovviare a dimostrare anche lui un comprensibile timore per la propria sopravvivenza, nel momento in cui ebbe a ritrovarsi posto a confronto con una bizzarra bestia simile a un grosso leone, non fosse stato per la presenza di due coppie di zampe posteriori, nonché per lunghi tentacoli circondanti le sue fauci comunque ornate da zanne. A nulla valsero, ancora, i tentativi di alcune guardie private, vigilanti dipendenti della medesima casa d’aste, per ripristinare la serenità, la pace in quella sala, i quali, sì, ebbero a schierarsi, immediatamente, a difesa di tutti i presenti, armati di cannoncini sonici, in grazia all’intervento dei quali poter fermare, poter stordire le creature lì coinvolte in quella folle rivolta, e che pur ben poco poterono, allora, nei confronti di un piccolo branco di rabbiosi rettili, creature dalle dimensioni modeste e che, tuttavia, nella propria foga, nella propria frenetica ricerca di salvezza, ebbero a riconoscere, forse istintivamente, quel gruppo qual un pericolo per il proprio domani e, in ciò, ebbero ad attaccarlo, ad aggredirlo, con la furia dei propri artigli, delle proprie bocche ornate di denti piccoli ma incredibilmente aguzzi, in grazia ai quali, allora, si riservarono il diritto di versare il primo sangue. A nulla valsero, infinite, le porte di sicurezza che ebbero a tentare di contenere, all’interno della sala, e, più in generale, di quell’edificio, quella carica furiosa dopo l’evacuazione della quasi totalità degli ospiti lì presenti, non laddove, contro di esse, andarono a riversare la propria ira di una coppia di bestie simili a enormi gorilla, con le braccia e parte del torso superiore rinforzati, corazzati, in maniera naturale, da una sorta di esoscheletro osseo, nel confronto con la solidità del quale, allora, non tanto le porte, quanto e ancor più i cardini delle stesse, ebbero a cedere, trascinandosi dietro anche parte delle pareti lì attorno, in un boato straordinario, volto, quasi, a rimarcare quanto orgogliosi avrebbero potuto aver a considerarsi i loro acquirenti, nell’essersi, effettivamente, accaparrati un maschio e una femmina di una specie straordinaria, dalla riproduzione dei quali avrebbero potuto riservarsi sicuramente grandi guadagni.
Così, in tanto disordine, in tal commistione di grida e ruggiti di ogni natura, nessuno ebbe possibilità di accorgersi, o anche soltanto tempo di ricordare, quanto, accanto a tante magnifiche creature, allora, un’altra, importante, figura non avrebbe avuto a dover essere obliata, non, soprattutto, laddove soltanto pochi minuti prima era stata al centro di tante attenzioni, di tanto interesse collettivo. Una creatura, una donna estremamente pericolosa, forse e ancor più di tutti gli altri mostri lì posti in libertà, che, in tutto ciò, in verità, avrebbe avuto a doversi riconoscere qual sola responsabile per i disordini lì in atto, pur, allora, non riservandosi alcuna occasione di prendere parte ai medesimi, nel preferire, piuttosto, approfittare di quell’obbligata distrazione da parte di tutti i presenti per proseguire in accordo ai propri piani, alla propria improvvisata, e non particolarmente originale ma non per questo infruttuosa, strategia, per poter evadere a sua volta dalla prigionia, dalla cattività impostale, procedendo per un altro verso, in un’altra direzione, e una direzione, allora, volta a permetterle, adeguatamente camuffata al di sotto del medesimo telo nero un tempo posto a celare la propria gabbia, e lì adibito a manto, di allontanarsi a sua volta da quella casa d’aste, abbandonando al proprio destino, al proprio fato, i propri ex-compagni di prigionia in tal maniera liberati, nell’avere altre creature, e nella fattispecie una coppia di frugoletti, ai quali rivolgere, altresì, il proprio interesse, le proprie attenzioni, e, soprattutto, i propri sforzi nella ricerca, nel rispetto tanto di una promessa, un giuramento con il quale ella si era legata a loro, quanto e ancor più nel rispetto del legame d’affetto con i quali, parimenti, essi si erano chiaramente legati a lei.
Meno di mezz’ora dopo la propria liberazione, quindi, non soltanto la Figlia di Marr’Mahew avrebbe avuto a doversi considerare libera di vagare per le vie del Mercato Sotterraneo ma, suo pari, se pur in direzioni diverse e sospinti da interessi diversi, anche tutte le altre creature che, come lei, erano già state vendute e che, come lei, avrebbero avuto allora occasione di ricercare il proprio destino, la propria autodeterminazione in sola conseguenza alle proprie azioni, e alla forza delle medesime. E nella casa d’aste dove tale indipendenza era stata loro pubblicamente negata, vedendoli ridotti a mera merce, tesori da vendere al miglior offerente, soltanto un cupo monito di morte e distruzione era rimasto a promemoria di quanto, in futuro, chiunque altro avrebbe avuto a dover riflettere molto attentamente prima di ritener di poter giuocare con il fuoco, e con il fuoco, lì, incarnato magnificamente nei corti capelli di quella donna dagli occhi color ghiaccio…
… un fuoco, il suo, la responsabilità della scintilla del quale, tuttavia, non avrebbe avuto a dover essere negata, nella memoria, a colui che già, per due volte, da lei era stato allor ucciso, dopo che, per due volte, parimenti, si era apparentemente impegnato a tentare di salvarle la vita. E se pur, dal proprio personale punto di vista, la donna guerriero non si sarebbe riservata particolare ragione di discriminazione nel confronto con quanto accaduto, ovviando a ritenersi particolarmente offesa, nel proprio intimo, per l’aiuto del quale, comunque, lì aveva avuto occasione di beneficiare e in assenza del quale, forse, sarebbe stata ancor non meno prigioniera rispetto a tutte le altre creature successivamente da lei stessa liberate; dal punto di vista di chi, per la seconda volta, si era ritrovato a essere ammazzato per sua mano, l’essere stato in tal modo escluso temporaneamente dai giochi avrebbe potuto essere considerato decisamente più spiacevole, scocciante quasi, nell’impegno che, allora, avrebbe nuovamente richiesto riuscire a porsi sulle tracce di lei.

« Questo… farà male. » sussurrò Reel Bannihil, ritrovando coscienza e volgendo lo sguardo al pugnale ancor profondamente conficcato sul lato sinistro del suo petto.

giovedì 21 dicembre 2017

2406


« Considerando che ti ho già ucciso una volta… prova a offrirmi una sola ragione per la quale, ora, non dovrei ucciderti nuovamente. In seduta stante. » dichiarò l’Ucciditrice di Dei, in un flebile sussurro, un ringhio quasi, a denti stretti, nei confronti del solo responsabile in grazia al quale, allora, ella e i bambini avrebbero avuto a doversi riconoscere in quella spiacevole situazione.
« Forse perché… ti ho appena liberata. » replicò egli, soffocato dalla morsa di lei, in sincera difficoltà a poter proferire verbo e, ciò non di meno, apparentemente sereno nel confronto con la prospettiva della nuova morte che ella avrebbe lì potuto imporgli, sereno, obiettivamente, come solo avrebbe potuto essere qualcuno che, con la morte, aveva già avuto occasione di scendere a patti, e di scendere a patti in maniera vantaggiosa per se stesso.
« Considerando che in quella gabbia ci sono finita per merito tuo… non riesco a giudicarla, propriamente, qual un’argomentazione a tuo vantaggio. » ebbe a evidenziare la donna guerriero, scuotendo appena il capo, in segno di diniego.
« … difficile negarlo… » ammise l’uomo, sempre più prossimo alla perdita dei sensi, in conseguenza della pressione da lei imposta sulla propria gola « … però… posso esserti utile… posso aiutarti. » tentò egualmente di obiettare, cercando di mantenere il controllo sulla situazione, per quanto, chiaramente, in quel momento, ad avere in mano le argomentazioni migliori, oltre al suo stesso collo e alla sua vita, fosse la sua ben poco amichevole interlocutrice.
« Ritenta… e sarai più fortunato. » gli suggerì ella, ancora esprimendo negazione con il movimento del proprio capo, forse e invero tutt’altro che desiderosa di trovare ragione utile a scagionarlo, a volerlo allora considerare dalla propria parte, non immotivata, dopotutto, in tal senso.
« … i bambini… posso… aiutarti a trovarli… »

Proposito lodevole, quello in tal maniera quasi rantolato da parte di Reel Bannihil, che, tuttavia, ebbe a riservarsi un madornale errore: quello atto a rievocare, nella mente della donna già tutt’altro che benevolmente predisposta nei suoi riguardi, quanto accaduto su Thermora, nelle eguali dinamiche che, in quella promessa, stavano venendo nuovamente a presentarsi da parte sua: il soccorso nel momento del bisogno, le minacce a suo discapito, la proposta di aiuto nel merito del recupero dei due pargoli e, alfine, il tradimento… e il tradimento facente proprio il peso, la responsabilità, la colpa della fine di molte, di troppe vite innocenti.
Un ciclo di eventi all’interno dei quali, forse ingenuamente, Midda si era riservata occasione di cooperare, svolgendo il proprio ruolo, e lasciandosi, in ciò, influenzare negativamente da quell’interlocutore, da quell’ipotetico alleato, forse persino potenziale amico, nei riguardi del quale non aveva potuto negarsi un certo debito di gratitudine, salvo, tuttavia, avere alfine a scoprire quanto, il suo supposto debito, altro non avesse a celare che un credito, e un credito incolmabile nei suoi confronti, qual quello derivante dal doppiogioco nel quale, egli, tanto abilmente, si era dilettato. Un ciclo di eventi all’interno dei quali, forse, la prima volta ella avrebbe potuto anche trovare ragione di giustificazione e di assoluzione morale per essersi lasciata coinvolgere, benché non avrebbe mai apprezzato l’idea di considerarsi vittima degli inganni di quell’individuo; ma che, una seconda ipotetica occasione, una nuova ripetizione, avrebbe allora avuto necessariamente a doversi intendere qual sgradevole espressione di una sua intima complicità, complicità della quale, ovviamente, non aveva alcuna intenzione di macchiarsi.
Per questa ragione, ricacciando ogni sentimento, ogni passione nel confronto con lui, e riabbracciando, altresì, il più fermo controllo emotivo, razionale, logico sul proprio operato; a mente lucida, con intento chiaro e risoluto, ella ebbe allora a premere maggiormente contro quel collo, non mollando la presa fino alla sua perdita di sensi. E, quando ogni muscolo di quell’uomo ebbe a cedere, a rilassarsi nell’incoscienza in cui, ella, in tal maniera, lo aveva precipitato, levandosi in piedi e osservandosi attorno, ancor prima di maturare qualunque genere di confidenza con il mondo a sé circostante, ella ebbe a ricercare il primo oggetto lì a disposizione riconducibile, anche fantasiosamente, al concetto di arma, vedendosi accontentata, nel proprio impegno, da un elegante pugnale, forse una qualche preziosa reliquia custodita non lontano dalla sua gabbia, del quale, senza esitazione, ella ebbe a impossessarsi soltanto per, poi, calarlo con precisione chirurgica in corrispondenza del cuore del suo presunto salvatore, estirpando, per la seconda volta, la vita dal suo corpo. Un omicidio a sangue freddo, il suo, una condanna a morte quietamente elaborata e ancor più serenamente condotta a compimento, che non ebbe a provocare in lei alcuna soddisfazione, alcun appagamento, alcun senso di gioia, nell’aversi allora a considerare, semplicemente, qual un atto dovuto, un gesto che non avrebbe potuto esimersi dal compiere e che, lì, venne condotto a compimento con la stessa indifferenza con la quale, ella, avrebbe potuto decidere di respirare.

« E, questa volta, fammi il favore di restare morto… » lo invitò, con tono tranquillo, risollevandosi dal cadavere della propria vittima per potersi, allora e finalmente, concentrare su quanto a sé circostante.

Osservando, ora con maggiore attenzione di dettaglio, la sala dove la sua gabbia era stata condotta, Midda Bontor poté rendersi conto di non aver errato nella propria valutazione, nella propria ipotesi volta a considerarsi in una sorta di deposito temporaneo dedicato all’attesa del ritiro per la merce acquistata. Attorno a sé, infatti, ella poté scorgere dozzine e dozzine di oggetti della più disparata forma e natura, nonché, in maniera non propriamente piacevole, altre gabbie suo pari, egualmente coperte da teli scuri, a celare quelle che, allora, avrebbero avuto a doversi considerare altre creature, umane o non, lì poste all’asta e, ipoteticamente, già vendute, in attesa dei propri compratori.
Non potendo, in tal situazione, escludere che fra quelle gabbie potesse esservi anche quella contenente i propri protetti, la donna guerriero, ancor prima di riservarsi ulteriori premure, volle votare in favore di una rapida verifica di tal sospetto, muovendosi, con discrezione, all’interno di quello spazio e andando a scostare, di volta in volta, i teli neri in misura sufficiente a verificarne il contenuto, prima di passare al successivo. Con delusione, e al contempo anche soddisfazione, ella, al termine di quel giro, ebbe a verificare quanto in alcuna di quelle gabbie fossero presenti Tagae e Liagu, segno che, ovunque fossero finiti, non sarebbero stati, per lei, preoccupazione immediata nel trovare occasione di ambientarsi in quel luogo, di recuperare il controllo sul proprio braccio destro, di riarmarsi e di mettere a ferro e fuoco quell’intero pianeta, fosse stato necessario, per ricongiungersi a loro: all’interno delle gabbie, infatti, ella ebbe a trovare, di volta in volta, solo creature di varie forme, di varie dimensioni, e di varia aggressività, alcune sostanzialmente libere di muoversi, altre incatenate in misura non inferiore alla sua, e pur alcuna apparentemente in grado di esprimere frasi di senso compiuto intelligibili al proprio traduttore, motivo per il quale, senza riservarsi particolare ragione di preoccupazione, ebbe a poter classificare tutti loro quali semplici bestie, bestie che, evidentemente braccate in maniera illegale e, in questo, caratterizzate da un certo valore, sarebbero andate ad ampliare le collezioni personali di qualche ricco  signore annoiato, non diversamente dal destino forse anche a lei promesso.
Una comunione di possibili sorti, la loro, che avrebbe avuto a dover impietosire l’animo dell’ex-mercenaria e che, pur, non ebbe successo a tal riguardo nell’assenza di ipocrisia da parte sua, laddove anch’ella, in passato, aveva dato la caccia, e ucciso, praticamente ogni varietà di creatura mitologica del proprio mondo, per la soddisfazione dei propri mecenati; ragione per la quale, allora, decisamente inopportuno sarebbe stato, da parte sua, elevare un qualunque genere di scandalo alla prospettiva lì loro destinata. Una comunione di possibili sorti, tuttavia, l’ovviare alla quale, forse, avrebbe potuto allor rappresentare anche per lei un vantaggio, e un vantaggio strategico nel riuscire a evadere da quel luogo, qualunque esso fosse, ovunque esso fosse, nel rendere dell’unione di così tanti, potenzialmente pericolosi, mostri suo pari, la propria forza.