11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

sabato 11 marzo 2017

RM 069


Carsa Anloch.

Nata con il nome di Ah’Reshia Ul-Geheran, ella avrebbe probabilmente potuto essere considerata qual il classico stereotipo della principessa ribelle, benché, per carattere, ella non avrebbe mai tollerato l’idea di poter essere definita all’interno di uno stereotipo e, pertanto, si sarebbe ineluttabilmente opposta fermamente a chiunque, in tal direzione, avesse cercato di racchiuderla.
Figlia di una delle più antiche e nobili famiglie del meta-regno del sistema Vornilo, a una prima, superficiale, presentazione sarebbe apparsa, probabilmente, necessariamente antipatica, nel confronto con l’evidenza di quanta benedizione gli dei l’avessero resa destinataria. Non soltanto, infatti, ella avrebbe avuto a dover essere riconosciuta qual oscenamente ricca, con un patrimonio di famiglia tale da poterle permettere di possedere, tranquillamente, l’intero sistema solare nel quale Brote e Midda avevano deciso di andare a vivere, ma, ancor più, ella avrebbe avuto a dover essere obiettivamente ammirata qual straordinariamente bella, una donna di rara eleganza e fascino tale per cui, l’unica speranza per un eventuale detrattore, sarebbe dovuta restare confinata all’aspetto intellettuale o caratteriale, nel volersi illudere, quantomeno, potesse risultare pressoché un’idiota o, quantomeno, la persona peggiore di tutto il Creato. Tuttavia, anche in tal senso, gli dei non si erano risparmiati, ed ella avrebbe avuto a dover essere obiettivamente apprezzata tanto bella esteriormente, quanto ancor più interiormente.
Figura slanciata, corpo atletico, sì, e pur anche squisitamente sinuoso, ella faceva sfoggio di un’esotica carnagione color della terra, che, a dispetto dei suoi trentacinque anni, avrebbe fatto invidia a un’adolescente nel fiore della propria giovinezza, per quanto piacevolmente liscia e naturalmente vellutata al tatto. Il suo viso, ovale, leggermente allungato, era adornato da un sottile ed elegante naso aggraziato, morbide labbra color del sangue e grandi occhi castani, qual castani, anche, erano i lunghi capelli posti a incorniciare tale straordinario capolavoro, lunghi, lunghissimi, e raccolti in un’alta coda dietro la nuca. Più in basso i suoi seni, modesti nelle proporzioni e pur squisitamente alti e sodi, e i fianchi, ampli al di sotto di una stretta vita, completavano un quadro d’insieme che né uomo, né donna, né umano, né chimera, avrebbero avuto onestamente coraggio di criticare. E se, con un corpo siffatto, e con un retaggio pari a quello della casata degli Ul-Geheran, ella avrebbe potuto quietamente vivere la propria esistenza come all’interno di una fiaba, limitandosi alla mera ricerca del proprio principe azzurro, per lei non vi era mai stato il benché minimo interesse in tal senso, come in maniera estremamente esplicita avrebbe avuto a dover essere considerata anche l’evidenza del suo cambio di nome, in quello altresì insignificante di Carsa Anloch.
Proprio in tali termini, ella si era presentata a Midda Bontor al loro primo incontro, il giorno in cui, fuggita di casa già da qualche anno, era stata finalmente in grado di incrociare il proprio cammino con colei che, quand’ancora giovinetta, le aveva offerto proprio la giusta ispirazione in tal senso, con le cronache delle proprie gesta, con le leggende che, già, iniziavano a sorgere attorno al nome di Guerra. E quand’anche, dopo qualche tempo, il passato era tornato a bussare alla sua porta, nel richiederle che ella cessasse quell’assurda messinscena di cui si era resa protagonista per ritornare al proprio mondo, alla propria vita, Carsa era rimasta fedele al proprio nome, e alla propria nuova identità, preferendo continuare a combattere fianco a fianco della propria eroina, nel frattempo divenuta amica, compagna d’arme, complice, anche ove, tutto questo, avrebbe potuto costarle la vita, se solo fosse stato compiuto un solo, fatale, passo falso. A Midda, dal canto proprio, le origini di Carsa non erano mai interessate e che ella avesse a doversi chiamare in tal maniera, piuttosto che in qualunque altro modo, le sarebbe interessato ancor meno: quanto ella concepiva chiaramente, al di là di futili nomi o titoli altisonanti, era quanto quella donna fosse una straordinaria combattente, un’incredibile guerriera e, soprattutto, una fedele sorella, che mai le aveva offerto ragione di rimprovero e di fronte alla quale, anzi, avrebbe avuto a doversi considerare debitrice della propria stessa vita un paio di volte di troppo.

Carsa Anloch fu la prima, della loro antica compagnia, che ella ebbe a ricercare, aiutata anche dal sapere perfettamente dove trovarla, dove raggiungerla, nel non aver mai perduto i contatti con lei, malgrado fossero trascorsi ben dieci anni dal loro ultimo incontro.
Quando Brote e Midda si erano ritirati dagli affari, Carsa e gli altri membri della loro squadra avevano continuato insieme ancora per pochi anni, scegliendo, alfine, di proseguire secondo percorsi separati le proprie esistenze: non per rancori insorti, non per problematiche impreviste, quanto, e semplicemente, nella mera consapevolezza di quanto, tutti loro, fossero divenuti una famiglia riunendosi attorno alla figura di Guerra e, in ciò, senza di lei, avessero perduto il proprio cuore pulsante, la propria stessa ragion d’essere in quanto gruppo. Successivamente alla diaspora, ella era tuttavia rimasta in attività come soldato di ventura, volgendo la propria attenzione, principalmente, a incarichi particolarmente delicati, volti all’infiltrazione e allo spionaggio, sovente operando sotto mentite spoglie, sfruttando una propria innata e straordinaria capacità in tal senso, la stessa che, in primo luogo, le era stata anche utile nel momento in cui, da erede della casata degli Ul-Geheran, ella era riuscita a unirsi alla leggendaria Guerra e al suo gruppo di guerrieri senza patria e senza bandiera facendosi passare per una ragazza comune.
Al di là di tutto ciò, e di quanto, in un simile stile di vita tutt’altro che ben disposto nei confronti del concetto di una fissa dimora o, ancora, un recapito affidabile, Carsa, in tutti quegli anni, non aveva mai iniziato una sola missione senza prima non prendere contatto con la propria vecchia amica e compagna d’arme, informandola sempre con attenzione al dettaglio nel merito dei propri spostamenti e, soprattutto, nel merito delle nuove identità che sarebbe andata ad assumere, nel volersi paradossalmente dimostrare comunque sempre disponibile per lei, sempre pronta a rispondere a una sua chiamata nel momento in cui questa fosse occorsa. Così, senza la benché minima esitazione, a bordo della propria nave, ribattezzata Kriarya, in onore al sistema di origine del proprio defunto sposo, Guerra fece rotta in direzione del terzo pianeta del sistema Jishlani, là dove Carsa si era infiltrata, nelle vesti di una prostituta di alto borgo, all’interno della villa-roccaforte di uno dei più potenti schiavisti di quell’angolo di universo, dietro incarico di un gruppo d’insurrezione che le aveva richiesto di poter raccogliere quante più informazioni possibili in merito a tutta la complessa organizzazione da lì comandata.
In nulla intimorita, o posta in soggezione, dall’idea di atterrare nel cortile di casa di un simile personaggio, Midda Bontor ebbe a parcheggiare la propria scialuppa proprio innanzi alla porta d’ingresso della fortezza, là dove, meno di dieci minuti più tardi, ebbe a sopraggiungere Carsa Anloch, abbondantemente grondante sangue… tutto non suo.

« Perdonami per l’attesa… » esordì, dirigendosi di gran carriera verso di lei, desiderosa di riabbracciarla e di baciarla, oltremodo felice di poterla ritrovare dopo tanto tempo « … non appena ti ho riconosciuta uscire da quella navetta, mi sono premurata di eliminare tutta la combriccola, affinché non potessero disturbarci. »
« Perdona tu la mia irruenza, Carsa. » la accolse Guerra, abbracciandola senza dimostrare il benché minimo fastidio per il sangue di cui ella era ricoperta da capo a piedi che, in tal modo, ebbe a trasferirsi anche su di lei « Ma ho bisogno di te… e di tutti gli altri. »
« Non mi chiedere scusa… » scosse il capo la prima, con un amplio sorriso a minimizzare l’impatto potenzialmente negativo del suo arrivo « Ormai la mia missione era praticamente finita e, francamente, era da già troppo tempo che desideravo fare a pezzi quei maledetti mercanti di chimere. » sottolineò, ponendo un necessario accento di enfasi sulla questione con un movimento verticale delle spalle « E, per te, lo sai, ci sarei stata comunque e a prescindere. » puntualizzò, sincera come sempre era stata con lei, nella sola eccezione, trascurabile, relativa alla propria reale identità.
« Allora andiamo. » la invitò l’altra, volgendosi in direzione della scialuppa, non avendo ragione di attendere altro tempo prima di proseguire « Ti aggiornerò su tutto il resto quando saremo in viaggio… »

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