11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

mercoledì 29 marzo 2017

RM 087


Nel mentre in cui Desmair, a bordo della Jol’Ange, stava allor cercando occasione di sfogo nell’intrattenersi con Nissa, poco distante, a bordo della Kriarya, la situazione non avrebbe potuto essere riconosciuta qual particolarmente più serena.
In accordo, infatti, con l’analisi compiuta dal flegetauno, Howe e Be’Wahr, ma anche la stessa Guerra, avrebbero avuto a doversi considerare particolarmente insofferenti a quel momento di attesa, alla pazienza loro richiesta nel confronto con la missione a scopo di ricognizione che stava allor venendo condotta da Lys’sh e Carsa e, per quanto, a differenza di Desmair, stessero impegnandosi a non darlo troppo a vedere, la tensione lì presente, e con la quale soltanto Ma’Vret e Heska restavano, proprio malgrado, a confrontarsi qual fronte più razionale, più controllato, complice sicuramente il proprio spirito genitoriale. E se, per ingannare il tempo, sulla Jol’Ange era stata scelta la soluzione del solitario, almeno per quanto concernente Desmair, sulla Kriarya, Midda, Heska e Howe avevano deciso di dilettarsi in un grande classico del loro comune passato, con il quale, molti momenti di attesa, erano stati piacevolmente colmati: il chaturaji, o gioco dei quattro re.

« So di fornire a qualcuno dei presenti un’ottima occasione per beffeggiarmi… » premesse Be’Wahr, implicando, in maniera tutt’altro che velata, il coinvolgimento in tal senso del fratello di una vita intera, laddove, avendone l’occasione, Howe non si sarebbe certamente tirato indietro all’idea di deriderlo « Tuttavia… mi sto annoiando. »
« Potresti unirti a noi… abbiamo ancora un posto libero. » osservò Heska, sorridendo con dolcezza verso il compagno di squadra, con una premura innanzi alla quale i cuori di molti uomini si sarebbero inevitabilmente sciolti, nell’amore più puro che ella sapeva ispirare.
« Se il tuo cervello fosse in grado di rammentare la dozzina di regole alla base del chaturaji, potresti unirti a noi… » si affrettò a puntualizzare Howe, non desiderando, come previsto, rinunciare a quell’occasione, troppo propizia per poter essere ignorata, soprattutto in un contesto fin troppo tranquillo qual quello che era stato loro lì forzatamente imposto « … purtroppo sappiamo bene che Lohr non è stato particolarmente clemente nei tuoi riguardi, al momento di dispensare l’intelletto. »

Gioco estremamente antico, il chaturaji era stato concepito fino a un massimo di quattro giocatori, in uno squisito miscuglio di abilità strategica e intervento del fato, riuscendo in tal maniera a rappresentare in termini estremamente realistici la complessità di una battaglia: una battaglia nel corso della quale le sorti del conflitto stesso non avrebbero avuto a poter essere definite fino a quando ancora un pezzo fosse rimasto sulla scacchiera, fosse questo anche l’ultimo dei pedoni; e, parimenti, l’esito finale della quale non avrebbe avuto a poter essere considerato qual mera espressione della preparazione strategica di un fronte, giacché, anche la più straordinaria mente tattica avrebbe potuto essere facilmente sconfitta per un drammatico tiro di dado, volto a costringerlo a muovere l’unico pezzo che mai, in quel frangente, avrebbe voluto spostare.
Era stata Midda, diversi cicli prima, a introdurre la pratica del chaturaji come occasione di disimpegno mentale, di svago, nei momenti di necessaria pausa nel corso di una guerra, fra una battaglia e l’altra. Era un gioco che, sia lei, sia Nissa, avevano sempre adorato, fin da bambine, ed era un gioco che, proprio in conseguenza della straordinaria peculiarità delle proprie regole, avrebbe avuto a dover essere considerato estremamente propedeutico per ricordare a tutti i membri della loro squadra, della loro famiglia d’arme, quanto umile avrebbe avuto a dover essere sempre l’approccio di chiunque nei confronti della guerra, giacché, in guerra, il più potente dei sovrani e l’ultimo degli scudieri avrebbero potuto contribuire nell’identico modo, tanto al risultato migliore, quanto a quello più devastante. E, non a caso, il tiro di dado volto a imporre il movimento del re o del pedone avrebbero avuto a doversi considerare equivalenti all’interno delle regole del chaturaji.

« … questa te la sei cercata… » commentò Ma’Vret verso Be’Wahr, scuotendo il capo nel confronto con la nota sollevata da Howe, preventivamente divertito all’idea dell’ineluttabile discussione che, allora, sarebbe scaturita fra i due.
« Non è che non sia in grado di ricordare le regole del gioco! » protestò il biondo, scuotendo il capo, contrariato alla provocazione da parte del fratello « E’ che non capisco come possa… »
« La chiave di lettura è nel verbo da te utilizzato… capire. » incalzò Howe, non tradendo le aspettative di tutti nel non concedere all’altro neppure il tempo di terminare la frase per imporgli un altro affondo « Non desidero apparire crudele nei tuoi confronti, ma devo dirtelo: capire è qualcosa che, da sempre, va ben oltre le tue più rosee speranze. »
« Spiritoso… » commentò, per poi cercare di ignorarlo e riprendere la frase interrotta « Dicevo che non riesco a capire come possa, questo gioco, essere considerabile pari alla simulazione di una battaglia. » riuscì a terminare la frase, storcendo appena le labbra verso il basso « Non nego che possa essere appassionante… ma da questo, a considerarlo un gioco di guerra, sinceramente ne passa, dal mio personalissimo punto di vista. »
« Già… » annuì l’altro, dimostrandosi assolutamente serio nell’accogliere l’argomentazione in tal maniera prodotta dal fratello « Dopotutto di tratta addirittura di riuscire ad astrarre la realtà… cioè… lo comprendo… non è che si possa pretendere molto dalla tua fragile mente. »

Osservando la scena dall’esterno, seguendo quello scambio di battute neppur così innocenti o innocue, chiunque avrebbe potuto attendersi che, da un momento all’altro, il biondo potesse scattare in avanti, per reagire con violenza fisica alla violenza verbale della quale si stava ponendo chiaramente vittima. Ciò non di meno, ciò non accadde. Perché, osservando la scena dall’interno, seguendo quello scambio di battute con gli occhi dei loro fratelli e sorelle d’arme, di coloro che per tanti anni avevano vissuto e combattuto fianco a fianco con quella coppia nei più diversi angoli dell’universo conosciuto, sarebbe stato altresì evidente come, in fondo, Howe e Be’Wahr stessero conducendo un loro personalissimo gioco. Una partita, quella in corso, con regole non codificate, e lunga quanto una vita intera, nel corso della quale avrebbero potuto anche insultarsi reciprocamente in modi più o meno aggressivi, avrebbero potuto anche stuzzicarsi verbalmente a volte con originalità, a volte senza eccessivi sforzi in tal senso, e pur, parimenti, senza mai realmente mancarsi di rispetto, nell’esistenza, fra loro, di un rapporto trascendente qualunque possibile ingiuria, in un legame persino più forte di quello derivante dal sangue, e tale da non permettere a nessuno dei due di concepire la propria vita senza quell’amico, quel fratello di sempre.
Così non Midda, non Heska, non Ma’Vret, ebbero a preoccuparsi per quella discussione, per quell’ennesimo litigio fra i due, nella ferma consapevolezza di quanto, all’atto pratico, altro non avesse a doversi che interpretare qual il tentativo di Be’Wahr di contrastare la noia pocanzi denunciata.

« Sei consapevole, vero, che se la mia mente fosse stata così fragile, a questo punto ti avrei probabilmente già fatto a pezzi, non avendo possibilità di sopportare tanta ostilità da parte tua…? » questionò il biondo Be’Wahr, aggrottando la fronte e incrociando le braccia sotto il petto, a enfatizzare, in tal modo, la propria già voluminosa presenza, nel tentativo di incutere timore all’interlocutore.
« Ostilità…?! » ripeté Howe, con forzata sorpresa nella propria voce, colto apparentemente in contropiede da quell’ultima affermazione, se pur per ragioni diverse da quelle che avrebbero potuto essere facilmente fraintese « E questa cosa dovrebbe essere…? La tua nuova parola del giorno?! » esplicitò, nell’escludere, in tal maniera, che il fratello avrebbe avuto altresì realmente la possibilità di conoscere tale significante e il suo significato.

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