11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

domenica 30 aprile 2017

RM 119


« E ora, bando a ulteriori indugi, permettetemi di presentarvi i nostri ospiti… » proclamò il conduttore di quell’assurdo spettacolo, quella sorta di tributo alla guerra e alla morte attraverso il quale egli desiderava non soltanto ottenere vendetta, ma, anche, riscrivere la Storia, per così come aveva fin da subito proclamato, nel mentre in cui l’inquadratura continuò ad ampliarsi, andando a includere sempre più elementi del paesaggio attorno a lui, una vera e propria foresta, e non una foresta qualsiasi, ma una foresta all’interno di un’enorme cupola, probabilmente un’oasi volta a terraformare un qualche pianeta o un satellite privo di atmosfera che egli, in tal maniera, aveva tramutato nella propria arena personale « In ordine sparso… Har-Lys’sha, mezzosangue ofidiana. »

In contemporanea all’annuncio di Kah, il piccolo riquadro comprendete Lys’sh si estese a includere l’intero schermo e, un attimo dopo, una porta ebbe ad aprirsi alle spalle della giovane così, ora, protagonista della scena, la quale, dopo un attimo di esitazione, nell’alternare lo sguardo fra il proprio schermo, e di conseguenza la telecamera che la stava inquadrando, e la soglia dischiusa alle proprie spalle, decise di dirigersi in direzione della stessa, muovendosi con la propria consueta e innata grazia. E a dimostrare quanto ella si fosse preparata seriamente per la prova che lì l’avrebbe attesa, che avrebbe atteso tutti loro, Desmair, osservando attentamente il proprio schermo, ebbe a cogliere l’assenza di calzature ai suoi piedi, laddove, soltanto in tal modo, soltanto nel non fasciarsi le estremità inferiori all’interno di pesanti scarponi, ella avrebbe potuto assicurarsi non soltanto una maggiore velocità di movimento ma, ancor più, la possibilità di muoversi nel silenzio più assoluto, secondo quella caratteristica sovrumana per lei derivante dal proprio sangue ofidiano.
L’inquadratura, fissa nella posizione originale all’interno della cella, ebbe a seguire la sensuale sagoma della donna, tale anche laddove vestita in abiti militari, fino al momento in cui ella raggiunse l’uscita della cella dischiusasi sul fronte opposto della stanza: solo in quel momento, con un rapido cambio di scena, chiunque fosse alla regia di quell’evento, ebbe a mostrare nuovamente il volto di Lys’sh in primo piano e, da lì, ad ampliare l’inquadratura sempre più, fino a dimostrarla a un’estremità dell’oasi, immersa nel verde della foresta lì abilmente coltivata. E non appena ella ebbe a superare la porta, questa ebbe a richiudersi alle sue spalle, sigillandola all’interno di quel nuovo, incredibilmente vasto, ambiente, che qualcuno avrebbe potuto egualmente considerare una prigione, e che pur, in quel frangente, avrebbe chiaramente presto assunto la connotazione di un campo di battaglia.

« … Howe Ahlk-Ma, umano. » proclamò la voce di Kah.

Un’identica sequenza, un’eguale scelta registica, vide il ruolo di protagonista della scena passare da Lys’sh a Howe e, in ciò, l’intera sequenza riproporsi, con una porta dischiusa alle spalle dell’uomo, la camminata verso tale soglia e l’arrivo all’interno della foresta, in un punto, chiaramente, diverso da quello nel quale aveva avuto possibilità di entrare la propria compagna.

« … Be'Wahr Udonn, umano. » continuò, accompagnando l’ingresso in scena del biondo « … Heska Narzoi, umana. » proseguì, man mano che i propri antagonisti, i propri prigionieri, accettavano di entrare all’interno dell’arena, nel proprio ruolo di moderni gladiatori « … Ma’Vret Ilom’An, che qualcuno potrebbe anche conoscere con l’antico nome di Ebano, umano. »

A ogni nuovo nome una nuova inquadratura, una nuova porta, un nuovo ingresso in scena, presentato innanzi agli occhi di Desmair, il quale, da un lato con timore, dall’altro con impazienza, non avrebbe potuto ovviare ad attendere di sentir pronunciato il proprio nome: timore per l’umiliazione a cui, suo padre, in tal modo non avrebbe ovviato a sottoporlo, e a sottoporlo davanti agli sguardi di chissà quanti spettatori sparsi nell’universo, là dove, molto probabilmente, quell’evento non stava venendo mantenuto privato o, comunque, ristretto a un’attentamente valutata cerchia di eletti; impazienza per la volontà, in un modo o nell’altro, di riuscire ad arrivare a chiudere tutto quello, che ciò fosse occorso con la propria vittoria o con la propria disfatta, con la propria morte, sinceramente avrebbe avuto a doversi giudicare quasi indifferente, giacché, dopo tutto quello che era accaduto, dopo la mutilazione che aveva dovuto subire, prima, e la ricomparsa in scena dell’odiata figura genitoriale, francamente avrebbe potuto accettare anche l’idea di morire in quella battaglia, in quello scontro, se solo ciò, quantomeno, avesse rappresentato anche la fine, e questa volta in maniera definitiva, di Kah.
In tale stato d’animo, Desmair seguì, dopo Ma’Vret, l’ingresso di tutti i propri compagni, i nomi dei quali, puntualmente, vennero scanditi dalla voce del padre, accompagnati, puntualmente, dal dettaglio della propria specie di appartenenza: « … Salge Tresand, umano. », « … Duva Nebiria, umana. », « … Carsa Anloch, nata come Ah’Reshia Ul-Geheran, umana. » e, ancora, « … Ja’Nihr Noam’Il, umana, la mia traditrice!  » non mancò di puntualizzare.

E quando, alfine, solo il nome suo e quello di Guerra mancavano all’appello, Desmair non perse tempo e, mentre ancora sullo schermo stava venendo seguito l’ingresso in scena di Ja’Nihr, egli iniziò ad avanzare nella direzione opposta a quella sulla quale le immagini stavano venendo mostrate, nell’intuire, ormai con assoluta certezza, dove avrebbe avuto ad aprirsi la sua vita di accesso all’oasi, non desiderando concedere, al padre, più soddisfazione di quanta già non gliene avrebbe sicuramente garantita nelle inquadrature successive, le stesse attraverso le quali la sua condizione sarebbe stata esposta al pubblico ludibrio.

« … Desmair, mezzosangue flegetauno, il mio erede reietto. » annunciò la voce di Kah, nel mentre in cui, come previsto, la porta ebbe ad aprirsi e al colosso dalla pelle simile a cuoio rosso venne concessa occasione di avanzare a sua volta nell’arena.

Così egli, indossando, della divisa fornitagli, soltanto i pantaloni, stretti in vita dalla nera cintola, ebbe a entrare a testa alta, decidendo, malgrado tutto, di non volersi dimostrare piegato, di non volersi dimostrare spezzato, e, anzi, di voler dar riprovare di quanto, il suo spirito indomito, fosse nonostante tutto ancor presente a infuocare le sue membra. E, obiettivamente, malgrado le corna che, un tempo, gli avevano adornato il capo, completando con la propria possanza, un’immagine straordinaria e quasi iconografica, non fossero lì più presenti; l’incredibile mole del flegetauno, la straordinaria massa dei suoi muscoli, difficilmente avrebbero permesso a un qualunque antagonista, o, più banalmente, a un qualunque spettatore, di considerarlo meno pericolo, una minaccia meno terribile rispetto al passato, apparendo, forse, meno inquietante, ma non per questo meno imponente.

« Forse oggi morirò, padre! » ruggì, sulla soglia della propria cella, sperando che le sue parole potessero essere udite da chiunque fosse allora testimone del quegli eventi « Ma, te lo giuro, tu morirai con me! »
« Non essere sciocco, figlio mio… » rispose l’altro, sorridendo, e dimostrando di aver ben udito quella minaccia, per quanto, chiaramente, altrove, in lontananza rispetto a lui « … un dio non può morire. » sottolineò, a ribadire la propria nuova condizione.

Poi, dopo un attimo di silenzio, volto a permettere a quel momento topico di non essere in alcun modo inquinato dall’irruenza dimostrata da Desmair, il padrone di casa ebbe a riprendere e concludere la propria presentazione, con l’unica protagonista ancora non schierata all’interno di quell’arena…

sabato 29 aprile 2017

RM 118


E se, Ja’Nihr e Carsa, innanzitutto, ma anche Desmair, in secondo luogo, e altri ancora, ebbero a maturare dubbi, sospetti, nel merito dell’incoerenza del premuroso trattamento loro riservato, in quella prigionia che non avrebbe potuto ovviare a essere definita a dir poco luculliana; quanto, alfine, fu loro presentato dal loro carceriere e anfitrione, ebbe a dimostrarsi, sotto diversi aspetti, ancor più folle… per quanto, paradossalmente, sensato. Quando, infatti, tutti loro ebbero avuto la possibilità di riprendersi, di riposarsi, di rigenerarsi da quanto precedentemente subito, la quiete lì loro garantita ebbe a cedere il passo alla tempesta. E la tempesta ebbe a palesarsi nei termini dell’ultima cosa che mai, chiunque fra loro, avrebbe potuto attendersi e attendersi, in particolare, da parte di Kah.
A porli in guardia su quanto, quel giorno, sarebbe accaduto qualcosa di nuovo, fu constatare come, insieme ai pasti, venne offerto loro un nuovo gruppo di abiti e relativi accessori, questa volta di foggia squisitamente militare, con tessuti mimetici non dissimili da quelli che, in un tempo lontano, avevano avuto anche loro più volte occasione di indossare e che pur, da lungo tempo, nessuno aveva più adottato nel proprio vestiario quotidiano. Accanto a vestiti, scarponi, cinture, guanti e, manco a dirlo, un buon assortimento di base, comprendente una torcia, una corda, un coltello, una borraccia, il necessario per il primo soccorso e delle razioni di emergenza, quanto più ebbe a spingerli a riflettere su ciò che avrebbe potuto attenderli, fu la presenza, per ognuno, di una coppia di piastrine militari di riconoscimento, nel classico formato metallico, una delle quali sarebbe stata ricondotta a chi di dovere nel caso in cui qualcuno fra loro fosse caduto in battaglia, e l’altra destinata, nella medesima eventualità, a essere lasciata al collo del deceduto o, eventualmente, a essere violentemente incastrata perpendicolarmente fra gli incisivi, serrata mandibola e mascella, allo scopo di permetterne, successivamente, l’identificazione. Inequivocabile sarebbe quindi stato l’esplicito messaggio da riconoscere associato a tutto ciò: che potesse piacere loro o meno, di lì a breve si sarebbero trovato in guerra.
Midda, osservando così le piastrine sulle quali appariva inciso il suo nome, il suo secondo nome, e il suo cognome, ebbe a domandarsi, nel profondo del proprio cuore, se quanto sino a quel momento compiuto avrebbe avuto a doversi riconoscere qual corretto, nelle scelte che ella aveva preso, in quelle dinamiche delle quali aveva potuto essere effettivamente padrona, e che, in fondo, proprio a quella battaglia l’avevano condotta, insieme ai propri antici compagni, in una sorte, a loro destinata, che avrebbe potuto dimostrarsi, alfine, tragica, e tragica per tutti loro. Quante famiglie, alla fine di quella giornata, avrebbero dovuto affrontare l’orrore di un lutto? Quante vite si sarebbero spiacevolmente infrante fra le fila di coloro i quali pur avevano accettato di seguirla, e di seguirla in maniera arbitraria, nell’inconsapevolezza più totale nel merito della natura del mostro contro il quale sarebbero andati a schierarsi? Di quanti compagni avrebbe avuto a dover raccogliere quelle piastrine identificative, per riconsegnarle, qual tragico messaggio, ai loro cari, ai loro coniugi, ai loro figli?

« … Thyres… » sussurrò, in quello che, più che il semplice nome della propria dea prediletta, parve comprendere un’intera preghiera, una richiesta di comprensione, forse e persino di pietà, non tanto per se stessa, quanto e più per coloro che non avevano esitato ad accorrere al suo richiamo, e che, forse, presto si sarebbero votati a un estremo sacrificio solo per lei.

Spogliandosi, così, delle proprie vesti, Midda Namile Bontor ebbe a prepararsi al conflitto finale, indossando per prime proprio quelle medagliette, pregando, nel contempo di ciò, che se qualcuna fra esse avrebbe avuto a dover essere staccata da un corpo morto, tale corpo potesse essere il suo, giacché ella, fra tutti, avrebbe avuto a poter essere riconosciuta qual colei che meno questioni in sospeso avrebbe avuto a poter vantare, laddove, sebbene in maniera forse non propriamente ortodossa, anche il salvataggio dei propri figli, in verità, avrebbe avuto a dover essere considerato qual un capitolo chiuso. Al di sopra delle due piastrine, poi, ella indossò una canottiera nera, calzettoni pesanti di egual colore, pantaloni in tessuto mimetico sostenuti da una robusta cintola ancor nera, e una giacca della stessa stoffa e dello stesso tema già proprio dei pantaloni, che ella chiuse in vita e arrotolò lungo le maniche, nel non apprezzare sentirsi gli avambracci coperti. Alle mani indossò, più per abitudine che per necessità, dei guanti privi di dita, mentre ai piedi, poi, ebbe ad allacciare una coppia di pesanti scarponi neri, saldamente legati per una spanna al di sopra delle caviglie, e alla vita ebbe a legare un’imbracatura utile laddove si fosse dimostrata necessario l’uso della corda, per arrampicarsi o per calarsi da qualche parte. Fatta eccezione per il pugnale, che ebbe ad allacciarsi alla cintura, dietro la schiena, ella conservò il resto dell’equipaggiamento fornitole, più qualche altra lama di esercitazione fra quelle con cui aveva maturato confidenza in quei giorni, all’interno di un piccolo zaino, egualmente in tessuto verde militare, che ebbe a indossare sulla schiena, sancendo in tal maniera la fine della propria vestizione.
E completata la propria preparazione fisica, non ebbe a dover attendere molto prima di vedersi esposto il piano del proprio avversario, per così come, innanzi ai suoi occhi, fu sua stessa premura esplicitarlo, condividendolo, con lei e, probabilmente, con tutti gli altri suoi compagni, e con chissà chi altri ancora, attraverso un ripresa video, su uno schermo che ebbe a calare, inaspettatamente, proprio al centro dell’ampia cella…

« Buongiorno. » ebbe a sorridere, ripreso in primo piano, il volto crudele del dio flegetauno, contraddistinto dalla propria consueta alterigia e superbia « Prima di iniziare, permettetemi che mi presenti, a beneficio delle nuove generazioni e di coloro che, pur non giovane, possa aver obliato il mio ricordo: il mio nome è Kah. » introdusse se stesso, nell’inizio di un discorso chiaramente non destinato esclusivamente ai propri prigionieri, anche laddove stava venendo loro concessa opportunità di esserne testimoni « Diciotto cicli fa, io ero uno dei più importanti, dei più temuti signori della guerra dell’universo intero ed è stato allora che uno sparuto gruppo di mercenari, al servizio di una donna che, successivamente, la Storia volle ricordare con l’altisonante nome di Guerra, decisero di opporsi a me. E sfruttando, all’epoca, la complicità del mio unico figlio, nonché di una mia collaboratrice reietta, essi riuscirono a vincermi… e a uccidermi. »
« Questo figlio d’un cane vuole trasformare la sua vendetta in uno spettacolo… » osservò Duva, comprendendo alla perfezione ciò a cui stava lì assistendo.
« Tuttavia, grazie alla fedeltà di molti uomini a me vicini, di molti seguaci che, in tutto questo tempo, non hanno dimenticato il mio nome e l’impegno preso nei miei riguardi, sono riuscito a ritornare in vita… e a ricostruire una parte del mio impero, perduto nella diaspora che, necessariamente, aveva seguito la mia disfatta. » proseguì sullo schermo Kah, continuando nella propria introduzione « Sono risorto. Morto come flegetauno, sono rinato ora come dio. » sancì, mentre l’inquadratura iniziò a estendersi, a riprendere non soltanto il suo volto ma, via via, anche la parte superiore del suo busto, iniziando con le spalle e finendo per arrestarsi a una distanza sufficiente a coglierlo fino alla cintola « Ma un dio non può accettare che la Storia rammenti la sua sconfitta per mano di un gruppo di semplici mortali… ragione per la quale, oggi, a Guerra e ai suoi compagni, includendo anche il figlio rinnegato e la traditrice, che negli ultimi giorni sono stati miei cortesi ospiti, sarà offerta la misericordiosa occasione di tentare, nuovamente, di sfidarmi. Affinché nessuno possa avere occasione di dubitare del mio potere, della mia straordinaria forza, e a nessuno, in futuro, abbia ragione di sprecare il proprio, e il mio, tempo nel tentare di affrontarmi, condannandosi, in ciò, soltanto a morte certa. »
« … non ci voglio credere… » sussurrò Desmair, osservando comparire, in tanti piccoli riquadri attorno alla figura centrale del padre, le riprese delle loro celle, di ognuno di loro, intento a osservare i rispettivi schermi che, evidentemente, dovevano essere allor dotati anche di un qualche sistema di registrazione e trasmissione « … è follia! »

venerdì 28 aprile 2017

RM 117


Rispetto a quanto sarcasticamente ipotizzato da Carsa, nell’idea di un’improbabile morte per tedio, ben diversi avrebbero avuto a dover essere riconosciuti i propositi di Kah in merito alla sorte dei propri nemici, dei propri prigionieri. E non dovette trascorrere molto tempo prima che tutti potessero averne evidente riprova, giacché, nelle parole da lui pronunciate, alcuna fola avrebbe avuto a dover essere identificata, soprattutto nel merito della promessa di tempo utile a riprendersi, a riposarsi e a prepararsi al meglio a quanto sarebbe avvenuto.
Nuovamente divisi, gli undici vennero ancora una volta trasferiti all’interno di celle specificatamente studiate per trattenerli, per non concedere loro alcuna possibilità di fuga, seppur, allora, in condizioni decisamente più favorevoli rispetto a quelle nelle quali erano stati costretti nel viaggio sino a lì, ovunque fossero stati allor condotti. Mentre, infatti, in precedenza la loro libertà di movimento era stata contenuta, all’interno di loculi appena sufficienti a permettere loro di sedersi a terra, attraverso pesanti ceppi di metallo; in quel nuovo contesto, in quel nuovo frangente, venne loro destinata un’area sì blindata, e pur di dimensioni non inferiori ai cinquecento piedi quadrati di spazio, all’interno della quale, oltre a un comodo letto e ad apprezzabili servizi igienici, poterono trovare anche una confortevole doccia, vestiti puliti perfettamente commisurati alle proprie taglie ed esigenze e, persino, una vera e propria palestra, nella quale potersi eventualmente allenare, tanto con lame, tanto con attrezzi di varia natura, quanto e semplicemente prendendo a pugni gli appositi obiettivi lì predisposti. In effetti, fatta eccezione per armi da fuoco, lì venne offerta loro ogni comodità, in un trattamento oscenamente antitetico a quello loro precedentemente imposto, quasi, a concepire quell’intera parte della strategia in atto avesse a doversi considerare una mente diversa rispetto a quella altresì responsabile per la prima. Quasi come se, infatti, il viaggio loro riservato sino a quella destinazione fosse stato concepito qual percorso di vendicativa espiazione per le loro passate colpe, o, quantomeno, per quelle che ineluttabilmente tali non avrebbe potuto ovviare a considerare Kah; ciò che fu lì loro concesso sembrò quasi imporsi qual un trattamento di riguardo, una delicata premura volta a cercare di garantire loro un’effettiva possibilità di requie, sicuramente a intendersi, in verità, non lontana dalla quiete prima della battaglia.

« Ah… però! » ebbe a commentare Duva, volgendo lo sguardo in direzione tanto della doccia, quanto dei vestiti per lei lì preparati « Un comportamento un po’ schizofrenico da parte del nostro anfitrione… ma non puntualizziamo. » sorrise, in tal senso costretta a confrontarsi verbalmente solo con se stessa, giacché sola con se stessa ella si era ritrovata in tutto ciò a essere.

Duva, rimasta nuda sino a quel momento, al pari della maggior parte degli altri propri compagni e compagne, avanzò con circospezione in direzione di tanta manifesta generosità, giacché, per quanto l’idea di una trappola, proprio in quel momento, sarebbe stata quantomeno folle, la situazione così come venutasi a palesare non avrebbe avuto a dover essere effettivamente considerata particolarmente più savia. Al contrario.
Giunta, però, innanzi ai vestiti a lei destinati, e giudicatili, obiettivamente, di proprio gradimento, scelse di sciogliere ulteriori riserve e di accettare quanto stava accadendo con adeguata serenità, dirigendosi innanzitutto alla doccia, nel ravvisare un incredibile bisogno di ritrovare se stessa al di sotto della sgradevole memoria fisica dei giorni trascorsi all’interno della propria precedente cella: dopotutto, benché quella, più amplia, più gradevole, avrebbe avuto a doversi comunque considerare una cella, tutto ciò non avrebbe dovuto escludere, da parte sua, l’eventualità di godere estemporaneamente di quanto lì riservatole, in maniera tale che, qualunque cosa fosse accaduta, quantomeno ella avrebbe avuto la possibilità di affrontarla nella migliore delle proprie condizioni possibili.
Flussi di coscienza non diversi furono quelli che videro protagonisti tutti i mercenari al seguito di Guerra, ognuno nelle proprie dimore, ognuno nella propria prigione dorata, ognuno solo con se stesso, con i propri pensieri, con le proprie emozioni: umiliazione per Desmair, che non riusciva a osservare la propria immagine riflessa nello specchio, ritrovando un volto al tempo stesso conosciuto ed estraneo, nell’assenza delle immense corna che lo avevano da sempre contraddistinto, e delle quali, ormai, restava solo il triste ricordo, insieme a due cerchi d’osso ai lati della propria testa ora disadorna; ira per Be’Wahr, che ancor a stento tentava di confrontarsi con il tradimento di Nissa e, ancor più, con le parole da lei pronunciate a scherno della propria gemella, colei che pur, sempre, aveva posto il loro bene innanzi al proprio, almeno fino a quando, ritrovatasi incinta, aveva deciso di porre, al primo posto, i propri futuri pargoli; preoccupazione per Heska, che in quella situazione, in quel contesto, non avrebbe potuto ovviare a portare il pensiero al proprio sposo e alla loro splendida bambina, i quali, forse, mai avrebbe più rivisto, giacché inutile sarebbe stato banalizzare la situazione nella quale si stavano trovando, a confronto con una creatura non soltanto straordinariamente potente ma, anche e ancor peggio, apparentemente immortale; disagio per Ja’Nihr, la quale, più di tutti, conosceva Kah e conosceva le sue strategie, il suo osceno modo di pensare, e, ciò non di meno, non si sentiva confidente con tutto quello che lì stava accadendo, riconoscendo, certamente, sotto molti aspetti, l’impronta del proprio antico signore mentre, sotto altri, qualcosa di estraneo, che non comprendeva e che, in ciò, non avrebbe potuto ovviare a preoccuparla, nel timore di quanto avrebbe potuto accadere al di fuori di ogni sua possibilità di controllo; curiosità per Lys’sh, la quale, più di chiunque altro, si impegnò a esplorare ogni pollice dell’ambiente nel quale venne condotta, desiderosa di comprenderlo, desiderosa di poter maturare un qualche senso di confidenza con quell’area nella quale forse avrebbe passato soltanto poche ore, forse diversi giorni, forse e addirittura anni, a seconda dei capricci del loro avversario, e che, in ciò, avrebbe preferito poter conoscere piuttosto che considerare a sé estraneo e, in conseguenza, necessariamente pericoloso; frustrazione per Howe che, al di là del proprio presunto intelletto, non si era dimostrato in grado di sospettare nulla di quanto attorno a loro stesse accadendo fin dall’inizio di quella nuova, ultima avventura, nella presenza di una traditrice, fra le loro fila, verso la quale pur egli non aveva colto la benché minima motivazione utile a maturare sospetto, neanche all’ultimo istante, neanche all’ultimo momento; disappunto per Salge, per ragioni non dissimili a quelle di Howe, ma giustificate, ancor più, dal fatto di aver diviso la propria nave con colei che alla fine li aveva traditi, con colei che, alla fine, aveva persino condannato la propria amata Jol’Ange trasformandola in un relitto alla deriva nella vastità del nulla cosmico; pazienza per Ma’Vret, il quale, suo malgrado, aveva compreso di aver giocato, almeno per il momento e a propria insaputa, il ruolo del pedone in una partita a chaturaji più grande di lui, non dimentico, ciò non di meno, di quanto anche l’ultimo fra i pedoni avrebbe potuto rovesciare l’esito dello scontro, se solo avesse compreso come muoversi nel momento in cui la sorte lo avrebbe designato per agire; e sospetto per Carsa, che, fra loro esperta più di chiunque altro in menzogne e tradimenti, non avrebbe potuto ovviare a concentrare la propria mente, la propria attenzione, in direzione di quanto così scoperto, di quanto in tal maniera a loro rivelato, non tanto con l’ira di Be’Wahr, la frustrazione di Howe, o il disappunto di Salge, quanto, e piuttosto, con qualcosa di prossimo al disagio di Ja’Nihr, nel percepire l’esistenza di qualcosa di sbagliato in quanto stava accadendo, di un elemento fuori posto nel quadro d’insieme e, ciò non di meno, nel non riuscire ancora a inquadrarlo, a coglierlo, in misura tale da non essere in grado di poter accettare che tutto fosse stato effettivamente condiviso, che la verità dei fatti si fosse realmente manifestata.
Emozioni e pensieri estremamente variegati, quelli allor predominanti in ognuno di loro, che ebbero tempo di sedimentare, di evolvere e di mutare, all’interno di quella nuova, confortevole prigionia, laddove non fugaci momenti, e non lunghe ore, ma addirittura giorni ebbe a perdurare la loro permanenza in quelle celle dorate; periodo di tempo nel corso del quale non solo alcuno fra loro ebbe a ritrovarsi, ancora, oggetto di molestie o sevizie, ma, ancor più, ebbero tutti occasione di essere abbondantemente nutriti, e nutriti con piatti sempre straordinariamente gradevoli e allineati ai propri gusti personali, in misura tale da assicurare che, qualunque cosa li avrebbe alfine attesi, li avrebbe trovati indubbiamente al massimo della propria forma fisica.

giovedì 27 aprile 2017

RM 116


« In verità, la sola che non ha le idee chiare sei proprio tu! » reagì Be’Wahr, cupo in volto in reazione a tutto il lungo monologo appena udito « Alcuno fra noi ha avuto esitazione a rispondere al richiamo, alla richiesta di Midda, non per avventatezza, né tantomeno per stolidità. Tutti noi ci siamo subito presentati al suo appello sapendo bene per cosa… anzi: per chi. Perché tutti lo abbiamo fatto per lei, per Midda stessa! » dichiarò, con fermezza assoluta, irremovibile « Midda: che per tanti anni ha combattuto al nostro fianco, non soltanto formandoci e proteggendoci, non semplicemente guidandoci, ma, soprattutto, dandoci la possibilità di identificarci gli uni con gli altri come una famiglia. E in una famiglia, per rispondere a una richiesta di aiuto, non serve conoscere alcun dettaglio, non servono motivazioni, se non l’essere parte di quella famiglia… e, francamente, è assurdo che proprio tu, fra tutti, non lo abbia compreso! »

Il biondo, che in passato era stato talvolta canzonato in maniera giocosa dai propri compagni d’arme in riferimento al proprio intelletto forse non così brillante, non così acuto al pari di altri, ebbe lì a dimostrare nuovamente e inoppugnabilmente l’immensità del proprio cuore, a compensazione di qualunque altro proprio limite. E nel compiere ciò, al di là di ogni dimostrazione d’avversione da parte del destino, così come loro chiaramente dimostrato, così come lì evidentemente comprovato da quanto stava accadendo, con le proprie parole egli fu in grado di restituire energia e forza all’intero gruppo, ricordando sicuramente un’ovvietà, e, ciò nondimeno, ricordandola nel momento giusto, con le parole giuste, con la passione giusta, quella passione e quelle parole che mai, come in quel momento, sarebbero state a tutti loro necessarie per trovare la forza di reagire… e reagire persino contro un dio, ove necessario.
Di questo, delle emozioni lì crescenti nei propri ex-compagni, fomentate da quel breve, ma intenso discorso, anche Nissa non poté ovviare a maturare consapevolezza, in misura tale che, necessariamente, ella ebbe a dover così iniziare a temere che i propri piani, le proprie strategie accuratamente pianificate quanto e, sicuramente, ancor più rispetto a Kah, potessero essere lì vanificate dall’emotività del momento, dalla reazione umana, e pur non per questo meno pericolosa, che la propria ex-squadra avrebbe potuto far propria. In ciò, ella comprese essere giunto il momento di passare oltre e, dopo aver gettato un ultimo sguardo verso la propria gemella, ebbe a rivolgersi direttamente al proprio nuovo alleato, per finalizzare il discorso fra loro…

« Per quanto mi riguarda, non c’è altro che merita di essere detto. » annunciò, in direzione del colosso e di chiunque altro lì attorno « La mia parte del nostro accordo l’ho rispettata: ho permesso loro di riunirsi, ho risvegliato l’antico spirito guerriero guidandoli a quell’inutile insediamento nel sistema di Velsa e, a tempo debito, li ho condotti alla tua trappola. » elencò, con freddezza disumana, degna del colore del proprio sguardo, dei propri occhi di ghiaccio « Ora, per cortesia, se volessi restituirmi i miei nipoti e permettermi di tornare dalla mia famiglia, te ne sarò grata… »
« Credevo avresti avuto piacere a contemplare la disfatta di tua sorella. » ipotizzò Kah, per tutta risposta, dimostrandosi quasi dispiaciuto da quella richiesta, quasi come un bambino di fronte alla partenza di un compagno di giochi.
« Sono certa che avrai elaborato un piano straordinario per ottenere la tua rivincita, mio signore. » asserì ella, chinando appena il capo in segno di palese sottomissione nei confronti di quel dio flegetauno « Ma, francamente, non coltivo astio tale da richiedermi di assistere a quanto accadrà. E, altrettanto sinceramente, inizio a sentirmi abbastanza nostalgica nei confronti della mia famiglia… »

Innanzi al riferimento ai figli di Guerra, ogni crescente malanimo nel gruppo di prigionieri ebbe estemporaneamente a placarsi, nella consapevolezza di quanto, allora, sarebbe stato meglio per tutti loro accettare di seguire passivamente lo sviluppo di quegli eventi, almeno sino a quando, alfine, l’obiettivo principale della loro missione, lo scopo stesso per il quale quella guerra aveva avuto inizio, non fosse stato perseguito, e perseguito almeno in parte, almeno indirettamente, nella liberazione dei due pargoli dal loro primo rapitore, anche se questo avrebbe voluto significare consegnarli direttamente nelle mani di una traditrice.
Un risultato incompleto, una vittoria parziale, e pur già, almeno nella prospettiva della salvezza dei piccoli, un primo risultato concreto, tale da porli, quantomeno, in salvo dal pericolo immediato indubbiamente rappresentato in misura maggiore da Kah piuttosto che da Nissa; la quale, sicuramente responsabile di una colpa, di un crimine imperdonabile, avrebbe avuto a doversi comunque considerare sinceramente affezionata ai propri nipoti, in misura tale che, qualunque cosa fosse accaduta, si sarebbe premurata della loro salvezza, del loro bene. E, a prescindere da tutto ciò, una volta sconfitto Kah, perché, al di là dell’immortalità da lui dimostrata, tutti loro non avrebbero potuto ovviare a credere fermamente di poterlo sconfiggere; affrontare Nissa sarebbe stato sicuramente più semplice, più facile, più veloce, rispetto all’intera Loor’Nos-Kahn.

« E sia. » concesse il dio, con un cenno di approvazione del proprio osceno capo circondato da una corona di corna « Che non si abbia a dover dire che Kah non sia in grado di dimostrarsi generoso con coloro che ne riconoscono la superiorità, e a lui accettano di affidarsi, per la propria salvezza. » definì, arrivando a parlare di sé addirittura in terza persona, tanto smisurato avrebbe avuto a doversi considerare il suo ego « Ma ricorda, donna: da oggi in avanti, tu dovrai considerarti mia. E qualora, in futuro, i tuoi servigi avessero a doversi rendere necessari, non vi sarà possibilità alcuna per te di declinare un mio invito... o non soltanto tu, ma anche i tuoi nipoti, i tuoi figli, tuo marito, e chiunque attorno a te, vicina a te, patirà sofferenze inimmaginabili, al confronto delle quali la morte avrà a dover essere sol intesa qual una misericordiosa liberazione. » la pose in guardia, ricordandole quanto, benché priva delle catene che in quel frangente stavano contraddistinguendo tutti i propri ex-compagni, anch’ella non avrebbe avuto a potersi considerare molto più di una prigioniera, una proprietà innanzi al suo giudizio.

E Nissa, che pur d’orgoglio non avrebbe avuto a dover essere riconosciuta priva, sicuramente si ritrovò in difficoltà, allora, a costringersi a restare quieta di fronte a quella provocatoria minaccia, nella ferma consapevolezza di quanto, anche laddove si fosse spinta addirittura a tradire tutta la propria famiglia d’arme, in misura ben minima avrebbe avuto a dover valere la sua vita innanzi agli occhi del flegetauno; il quale, anzi, sarebbe stato probabilmente ben lieto di riservarsi l’opportunità di accomunarla alla medesima sorte di tutti gli altri se soltanto ella gliene avesse concesso l’occasione: dopotutto, diciotto anni prima, anche lei, insieme a Midda e agli altri, aveva contribuito alla sua disfatta.
Con un semplice inchino, quindi, la donna ebbe a prendere congedo dal proprio nuovo padrone, voltando fisicamente le spalle nei confronti dei propri ex-compagni dopo averlo già fatto metaforicamente. E, camminando con passo tranquillo, ebbe ad allontanarsi dai loro sguardi, nel mentre in cui, al contrario, a dominare sugli stessi ritornò Kah, in tutta la sua terribile imponenza.

« Ed eccovi… Guerra e i suoi indomiti mercenari. » proclamò, osservandoli non senza un certo sarcasmo alla base delle proprie parole « Devo ammettere che, in questo momento, la triste realtà della vostra condizione non rende onore al vostro mito… » soggiunse, sorridendo sornione « … ma non vi preoccupate: avrete tutto il tempo che vi serve per riprendervi, per riposarvi e per preparavi al meglio per il nostro scontro, affinché, quando tutto sarà terminato, nessuno, nell’intero universo, possa avere ancora dubbi sulla potenza  del dio Kah. » promise loro, in quella che avrebbe avuto a dover essere intesa qual una chiara minaccia.
« Intendi forse ucciderci annoiandoci a morte con questi proclami da egocentrico esaltato…? » ipotizzò Carsa, per tutta risposta, aggrottando la fronte « Perché, in tal caso, ti assicuro che potresti avere ottime possibilità continuando in questa direzione… »

mercoledì 26 aprile 2017

RM 115


Nissa: difficile a credersi, non soltanto per Salge, ma per tutti loro.
Colei che, più di tutti i presenti, avrebbe avuto a doversi considerare prossima a Midda, non soltanto in virtù del loro legame di sangue, ma di una vita trascorsa insieme, fianco a fianco, a combattere l’una per l’altra, l’una insieme all’altra, tanto da rendere obiettivamente difficile stabilire quanto la leggenda di Guerra avesse ad attribuirsi realmente all’una piuttosto che all’altra; colei che, sola fra tutti i presenti, avrebbe avuto a doversi considerare legata ai bambini rapiti, avendoli visti nascere, e crescere, e giocare con i propri figli, nella serenità che indubbiamente avrebbe avuto a doversi considerare qual quella di una grande famiglia felice; colei che, al pari di chiunque altro nel viaggio appena compiuto, era stata seviziata, con torture fisiche e psichiche, in termini che mai avrebbero potuto quindi argomentare, dimostrare l’ipotesi in tutto ciò soltanto sussurrata, nell’orrore di quanto tutto quello avrebbe potuto significare… come avrebbe mai potuto essere giudicata qual capace di un tradimento, un tradimento a discapito della propria sorella gemella, a discapito dei propri nipoti, a discapito di tutti i suoi compagni e compagne d’arme, e a vantaggio, unico ed esclusivo, del loro defunto avversario?
Ma anche l’incredulità più assoluta, in tal frangente, non poté che infrangersi violentemente contro l’evidenza della realtà… e della realtà che, allora, si impose crudelmente alla loro attenzione nelle parole della medesima Nissa.

« Mi dispiace… » sospirò ella, scuotendo il capo, iniziando ad avanzare lentamente in direzione di Kah, mentre le catene, prima saldamente ancorate attorno ai suoi polsi, alle sue caviglie, ai suoi fianchi, ebbero a ricadere a terra, privandola d’ogni ulteriore ostacolo nei propri movimenti « … mi dispiace di aver dovuto subire per nulla tutto quello che ho subito negli ultimi giorni: a sapere che, alla fine, saremmo arrivati a questo punto, mi sarei potuto risparmiare ogni messa in scena, e godermi una serena crocera fino a qui. »

« Come?! », « Cosa?! », « Non è possibile… », e molte altre varie declinazioni della medesima incredulità, allor già caratterizzate da una prima, più o meno velata, rabbia, ebbero a sorgere sulle labbra di tutti i presenti, venendo tratteggiata in diversa misura sulla base del carattere del soggetto coinvolto: dallo stupore più assoluto di Lys’sh ed Heska, alla furia quasi palpabile di Howe e Desmair.
Ma, a tutto quello, e probabilmente ad ancor più, nella propria predisposizione strategica a ogni aspetto della propria vita, la donna doveva essere già mentalmente preparata, giacché ella non ebbe lì a dimostrare la benché minima reazione a quanto si riservarono occasione di scandire tutte le voci dei suoi commilitoni, nella sola eccezione di quella propria gemella… la sola che, forse, già era giunta a quella conclusione, a quel risultato, fin dalla propria prima esposizione, e che, allora, si limitò a restare in silenzio, scandendo profondi respiri con un lento movimento del proprio petto, del proprio seno, evidentemente nella volontà di conservare, malgrado tutto, il controllo su se stessa e sulla situazione per così come si era venuta, tragicamente, a palesare.

« Non guardarmi in quel modo, sorella… » la invitò Nissa, oltrepassando con tranquillità la mole mostruosa del proprio allor svelato alleato, al solo fine di dirigersi, oltre a esso, in direzione di un nuovo arrivato, un membro della Loor’Nos-Kahn che si era allor premurato di accorrere a lei conducendo seco una vestaglia, con la quale concederle occasione di coprire le proprie nude forme, non per una qualche, reale, esigenza di pudore, quanto e piuttosto qual gratuito sfregio a discapito di tutti coloro ai quali, altresì, tale dimostrazione di rispetto non stava venendo garantita « So cosa stai pensando: “Perché?!”. » continuò a esporre, con serenità, indossando la vestaglia e chiudendola alla vita con una sottile cintura di seta « La risposta, però, non dovrebbe essere difficile da intuire: perché perdere non fa parte della nostra natura. Non ne ha mai fatto parte… e non ne farà mai parte. »
« E, in questo, Nissa ha subito compreso quale fosse il fronte migliore sul quale schierarsi. » osservò Kah, ovviamente in immodesto riferimento a se stesso.
« Naturalmente. » confermò ella, con un lieve sorriso « Quando, facendo ricerche sulla Loor’Nos-Kahn nel mentre in cui tu girovagavi per l’universo alla ricerca di tutti i nostri passati alleati, sono arrivata alla chiara conclusione sul fatto che, necessariamente, Kah avrebbe avuto a doversi considerare ancora in vita, e presente dietro a un’attività altrimenti troppo vasta, troppo strutturata e troppo organizzata per poter sussistere in maniera autonoma, indipendente e democratica, ho subito compreso alcune verità… alcune ovvietà. » spiegò, con tranquillità, riavvicinandosi al proprio titanico alleato « Innanzitutto che il nostro antico avversario avrebbe avuto a dover essere riconosciuto qual contraddistinto da nuove, pericolose risorse, giacché alla sua morte tutti noi avevamo avuto occasione di assistere… e indubbio, in ciò, avrebbe avuto a dover essere giudicato il suo decesso non meno rispetto alla sua ancor corrente esistenza in vita. In secondo luogo che l’attacco alla tua dimora non avrebbe dovuto essere più considerato casuale, così come il rapimento dei tuoi figli, quanto e piuttosto parte di un piano ben congegnato, al solo scopo di costringerti a compiere esattamente quello che tanto repentinamente avevi iniziato a fare e, in tal senso, a permettere la riunificazione di tutti coloro contro i quali Kah avrebbe potuto avere desiderio di cercare la propria vendetta. E, infine, ultimo ma non per questo meno importante, che avendo vinto persino la morte, e avendo deciso di vendicarsi attraverso un piano tanto puntualmente elaborato, ineluttabilmente le nostre possibilità di vittoria avrebbero avuto a doversi considerare pari a zero… le mie possibilità avrebbero dovuto essere considerate pari a zero, a meno di non accettare di cambiare le non soltanto le regole del giuoco, così come Kah aveva già compiuto risorgendo, ma addirittura il giuoco stesso. »
« Così, mentre io credevo ti stessi impegnando a raccogliere informazioni nel merito di dove potessero essere i miei figli, in realtà tu non hai fatto altro che prendere contatti con il nostro avversario, all’unico scopo di venderci tutti quanti! » concluse per lei Guerra, storcendo le labbra verso il basso in evidente segno di disprezzo per tutto quello, per quanto non avrebbe potuto credere possibile e per quanto, invece, stava lì accadendo « E per cosa avresti barattato la tua anima…? Crediti? Armi? Potere?! »
« Per i miei nipoti, stupida sciocca… » rimproverò Nissa, sguardandola con non meno disprezzo rispetto a quello a lei destinato « Per i miei nipoti, per la mia famiglia e per me stessa: a Kah, in fondo, non importa nulla dei tuoi figli… ma a me sì. E non sarebbe giusto che loro avessero a dover pagare il prezzo della tua avventatezza! »
« … la mia cosa…?! »
« La tua avventatezza! » insistette, scuotendo il capo « Per tutta la tua vita hai agito egoisticamente, guardando solo e unicamente a te stessa e a null’altro, a nessun altro. Quando desideravi giocare alla guerra, sei divenuta l’esemplificazione stessa della Guerra. Quando hai voluto fingerti moglie e madre, hai abbandonato tutto e tutti per ritirarti su un pianeta dimenticato dagli dei per giocare all’antica matrona, con la sua villa, con le sue terre, il suo sposo e i suoi figli. E di tutti gli altri, tutti coloro attorno a te, te ne sei sempre disinteressata, non preoccupandoti delle conseguenze delle tue azioni. » l’accusò, riversandole contro, chiaramente, qualcosa covato nel proprio cuore, nel proprio animo, già da lungo tempo « Così come hai fatto anche questa volta: non hai perso un solo istante a preoccuparti di cosa avrebbe significato, di cosa avrebbe comportato, per tutti i nostri amici, tornare a combattere, abbandonando chi la propria nuova vita, chi le proprie nuove famiglie, i propri figli, nel rischiare ogni cosa, la vita stessa, senza neppure aver le idee chiare per cosa… »

Ma, a quel punto, fu la voce dell’ultimo che chiunque avrebbe potuto presumere avrebbe mai potuto prendere allora la parola, a intervenire. E a intervenire, coraggiosamente, non soltanto per esprimere la sua opinione, ma anche, e ancor più, per porre un freno a quelli che non avrebbe potuto ovviare a intendere semplicemente quali assurdi deliri, privi di significato…

martedì 25 aprile 2017

RM 114


« … la realtà delle cose…?! »

A intervenire, con tono volto a dimostrare di essere quasi disturbata da quella frase, fu la voce di Guerra.
E se tutti, a quella nota, non poterono ovviare a pensare all’esistenza di un diretto riferimento con quanto ancora oggetto di discussione, nell’ancor ingiustificata appartenenza di Kah alla Sezione I, o, in alternativa, all’eventualità nella quale egli, pur come avrebbe avuto a dover essere, completamente estraneo alla Sezione I, fosse riuscito a ottenere accesso, in qualche modo, a tali tecnologie e a riadattarle alla propria fisiologia flegetauna; Midda, in quell’intervento, aveva appena concesso libertà di parola all’elaborazione che la propria mente aveva compiuto nel contempo dell’evolversi di quegli accadimenti, nel raggiungere, proprio malgrado, una diversa consapevolezza proprio sulla realtà delle cose, per così come, allora, non poté ovviare a condividere con tutti i presenti, subito riprendendo voce...

« Parliamo della realtà delle cose. » invitò retoricamente, rivolgendosi, al contempo, a tutti e a nessuno, là dove, obiettivamente, quella avrebbe avuto a doversi considerare una riflessione ad alta voce ancor prima che espressione di una vera e propria volontà di confronto da parte sua « Partiamo dalla fine e torniamo indietro, un passo alla volta. Parliamo di quanto perfetta sia stata l’organizzazione dell’agguato, non soltanto attraverso una precisione e una puntualità praticamente impossibili da ottenere, a meno di non conoscere in anticipo, e con dettaglio assoluto, ogni informazione relativa alla rotta da noi intrapresa; ma anche attraverso una logistica ineccepibile, nel garantire in numero corretto l’esatto quantitativo di navi necessarie per il nostro trasporto individuale, precedentemente organizzate con celle perfettamente adeguate a tal fine, e con questi ceppi, commisurati in maniera straordinaria addirittura alle nostre dimensioni fisiche… »

Inoppugnabile, in tal ragionamento, avrebbe avuto a dover essere riconosciuto quanto irrazionale avrebbe avuto a doversi considerare una così perfetta organizzazione da parte del loro antagonista, pur rimasto sino a quel momento in ombra, lavorando dietro le quinte, in una condizione di indubbio vantaggio e pur non tale, effettivamente, da giustificare un approvvigionamento tanto puntuale di risorse utili al loro contenimento, per così come da lei allor evidenziato.
Per quanto leggendario fosse, infatti, il loro gruppo, proprio dal momento in cui la Storia aveva ceduto il passo al mito, persino i loro stessi nomi avrebbero avuto a doversi considerare un dettaglio tutt’altro che inequivocabile, al pari dei loro volti o, addirittura, del loro numero preciso: e laddove già solo per Guerra, fra tutti loro sicuramente l’elemento più celebre, non ovvio sarebbe stato, per chiunque, accomunarla al nome di Midda Bontor, al suo volto, alla sua persona, in dozzine di versioni diverse atte a ricordarla come donna ma anche come uomo, come umana ma anche come chimera, come ancora in vita ma anche come già estinta da tempo; supporre di conoscere in maniera così precisa ognuno di loro avrebbe avuto a doversi considerare semplicemente improbabile, per non dire impossibile. E anche laddove Kah, proprio malgrado, aveva avuto un’esperienza diretta di confronto con quella squadra, esperienza che gli era, alfine, costata la vita; egli, diciotto anni prima, aveva conosciuto una diversa formazione rispetto a quella attuale, laddove molti fra loro, indubbiamente, erano stati presenti sin da allora al fianco di Midda ma altri, come Carsa, Duva, Heska, Howe e Be’Wahr, sarebbero giunti solo a posteriori, alcuni, in particolare, nell’ordine di soli pochi mesi più tardi, negando al signore della guerra occasione di conoscerli.

« Ma non fermiamoci a questo… » insistette Midda, scuotendo il capo « Parliamo anche della misteriosa Loor’Nos-Kahn… “il vuoto nell’anima di un dio morto”: un’organizzazione straordinaria, sorta quasi dal nulla negli ultimi cicli, volta a riunificare tutti i tuoi antichi seguaci. Un’organizzazione nel cui proprio nome, persino, è contenuto il tuo, declinato qual “dio morto” che, permettimi, non può essere considerato propriamente di buon auspicio per te. » analizzò la mercenaria, rievocando le spiegazioni udite a tal riguardo, qualche tempo prima, attraverso le spiegazioni concesse loro dalla propria gemella « Un’organizzazione nel merito della quale tutto ciò che ci è stato concesso di sapere è giunto soltanto da due singole fonti, fonti che hanno saputo concederci molti dettagli inutili e che, tuttavia, non hanno colto forse l’aspetto più importante alla base di tutto: la tua esistenza in vita. » sancì, con tono quasi funereo, nello scandire quella che, unita all’affermazione precedente, stava assumendo gli sgradevoli toni di un’accusa, e di un’accusa rivolta, in particolare, a qualcuno all’interno del loro stesso gruppo, della loro famiglia.
« Aspetta… » intervenne Ma’Vret, incupendosi a quella prospettiva, non potendo gradire in alcun modo le conclusioni alle quali, tale teorema, stava andando chiaramente a tendere, nel non voler credere, al pari di alcun altro, all’eventualità di un traditore fra di loro… non dopo tutto quello che avevano passato insieme, che avevano affrontato insieme nel corso degli anni « … non puoi davvero credere a quello che stai suggerendo. » scosse il capo, rivolto verso la propria antica amante.
« Desmair…? » questionò Ja’Nihr, girandosi verso il colosso abbattuto e a lui volgendo uno sguardo carico di controversi dubbi, nel non voler credere a quel tradimento e, ciò non di meno, nel non poter fare a meno di temerlo, laddove, in fondo, qual signore della guerra a capo di un esercito di Spettri, assurdo sarebbe stato ritenere che egli potesse essere realmente all’oscuro della questione « … non puoi davvero aver aiutato tuo padre… non dopo tutto quello che abbiamo passato insieme! »
« Infatti non l’ho fatto! » protestò il flegetauno, con tono addirittura rabbioso per i termini dell’accusa in tal maniera rivoltagli, su un tema che, oltretutto, non avrebbe potuto ovviare a fargli ribollire il sangue « Proprio alla luce di tutto quello che abbiamo passato insieme… se avessi saputo che mio padre era tornato, credi davvero che non avrei fatto l’impossibile per contrastarlo? »
« Ma con tutti i tuoi Spettri… » argomentò Lys’sh, dando voce alla perplessità dell’amica, pur non volendo neppure lei cedere all’ombra del dubbio così proiettata sul loro fratello d’arme.
« I suoi Spettri…?! » rise Kah, scuotendo il capo e intervenendo nella questione « Oh no. No mia cara. Mio figlio, in questo ultimo decennio, ha solo giocato a fare il signore della guerra, senza comprendere quanto, in fondo, tutto ciò stesse avvenendo soltanto perché io glielo stavo permettendo… » asserì, nuovamente denigratorio verso il proprio unico erede, mai rispettato in passato e che, nella propria nuova condizione divina, non avrebbe avuto alcun bisogno di rispettare, giacché mai avrebbe avuto necessità di un erede, nel rappresentare egli stesso la propria immortalità « I tuoi uomini sono sempre stati i miei uomini. Le tue risorse sono sempre state le mie risorse. Il tuo potere è sempre stato il mio potere. E tu, Desmair, altro non sei che una patetica imitazione malriuscita di quanto avresti dovuto essere, se solo non mi fossi accoppiato con quella patetica sgualdrina di tua madre. »

Parole dure, parole violente, parole sgradevoli, quelle di Kah, e che pur, allora, non poterono che risuonare quasi gradite all’attenzione di Ja’Nihr, giacché, in fondo, egli stava indirettamente, involontariamente, offrendo un chiaro alibi allo stesso oggetto del suo attacco, a Desmair, il quale, per voce del suo medesimo padre, in grazia di quella testimonianza, non avrebbe potuto essere considerato responsabile di nulla di quanto suggerito dal ragionamento di Midda.
Ma se soltanto due avrebbero avuto a doversi considerare le loro fonti di informazione sulla Loor’Nos-Kahn, e se qualcuno, ineluttabilmente, all’interno della squadra avrebbe avuto a dover essere considerato un traditore, nell’aver chiaramente collaborato con Kah per la loro disfatta, per quanto lì così accaduto; un solo nome avrebbe potuto essere ancora considerato in giuoco. E laddove, malgrado tutto, Desmair avrebbe avuto a dover essere considerato un perfetto capro espiatorio… l’unica alternativa avrebbe avuto a dover essere riconosciuta qual spiacevolmente insospettabile.

« … Nissa…? » sussurrò Salge, volgendo l’attenzione in direzione della gemella del proprio primo amore, a colei che, a sua volta, conosceva da una vita intera, colei che per prima aveva affiancato Midda in ogni propria avventura e che, impossibile, allora, sarebbe stato reputare qual traditrice, al di là di ogni ragionamento logico.

lunedì 24 aprile 2017

RM 113


« Mio padre è morto. » intervenne Desmair, cercando di recuperare autocontrollo e dignità, rimproverandosi, anzi, di quanto già così banalmente perduto, seppur per ragioni più che comprensibili e condivisibili, per le quali, certamente, nessuno avrebbe avuto ragione di muovergli rimprovero « Non so chi tu sia: un sosia, il prodotto di un intervento genetico, un clone… ma non puoi essere mio padre. » argomentò, cercando in tal maniera dei fatti a cui aggrapparsi, che smentissero i vaneggiamenti di quell’essere tanto simile a Kah ma che non avrebbe mai potuto essere Kah « Anche un flegetauno purosangue ha dei limiti… nessuno di noi è immortale. »

Senza neppure voltarsi a guardarlo direttamente in viso, Kah si rialzò dalla posizione genuflessa in cui si trovava, accanto a Midda, e, con un deciso movimento della destra, andò a colpire di manrovescio il suo ultimo interlocutore, il quale, benché colossale, non avrebbe potuto che apparire paradossalmente piccolo nel confronto con quella creatura e, soprattutto, con una delle sue gigantesche braccia, nella forza del colpo  della quale, addirittura, Desmair ebbe a essere scaraventato per quasi una trentina di piedi più in là, finendo addirittura con il travolgere alcuni fra le loro guardie, le quali non ebbero occasione per scansarsi a evitare quel devastante impatto.
E, ancora senza guardarlo, a dimostrazione di quanto, dal suo punto di vista, egli non meritasse banalmente neppure la sua attenzione, quando riprese voce ebbe comunque a dedicargli un rimprovero, un monito di fronte al quale non avrebbe avuto a dover sollevare ulteriori obiezioni…

« Io sono immortale! » sancì Kah, con tono fermò, seppur lievemente irato, in conseguenza di tanta incredulità lì rivoltagli « E tu, figlio traditore, non osare più rivolgerti con quel tono a me, a meno che tu non desidera essere il primo a soccombere, qual esempio per tutti i tuoi amici… »
« Tu non sei Kah! » dichiarò convinta Ja’Nihr, schierandosi moralmente al fianco del compagno, pronta, se necessaria, a essere a sua volta sacrificata, non accettando che la paura della morte, o di un fantasma del passato, potesse inibirla tanto come era stato sino a quel momento.
« Io… sono… Kah! » scandì egli, stringendo appena i denti sotto le labbra, a cercare di trattenere l’ira che, in quel frangente, stava in lui crescendo « Ma, dal momento che la mia parola non sembra esservi sufficiente, vi darò una dimostrazione concreta dei miei poteri divini. » si propose, nuovamente cercando di ritrovare controllo, e, nel far ciò, sguainando, da dietro la schiena, quello che per lui avrebbe avuto a dover essere considerato un pugnale mentre, per chiunque altro, sarebbe stato quantomeno uno spadone a due mani « Osservate, sciocchi! »

Calando con un gesto deciso quella lama, impugnata con il destro, sul proprio polso sinistro, egli ebbe a recidere, in un sol colpo e senza alcuna esitazione, l’intera estremità, la sua possente mano, la quale, inanimata, ricadde quindi a terra, amputata, mutilata mentre uno spruzzo di sangue, nell’immediato, ebbe a riversarsi attorno a lui in un effetto indubbiamente macabro. Ma ancor peggio, di ciò, fu quanto ebbe di lì a breve ad accadere, giacché, miracolosamente e disgustosamente, così come il sangue aveva iniziato a fuoriuscire da quell’arto amputato, esso iniziò a ricondensarsi a e a riarrampicarsi lungo il suo braccio e lungo la sua mano, quasi fosse dotato di una propria volontà e una volontà destinata a non permetterne la morte. E, addirittura, trascinata dal sangue, anche la sua mano recisa, quell’enorme estremità ricaduta a terra, venne oscenamente richiamata in direzione del polso mutilato, lì tratta da una serie di filamenti di sangue più solido che liquido, così come alcun sangue, umano o flegetauno, avrebbe mai dovuto apparire.
Così, nel giro di pochi istanti, in un assordante silenzio lì improvvisamente impostosi a dominare sull’intera sala, il braccio mancino di Kah fu completamente restaurato, ristabilito nella propria integrità, mostrandosi perfetto, non di meno di quanto non fosse stato prima di quell’assurda, autolesionistica, e pur indubbiamente efficace, dimostrazione.

« Questa è follia… » commentò Desmair in riferimento a quanto appena occorso, risollevandosi, là dove era stato catapultato pocanzi, non senza una certa difficoltà, tanto per il colpo subito, quanto per le pesanti catene nelle quali ancora era avviluppato.
« No. » replicò, serio nel tono e nello sguardo Salge, prendendo voce nella questione « Quello è l’effetto della Sezione I. »

Sezione I: "i" come "imperituro", "indefettibile", "immarcescibile"… o, più semplicemente, "immortale".
Là dove la Storia andava a frammischiarsi confusamente alla leggenda, la Sezione I poneva le proprie radici, nella racconto di un esperimento condotto in un tempo non meglio precisato, su un pianeta non meglio definito, allo scopo di generare una schiera di guerrieri perfetti, soldati post-umani che mai avrebbero potuto conoscere la sconfitta perché, semplicemente, mai avrebbero potuto conoscere la morte. Tale esperimento, tuttavia, come sovente accade in tal genere di storie, non ebbe i risultati sperati e, ciò non di meno, l’universo si ritrovò a essere attraversato da alcuni gruppi di soldati mercenari generati nel corso di tale esperimento, soldati mercenari temuti in ogni dove giacché, alla loro nomea, era associata soltanto morte e distruzione. E non in maniera del tutto fine a se stessa.
Guerra e i suoi compagni, in passato, avevano infatti avuto occasione di confrontarsi con qualche esponente della Sezione I. E, in ciò, avevano avuto modo di scoprire, in maniera non propriamente indolore, il perché dell’abbandono di tale esperimento e, soprattutto, il perché della terrificante nomea associata a tali individui. Il tentativo volto a generare soldati immortali, infatti, era degenerato, in maniera imprevista e pur, forse, non imprevedibile, nella creazione di irriducibili zombie, corpi non morti, e ciò non di meno neppur realmente vivi, che, rianimati per effetto di straordinarie nanotecnologie, si prefiggevano quale unico scopo l’annientamento di qualunque avversario, di qualunque nemico, in maniera cieca e sorda a ogni raziocinio: della mente di coloro che tali creature erano state un tempo, in tutto ciò, nulla sembrava riuscire a sopravvivere al processo di rianimazione, così, dopo la prima morte, qualunque guerriero della Sezione I sarebbe stato condannato a risvegliarsi in tale, nuova, terrificante condizione, privato della propria coscienza, privato della propria personalità, e ridotto, semplicemente, a un’arma di distruzione di massa, praticamente inarrestabile a meno di non riuscire a distruggerne completamente il corpo.
Ma se pur, in tutto questo, indubbiamente temibili avrebbero avuto a dover essere riconosciuti i membri della Sezione I, e gli effetti collegati all’esperimento al quale erano stati sottoposti, un'unica, non tanto sgradevole, peculiarità a margine di tutto ciò, avrebbe avuto a dover essere considerata quella della non trasmissibilità di tale piaga: a differenza, difatti, del concetto romanzato di zombie, le creature della Sezione I avrebbero avuto a doversi considerare elementi unici e irripetibili… o, almeno, così tutti avevano creduto sino a quel giorno, sino a quel momento, quando Salge, con la propria asserzione, ebbe a sollevare un atroce dubbio a tal riguardo.

« Kah non apparteneva alla Sezione I. » replicò Ja’Nihr, scuotendo il capo a quell’ipotesi, l’orrore della quale forse avrebbe avuto a dover essere considerato secondo solo all’orrore derivante da quanto pur appena lì testimoniato « E, se anche fosse, dovrebbe aver perduto ogni coscienza di sé… »
« A meno che la sua natura flegetauna, e gli straordinari poteri di rigenerazione a essa collegati, non abbiano sanato il problema, permettendogli, a tutti gli effetti, di essere l’unico, vero, prodotto riuscito di quel maledetto esperimento. » argomentò il capitano della Jol’Ange, restando fermo sulla propria ipotesi.
« Complimenti. » annuì e confermò Kah, in direzione dell’uomo, offrendogli, addirittura, un lieve inchino in segno di riconoscimento « Non ti ho mai considerato il cervello del gruppo… ma devo ricredermi, dal momento che sei stato l’unico a comprendere la realtà delle cose. »

domenica 23 aprile 2017

RM 112


« Si sono vendicati per come io ho suggerito loro di fare… »

A parlare, allora, fu una chimera di sesso maschile, innanzi alla quale tutti non poterono ovviare a sbarrare gli occhi con impeto tale che, quasi, rischiarono di uscire fuori dalle orbite. Contraddistinto da proporzioni colossali, superiori persino a quelle di Desmair per almeno un piede e mezzo, forse due, di altezza, e da una corpo umanoide, dalla pelle scarlatta, straordinariamente muscoloso, le cui braccia, in particolare, avrebbero avuto a dover essere riconosciute quali abnormi anche rispetto all’enormità di quel corpo, giacché, mancando completamente d’ogni senso armonico, di ogni proporzione naturale, avrebbero potuto essere facilmente confuse qual quelle proprie di un altro essere, di un’altra creatura ancor più grande e a lui oscenamente innestate, benché effettivamente sue; quel gigante avrebbe avuto a doversi riconoscere qual un flegetauno purosangue, così come dimostrato anche dal suo capo, il quale, commisurato al corpo ma, ovviamente, apparentemente più piccolo del dovuto, nel ritrovarsi a confronto con una coppia di enormi e sproporzionate spalle, si poneva completamente privo di capelli ma, altresì, riccamente ornato da una corona, e non un semplice ornamento, ma una vera e propria corona di corna, corna che, circondando completamente la parte superiore del suo cranio, ne caratterizzavano in maniera indubbia la specie di appartenenza nonché la purezza del suo sangue.
A sorprendere tutti, comunque, non avrebbe avuto a dover essere considerato il confronto con un flegetauno, specie sicuramente rara ma, dal loro punto di vista, familiare, in grazia alla presenza di Desmair fra i loro ranghi; quanto e piuttosto il fatto che quel flegetauno in particolare non fosse a loro sconosciuto. Al contrario. Egli era assolutamente ben conosciuto, e temuto, da tutti loro e, in particolare, proprio da Ja’Nihr e dallo stesso Desmair che, con lui, più di chiunque altro, fra i presenti, aveva avuto a che fare nel corso della propria esistenza, l’uno in qualità di figlio mezzosangue, l’altra nel ruolo di tirapiedi. Perché quella creatura, quel gigante dalla pelle scarlatta, dalle braccia smisurate e dal capo circondato di corna, altro non avrebbe avuto a dover essere riconosciuto se non con un nome…

« … Kah?! »

Kah. Il signore della guerra.
Kah. Il padre di Desmair e colui che aveva accolto nella propria casa Ja’Nihr e suo fratello Av’Fahr.
Kah. Colui contro al quale tanto Desmair, quanto Ja’Nihr si erano posti, tradendolo e schierandosi al fianco di Guerra e dei suoi compagni, nei quali avevano avuto occasione di riconoscere la possibilità di una vita diversa rispetto a quella che era stata loro, fino a quel momento, riservata.
Kah. Colui contro al quale, diciotto anni prima, Midda Namile Bontor aveva guidato la propria lama, in una lunga, violenta e difficile battaglia al termine della quale, comunque, egli era caduto, venendo ucciso nell’unico modo in cui, certamente, anche un flegetauno avrebbe potuto essere certamente privato della vita, a discapito di ogni straordinario fattore rigenerante: decapitandolo.
Kah. Colui nella memoria del quale, per quanto tutti loro avevano creduto, era nata l’intera Loor’Nos-Kahn, organizzazione inizialmente costituita proprio da coloro che un tempo a lui erano stati a lui fedeli e che, dopo la sua disfatta, si erano ritrovati privi di qualsiasi senso nelle proprie vite.
Kah. Colui che doveva essere morto.
Kah. Colui che, lì, invece, era ancora incredibilmente vivo.

« … non è possibile… » esitò Desmair, dimostrandosi sconvolto nel confronto con quell’immagine, a dispetto di ogni autocontrollo, di ogni consueto desiderio volto a dimostrarsi superiore e sostenuto innanzi a qualunque evento e, ancor più, a qualunque avversario.
« … Midda ti aveva ucciso… » sussurrò Ja’Nihr, quasi terrorizzata innanzi a quell’essere, a quella creatura, a cui troppi ricordi negativi erano associati in maniera indelebile nella sua mente, nel suo animo, al punto tale che, per lunghi cicli, anche dopo la sua morte, egli era stato il principale protagonista dei suoi incubi notturni, continuando a perseguitarla.

E Kah, nel confronto con le espressioni di tutti loro, ma soprattutto di Desmair e Ja’Nihr, coloro a lui un tempo più vicini e coloro a discapito dei quali, fra tutti, non avrebbe potuto ovviare a provare più astio, più rimorso, più rancore, ebbe allora semplicemente a deliziarsi della reazione al suo ingresso in scena, sentendosi straordinariamente appagato da quel momento che pur tanta attesa, tanta organizzazione aveva da lui preteso.

« Proprio io. » sorrise egli, con espressione quasi estasiata al confronto con tutto quello, avanzando alle spalle dei propri uomini fino a raggiungere il cerchio da essi creato, per poi superarlo e, ancora, spingersi a confronto diretto con i propri prigionieri, con coloro i quali, alfine, egli aveva condotto là dove desiderava, là dove il suo piano aveva definito « L’unico, il vero, il solo… un dio, praticamente. » ebbe a declamare, facendo sfoggio di tutto l’egocentrismo proprio della sua specie « Sì… credo che mi si possa addire come definizione: dio Kah! »
« Tu non sei un dio… » ringhiò Midda, iniziando a intuire l’esistenza di un piano dietro a tutto quello che era accaduto, di quanto, fino a un attimo prima, altro non avrebbe attribuito che al destino, e a un destino beffardo, ma che, allora, avrebbe dovuto necessariamente rivalutare nelle proprie ragioni « … sei solo un esaltato. Lo sei sempre stato e lo sarai sempre. »
« Eppure ero morto. E ora non lo sono più. » obiettò, scattando in avanti, verso la propria interlocutrice, e piegandosi, genuflettendosi addirittura, innanzi a lei, per arrivare più prossimo possibile, con il proprio capo, a quello della donna « Ricordi di avermi ucciso, vero…? Ricordi di avermi decapitato con la tua bella lama di cristallo…? Oppure lo scorrere del tempo è stato così impietoso con te, mia cara, da aver già cancellato dalla tua mente quella parte del tuo passato…? »
« Lo ricordo bene… e, se solo non fossi costretta da queste catene, te lo assicuro, non ci penserei due volte a rifarlo! » sancì Guerra, rabbiosa non tanto per le parole denigratorie da lui pronunciate, quanto per quello che la sua mente, contemporaneamente a tutto ciò, stava elaborando.
« E come potresti definire chi è morto e poi è ritornato in vita, a dispetto di ogni legge di natura? » domandò Kah, sorridendole « L’unico termine che a me viene in mente è “dio”! »

L’assalto alla propria dimora; la strage; la morte di Brote; il rapimento di Caian e Pares; i colpi sparati contro di lei in punti non vitali: tutto quello che, sino a quel momento, era parsa essere una mera sequenza di sfortunati eventi, alla luce di quel ritorno in vita, della ricomparsa di Kah, avrebbe avuto a doversi considerare semplicemente una sequenza d’inizio, un prologo volto a spingerla a ricostituire l’antica squadra, a tornare in giuoco come un tempo, per permettere a quell’essere, a quella creatura, di potersi confrontare, un’altra volta, con i propri avversari e poterne sancire, finalmente, la fine, riportando ogni tassello al proprio giusto posto, rimettendo ogni pezzo là dove, dal punto di vista di quel mostro, avrebbe avuto a dover essere da sempre.
Kah non stava semplicemente cercando vendetta: se così fosse stato, egli avrebbe potuto ucciderli uno a uno, sparsi, divisi quali erano, cogliendoli di sorpresa nelle proprie nuove vite. No. Kah stava cercando di riscrivere la propria stessa storia, e, nel compiere ciò, aveva bisogno anche dei propri antagonisti. Aveva bisogno che Guerra e i suoi mercenari tornassero a navigare attraverso l’infinito cosmico per poter riprendere la battaglia là da dove si era interrotta molti anni prima, con la sua stessa morte.

sabato 22 aprile 2017

RM 111


Posti in catene, in pesanti ceppi di metallo volti a mantenere strettamente vicolate le loro braccia ai loro fianchi e le loro gambe l’una all’altra, in un sistema che poca tecnologia avrebbe potuto vantare ma, parimenti, straordinaria resistenza a ogni genere di sollecitazione, che essa derivasse da forza umana, da forza chimerica, o da forza meccanica; i dodici furono trasferiti in celle separate a bordo di navi diverse, in maniera tale che, oltre a essere fra loro isolati, difficilmente essi avrebbero potuto trovare occasione di comunicare e, in ciò, di riorganizzarsi per qualunque genere di riscossa avrebbero potuto avere in mente. In ciò, così come ben organizzato avrebbe avuto a dover essere riconosciuto quell’agguato, altrettanto ben organizzato avrebbe parimenti dovuto essere apprezzato quel trasporto, volto a non concedere più ad alcuno, all’interno della Loor’Nos-Kahn, di minimizzare il valore, e la minaccia, da quegli uomini e quelle donne così chiaramente rappresentata.
Mantenuti quindi legati e imprigionati all’interno di celle nelle quali avrebbe avuto a doversi considerare appena sufficiente lo spazio per sedersi a terra e, in tanto scomoda posizione, cercare un po’ di riposo, i dodici furono privati completamente d’ogni libertà e di ogni senso del pudore, nel ritrovarsi sorvegliati continuamente, idratati e alimentati a forza con quanto sufficiente giusto a tenerli in vita e, ancora, persino accompagnati, costantemente incatenati, anche a espletare le più normali funzioni corporali, sotto l’attento sguardo dei loro carcerieri. Un trattamento severamente umiliante, quello così loro destinato, che probabilmente era stato pensato allo scopo di riuscire a infrangere violentemente ogni senso d’orgoglio da parte di quei guerrieri, di quegli uomini e di quelle donne, umani o chimere che essi fossero, che sicuramente avrebbe spezzato chiunque altro posto in eguale condizione, e che, pur, non ebbe a sortire il pur minimo effetto su Guerra e sui suoi compagni, i quali, nel corso delle proprie vite, avevano affrontato situazioni indubbiamente peggiori rispetto a quella per poterne subire gli effetti negativi per così come sperato. E se anche, da parte della Loor’Nos-Kahn, non venne riconosciuta alcun genere di rispetto di genere nei confronti delle prigioniere, le quali vennero trattate al pari dei loro colleghi uomini anche nelle situazioni più delicate e, soprattutto, furono sempre e comunque gestite soltanto da carcerieri di sesso maschile, la presenza volgare e brutale dei quali avrebbe dovuto essere loro imposta al pari di un’ulteriore dimostrazione di disprezzo a loro discapito; non Midda, non Nissa, non Carsa, non Duva, non Heska, non Ja’Nihr e, tantomeno, non Lys’sh, ebbero mai a dimostrarsi intimorite, o peggio ferite, da tutto quello, arrivando, soprattutto i primi giorni, persino a porre paradossalmente in imbarazzo i propri secondini, laddove questi, chiaramente, non avrebbero avuto a dover essere riconosciuti qual pronti a una tanto sobria reazione da parte di tutte loro, le quali mai accennarono a perdere il controllo neppure quando costrette a orinare o defecare innanzi ai loro impietosi sguardi.

« Se vi eccita tanto, continuare pure a guardare… » ebbe, addirittura, a sfidarli, con impavido disprezzo, Nissa Bontor, fin dal primo giorno, quando, accompagnata a un gabinetto, si vide abbassare i pantaloni e le mutande da un gruppo di cinque uomini inizialmente divertiti all’idea di quell’abuso a suo discapito, della possibilità, in tal maniera, di imporle violenza psicologica, così come pur, alla fine, non si dimostrarono capaci di offrirle « … del resto, per dei perdenti come voi, probabilmente questa è la sola occasione di vedere come è fatta una donna. »

Nel corso del viaggio, ineluttabilmente, non ebbe a mancare anche qualche sevizia, a partire da semplici pestaggi, fino a sospingersi a tentativi di umiliazioni maggiori là dove i primi, più semplici, non avevano sortito effetto, arrivando persino, in qualche caso, a lasciare qualcuno fra loro privo della possibilità di essere accompagnato al gabinetto e, in ciò, costretto a espletare i propri bisogni lì, sullo stesso pavimento ove era legato e seduto, costretto per giorni a restare immerso nelle proprie feci, bagnato dalla propria urina, qual punizione per l’eccessiva forza d’animo dimostrata. Punizione, quest’ultima, che, per prima, non manco di subire proprio la stessa Nissa, a partire dal suo secondo giorno di detenzione e per oltre una settimana intera, prima di vedersi trascinata fuori, privata a forza delle proprie vesti e ripulita con la violenza di un devastante getto d’acqua gelata, prima di essere ricacciata, nuda, nella cella adeguatamente ripulita. Ma, anche in tal caso, a nulla tutto ciò ebbe a valere, se non a dimostrare, a comprovare ulteriormente, quanto la forza di quegli uomini e di quelle donne avesse a doversi considerare degna della loro leggenda.
Al di là di ogni sforzo volto a piegarli o, meglio ancora, a spezzarli, mai i membri della Loor’Nos-Kahn giunsero a mostrare lame, così come, anche nei pestaggi più violenti, mai ebbero a perdere il controllo sulla propria furia, nel prestare chiaramente attenzione a non superare quella linea, quel limite, oltre il quale avrebbero rischiato di uccidere il prigioniero. E per quanto, indubbiamente, alcune fra le prigioniere avrebbero potuto vantare fascino e bellezza tali da giustificare pensieri di violenza sessuale a loro discapito, anche in tal caso mai venne superato tale limite, simile confine, quasi come se, ogni loro sforzo, ogni loro impegno, fosse stato preventivamente garantito nel rispetto di alcune regole, di alcune soglie da non oltrepassare, a nessun costo. Soglie all’interno delle quali, tuttavia, ogni altro genere di perversione, ogni altro tipo di violenza, fisica o psicologica, non venne loro risparmiata.
Così, quando alfine, dopo un lungo viaggio e dopo un atterraggio in una destinazione loro ignota, i dodici furono riunificati in un amplia aviorimessa, per la prima volta nuovamente insieme non soltanto dall’agguato, ma, addirittura, dalla battaglia condotta nel sistema di Velsa, essi ebbero possibilità di constatare, reciprocamente, le condizioni in cui ognuno versava, potendo allor solo immaginare, supporre, cosa i compagni potessero aver affrontato.
Completamente nudi, in scena, ebbero allora ad apparire quasi tutti, con la sola eccezione rappresentata da Midda, Lys’sh, Howe e Ma’Vret: fra questi quattro, tuttavia, solo l’ofidiana ebbe a risultare effettivamente vestita, laddove, per gli altri tre, la maggior parte degli abiti ancora indossata appariva terribilmente frammentata, orrendamente stracciata, e tale, in verità, per effetto di violenti colpi di frusta, i segni dei quali marcavano chiaramente le loro schiene, e parte dei loro busti, al pari di quelli di Be’Wahr, Desmair e Ja’Nihr. E se pur tutti, in maniera indiscriminata, avrebbero potuto vantare lividi più o meno estesi, a dimostrazione della violenza loro imposta; proprio il flegetauno ebbe allor a non poter nascondere in alcun modo una terrificante mutilazione subita, nel taglio delle proprie colossali corna bianche quasi all’altezza stessa del suo rosso cranio privo di capelli, in un’immagine che, più di ogni altra, ebbe necessariamente a far crescere l’orrore e la rabbia negli stomaci di tutti quanti.

« Desmair! » ebbe a gemere, per prima, Ja’Nihr, nel vederlo sopraggiungere in tanto terribili condizioni, non volendo credere ai propri occhi.
« Non è nulla… » tentò di minimizzare questi, non volendo chiaramente concedere ai propri nemici alcun appagamento per quanto così ottenuto né, probabilmente, desiderando la compassione dei propri amici, della propria famiglia d’arme, per lo stato in cui, allora, stava versando « Quando hanno posto a comparazione la mia virilità con la propria, non hanno potuto evitare di provare imbarazzo nello scoprirsi tanto poco dotati. E così si sono vendicati per come le loro menti limitate hanno loro suggerito di fare… » argomentò, cercando di mantenere intatta la propria immagine di fierezza, nel deviare l’attenzione, forse in maniera puerile, dalle proprie perdute corna alle proprie parti intime, ineluttabilmente proporzionate al resto della sua colossale stazza.

Ad anticipare, tuttavia, qualunque ulteriore replica da parte di altri, e a distrarre l’attenzione dall’indubbia mascolinità di Desmair, sopraggiunse una voce, che risuonò forte nell’aria attorno a loro, guidando gli sguardi di tutti verso un punto preciso, là dove un’imponente sagoma, pur ancora in avvicinamento, già stava sovrastando tutti gli uomini e le donne della Loor’Nos-Kahn, ovviamente schierati a ranghi serrati attorno al gruppo, con armi in pugno per non concedere loro alcuna opportunità d’azione. Una voce, e una sagoma, che ebbero a sorprendere allor tutti, nel non proporsi così sconosciuta come pur, in tutto quello, si sarebbero attesi e, anzi, risorgendo, in maniera terrificante, da un lontano passato che, non metaforicamente, erano tutti convinti di aver seppellito da lungo tempo…

venerdì 21 aprile 2017

RM 110


Una consapevolezza, quella che Heska ebbe a maturare sulla Kriarya, che parimenti, e quasi contemporaneamente, fu conquistata anche da Nissa a bordo della Jol’Ange.
Quest’ultima, infatti, pur non avendo contatto diretto con la propria gemella, neppure avrebbe abbisognato di ciò per poter comprendere cosa potesse allor star passando per la mente dell’altra, nel conoscerla come e forse persino più di se stessa, e nel poter in ciò facilmente intuirne il flusso di coscienza tale da condurla verso quell’ultima, critica decisione…

« Vuole arrendersi. » dichiarò Nissa, dopo aver osservato per un lungo momento, in silenzio, la situazione così come venutasi a creare attorno a loro, l’assedio loro imposto da quelle navi sconosciute.
« Cosa…?! » domandarono, quasi in coro, tanto Duva quanto Carsa, colte di sorpresa da quell’affermazione, da quella constatazione che chiunque avrebbe potuto obiettare qual fondata sul nulla, qual, allora, chiaramente si poneva, e che pur, nell’essere stata scandita dalla sorella gemella di Guerra, a lei fisicamente identica sotto ogni aspetto, o quantomeno identica a come ella doveva essere prima dell’aggressione che aveva dato origine a tutto quello, non avrebbe potuto essere banalizzata nel proprio valore, nella propria importanza, nei propri contenuti.
« Vuole arrendersi. » ripeté l’altra, scuotendo appena il capo in una lieve nota di disapprovazione « Al di là di tutto l’impegno e il tempo speso per riunirci insieme, mia sorella non desidera giocare con le nostre vite e, soprattutto, non desidera che alcuno fra noi abbia a rischiare la propria vita per lei, specialmente chi, come Ma’Vret, Heska o la sottoscritta, lascerebbe i propri figli privi di un genitore. » esplicitò, ovviando a dar voce all’intero percorso di pensiero che era certa avesse coinvolto Midda, nel puntare, più direttamente, al nocciolo della questione e, con esso, a quella sintesi probabilmente estrema, e pur adeguatamente completa nei propri contenuti principali.
« Nel constatare l’evidenza derivante dal nostro essere ancora in vita, è facile ipotizzare che non vi sia, da parte dei nostri antagonisti, desiderio di condannarci a morte in maniera troppo spicciola… o, in tal caso, non saremmo qui a parlarne in questo momento. » osservò Salge, a offrire argomenti in supporto alla supposta decisione di Guerra nel merito di quell’ipotesi di resa « Probabilmente ciò che desidera è garantirci la possibilità di sopravvivere oggi per continuare a combattere un altro giorno. »
« Francamente preferirei sopravvivere oggi continuando a combattere fin da subito, senza rimettermi all’ipotetica pietà dei nostri avversari. » scosse il capo Ja’Nihr, non desiderando dichiararsi contraria a quella scelta e, ciò non di meno, non potendo neppur tacere, a fronte di una richiesta tanto aliena alla propria natura, a quanto ella non fosse mai stata abituata a fare o a pensare « Ma se questo è quello che Guerra suggerisce, non sarò di certo io a contrariarla. »

E se anche Carsa e Duva, dal canto loro, non avrebbero potuto ovviare ad assumere una posizione non diversa da quella così dichiarata dalla cacciatrice loro sorella d’arme; altre voci di dubbio, di incertezza a tal riguardo, non poterono mancare neppure a bordo della Kriarya, là dove, il confronto con tale annuncio, ebbe possibilità di essere più diretto, a partire dall’affermazione pocanzi formulata dalla stessa Heska in merito ai pensieri della loro ispiratrice…

« La resa…?! » protestarono, praticamente contemporaneamente, Howe e Be’Wahr, esprimendosi come un’unica voce.
« Perché arrenderci ora…? » proseguì il biondo.
« Abbiamo affrontato con successo situazioni peggiori in passato… » incalzò il primo, scuotendo vigorosamente il capo nell’escludere la possibilità così suggerita « … questa gente non ha idea di chi ha deciso di attaccare. »
« E, invece, ce l’ha alla perfezione. » negò Midda, riprendendo voce nel confronto con i due fratelli e, insieme a loro, con tutti i presenti, a non concedere equivoco alcuno nel merito delle proprie parole « Hanno agito in maniera troppo puntuale, straordinariamente precisa, per poter essere banalizzati quali sciocchi privi di qualunque consapevolezza nel merito di quanto sta accadendo… » argomentò, indicando con lo sguardo lo schermo sul quale, ancora, la diagnostica mostrava il devastante risultato dell’attacco loro imposto « Questa gente, della Loor’Nos-Kahn o da loro inviata a nostro discapito, è più preparata di quanto non potessimo essere spinti a credere a seguito della prima battaglia. E non possiamo permetterci di sottovalutare un tale avversario… a meno di non essere disposti a cadere, come degli sciocchi, innanzi a esso. » sancì, con tono sufficientemente serio da non permettere di fraintendere la gravità di quell’affermazione, di quanto allora stava cercando di definire.
« D’accordo. » accettò Howe, almeno per quanto concernente alla logica inoppugnabile della seconda parte del discorso così scandito « Ma un conto è non voler sottovalutare l’avversario… un altro è decidere di consegnarsi a loro senza neppure prendere in esame l’idea di combattere. »
« E chi ha detto che non combatteremo…? » puntualizzò Guerra, aggrottando appena la fronte a quella nota rivoltale, a quell’appunto sollevatole.
« … credevo… » esitò l’altro, per poi riservarsi un istante di silenzio a riepilogare mentalmente quanto accaduto, quando discusso, in maniera tale da ovviare a possibili, sciocchi errori « Vuoi che ci arrendiamo o che combattiamo…? »
« Combatteremo quando sarà il momento. » intervenne Ma’Vret, dimostrando di aver colto il senso della logica così suggerita, per quanto, forse, anch’egli in lieve dubbio a tal riguardo « Ora no. Perché combattere ora ci troverebbe posti in una posizione di inferiorità tale da non garantire non tanto la vittoria, quanto la sopravvivenza di tutti noi. »

La forza di quel gruppo, il vero potere di quei dodici, avrebbe avuto a dover essere riconosciuto, da sempre, nella loro eterogeneità, nella loro capacità di riunire persone diverse, esperienze diverse, modi di pensare diversi, e amalgamarli, condensarli, in un un’unica, devastante forza, dimostratasi capace, in passato, persino di rovesciare governi planetari, agendo, al di là di ogni differenza interna, di ogni autonomo pensiero, qual un sol uomo.
In ciò, per quanto, in quel frangente, diverse avrebbero avuto a doversi riconoscere le voce di dubbio sollevatesi nel merito di quell’ipotesi di resa, anche solamente estemporanea così come giustamente e separatamente evidenziato da Salge e da Ma’Vret, nessuno fra loro avrebbe agito, alfine, in contrasto agli interessi del gruppo, tutti perfettamente consapevoli di quanto, in una vita qual la loro, o sarebbero sopravvissuti, insieme, come squadra, o sarebbero periti, singolarmente, come individui, giacché, per quanto straordinari avessero a doversi considerare, singolarmente, le loro capacità, la forza del loro gruppo, della somma dei diversi valori di tutti loro posti insieme, non avrebbe mai potuto conoscere rivali. E in quanto soldati, in quanto combattenti, un concetto, anche, era da tutti loro comunemente accettato e perfettamente condiviso: in momenti come quello, in situazioni di crisi qual quella lì loro proposta, l’unica via percorribile, nella ricerca di una comunione d’intenti all’interno della loro famiglia, non sarebbe stata la discussione democratica, quanto, e piuttosto, la fiducia in chi, sino a quel giorno, aveva comunque permesso loro di sopravvivere, e di vincere ogni propria sfida: Guerra.
E laddove Midda e Nissa, sua interprete sulla Jol’Ange, stavano allor definendo la necessità di una loro resa, al di là di ogni opinione contraria, al di là di ogni dubbio a tal riguardo, la fiducia, sempre meritata, verso entrambe, non avrebbe permesso di giungere ad altra conclusione se non quella da loro suggerita.

giovedì 20 aprile 2017

RM 109


E se, sulla Jol’Ange, un necessario momento di capitolo fu necessario per comprendere quanto potesse essere accaduto e quanto grave avrebbe avuto a doversi considerare la situazione in cui si erano venuti a ritrovare; una scena non dissimile fu quella che, parallelamente e contemporaneamente, avvenne anche sulla Kriarya, pur, necessariamente, con protagonisti diversi…

« Per Lohr! » imprecò Howe, massaggiandosi la fronte, là dove, in conseguenza del terremoto che aveva sconquassato la nave, era andato a sbattere la testa contro uno spigolo, fortunatamente non riservandosi gravi danni se non quello che, entro breve, si sarebbe manifestato nella forma di un bernoccolo.
« Midda…?! Stai bene…? » domandò Ma’Vret, rivolgendosi alla propria passata amante, nonché attuale compagna d’armi e capitano a bordo di quella nave, anch’egli recuperando posizione eretta dopo il volo che aveva, suo malgrado, compiuto.
« Io sì. La Kriarya no. » sancì Guerra, seria, osservando rapidamente i resoconti diagnostici sul proprio schermo « L’integrità strutturale è scesa al sessanta per cento. »
« … e abbiamo perso le gondole motori, temo. » intervenne la voce di Heska, sopraggiungendo sul ponte di comando, indicando, al di fuori di un piccolo oblò, la nave dei loro compagni, che non sembrava, proprio malgrado, riversare in situazioni migliori delle loro.
« Sì. » confermò la prima, stringendo i denti con rabbia « Chiunque ci ha teso quest’imboscata, non si può dire che non sia stato bravo. »
« Un’imboscata sottintende un certo livello di premeditazione. » osservò Lys’sh, comparendo anch’ella sulla soglia del ponte di comando, seguita a breve distanza da Be’Wahr, con il quale, chiaramente, si doveva star allora intrattenendo prima dell’accaduto.
« Esatto. » confermò Ebano, annuendo alle parole dell’ofidiana « Ma chi…? »
« Stiamo tutti bene…? » domandò Midda, cercando rapida conferma visiva del loro stato di salute, in un censimento fortunatamente breve, nel considerare quanto avesse a doversi considerare ristretto l’equipaggio di quella nave, oltre, ovviamente, di dimensioni contenute la nave stessa.
« Più o meno… » confermò Howe, ancora con la fronte indolenzita « Ci prepariamo all’abbordaggio? » soggiunse poi, in riferimento, implicito, all’immagine presente su uno degli schermi, raffigurante la sgradevole situazione esterna, l’assedio loro posto in quell’angolo remoto di spazio cosmico.

Una domanda semplice, quella dell’uomo, che, dal punto di vista comune, avrebbe lasciato spazio a una sola, semplice risposta.
Perché, ove tutto quello fosse successo dieci cicli prima, sicuramente, la loro comandante, il loro condottiero, non avrebbe potuto prendere in considerazione altra idea al di fuori di quella volta ad armarsi, e a prepararsi ad accogliere a bordo chiunque si sarebbe potuto presentare in loro contrasto, chiunque avrebbe commesso l’imprudenza di spingersi a porre loro sfida, non soltanto respingendoli, ma, addirittura, domandoli, dominandoli, uccidendoli e, successivamente, impossessandosi delle loro stesse navi, laddove, appariva già a tutti palese, lapalissiano, come la Kriarya e la Jol’Ange, proprio malgrado, fossero appena state ridotte a due rottami spaziali. Certamente, in tutto ciò, la loro vita sarebbe stata posta in terrificante dubbio e molto facile sarebbe stato poter essere banalmente spazzati via, ridotti a pulviscolo siderale, scomparendo nelle pieghe del tempo e della Storia.
Ma dieci cicli prima, Heska, Ma’Vret e Nissa non avevano dei figli ai quali far ritorno. Duva non aveva un compagno ad attenderla amorevolmente, forse nella speranza di poter, a loro volta, dar vita a una famiglia. E Lys’sh e Be’Wahr non avevano appena iniziato a esplorare l’idea di un comune rapporto. Dieci anni prima, tutto era, forse, più semplice: nel non avere legami al di fuori di quella loro famiglia d’arme, nel non essere legati a nessuno al di fuori dei propri compagni e compagne di ventura, nessuno di loro avrebbe avuto realmente qualcosa da perdere al di fuori della propria vita e, più precisamente, nessuno di loro avrebbe avuto qualcosa da negare ad altri nella perdita della propria vita.
In quell’ultimo decennio, tuttavia, qualcosa era cambiato. Molte cose erano cambiate. Tutti loro erano cambiati. Midda Bontor era cambiata. Colei un tempo nota e temuta con il nome di Guerra aveva avuto due meravigliosi figli, e, già prima della loro nascita, in previsione della loro nascita, aveva deciso di ritirarsi, nel riconoscere il giusto valore a quelle prossime vite che da lei sarebbero dipese. Accanto a lei era rimasto Brote, suo amico, suo compagno, suo complice, suo amante, che, senza esitazione, aveva accolto anche il ruolo di sposo e di padre, rinunciando a sua volta a tutta quella che era stata la loro vita passata per divenire qualcosa di nuovo, per nascere, accanto ai propri figli, a nuova vita. E, dopo dieci cicli, ella era stata violentemente rigettata nel proprio passato, a confronto con la propria identità d’un tempo, dalla morte di Brote e dal rapimento dei loro figli. In tutto ciò, agendo spinta dal dolore che non si stava permettendo di provare, dal lutto che non si stava concedendo il tempo di elaborare, forse e ancor più che dall’amore materno nel confronto della propria pur ricercata prole, Midda era tornata a essere Guerra, e aveva deciso di radunare nuovamente, attorno a sé, tutta la propria antica famiglia per mettere a ferro e a fuoco l’intera galassia, ove fosse stato necessario.
Ma, dietro a Guerra, ella lo aveva iniziato a comprendere, la donna che Midda era divenuta, la moglie e la madre che in quegli ultimi dieci cicli ella aveva imparato a essere, non avrebbe potuto essere completamente obliata. In questo, ella non avrebbe mai potuto ignorare il dolore che avrebbe sparso fra altre famiglie, fra altre mogli, mariti, compagne e compagni, nel momento in cui una sua scelta sbagliata avesse condotto tutti loro al macello. E se la loro prima battaglia era stata combattuta e vinta su un terreno a loro sconosciuto e pur reso sicuramente favorevole dal fattore sorpresa, oltre che, inoppugnabilmente, da una superiorità tecnica priva d’eguali; quella loro potenziale seconda battaglia avrebbe allor richiesto d’essere combattuta su un terreno a loro conosciuto ma, sciaguratamente, reso inoppugnabilmente sfavorevole dal fattore sorpresa che, in questa nuova occasione, aveva giocato in favore dei loro aggressori, la cui identità non avrebbe avuto a dover essere considerata particolarmente difficile da indovinare.
A fronte di tutto ciò, l’unico pensiero che in quel momento non avrebbe potuto ovviare a dominare nella mente di Guerra, l’unica analisi, riflessione che allor ella non avrebbe potuto ignorare, sarebbe stata rivolta all’evidenza di come, avendoli così frenati, prima, circondati, poi, e immobilizzati, infine, la Loor’Nos-Kahn, o chi per essi, non li avesse ancora sterminati, segno evidente che, forse, avrebbero potuto avere ancora qualche speranza di sopravvivere se solo ella avesse pensato bene alle mosse che avrebbero avuto a dover compiere. Mosse che, dal suo punto di vista, non avrebbero potuto permettere l’immolazione di alcuno fra loro, in nessun caso…

« Considerando che non ci hanno ancora impiegato come bersaglio da esercitazione, ci vogliono vivi… » condivise il proprio pensiero con i compagni lì presenti « … almeno per il momento. »
« Ottimo. » annuì Howe, fraintendendo il senso che ella desiderava porre dietro quell’affermazione, nell’interpretarla per così come avrebbe compiuto un tempo « Alle armi, allora! »
« No. » lo frenò la voce di Midda, bloccandolo ancor prima che potesse compiere il primo passo in direzione dell’armeria, a recuperare quanto necessario per combattere quella nuova battaglia « Aggredendoli ora, forniremmo semplicemente loro la ragione necessaria per decidere di aprire il fuoco e farci saltare in aria come già hanno fatto con le nostre gondole. » escluse, argomentando in tal maniera la propria posizione, la decisione forse non semplice, e pur, allora, per lei quasi obbligata, da assumere in tal frangente.
« E quindi…?! » esitò Be’Wahr, cercando di seguire quel ragionamento.
« … vuoi che ci prepariamo alla resa. » dichiarò Heska, con tono grave, cogliendo altresì alla perfezione il pensiero dell’amica.

mercoledì 19 aprile 2017

RM 108


Per un momento, dopo il successo di quella prima azione nel sistema di Velsa, forse qualcuno fra i dodici ebbe occasione utile a illudersi che tutto sarebbe andato bene, che l’intero percorso si sarebbe proposto in discesa, che nulla si sarebbe mai posto d’intralcio sul loro cammino. Un’illusione non priva di fondamento, non priva di ragioni, nel mirabile trionfo ottenuto, e pur, ciò non di meno, un’illusione pericolosa, laddove, in ciò, ci si sarebbe potuti permettere di abbassare la guardia, di riprendere il fiato, con il falso presupposto che, alla fin fine, le uniche occasioni nelle quali doversi obbligare alla guardia forzata sarebbero state quelle relative ai successivi attacchi, alle successive azioni per così come già pianificate, quasi come se, la proprio canto, la Loor’Nos-Kahn sarebbe comunque rimasta inerte ad attendere il proprio massacro. Ovviamente non tutti avrebbero avuto a dover essere riconosciuti qual contagiati da quell’illusione di serenità, di tranquillità: Midda, innanzitutto, ma anche la sua gemella Nissa, per carattere, e tutti coloro che della guerra avevano continuato a mantenere la propria professione, come Carsa, Howe, Be’Wahr, Ja’Nihr e Desmair, avrebbero avuto a doversi considerare condannati all’assenza di requie psicologica, nel rifiutare la possibilità di potersi considerare al sicuro nella sola necessità di mantenersi, in tal maniera, in vita. Non che, invero, per Salge, Har-Lys’sha, Heska, Ma’Vret o Duva tutto quello avesse a doversi considerare un gioco, un viaggio di piacere, una simpatica rimpatriata con dei vecchi compagni d’arme… al contrario: lo stesso rifiuto da parte di Heska e Ma’Vret all’invito di Guerra volto a cercare contatto con le proprie famiglie, con i propri cari, avrebbe avuto a doversi riconoscere testimonianza concreta di ciò, del desiderio, da parte di tutti loro, di non permettersi ingenuità alcuna per garantirsi, in tutto questo, occasione di ritorno a casa, dai propri cari, dalle proprie famiglie che tanto amavano e che, per avere possibilità di rincontrare, sarebbero stati disposti a ignorare, almeno dal punto di vista di un qualsivoglia genere di contatto, per tutto il tempo necessario. E proprio laddove, in quel volontario e consapevole silenzio radio, l’intento avrebbe avuto a doversi riconoscere quello volto a mantenerli quanto più possibile al di fuori di possibili controlli da parte dei propri nemici, avrebbe avuto a doversi forse condannare, a posteriori, quel pensiero ingenuo, quell’illusione di sicurezza che, ineluttabilmente, ebbe a dimostrarsi tale.
Per un momento, nei controversi festeggiamenti per il successo di quella prima azione nel sistema di Velsa, forse qualcuno fra i dodici ebbe occasione utile a illudersi che tutto quello avrebbe avuto a doversi considerare una mera riprova della loro incontrovertibile tendenza al successo, alla vittoria e alla gloria, in quel lontano passato ormai quasi perso nel mito, così come in quel ritrovato presente, in quella rinnovata riprova di quanto, per loro, il tempo non fosse passato. Un’illusione giustificata e giustificabile, e che pur, se davvero ebbe a essere, forse, in parte, contribuì a condannarli, e a condannarli al disastro, così come mai nel loro comune passato avevano conosciuto, alla disfatta così come mai, nelle numerose battaglie affrontate e vinte, avevano immaginato. Ovviamente, in quanto guerrieri, in quanto soldati, essi avrebbero dovuto essere, ed erano, ben consci di quanto molteplici avrebbero dovuto aver a essere conteggiati i motivi di quel loro primo successo: benché, infatti, fosse stata loro forzata la mano dagli avvenimenti che avevano veduto Lys’sh qual involontaria protagonista, tutto si era svolto concedendo loro, innanzitutto, il beneficio del fattore sorpresa, lasciandoli piombare all’interno della scena in totale autonomia, con la più assoluta libertà d’azione, nella scelta dei tempi e dei modi, in misura utile a permettere a tutti loro di poter godere di ogni vantaggio da ciò derivante. Certo: fosse stata una situazione diversa, fossero stati loro attesi, avesse avuto la Loor’Nos-Kahn occasione di prepararsi diversamente al loro arrivo, forse, ma solo forse, l’evoluzione degli eventi avrebbe potuto assumere un percorso differente e, anche ove il finale avrebbe avuto a dover potenzialmente essere riconosciuto eguale, il cammino nel mentre avrebbe potuto risultar letale per qualcuno fra loro, privandoli, in ciò, di ogni motivo, alfine, per festeggiare così come, altresì, avevano fatto. Fortunatamente, in grazia a tutti i loro dei, per merito di una sorte benevola, alcuno sgradevole scenario alternativo aveva richiesto d’essere esplorato… benché, purtroppo, nell’alternanza caratteristica del fato, nell’imprevedibilità della ruota del destino, tanta grazia non avrebbe avuto a dover essere equivocata qual retorica, ovvia, scontata.
Per un momento forse qualcuno fra i dodici si illuse…
… ma, quando quel momento passò, a nessuno venne più concessa opportunità di continuare in tal senso, costringendo tutti e dodici a un violento ritorno alla dura, impietosa, realtà. Una realtà nella quale l’unica certezza che mai avrebbero potuto far propria sarebbe stata quella dell’ineluttabilità dell’ultimo appuntamento delle proprie vite: la morte.

Non vi fu alcun allarme: semplicemente tutto avvenne. E laddove un attimo prima la Kriarya e la Jol’Ange viaggiavano attraverso gli spazi siderali, un istante dopo le rispettive gondole motori avevano cessato di funzionare e le due navi erano state proiettate violentemente al di fuori del balzo interstellare che stavano compiendo, venendo riportate nel consueto piano di realtà. Il corrispettivo, metaforicamente parlando, di una brusca frenata incontrollata, in sola conseguenza della quale, già, i danni avrebbero avuto a dover essere censiti come notevoli. Danni notevoli che, comunque, ebbero a essere rapidamente promossi quali disastro terrificante nel momento in cui, entrambe le navi, videro esplodere, violentemente, le proprie gondole motori, e videro ciò accadere in sgradevole conseguenza della comparsa, attorno a loro, di una dozzina di altre navi, tali da circondarle completamente, da non offrire loro alcuna possibilità di scampo, non che, senza la possibilità di compiere un balzo interstellare, avrebbero potuto vantare particolari possibilità di scampo.

« Qualcuno mi vuole spiegare che accidenti sta accadendo, per Tarth?! » gridò Salge, furioso, nel risollevarsi dall’angolo in cui era stato sbalzato in conseguenza alla deflagrazione dei motori, evento che aveva, inevitabilmente, sconquassato l’intera nave, con la violenza di un terrificante terremoto.
« L’integrità strutturale della nave è scesa al settantaquattro per cento… » annunciò Duva, consultando rapidamente uno schermo, sul quale una schermata diagnostica le stava riportando la situazione attuale « … temo che abbiano colpito le gondole. »
« So che probabilmente sarà una domanda retorica… ma chi?! » questionò il capitano, digrignando i denti per la rabbia all’idea del disastro appena occorso, di quanto la sua splendida nave, la sua amata Jol’Ange, fosse stata ridotta pressoché in un rottame spaziale « A chi dovrò strappare il cuore dal petto, per tutto questo…?! »
« Anche la Kriarya è stata colpita… » comunicò Carsa, osservando la realtà dei fatti attraverso un piccolo oblò, una finestra dischiusa sull’infinità del cosmo attorno a loro e, in quel momento, disgraziatamente anche sulla nave loro alleata, là dove la metà dei loro compagni era ospitata, e che, allora, risultava palesemente in condizioni non migliori delle loro « … speriamo stiano tutti bene. »
« Noi come stiamo?! » domandò Salge, rimproverandosi di aver posticipato quella domanda subito dopo lo scatto d’ira nei confronti della propria nave, in un comportamento forse non degno di un capitano da romanzo d’appendice, ma assolutamente umano e comprensibile, soprattutto per chi avrebbe potuto vantare di conoscerlo e di conoscerlo abbastanza bene, al pari di tutti coloro a lui li circostanti « Qualche ferito…? »
« Ja’Nihr e io stiamo bene… » riferì Nissa, comparendo in quel momento, accompagnata dalla cacciatrice, sulla soglia d’ingresso al ponte di comando « Solo qualche livido che comparirà certamente nei prossimi giorni, ma nulla di grave. »
« Desmair…? »
« Anche io sto bene… grazie per il pensiero. » confermò la voce del flegetauno, raggiungendoli.
« Sta finendo di spegnere un piccolo incendio scoppiato nella zona di carico. » spiegò Ja’Nihr, alle spalle della sorella di Guerra « Nulla di grave… »
« Beh… se volete qualcosa di un po’ più grave, accomodatevi pure. » invitò Duva, indicando allora un’immagine richiamata sul proprio schermo, e raffigurante la situazione di assedio in cui, loro malgrado, si erano venuti a ritrovare.