11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

mercoledì 31 maggio 2017

RM 150


Dopo essersi accostata al bancone e aver ordinato da bere un analcolico, Midda restò per un momento in contemplazione della situazione, prestando bene attenzione a ovviare qualunque contatto visivo diretto con i tre: non aveva ancora ben deciso in che maniera approcciarli e, in ciò, la cosa migliore che avrebbe potuto fare sarebbe stata quella di tentare di passare quanto più possibile inosservata. Nel mentre in cui Faccia D’Anatra si stava allor impegnando a trovare l’angolazione giusta per l’ennesimo autoscatto in compagnia, ora, dell’immagine di Elton John alle sue spalle, sotto molti aspetti estremamente più sobrio di quanto ella sarebbe alfine apparsa nel prodotto di tanta fatica; Pacioccone e YogiTea erano amabilmente coinvolti in una qualche discussione su un tema che, evidentemente, stava appassionando parecchio il primo, il viso infantile del quale non si stava ponendo in grado di dissimulare una vasta sequenza di emozioni, dal divertimento allo sconcerto, dalla curiosità al disgusto e, ancora, al piacere, in continua alternanza a ogni nuova parola scandita dall’interlocutrice, principale oratrice in quel confronto. E, forse con un po’ di pregiudizio, l’investigatrice privata non poté, in tutto ciò, che spingersi a formulare almeno un paio di ipotesi, ossia che YogiTea avrebbe avuto a dover essere riconosciuta qual la pettegola del gruppo, e che Pacioccone avrebbe avuto a dover essere considerato, proprio malgrado, qual infatuato di lei, in termini tali da lasciarlo pendere, in maniera a dir poco imbarazzante, dalle sue labbra, benché ella sembrava non rendersene minimamente conto o, forse e semplicemente, non volerlo consapevolmente prendere in considerazione, per non essere costretta ad affrontare l’evidenza di quanto, lì, molto più comodamente, non detto. Sull’egocentrismo di Faccia D’Anatra, francamente, nessuna considerazione avrebbe potuto essere aggiunta: quell’ipotesi, tutt’altro che pregiudiziosa, era stata infatti da lei già formulata in occasione del confronto con la sua fin troppo affollata galleria di autoscatti, che difficilmente avrebbero potuto giustificare un carattere timido e riservato, o, comunque, poco sicuro di sé.

« Come possa andare d’accordo con questa gente, francamente, mi sfugge… » commentò l’investigatrice, a bassa voce, rivolta a se stessa, nel ripensare alle proprie considerazioni su Carsa e a quanto difficile sarebbe stato riuscire a trovare un punto d’incontro fra l’immagine mentale che ella si era creata della scomparsa e quell’emblematico trio di ipotetici suoi amici, dai quali ella non avrebbe potuto essere più distante « … o, forse, dovrei rivedere le mie considerazioni su di lei. » ipotizzò, non escludendo di aver tracciato un profilo sbagliato nel merito della giovane, essendo partita, dopotutto, dalle testimonianze del padre, le quali, ineluttabilmente, avrebbero avuto a doversi considerare viziate, di fondo, dalla cieca adorazione di un genitore per la propria figliola.

Ancora per qualche istante ella rimase in discreta osservazione dei tre, assistendo alla gioia di Faccia D’Anatra nel momento in cui quest’ultima ebbe modo di ottenere quello evidentemente giudicato essere lo scatto perfetto, subito condiviso, sullo schermo del proprio cellulare, con i presenti e, un istante dopo, egualmente condiviso, attraverso i propri profili, con chiunque potesse essere interessato a seguire le vicende su internet. Poi, stringendosi fra le spalle, rispose a se stessa e alla propria precedente considerazione, in termini assolutamente onesti e autocritici.

« Che poi… chi sono io per giudicare? » concluse, portando il proprio pensiero alle proprie quotidiane, o saltuarie, frequentazioni e, in ciò, includendo le ragazze del proprio condominio e i loro protettori, i tossici del quartiere, i furfantelli al pari di Seem Stone, e quelli un po’ più impegnati al pari di Be’Sihl Ahvn-Qa, in un giro di rapporti decisamente criticabili e che, comunque, sperava non avrebbero avuto a doverla definire in quanto persona, in quanto individuo « A meno di non voler imitare mia madre… » sorrise, in un misto fra malinconia e divertimento, prima di sorseggiare, nuovamente, un po’ del proprio analcolico.

Nel momento in cui il tavolo accanto al divanetto del trio si liberò, Midda raccolse il proprio bicchiere e, con aria tranquilla, ebbe ad avanzare verso quella migliore posizione, entro la quale, quantomeno, avrebbe potuto ascoltare ciò di cui stavano lì parlando: non che si aspettasse che essi avrebbero scelto qual tema della serata proprio la loro amica scomparsa, ma, nel dubbio, essere a distanza utile avrebbe avuto a doversi giudicare qual una positiva predisposizione a tal riguardo.
Così accomodatasi, ella trascorse oltre un’ora a maturare consapevolezza nel merito di quanto, le sue prime ipotese riguardo ai tre soggetti non fossero poi così azzardate. Simili più a degli stereotipi che a delle persone vere, essi si ponevano così perfettamente all’interno del proprio ruolo in misura tale da risultare addirittura incredibilmente prevedibili in ogni propria azione, in ogni proprio gesto o parola, quasi non stessero vivendo la propria vita ma stessero seguendo un copione già scritto per loro. Qualcosa che, in fondo, avrebbe potuto essere giudicato non poi così lontano dalla realtà, giacché, considerando il contesto sociale e le sue stringenti regole, difficilmente i loro comportamenti avrebbero potuto essere considerati del tutto onesti, sinceri, trasparenti, tanto dei loro veri pensieri, quanto delle loro vere identità: molto più semplice, in ciò, sarebbe stato nascondersi dietro una maschera, un personaggio da interpretare anche in accordo con quanto gli altri avrebbero potuto attendersi da loro, per non tradirne le aspettative e per rispettare il quieto vivere, correndo, tuttavia, il pericoloso rischio di perdere la propria identità dietro la maschera e, in ciò, alfine, non sapersi più riconoscere allo specchio.

« Non ci credo… » stava ribadendo Pacioccone, scuotendo il capo già da qualche minuto prima del suo arrivo, a esprimere tutta la propria sorpresa nei confronti dell’ultimo pettegolezzo condiviso.
« Vi dico che li hanno sorpresi insieme nel parcheggio. » assicurò YogiTea, annuendo per tutta risposta a quella mancanza di fede da parte dell’interlocutore « E si stavano impegnando parecchio, a quanto pare… »
« Con tutti i soldi che guadagnano, mi sarei aspettata che, per lo meno, avrebbero avuto la decenza di prendersi una camera da qualche parte. » osservò, distrattamente, Faccia D’Anatra, meno coinvolta nel discorso, nel prestare più attenzione al proprio cellulare che ai suoi compagni, benché, comunque, fosse egualmente attenta al discorso.
« Definisci “impegnando parecchio”. » suggerì il primo, con indiscreta curiosità al di là del diniego continuamente espresso dal movimento continuo della sua grossa testa.
« Non è che abbia visto un video, gente! » sancì l’altra, levando le mani a dimostrare metaforicamente di non aver nulla di concreto da offrire loro « Di certo c’è stato un certo contatto fra le loro labbra e le loro lingue… poi, nel merito di altre parti del corpo non ho dettagli. »
« Che tristezza… » si arrese l’unico uomo lì presente, storcendo le labbra verso il basso « Cioè… la conosco da anni. Da prima ancora che si sposasse. E ha anche un figlio, per la cronaca… »
« Se è per questo lui ne ha due. » puntualizzò la pettegola, aggrottando la fronte « E a leggere il suo blog, sembrerebbe che la famiglia abbia a essere sempre al centro dei suoi pensieri… »
« A guardare la foto del profilo di lei, invece, sembrerebbe che del figlio non le interessi più nulla… » intervenne ancora Faccia D’Anatra, offrendo lo schermo del cellulare verso i due compagni, a mostrare chiaramente qualcosa che pur, dalla sua posizione, l’investigatrice non ebbe occasione di vedere « Fino a qualche mese fa erano tutte foto sue e del suo bambino. E ora… la stessa eleganza di una pantera a caccia… » sottolineò, dimostrandosi, invero, meno volgare di quanto Midda non stesse allor aspettandosi sarebbe potuta essere in un tale contesto « … o di una cagna in calore… » si corresse immediatamente dopo, costringendo la loro ascoltatrice ad avvicinarsi nuovamente il bicchiere alle labbra, per nascondere, con esso, un sorriso decisamente divertito nel confronto con quell’irrinunciabile precisazione.
« Ma tanto lui non durerà molto… » sospirò stancamente YogiTea, stringendosi fra le spalle « Non appena la direzione si renderà conto di quanto poco la sua presenza stia apportando, vedrete che si ritroverà la scrivania svuotata senza che possa avere il tempo di dire “Ma…”. »

martedì 30 maggio 2017

RM 149


Gestire due casi contemporaneamente, in maniera egualmente efficace ed efficiente, non avrebbe avuto a doversi considerare semplice, soprattutto dal momento in cui, incredibilmente, nessuno dei due avrebbe allor richiesto da parte sua il mero pedinare qualche coniuge infedele, immortalandone le fedifraghe gesta. Consapevole di ciò, Midda non avrebbe potuto ovviare a sentirsi, al contempo, entusiasta e, perché no?, un po’ intimorita, all’idea di quanto, allora, l’insuccesso avrebbe potuto costarle caro sotto molteplici aspetti: dal punto di vista umano, per il dolore nel quale avrebbe lasciato naufragare il povero signor Anloch, in speranzosa, e ciò non di meno, timorosa attesa di notizie riguardanti la propria amata figlia; dal punto di vista economico, per il mancato incasso che le sarebbe potuto giungere direttamente da qualche fondo federale e che, certamente, non avrebbe mai veduto se non fosse riuscita a offrire al Grosso e allo Smilzo quanto richiestole; e, ancora, dal punto di vista emotivo, per il doloroso colpo che il suo amor proprio, il suo già non particolarmente fortunato ego, avrebbe potuto subire di fronte all’idea di fallire nell’unica occasione in cui, in fondo, le stava venendo concessa la possibilità di confrontarsi con due casi veri, degni di attenzione e di nota, forse e probabilmente, non in misura sufficiente per un romanzo giallo ma, comunque e sinceramente, più che apprezzabili dal suo personale punto di vista.
Alla luce di ciò, anche il sonno avrebbe potuto essere improvvisamente considerato un fattore secondario, ragione per la quale, quando l’oscurità la raggiunse, ancora lì, sulla sua panchina, ella non ebbe motivo alcuno per dirigersi al proprio appartamento e, lì, cercare un’occasione di riposo, indubbiamente utile a ricaricare le sue energie in vista del giorno successivo… no. Al contrario, il giorno successivo avrebbe avuto a doversi considerare già troppo tardi, soprattutto ove, con il sopraggiungere della sera, con un po’ di abilità e di fortuna, ella avrebbe avuto la possibilità di compiere qualche altro passo avanti nelle proprie indagini. Così, armata di tre nomi riguardanti il caso Anloch, ella decise di posticipare qualunque ipotesi di riposo a un momento più opportuno, preferendo dirigersi nuovamente verso la metropolitana, e, da lì, a alla sua successiva meta, allor identificabile come un locale notturno conosciuto con il nome di “Kirsnya”.

Se il “Kriarya” avrebbe avuto a dover essere legittimamente considerato uno dei più importanti ed esclusivi locali di Midtown, con una clientela troppo ricca, prestigiosa e influente per poter essere facilmente posto sotto indagine benché Ahvn-Qa, il suo proprietario, non avrebbe potuto essere considerato concretamente uno stinco di santo; il “Kirsnya”, altresì collocato nel Village, non avrebbe potuto essere neppur fugacemente confuso qual un suo possibile rivale, o, anche e soltanto, concorrente. Laddove, infatti, il primo avrebbe potuto essere riconosciuto qual contraddistinto da redditi pro capite misurabili serenamente sul numero di triplette di zeri presenti in coda alle prime cifre dello stipendio mensile dei suoi frequentatori; il secondo avrebbe potuto essere considerato sicuramente più abbordabile, più alla portata anche di persone con salari più modesti, e, in questo, avrebbe avuto a dover essere giudicato certamente meglio frequentato, nel ritrovarsi chiaramente evitato da coloro i quali, banalmente saldando le differenze dovute fra quanto incassato e quanto pagato in tasse, in quello che qualcuno avrebbe potuto considerare qual un reato di evasione fiscale, avrebbero potuto contribuire al risanamento di qualche piccolo Stato africano.
Come per altri locali della città, quindi, nella prima parte della serata la clientela del “Kirsnya” era formata per lo più da stanchi colletti bianchi i quali, al termine di una lunga giornata d’ufficio, non avrebbero potuto ovviare a bramare una pur minima quantità d’alcool utile a rilassare i nervi; cedendo tuttavia il passo, da un certo orario in poi, a più rampanti studenti universitari, i quali avrebbero avuto a dover essere considerati, altresì, più interessati alla musica e a qualche occasione di appuntamento che all’alcool, il prezzo del quale, obiettivamente, avrebbe potuto essere considerato un po’ al di sopra della loro disponibilità economica per divenire una vera e propria abitudine.
Anche l’investigatrice privata, in quel remoto passato della propria vita da studente universitaria, aveva avuto occasione di passare per posti simili, pur all’epoca non avendo mai frequentato quel luogo il quale, forse, neppure avrebbe avuto a dover essere riconosciuto qual già aperto allora, nell’incredibilmente frenetico ricambio di gestioni, e nomi, che molti locali notturni della città erano ineluttabilmente destinati a subire, a volte vittime della crisi e delle banche, altre vittime di pessimi amministratori, altre della malavita e, ancora e più semplicemente, vittime del capitalismo lì imperante, che non avrebbe mai risparmiato alcuna dimostrazione di debolezza in un qualunque genere di attività avente qual fine ultimo la produzione di reddito. In quei tempi lontani, inutile negarlo, molto facilmente la giovane Midda era solita ritrovarsi al centro della festa, qual regina della serata, in grazia a un carattere che ben poche inibizioni le aveva da sempre imposto e a un corpo che, parimenti, ben poche inibizioni avrebbe potuto suggerire a chiunque attorno a lei. Non che ella fosse mai stata una sciacquetta… anzi. Semplicemente, e a dispetto di quello che avrebbe potuto giudicare sua madre al confronto con santa Nissa Ronae Bontor, ella non si era voluta mai negare occasione di vivere in libertà la propria vita, “vivere profondamente, e succhiare tutto il midollo di essa”, citando Thoreau, “per non scoprire, in punto di morte, che non ero vissuto”... o vissuta, per la precisione, così come anche ricordato, con lieve parafrasi, da Robert Sean Leonard molti anni prima di ritrovarsi a interpretare lo sfortunato oncologo miglior amico di un geniale, tossicomane e misantropo medico per otto lunghe stagioni televisive. E nel voler vivere profondamente, ella non si era mai negata ciò che, nell’istante del momento, era giudicato necessario, anche a costo, successivamente, di pagarne caro pegno, così come dimostrato dall’errore colossale citato nel cupo capitolo della sua esistenza intitolato “Matrimonio”.
Offrendo riferimento a tempi più recenti, a momenti più attuali della sua vita, difficilmente Midda era solita concedersi uscite serali in locali come il “Kirsnya”, o ancor meno come il “Kriarya”, all’interno del quale, con il suo non-reddito, difficilmente sarebbe riuscita a permettersi anche soltanto un bicchiere di acqua del rubinetto: non per disinteresse nei riguardi della vita notturna, che pur, onestamente, a trentacinque anni l’attraeva in misura inferiore rispetto a quanto non avrebbe potuto fare a venti; quanto, e piuttosto, perché abitualmente impegnata a lavorare ancor più nelle ore successive al tramonto che in quelle seguenti all’alba, in misura tale per cui, come quella sera, le sole ragioni per le quali avrebbe potuto finire in un simile luogo avrebbero avuto a doversi, ancora una volta, ricondurre a motivazioni professionali.
Quella sera, nel dettaglio, lo scopo della sua visita avrebbe avuto a ricondursi a tre diversi profili, tutti colleghi della scomparsa Carsa Anloch e, presumibilmente, suoi amici, nell’evidenza di una certa, assidua frequentazione anche in orario estraneo al quello lavorativo e, sovente, proprio entro le mura del “Kirsnya”: tal Jacob Renner, nell’osservazione del profilo del quale l’investigatrice privata aveva già soprannominato Pacioccone, in virtù di una delineata corpulenza e di un volto da bambino, malgrado trentun anni compiuti; tal Keira Agostino, rinominata come Faccia D’Anatra, laddove non una sola fra le oltre trecento foto della sua galleria la mostravano in una posa diversa da quella di una sciocca adolescente innamorata di autoscatti, a dispetto dei suoi non proprio adolescenziali ventisette anni; e tal Anne-Marie White, trentadue anni, da lei ridefinita come YogiTea, per la passione smodata nei confronti di infusi ayurvedici nel confronto dei quali, evidentemente, ella avrebbe dovuto ammettere una certa dipendenza, almeno innanzi alla promozione smodata compiuta attraverso i propri molteplici profili in rete. Profili in rete, quelli di Faccia D’Anatra e YogiTea, in particolare, che si erano dimostrati utili a garantirle certezza nel merito della presenza dei tre al “Kirsnya”, quella sera, laddove, senza dimostrare particolare ansia per la conclamata scomparsa della loro amica, avevano pubblicato già diverse serie di foto, ai propri bicchieri pieni, ai propri bicchieri vuoti, ai propri bicchieri nuovamente riempiti, nonché, ovviamente, a se stessi, includendo anche Pacioccone, meno prodigo di scatti rispetto alle colleghe.
Prima ancora di mettere piede all’interno del locale, quindi, l’investigatrice privata avrebbe potuto vantare una sufficiente confidenza con l’ambiente che l’avrebbe lì attesa e, addirittura, con la posizione, lì dentro, dei propri obiettivi, comodamente seduti su un unico divanetto di velluto blu, collocato al di sotto di una stampa, in grandi misure, di un lavoro surreale di David LaChapelle, raffigurante Elton John in piedi su un pianoforte leopardato, circondato, manco a dirlo, da leopardi, o forse ghepardi, e tigri, di diverse dimensioni, all’interno di una stanza completamente ornata, lungo il pavimento e buona parte delle pareti, da rosse ciliegie, e, sulla restante superficie delle pareti e del soffitto, su sfondo azzurro, anche da qualche banana. Difficile da confondere, insomma.

lunedì 29 maggio 2017

RM 148


Risolta rapidamente la parentesi con Seem, che non venne consegnato alla polizia ma al quale fu vivamente raccomandare di sforzarsi di rigare dritto, o di tentare di farlo, almeno per un po’, Midda tornò alla propria postazione di lavoro, di fronte alla statua di Balto, per iniziare, non senza una certa curiosità, la lettura del fascicolo smeraldo, contenente i dettagli dell’incarico a lei destinato da parte del Bureau.

« Spero che stiano scherzando… » osservò, storcendo le labbra nell’osservare la prima pagina stampata, per poi iniziare a sfogliare, rapidamente, i fogli successivi, a verificare un terrificante sospetto, giustificato da quanto purtroppo presentatole innanzi allo sguardo « … e, anche come scherzo, non lo potrei ritenere particolarmente divertente. »

E se le sue labbra ebbero allora a dover trattenere di prepotenza un’incredibilmente spontanea, e sinceramente sentita, sequenza di imprecazioni che avrebbero coinvolto un numero considerevole di santi estratti a sorte dal calendario; quanto i suoi occhi ebbero ad ammirare, alimentando quell’esigenza di irrispettoso sfogo, fu una serie di pagine quasi completamente censurate dietro pesanti pecette nere volte a escludere dalla sua attenzione materiale informativo per conoscere il quale, chiaramente, non era stata considerata sufficientemente autorizzata da parte di chi, ciò non di meno, l’aveva assunta, e ampiamente pagata, per svolgere il proprio lavoro: non qualche parola, qualche nome, di persona o di luogo, oscurato di tanto in tanto, quanto e piuttosto l’esatto opposto… nel concedere a qualche parola, a qualche nome, di persona e di luogo, di tanto in tanto, di emergere timidamente da una selva di oscure strisce uniformi.

« … federali… » commentò, con voce che non tentò neppur fugacemente di dissimulare la sua più completa assenza di entusiasmo nei loro riguardi, nel porsi a confronto con quanto di peggio avrebbe potuto essere prodotto dall’ottusa mentalità di quei suoi clienti.

Invero, e paradossalmente, la follia dietro a tutto quello avrebbe avuto a doversi considerare estremamente razionale, laddove, al contrario, privo di senso, e di senso nel confronto con delle informazioni di un’indagine federale ancora in corso, sarebbe stato concedere troppi dettagli a una semplice civile, a una comune cittadina qual ella, allora, avrebbe avuto a dover essere comunque considerata. Ma dal momento in cui, a cercarla, ad assumerla, e a fornirle spontaneamente tutto quel materiale, avrebbero avuto a doversi considerare proprio quei due, offrendole, fra l’altro, anche un cospicuo anticipo a fondo perduto, non sarebbe stato meglio, più conveniente, più sensato, per loro, metterla anche in condizione utile a lavorare? Non per qualcosa… giusto per non spendere inutilmente i propri soldi.
Sforzandosi, allora, di non considerare del tutto privi d’ogni capacità intellettuale gli agenti del Bureau, ove, altrimenti, ogni precedentemente non troppo velata critica alla loro formazione a Quantico avrebbe avuto a dover essere non soltanto ribadita ma, addirittura, enfatizzata; ella richiuse la cartelletta color smeraldo e si concesse qualche istante di quiete, di respiri profondi e rasserenanti, al fine di ritrovare la pace interiore così estemporaneamente perduta e, in ciò, di superare ogni passato pregiudizio nei confronti dei federali, improvvisamente ritornato prepotente alla sua attenzione, a seguito di quella spiacevole sorpresa.
Solo quando fu sicura di poter tornare a volgere la propria attenzione a quelle pagine senza, in ciò, rischiar di dar di matto alla vista dell’immensità di nere pecette lì oscenamente presenti, l’investigatrice privata ebbe il coraggio di chinare lo sguardo verso il fascicolo, tornando ad aprirlo. E se pur, la prima reazione, più istintiva, più intima, fu quella di tornare a vomitare una qualche litania di volgarità all’indirizzo del Grosso e dello Smilzo, nella sua mente, in quel frangente, incarnazione dell’intera loro agenzia; ella riuscì a trovare la forza di dominare le proprie emozioni e, in questo, di concedere il beneficio del dubbio a quel materiale, il quale non avrebbe avuto ragione d’esserle fornito se, quantomeno, non le fosse potuto essere d’aiuto, anche solo per intuire a discapito di chi, ella, avrebbe avuto a dover dedicare i propri servigi professionali.

« E poi c’è chi pensa che io non abbia pazienza… » sospirò, congratulandosi implicitamente con se stessa per quanta calma stesse dimostrando a fronte di quella situazione degna di Kafka.

Fra una pecetta e la successiva, all’investigatrice privata sembrò di porsi a confronto con una rivista enigmistica, nel tentativo, estremamente audace, di riuscire a ricavare qualche pensiero di senso compiuto attraverso qualche parola sparsa, qualche verbo disordinato e giusto un paio di nomi.
Purtroppo, al di là della propria professione attuale, così come della passata, ella non aveva oggettivamente mai avuto sufficiente pazienza per provare piacere a cimentarsi con dei giochi di enigmistica, preferendo, di gran lunga, attività più fisiche, come esercitazioni al poligono di tiro, quando ancora aveva un distintivo e una pistola d’ordinanza, o come qualche sana scazzottata su un ring, così come, di tanto in tanto, non mancava ancora occasione di riservarsi, in un genere di attività utile per sfogare lo stress accumulato e, soprattutto, per scaricare un po’ di tensione muscolare: così, benché ella pose sincero impegno a cercare di ricollegare parole in libertà come “ponte”, “fondamenta”, “crisi”, “polvere”, “traffico”, “mercato”, ottenendo una dozzina di diversi scenari tutti egualmente validi ed egualmente privi di qualunque valore, nel poter essere considerati assolutamente intercambiabili; tutto ciò a cui poté volgere la propria attenzione furono gli unici due nomi propri non censurati, uno dei quali, speranzosamente, avrebbe avuto a doversi considerare l’effettivo oggetto del suo incarico. Così, con buona pace della propria gemella, e di tutte le supposizioni di luddismo dalla stessa attribuitele, Midda decise di sfruttare la più grande banca dati esistente a metà del secondo decennio del terzo millennio, per verificare quali volti avrebbero potuto essere attribuiti a quei due nomi: Google.
Dal proprio cellulare, ella ebbe quindi a cercare, senza troppa fantasia, esattamente i due nomi per come riportati all’interno del fascicolo, nella speranza di individuare addirittura una qualche connessione fra loro, attendendo pazientemente l’esito di quello straordinario oracolo, innanzi all’occhio onniveggente del quale nessuno avrebbe potuto nascondere nulla… o, più precisamente, nessuno avrebbe voluto nascondere nulla, giacché, a differenza del secolo precedente, ormai la maggior parte delle persone avevano entusiasticamente rinunciato a qualunque concetto di riservatezza in nome di qualche istante di notorietà online, attraverso social media e quant’altro.

« Figurarsi se avrei potuto essere tanto fortunata… » sbuffò, innanzi all’incredibile risposta negativa del motore di ricerca al suo primo tentativo.

Un secondo tentativo, quindi, vide il primo dei due nomi essere riportato nella propria singolarità ed essere sottoposto a un nuovo esame, allora con maggior successo. Forse anche troppo successo, negli oltre millesettecento risultati che le vennero proposti in risposta. Aggiungendo a “Ja’Nihr Noam’Il” la semplice sigla “NY”, gli oltre millesettecento risultati precedenti ebbero a ridursi a poco più di duecento, i quali, in verità, nell’esclusione di quelli palesemente inutili, avrebbero avuto a doversi riferire a un’unica persona.
E nel successo così riportato, allora anche il secondo nome venne egualmente ricercato, subito con l’indicazione geografica a meglio isolare la zona e a permettere a meno risultati di confonderle la vista. E, in tal modo, anche “Hayton Kipons” trovò la propria giusta definizione, con quasi quattrocento risultati, oltre un centinaio dei quali, in verità, riferiti tuttavia a quello che, probabilmente, avrebbe avuto a dover essere considerato l’obiettivo più interessante per i federali, almeno a un primo sguardo.

« Ci sono domande a cui non potrai avere risposta… per tutto il resto, c’è Google. » parafrasò una nota pubblicità, offrendo giusto tributo a quell’entità astratta in grazia alla quale, almeno una prima, noiosa parte del proprio lavoro, avrebbe allor potuto considerarsi già felicemente conclusa.

domenica 28 maggio 2017

RM 147


Nella propria conoscenza di Central Park e di ogni suo percorso, e, soprattutto, nella propria conoscenza del soggetto in questione e dei suoi principali percorsi mentali, non fu né complicato, né impegnativo, per l’investigatrice privata, anticiparne i movimenti, prevederne le azioni.
In ciò, ella si riservò quieta possibilità di intraprendere in una traiettoria di intercettamento, senza neppure necessità di correre o di imporsi particolare urgenza: così, quando il suo obiettivo, camminando con passo altresì affrettato, ma senza particolare attenzione alla via innanzi a sé, nel prestare altresì tutto il proprio interesse al meritato, e ben poco legale, frutto del suo lavoro, si ritrovò accanto a lei, tutto quello che ella dovette compiere fu, semplicemente, abbracciarlo, facendogli passare la propria destra attorno ai fianchi e stringendolo a sé. Un gesto, il suo, che da un punto di vista esterno, a uno sguardo estraneo, avrebbe potuto essere inteso come quello di un’innamorata verso il proprio compagno, e che pur, ineluttabilmente, non poté ovviare a far trasalire il malcapitato, nell’inattesa sorpresa di quell’evento. Sorpresa la quale, un istante dopo, non poté mancare di evolvere in un triste sospiro di sconforto, e probabilmente già di resa, nel momento in cui egli ebbe a rendersi conto dell’identità della propria assalitrice…

« Bontor… » le offrì un quieto saluto, con un sorriso necessariamente teso, richiudendo con apparente disinvoltura il portafoglio che stringeva fra le mani, e sul quale non avrebbe potuto vantare alcuna proprietà, per poi farlo scomparire sotto il proprio giubbetto di jeans.
« Seem. » ricambiò ella, stringendolo appena un po’ di più a sé, con energia sufficiente, allora, da lasciargli dolere le costole, a dimostrazione di quanto avesse a doversi considerare contrariata per il tentativo così da lui compiuto di farla passare per idiota « Credi che non sappia che quel portafoglio non è tuo…? Oltretutto è un modello femminile. »
« Non sei più una piedipiatti, Bontor… » protestò il giovane, sforzandosi di apparire scocciato dall’interferenza della stessa, benché, alla fine, la voce risultò più piagnucolosa che altro « Non hai qualche marito infedele da fotografare in compagnia di una minorenne o cose simili?! E’ questo ciò di cui ti occupi ora… »

Una nuova stretta, che spinse le costole a scricchiolare leggermente, accompagnò la silenziosa risposta della donna in un quieto sorriso, un sorriso innanzi al quale, probabilmente, molti sarebbero stati allor felici di porsi… fraintendendo quanto lì stesse realmente accadendo.
Seem Stone, caucasico, venticinque anni, statura media, corporatura esile, capelli e occhi castani, e viso da eterno ragazzo che, probabilmente, gli avrebbe consentito di interpretare, senza problemi, un ruolo in una qualche serie televisiva adolescenziale, di quelle per lo più ambientate alle superiori e lì volte a offrire risalto ai drammi di tale periodo, da tutti al contempo odiato e rimpianto, in verità non aveva mai completato gli studi, anzi… in effetti non aveva mai neppure frequentato un qualsivoglia genere di scuola superiore. Figlio di una professionista della strada, Seem era rimasto coinvolto nel girone dantesco dei servizi sociali fin dall’età di cinque anni, quando improvvisamente si era ritrovato orfano a seguito della violenta morte della madre. Cresciuto fra orfanotrofi e case famiglia, e pur non privo di potenzialità, proprio malgrado Seem avrebbe avuto a doversi considerare un perfetto esempio del fallimento della patria potestà dello Stato, nell’essersi ritrovato favorito non tanto in un percorso di riabilitazione da tutto ciò che di male era occorso nella sua vita, quanto, e piuttosto, in un percorso volto all’abissale baratro della criminalità. Ancor neppure dodicenne, aveva iniziato a frequentare, in maniera spiacevolmente assidua diverse carceri minorili, incluso qualche soggiorno presso il Rykers, non trovando, in tutto ciò, ragione utile a cercare di redimersi, quanto, e piuttosto, a divenire più abile nel proprio lavoro, in maniera tale da ovviare a farsi prendere nuovamente.
Il suo primo incontro con l’allora agente Bontor era avvenuto a diciannove anni, quando ella lo aveva colto in flagranza di reato in un contesto non particolarmente dissimile da quello pocanzi rievocato. Evento ripetutosi meno di sei mesi più tardi. L’anno successivo, poi, poco dopo la promozione della donna a detective, il loro cammino era tornato a convergere in un nuovo arresto e, in tal occasione, suo malgrado Seem si era ritrovato coinvolto in un’indagine decisamente più complicata, all’interno della quale avrebbe avuto a dover essere riconosciuto, semplicemente e sorprendentemente, qual testimone innocente. In conseguenza al non trascurabile fatto che aveva visto il delinquente salvare la vita della poliziotta, il rapporto fra i due aveva avuto occasione di migliorare e, fino a quando Midda era rimasta all’interno della polizia, suo interesse, sua prerogativa, era stata quella di impegnarsi al fine di redimere il giovane, con le buone o, se necessario, con le cattive: un percorso non semplice, quello così intrapreso, che tuttavia era stato spiacevolmente arrestato dalle sue dimissioni e dall’inizio di un nuovo capitolo della propria esistenza, come investigatrice privata.
Ritrovatasi a dover fare i conti con la complessità della propria nuova vita, la donna aveva preferito ovviare a rischiare di rendere ancor più difficile la quotidianità di Seem, motivo per il quale, alla fine, il loro rapporto era andato scemando nel nulla. O, per lo meno, tale era andato fino a sei mesi prima, quando, ancora una volta, il destino, è la difficoltà dell’investigatrice privata a ignorare il mondo attorno a sé, l’aveva vista intervenire già una volta a rettificare un tentativo di scippo da parte del ragazzo.

« Okay… okay… » gemette Seem, in conseguenza alla stretta impostagli, ritrovandosi, per un istante, quasi senza fiato « Lo restituisco. Lo restituisco. » la rassicurò, così costretto.
« Bravo. » sorrise nuovamente ella, allentando la presa e ricompensando il proprio prigioniero con un fuggevole bacio sulla guancia, in accordo con l’immagine di una coppietta felice qual, chiaramente, non erano, né a entrambi sarebbe interessato essere « Ti dispiace se ti accompagno? Giusto per evitare che tu possa perderti nella complessità del parco… » insistette subito dopo, non reputando, ovviamente, che egli avrebbe mai potuto smarrirsi, ma ritenendo molto più probabile un suo ripensamento lungo il tragitto.
« Ho alternative…? » questionò egli, retoricamente, nel conoscere alla perfezione la risposta che avrebbe potuto essergli allor riservata.
« … ne hai mai avute? » replicò l’investigatrice privata, osservandolo non diversamente da un gatto di campagna posto innanzi a un piccolo topo smarrito, il destino del quale, al di là di ogni possibile argomentazione, avrebbe avuto allora a doversi ritenere spiacevolmente segnato.

Quello di Midda con Seem, in fondo, avrebbe potuto essere considerato non dissimile da un gioco, soprattutto per lei.
Un gioco nel quale, per qualche fugace istante, ella avrebbe potuto riconoscersi del tutto priva di pensieri, di preoccupazioni, di frustrazioni, riconquistando, quasi, la stessa innocenza, la stessa serenità che pur l’aveva contraddistinta nel giorno del suo primo arresto, quando, forse, probabilmente, la sua vita era molto più semplice, senza problemi con le spese, senza insoddisfazioni al lavoro, senza crisi familiari con sua madre. Purtroppo, rispetto a sei anni prima, tutto era cambiato: la sua quotidianità, divenuta estremamente meno tranquilla; il suo tenore di vita, che pur già modesto era precipitato verso una condizione prossima alla miseria; la sua professione, scemata, così come spiacevolmente ricordato dallo stesso Seem, in uno sgradevole sguazzo nelle acque più torbide delle fantasie sessuali di persone comuni; e il rapporto con la sua famiglia, con la quale, in verità, preferiva ormai ovviare a qualunque rapporto.

« Dai… » commentò Midda, ciondolando al fianco della sua vittima « … in fondo, tutto questo un po’ ti diverte! » tentò di convincerlo, in quello che, era cosciente, avrebbe avuto a dover essere considerato soltanto un suo sentimento.
« Temo che tu e io si abbia idee estremamente diverse di “divertimento”. » negò sconsolato Seem, nel non riuscire, in tutta onestà, a condividerne l’entusiasmo.

sabato 27 maggio 2017

RM 146


Il materiale fornitole dalla gemella permise a Midda di ampliare la propria conoscenza scolastica, accademica e professionale della scomparsa Carsa Anloch, nonché godere della lettura di un completo profilo psicoattitudinale redatto dagli esperti delle Risorse Umane delle “Rogautt Enterprises”, a colloquio con i quali la giovane aveva dovuto porsi nel corso dei diversi colloqui che l’avevano vista giungere, alfine, all’assunzione presso la “Y.S.H. Ltd.”. Per quanto la prosa fosse priva di particolare originalità e ben lontana da qualunque possibile declinazione dell’idea di appassionante, l’investigatrice privata dedicò proprio a quel profilo la maggior parte della propria attenzione, giacché, per quanto sicuramente leggere il curriculum del soggetto al centro delle proprie ricerche non avrebbe avuto a doversi considerare attività fine a se stessa, permettendole, in effetti, di tracciare in maniera sufficientemente completa buona parte dell’intero percorso di vita della figlia del signor Anloch, l’analisi psicologica e attitudinale della stessa avrebbe avuto a doversi riconoscere più utile per poter cercare di entrare in empatia con lei, in maniera tale da poter meglio comprendere quale evento, o quale serie di eventi, potessero aver condotto alla sua scomparsa.
Al di là della ferma convinzione del suo cliente nel merito dell’impossibilità, per la sua bambina, di aver deciso volontariamente di allontanarsi dalla propria casa, dal proprio lavoro e, più in generale, dalla propria intera vita, nel dover compiere quell’indagine Midda non avrebbe potuto mai concedersi tanta superficialità al punto tale da escludere, in maniera arbitraria, l’eventualità di una sua fuga, e, in ciò, la necessità di dover raccogliere prove non tanto volte alla ricerca di una qualche aggressione nel tragitto fra l’appartamento della sua famiglia e l’ufficio, quanto e piuttosto, una qualunque pista utile a consentirle di rintracciarla, ovunque ella potesse essere andata a nascondersi. E considerando che, comunque, tanto per un fronte quanto per l’altro, così in un eventualità come per l’altra, ella stava sopraggiungendo con più di due settimane di ritardo rispetto agli accadimenti, oltre che con più di due settimane di ritardo rispetto all’inizio dell’indagine ufficiale a tal riguardo; qualunque possibile espediente, fosse anche non propriamente canonico, non sarebbe stato trascurato da parte sua, non laddove, con un po’ di aiuto da parte della Divina Provvidenza, forse sarebbe stata in grado non soltanto di colmare il divario temporale del quale era vittima, ma, anche, di giungere a una qualche soluzione.
Da una prima, rapida, lettura del fascicolo, l’ex-detective ebbe occasione di confermare la propria iniziale, generica, idea riguardo al soggetto scomparso: una semplice, giovane donna, priva di particolari virtù o vizi, gran lavoratrice, legata alla propria famiglia ma non alle tradizioni dei propri antenati, nell’aver avuto occasione, sin dal giorno della sua nascita, di conformarsi agli usi e ai costumi del proprio Paese, e in questo nell’essere cresciuta come una normalissima ragazza americana, distante da integralismi e fondamentalismi di sorta. Purtroppo, sin dal crollo delle torri, ormai quasi tre lustri prima, la vita di tutti era cambiata drasticamente, la società era mutata in maniera irreversibile e, di questo, proprio malgrado, anche persone comuni, come Carsa e la sua famiglia, non avrebbero potuto ovviare a pagarne pegno, colpevoli, solamente, di essere immigrati dal Medioriente o, anche e soltanto nel caso specifico di Carsa, di aver sangue mediorientale. E per quanto nessuno fra i suoi contatti al distretto lo avesse dichiarato in maniera ufficiale o ufficiosa, all’investigatrice era subito apparso evidente che, fra le varie ipotesi prese al vaglio, non avrebbe potuto mancare quella rivolta a un qualche genere di minaccia terroristica, nel temere l’eventualità della radicalizzazione di quella giovane e il conseguente rischio di nuovi attentati. Tuttavia, a partire dal profilo redatto dagli esperti delle “Rogautt Enterprises”, così come dalle diverse pagine personali presenti su molteplici social network che, ovviamente, ella non aveva mancato di prendere al vaglio nei giorni precedenti, Carsa Anloch non avrebbe potuto essere in alcun modo associata a simili ipotesi, potendo ritenere certamente più probabile fosse fuggita per divenire una roadie delle Bangles piuttosto che per unirsi ad Al-Qāʿida o a chi per loro.
Da una seconda, più attenta, rilettura del fascicolo, e, in particolare, di una copia del calendario degli appuntamenti dell’ultimo mese, Midda ebbe occasione di trarre qualche spunto interessante, ritrovando lì presenti alcune informazioni già suggeritele dagli stessi profili internet che aveva visitato, e nel merito delle quali, ovviamente, non aveva mancato di prendere nota su un apposito taccuino: nomi, in particolare, di persone associabili alla vita della giovane scomparsa tanto sotto il profilo personale, quanto sotto quello professionale, piste sicuramente già percorse dai suoi ex-colleghi e che, pur, ella non avrebbe dovuto superficialmente escludere di ripercorrere, con sguardo critico, nella speranza di cogliere quanto, ad altri, avrebbe potuto essere sfuggito. Dopo aver trascorso, pertanto, un’abbondante ora a evidenziare, annotare e, persino, scarabocchiare, buona parte dei fogli stampati, nonché a riportare le informazioni ritenute di maggiore interesse fra i propri appunti paralleli; l’investigatrice si ritrovò costretta a risollevare lo sguardo dal proprio lavoro anche e soprattutto al fine di distendere un po’ la colonna vertebrale, che scricchiolò rumorosamente in una lunga sequenza di note sorde, e tutti i muscoli della schiena, indolenziti nell’essersi inavvertitamente contratti nel mantenimento prolungato della posizione lì assunta su quella panchina per lei estremamente familiare, piacevolmente intima, e, ciò non di meno, obiettivamente distante da qualunque concetto di ergonomia, soprattutto in relazione a un’attività come quella da lei allor condotta.

« Mmm… » gemette, a metà fra il fastidio e il piacere, nello stiracchiarsi i muscoli, nello sgranchirsi le ossa, quasi si fosse appena risvegliata da una breve pennichella, in una condizione fisica non dissimile benché, a livello mentale, avrebbe potuto considerarsi tutto tranne che riposata « … ma che mi lamento a fare io?! » domandò, volgendo lo sguardo verso Balto, ineluttabilmente lì immobile innanzi a lei « Tu passi le giornate a stare in piedi, immobile, su quella roccia… »

Fu proprio nel mentre in cui, con le mani appoggiate sulle reni, stava impegnandosi a trovare appoggio con i propri gomiti contro lo schienale della panchina e spingersi indietro, per amplificare, il più possibile, i benefici di quel gesto, che il suo sguardo ebbe a ricadere su quanto stava avvenendo a una sessantina di piedi da lei, là dove una coppia di madri erano intente a chiacchierare amabilmente nel trasportare i relativi pargoli all’interno dei loro passeggini, e là dove una sua vecchia conoscenza, dell’epoca, in cui, addirittura, era una semplice piedipiatti fresca di accademia, stava offrendo evidente riprova di non aver ancora rinunciato a qualche proprio piccolo vizio, malgrado un’interminabile serie di precedenti avrebbe dovuto chiaramente sospingerlo verso uno stile di vita diverso, possibilmente volto a una condotta leggermente più allineata a quella banale convenzione chiamata diritto penale.
Levando quindi gli occhi al cielo, in un gesto di stanca rassegnazione innanzi all’evidenza dell’incapacità caratteristica del genere umano a migliorarsi, a non ripercorrere sistematicamente e ineluttabilmente quei percorsi noti, finendo in tal maniera soltanto per ripetere cocciutamente gli errori passati, Midda raggruppò i propri fascicoli, se li pose sotto il mancino e, rialzandosi quietamente dalla propria cara panchina volse un estemporaneo saluto verso il suo amico di una vita intera…

« Torno subito, vecchio mio. » piegò appena il capo in direzione della statua, iniziando poi a incamminarsi in direzione non tanto degli eventi adocchiati, quanto di un altro sentiero che, ne era certa le avrebbero permesso di intercettare il suo nuovo obiettivo « Devo solo andare a ricordare a uno scapestrato la retta via… »

Un’azione, quella da lei in tal maniera intrapresa, che, obiettivamente, non le avrebbe portato nulla in tasca, ma alla quale, nel rispetto della propria integrità, non avrebbe potuto sottrarsi. Sebbene, infatti, non fosse più parte della polizia, una parte di lei si sentiva ancor legata al giuramento di servizio alla città di New York, proprio in virtù di quelle tre preziose parole che da quella statua le erano continuamente ricordate, il mantra attorno al quale aveva incentrato gran parte della sua vita, e delle sue, pur discutibili, scelte: “Resistenza, Fedeltà, Intelligenza”.

venerdì 26 maggio 2017

RM 145


« Allora è un vizio… »

Dopo aver preso nota di un numero utile per contattare il Grosso e lo Smilzo nel caso di necessità, e dopo averli osservati allontanarsi non senza prima aver chiesto loro di voler essere tanto generosi nei suoi confronti da pagare il conto anche per lei; Midda aveva aperto la busta gialla, per gettare uno sguardo curioso tanto ai soldi, quanto alle informazioni sul caso. Purtroppo per lei, però, apparve subito evidente come sua sorella Nissa doveva aver evidentemente già fatto scuola, giacché, accanto ai sempre graditi, e per l’investigatrice privata quasi sempre rari, biglietti verdi, dentro la busta non avrebbe avuto a dover essere riconosciuto alcun fascicolo e, all’occorrenza, neppure un semplice fogliettino ripiegato con qualche confusa annotazione a mano, quanto, e piuttosto, una più comoda, moderna, e, dal suo personalissimo punto di vista, estremamente scomoda, memoria USB, non dissimile rispetto a quella che già Nissa le aveva fornito nel merito del suo altro caso.
Al di là di ogni facile ironia da parte della sua gemella, invero ella non aveva, né avrebbe mai, vantato un qualche ostracismo nei confronti della tecnologia, di internet, dei social media o di qualunque altra dimostrazione di modernità: non era una luddista, né, francamente, tale le sarebbe mai interessato divenire, così come anche dimostrato dal suo telefono cellulare, la cui mera presenza, e la presenza nelle fattezze non di un pur comodo, comodissimo, e praticamente infrangibile modello degli anni ‘90, ma di un moderno, complicato, e fragile cellulare con applicazioni, connessione dati e tutto il resto, avrebbe potuto comprovare la sua quieta rassegnazione di fronte al progresso, pur concretizzandosi in un modello di seppur di fascia economica. Più semplicemente, ella riteneva ancor estremamente scomoda la lettura dei documenti da un monitor, soprattutto laddove, trattandosi di lavoro, difficilmente un qualunque documento avrebbe potuto restare illeso dopo essere passato dalle sue mani, avendo ella mantenuto, sin dai tempi della scuola, l’abitudine a evidenziare parti interessanti, aggiungere commenti e annotazioni ai margini delle pagine e, talvolta, all’occorrenza, applicare persino qualche foglietto adesivo colorato, per tentare di creare ordine dal caos in un processo che chiunque, osservandola all’opera, avrebbe potuto scommettere con assoluta sicurezza volto in assoluto favore di un risultato diametralmente opposto.
Così, come già anticipato, come sin da subito lamentato, ella ebbe a dover passare da una copisteria, al fine di riprodurre quelle informazioni digitali in un formato per lei più accettabile. E solo quando, finalmente, ebbe fra le mani due cartellette colorate, una bordeaux e una smeraldo, con al loro interno, opportunamente separati, i due fascicoli informativi consegnatile, l’investigatrice poté sentirsi appagata nel proprio feticismo cartaceo, decidendo di dirigersi verso uno dei suoi punti di ritiro preferiti in quella zona: le panchine di legno di fronte alla statua di Balto, a Central Park.

« Ehilà, vecchio mio… » salutò il monumento, con un cenno della mano « Come va oggi? Tutto bene…? » domandò, senza la benché minima ombra di ironia nella propria voce, laddove, su tutto avrebbe potuto scherzare, ma non su Balto.

Premesso che il lungometraggio di animazione del ’95 avrebbe avuto a doversi riconoscere qual uno dei suoi preferiti di sempre, la statua di quel cagnone dal volto felice era sempre stata capace di metterla di buon umore. E, nel corso degli anni, di oltre vent’anni per la precisione, da quando, appunto, aveva visto per la prima volta il film al cinema, e aveva scoperto che le vicende lì narrate, con tutte le necessarie fantasticherie del caso, avrebbero avuto a doversi considerare pur ispirate a eventi storici; quella statua aveva iniziato ad assumere una propria individualità ai suoi occhi, la dignità di un vero e proprio amico fedele, dimostrandosi sempre lì presente per lei, per ascoltare i suoi problemi e aiutarle a trovare una soluzione agli stessi.
“Resistenza, Fedeltà, Intelligenza”: parole volte a omaggiare lo spirito di tutti i cani da slitta, quelle lì sotto riportate, e che, ai suoi occhi, erano da sempre risultate simili a un’incitazione, uno sprone nel confronto con il quale soltanto un vile avrebbe avuto il coraggio di tirarsi indietro. Senza vergogna, addirittura, ella avrebbe potuto persino dichiarare, in fede, che la sua stessa decisione volta a iscriversi all’accademia, avrebbe avuto a dover essere riconosciuta anche conseguenza di quelle stesse parole, di quel motto, in fondo non dissimile da quello della polizia della città di New York: “Fedeli sino alla morte”.
Raggiunto, quindi, il buon vecchio Balto, Midda si accomodò al suo solito posto e, accavallando comodamente le gambe per crearsi un pur modesto piano d’appoggio, iniziò a leggere le informazioni a lei concesse, dando ovviamente la precedenza, per questioni di priorità morale, al caso Anloch.

Carsa Anloch, trent’anni, figlia di immigrati mediorientali ma nata e cresciuta negli Stati Uniti d’America, era una donna di rara bellezza, almeno per quanto, con estrema onestà intellettuale, l’investigatrice aveva potuto constatare dalle foto fornite dal padre della stessa, il suo cliente, nel giorno in cui l’aveva assunta con l’incarico di ritrovarla.
Fino a tre settimane prima, Carsa Anloch era impiegata presso la “Y.S.H. Ltd.”, un’agenzia di marketing di medie dimensioni inserita qual sussidiaria all’interno del vasto ecosistema proprio delle “Rogautt Enterprises”. Tre settimane prima, uscita di casa alle sette di mattina come di sua consuetudine, Carsa Anloch non si era presentata al lavoro, in un evento alquanto insolito per una persona della precisione e della puntualità che ella aveva sempre offerto riprova di essere. E, da quel giorno, nessuno aveva avuto più notizie di lei.
A denunciare la sua scomparsa, manco a dirlo, era stato proprio suo padre, il quale, per primo, si era preoccupato nel non vederla rincasare alla sera. Ufficialmente, le indagini a tal riguardo, da parte della polizia, avrebbero avuto a doversi considerare ancora in corso ma, trascorse due settimane dall’accaduto, e senza ancor riuscire a scorgere un qualche barlume di speranza, il signor Anloch aveva deciso di ingaggiare un privato, nell’illusione di poter ottenere un risultato migliore. Suo malgrado, però, il signor Anloch non avrebbe potuto essere considerato propriamente benestante e, in ciò, pur non volendo badare a spese per ritrovare la sua bambina, aveva dovuto fare i conti con la dura realtà del capitalismo moderno, tale da non garantirgli possibilità di aiuto da parte di qualche grande agenzia investigativa: motivo per il quale, alla fine, era giunto a prendere contatto con la “Thyres Investigazioni”.
Per Midda Bontor, in verità, quello di Carsa Anloch avrebbe avuto a doversi considerare il primo caso di scomparsa, non soltanto quale investigatrice privata ma, anche, quale ex-detective di polizia. Un caso a confronto con il quale, quindi, ella avrebbe avuto a doversi in ineluttabile soggezione, soprattutto all’idea di quanto devastante avrebbe avuto a dover essere considerata la disperazione propria del suo cliente: un caso innanzi al quale, tuttavia, ella non aveva avuto il coraggio di tirarsi indietro, proprio nel ritrovarsi a confronto con la disperazione di quell’uomo, quell’uomo il quale non poteva evitare il pensiero di vedersi sua figlia restituita all’interno di un sacco mortuario e, ciò non di meno, il quale non voleva sinceramente arrendersi, non allo sconforto, non all’inazione per così come pur pazientemente richiestagli dalla polizia.
Così, ella si era azzardata in quel metaforico salto nel buio, con la speranza di poter risolvere il caso, di poter ritrovare, viva o morta che fosse, Carsa Anloch: non tanto per se stessa, per il suo orgoglio personale o per la parcella che avrebbe potuto richiedere al proprio cliente, quanto e soprattutto per offrire occasione di pace all’animo tormentato di quel disgraziato, al posto del quale, pur non avendo progenie, era certa che non si sarebbe mai voluta ritrovare.

« Vediamo un po’ cosa la mia elegante sorellina ha trovato su di te, giovane Anloch… » commentò fra sé e sé, aprendo il fascicolo bordeaux.

giovedì 25 maggio 2017

RM 144


« Non per voler sembrare ipocritamente modesta ma… spero per voi che tutto questo sia uno stupido scherzo organizzato da qualche mio ex-collega. » commentò l’investigatrice privata, cercando di ovviare a dissimulare la propria più sincera contrarietà a quella prospettiva « In caso contrario… non potrei che dispiacermi sinceramente per il nostro povero Paese. » concluse, onesta nella propria valutazione, laddove, per quanto amor proprio avrebbero potuto attribuirle, soltanto una persona straordinariamente egocentrica avrebbe potuto credere di poter vantare una qualche basilare utilità all’interno del vasto ecosistema rappresentato dagli Stati Uniti d’America, e soltanto una persona straordinariamente stupida avrebbe potuto accettare l’idea che una delle più potenti agenzie del pianeta potesse abbisognare dei servigli di un’economica investigatrice privata, appena in grado di sbarcare il lunario in grazia ai proventi derivanti dal proprio lavoro.

Per carità: il pachidermico personaggio frutto della geniale creatività di Rex Stout, fra i principali ispiratori per la sua ancor poco sfavillante carriera al di fuori delle forze dell’ordine, avrebbe potuto vantare sicuramente ego e intelletto sufficiente per poter avere, ai suoi piedi, non soltanto il Bureau, così come comprovato anche dal ventottesimo racconto della serie. Ma ella, in quello che non avrebbe potuto definire umiltà, quanto e piuttosto mero realismo e imparzialità, sapeva perfettamente di non poter vantare alcun reale merito tale da attrarre, verso di sé, l’attenzione neppure del dipartimento di polizia della città di New York… figurarsi quella dei federali.
Ciò non di meno, il Grosso e lo Smilzo avrebbero avuto realmente a doversi riconoscere quali Grane Federali e, per quanto assurdo, desideravano realmente la sua collaborazione, come ebbero a esprimere di lì a breve, non appena, dalla banchina della metropolitana, ebbero a trasferirsi in una più comoda, e meno affollata, collocazione, qual la prima caffetteria che incrociarono usciti di lì.
Dopo che Midda ebbe ordinato un mocaccino con cannella, lo Smilzo un ristretto e il Grosso un cappuccino con vaniglia insieme a una fetta di torta di mele, adducendo a propria giustificazione, in conseguenza allo sguardo critico da parte del collega, di non aver ancora pranzato; e dopo che le comande furono loro servite, a riprendere voce verso di lei fu, per primo, lo Smilzo, parlando con tono quietamente controllato, in quello che, dall’esterno, avrebbe potuto apparire qual un normale caffè fra colleghi, o in qualunque modo avrebbero potuto essere identificati.

« La questione è più semplice di quanto potrebbe credere, ms. Bontor. » premesse egli, mescolando con un cucchiaino il caffè, nel quale, in verità, non aveva fatto ricadere neppure un granello di zucchero né aveva intenzione alcuna in tal senso « Abbiamo necessità di qualcuno di fidato all’esterno della nostra agenzia che sappia come muoversi, che abbia le conoscenze e i contatti giusti, per poter raccogliere informazioni nel merito di alcune persone che attualmente coinvolte in un’indagine di polizia, e che, tuttavia, riteniamo interessanti anche per un’altra indagine, a livello federale. E, dopo un’accurata selezione, abbiamo valutato poter essere lei questo qualcuno. »
« Strano… » osservò la donna, altresì versando abbondante zucchero di canna all’interno del proprio mocaccino, prima di mescolarlo lentamente, con attenzione volta a mantenerne i diversi strati ben distinguibili « … non rammento che, in passato, voi altri vi siate mai riservati particolare scrupolo a subentrare, di prepotenza, in un’indagine in corso, arrivando anche ad archiviarla per i vostri interessi. » puntualizzò, esprimendosi ancora una volta probabilmente più come ci si sarebbe potuti attendere da una poliziotta che come, altresì, avrebbe dovuto essere proprio di una semplice investigatrice privata « Ma forse sono fuori dal giro da troppo tempo... » ipotizzò poi, ovviamente ironica.

Con un sorriso tirato, il bruno si riservò il tempo utile a portare alla bocca il cucchiaino, e a pulirlo dal caffè, per sforzarsi, ancora una volta, di non cedere alla provocazione destinata loro, non potendo ovviare ad accettare quella critica da parte di una ex-poliziotta, non potendo, invero, essere d’accordo con lei ma, quantomeno, riconoscendole condivisibili ragioni alla base di un tanto complicato rapporto fra forze dell’ordine, soprattutto nei conflitti giurisdizionali.
Il biondo, d’altro canto, doveva aver chiaramente deciso che quel dialogo fosse giurisdizione esclusiva del proprio collega, nel seguirne, sì, l’evoluzione, e, ciò non di meno, nel dimostrarsi molto più concentrato, particolarmente più focalizzato, sulla torta di mele, calda e fumante, e sulla palla di gelato, altresì ovviamente gelido, posizionata sopra la stessa, in un sublime contrasto di opposti che non avrebbero potuto ovviare a deliziarlo.

« Avessimo prove solide, sicuramente procederemmo in altre vie. » riprese Smilza Grana Federale, riappoggiando il cucchiaino nel piattino « Purtroppo, però, il coinvolgimento con la nostra indagine è attualmente considerato solo potenziale, ragione per la quale ci è stato richiesto un approccio più discreto e informale. » specificò, a giustificazione di quello stesso incontro « Discrezione che, ineluttabilmente, avrà a doversi considerare valida anche per lei, se accetterà questo incarico… » sottolineò l’ovvio, a scanso di qualunque possibilità di equivoco.

Un’argomentazione sufficientemente difendibile, quella proposta da parte del federale, che impose alla donna un attimo di silenzio, dissimulando la necessità di riflettere su quanto appena propostole nel concedersi di sorseggiare quietamente il proprio mocaccino, dopo aver accuratamente ripulito, a sua volta, il cucchiaino. Tuttavia, benché quelle parole fossero quietamente giustificative della situazione, la sua cara e sempre amichevole paranoia le impose di non fidarsi, di non concedersi tanto facilmente alla lusinga implicita dell’idea di un simile incarico, un lavoro per il quale, necessariamente, sarebbe stata pagata più che bene, aprendosi, forse e addirittura, le porte a nuove opportunità su quel fronte mai esplorato.
Di una cosa, dopotutto, ella avrebbe avuto a dover ringraziare il proprio fallito matrimonio, un’importante insegnamento di vita che, dal divorzio in poi, non aveva mai smesso di risuonare nella sua mente, come un interminabile mantra: per quanto ci si sarebbe potuti illudere del contrario, qualcosa di troppo bello per sembrare vero, presto o tardi, si sarebbe ineluttabilmente scoperto qual non vero. E avere come cliente il Bureau, obiettivamente, avrebbe avuto a doversi considerare come qualcosa di  troppo bello per sembrare vero…

« L’ultima volta che ho controllato, sulle Pagine Gialle di New York City erano riportate più di centotrenta diverse agenzie investigative. » dichiarò, con cognizione di causa, avendo obiettivamente necessità, nel proprio ambiente, di conoscere molto bene la concorrenza « E per quanto mi piacerebbe pensare di poter essere la migliore investigatrice privata della città, sono abbastanza intellettualmente onesta dal sapere che, il mio, non è esattamente il primo nome che potrebbe essere scelto da un’agenzia federale… » soggiunse, escludendo serenamente ogni qual merito a tal riguardo « Quindi, sono costretta nuovamente a chiedervelo: è uno scherzo orchestrato da qualche mio ex-collega, oppure mi state chiaramente nascondendo qualcosa? Perché, con rispetto parlando, non credo che la vostra agenzia possa considerarsi così disperata dal decidere di rivolgersi a una come me. »
Per tutta risposta, da sotto la giacca, lo Smilzo estrasse allora una busta gialla, che appoggiò con serenità di fronte a lei, aggiungendo, quasi come nota didascalica a margine di tal gesto: « Qui dentro troverà le informazioni relative al caso e, a titolo di anticipo a fondo perduto, il corrispettivo di cento giorni di lavoro secondo la sua consueta tariffa. » dichiarò, costringendo la sua interlocutrice a sgranare gli occhi, all’idea di quanti soldi potessero star attendendola in quella busta, sulla quale, istintivamente, corse a porre la propria destra, a ovviare a possibilità di spiacevoli sparizioni « Che lei riesca o meno nell’incarico, quei soldi sono già suoi, sperando che, ciò, possa essere d’aiuto a fugare ogni suo dubbio. »

mercoledì 24 maggio 2017

RM 143


« Non c’è bisogno che si allarmi, ms. Bontor… » intervenne nuovamente lo Smilzo, scuotendo il capo e mantenendo le mani alzate « Perché, a dispetto delle apparenze, le nostre credenziali potranno confermarle che siamo agenti del Bureau… »

… ma in una rognosissima accusa per aggressione a pubblico ufficiale. E, peggio ancora, a un federale!
Per quanto, esternamente, la donna si impegnò a mantenere un’espressione quanto più possibile impassibile, nella freddezza e nel distacco entro il quale aveva voluto ammantarsi sino a quel momento, l’idea di essere arrivata a un tiro di sputo da saltare alla gola a due agenti governativi e, tuttavia, di essersi trattenuta in nome della mera razionalità, le fece credere che, almeno per una volta, la dea bendata si fosse ricordata di lei, elargendole il corrispettivo di una vincita alla lotteria. Per quanto, sicuramente, la lotteria sarebbe stata più apprezzata in termini squisitamente pratici, utile a garantirle una sistemazione stabile almeno per qualche anno.
Concedendosi, alla luce di quella rivelazione indubbiamente inattesa, un istante di silenzio utile a riordinare le idee, e a domandarsi in che accidenti di pasticcio si potesse essere andata a cacciare in misura utile a coinvolgere persino il Bureau; Midda decise di mantenersi fedele alla politica di estrema razionalità che, negli ultimi minuti e sino a quel momento, le aveva permesso di evitare di ritrovarsi trasferita in qualche carcere federale, evitando di lasciarsi trasportare da eccessiva emotività e di continuare ad affrontare la situazione con il più completo autocontrollo.

« Vediamole… » acconsentì, sforzandosi di mantenere la propria posizione di forza all’interno di quel colloquio, benché, giunta a quel punto, difficile sarebbe stato per lei poter pensare di poter star ricoprendo il ruolo di predatrice, a meno di non voler prendere in serio esame l’idea di iniziare a considerare l’arancione come il nuovo nero, come suggerito in termini subliminali da Netflix.

Cercando di dimostrarsi quanto più tranquilli possibili, al fine di non creare ulteriori incomprensioni fra loro e il loro obiettivo, i due presunti agenti federali portarono le proprie mancine a estrarre, dalla tasca interna delle loro giacche, due portadocumenti di pelle nera, aperti i quali ebbero a confermare di non essere soltanto “presunti”: agente speciale Howe Udonn, il Grosso, e agente speciale Be'Wahr Ahlk-Ma, lo Smilzo.
Da quel momento in avanti, per lei, anche rispettivamente noti come Grossa Grana Federale e Smilza Grana Federale.

« Ecco… vede? » sorrise Grossa Grana Federale, sforzandosi di apparire quanto più inoffensivo possibile a cercare di stemperare i toni, di abbattere l’evidente tensione venutasi inavvertitamente a creare fra loro a causa del tutt’altro che discreto pedinamento lì improvvisato « Siamo i buoni. »
Con un lieve cenno del capo, l’investigatrice privata si sbilanciò a concedere loro il beneficio del dubbio in tal senso, salvo poi aggiungere, ad affrontare immediatamente l’elefante nella stanza, un commento nel quale cercò di apparire il meno possibile ironica, benché, del sarcasmo, ella avesse ormai fatto un’abitudine conclamata: « Spero che ciò non faccia di me la cattiva. »
« Al contrario… » scosse il capo Smilza Grana Federale, a escludere tale eventualità, nel mentre in cui, riponendo il distintivo all’interno della giacca, si impegnò a sua volta a cercare di riportare la questione in termini più moderati, riconoscendo l’indiscutibile errore commesso « Per quello che può valere, le porgo le scuse di entrambi per l’accaduto: il nostro desiderio era quello di trovare il modo di approcciarla in maniera quanto più possibile discreta. »
« Non so cosa insegnino a Quantico ultimamente e, francamente, spero che la vostra formazione non abbia a doversi considerare un torbido intreccio di relazioni sessuali proibite così come suggerito dalle avventure di Priyanka Chopra;… » premise ella, non riuscendo a ovviare a dar libero sfogo alla propria linguaccia, benché, dentro la sua testa, il proprio, chiaramente debole, istinto di autoconservazione, le stesse continuando a suggerire di dimostrarsi quanto più possibile remissiva di fronte all’autorità federale, per non offrire loro alcuna occasione a suo discapito « … ciò non di meno, permettetemi di sottolineare come dovreste rivalutare il vostro concetto di “discrezione”. »

Il bruno, pur proprio malgrado, accettò di incassare l’affondo così rivoltogli, nel riconoscere quanto, purtroppo, il fatti per così come svoltisi non avrebbero potuto concedergli alcuna effettiva occasione di difesa, non avrebbero potuto garantirgli la benché minima argomentazione a quieto supporto del pessimo lavoro compiuto. E, in ciò, benché un’improvvisa contrazione fra la sua mandibola e la sua mascella, così come ben evidenziata dai suoi magri e acuminati zigomi, non avrebbe potuto ovviare a trasmettere l’evidenza della sua contrarietà a tutto quello, della sua frustrazione innanzi alla meritata canzonatura rivolta loro; egli riuscì a dimostrarsi in grado di volgere il proverbiale buon viso a cattivo gioco, in termini utili a non replicare malamente alla propria interlocutrice, e a non alimentare, in conseguenza, un insano crescendo a tal riguardo.
Il biondo, altresì, parve non cogliere la malizia, pur sufficientemente esplicita, propria dell’affermazione così loro destinata e, in effetti, neppure l’ironia, assolutamente inequivocabile, posta dietro alla frase da lei scandita, al punto tale da argomentare, in risposta, in termini assolutamente onesti, e da spiegarle, con quieta pazienza, la differenza fra una serie televisiva e la realtà…

« Sono certo che comprenderà, ms. Bontor, come un prodotto per la televisione abbia a doversi intendere qual un mero prodotto di fantasia, non un riferimento utile a intendere la realtà dei fatti… » asserì, scuotendo appena il capo.
« Udonn… per cortesia. » sospirò il suo stesso compare, in imbarazzo per quell’intervento, che in nessun modo avrebbe migliorato la già spiacevole immagine di sé offerta sino a quel momento.
« In effetti, ora che me lo fai notare, non posso evitare di osservare quanto, in televisione, la vostra uniforme sia un po’ più da Uomini in Nero, diciamo. » constatò l’investigatrice privata, simulando un’improvvisa illuminazione nel merito di tale verità, e del fatto che, a differenza di quanto abitualmente proposto dai media, la strana coppia di fronte a lei non fosse vestita con i classici completi eleganti tipici degli agenti federali « Vi domando scusa per tutti i miei sospetti iniziali… probabilmente sono stata confusa proprio dall’incoerenza di questo dettaglio, ritenendovi semplicemente due poco di buono! » sancì, sempre più convinta, in verità, proprio di ciò.

Benché, infatti, i suoi avrebbero potuto essere considerati meri pregiudizi da ex-poliziotta, laddove, in più di un’occasione, si era vista scavalcare spiacevolmente nella propria giurisdizione proprio dall’intervento di qualche arrivista del Bureau, indubbio avrebbe avuto a doversi riconoscere quanto, nella parentesi attuale, quella coppia di agenti speciali non stessero riuscendo a contribuire in maniera positiva a ciò, spingendola, anzi, a credere di aver sempre sopravvalutato la loro agenzia.

« Ms. Bontor. » richiamò la sua attenzione Smilza Grana Federale, trattenendo a stento l’irritazione a margine della propria voce, a chiara dimostrazione di quanto, in fondo, quei due non la stessero inseguendo per arrestarla, o qualcosa del genere, laddove, giunti a quel punto, e dopo qualche provocazione di troppo loro destinata da parte sua, difficilmente ella avrebbe potuto ovviare a una brutta fine non avessero avuto tanto palesemente bisogno di lei « Il suo Paese ha bisogno di lei. » dichiarò, serio.
“… come volevasi dimostrare…” pensò ella, nella conferma dei suoi spiacevoli sospetti a tal riguardo.

martedì 23 maggio 2017

RM 142 [già RM 009]


Purtroppo, se vi era una lezione che l’investigatrice privata aveva imparato nel corso degli anni, tale avrebbe avuto a non dover mai fare affidamento sulla buona sorte perché, a dispetto di quanto molti avrebbero potuto credere nel conoscere la sua storia, nel corso della sua vita, tutto ciò che aveva avuto occasione di conquistare, nel bene e nel male, non avrebbe avuto a poter essere ricondotto a un mero discorso di fatalità, di fortuna, quanto, e piuttosto, di applicazione, impegno e costanza, da vedersi, anzi e addirittura, dedicati in completo contrasto alla sventura che, al contrario, sembrava volerle restare da sempre al fianco, caratterizzandone ogni istante della propria vita, da quelli più banali a quelli più critici. Così, laddove ella avrebbe potuto sperare in un po’ di benevolenza da parte del destino, nella risoluzione di quello stallo prima dell’arrivo del treno o, quantomeno, nello stesso istante dell’arrivo del medesimo, concedendole di mantenere la situazione di vantaggio che, solo merito della propria abilità, ella era riuscita a riservarsi qual propria; ciò su cui non avrebbe esitato a scommettere sarebbe avvenuto, e avvenne, fu propriamente lo scenario a lei più antagonista, nell’arrivo del convoglio metropolitano e, di conseguenza, nella necessità di scegliere fra un discreto disimpegno dai propri inseguitori, rinunciando in tal modo a conoscerne le intenzioni, e un più aperto confronto con essi, rischiando di compromettere la propria posizioni in termini ancora del tutto da esplorare.

« Dannazione… » imprecò a denti stretti, non tollerando l’idea di essere posta, in tal maniera, con le spalle al muro, non potendo evitare di desiderare, almeno una volta ogni tanto, senza esagerare, un minimo di misericordia in proprio favore, fosse anche a considerarsi a titolo di compensazione per quello sgradevole accanimento continuo.

Pochi secondi, pertanto, furono quelli a lei concessi nel momento in cui ebbe a dover scegliere se frammischiarsi nella folla e fuggire a bordo del treno, oppure restare lì dove si trovava e affrontare a viso aperto il Grosso e lo Smilzo. E, per quanto, una vocina dentro di lei stesse allora non semplicemente sussurrando, ma addirittura gridando un palese invito a levarsi di torno quanto prima, rinunciando a un confronto che, nel migliore dei casi, le avrebbe comportato un’accusa di aggressione mentre, nel peggiore, l’avrebbe potuta veder uscire da lì sotto all’interno di un sacco di plastica nera da obitorio; prestando attenzione alla propria esperienza, ella non volle concedere a quei due ulteriore possibilità di perseguitarla, o, peggio ancora, di poterla prendere di sorpresa in un successivo momento, consapevole, dopotutto, di quanto allora avrebbe potuto considerare la propria qual una posizione di sostanziale vantaggio, nell’avere la libertà di decidere come agire anziché ritrovarsi semplice spettatrice o, peggio, vittima di scelte altrui.
Presa, alfine, la propria decisione, ella strinse appena il braccio sinistro contro il torace, in un gesto per lei divenuto ormai automatico, inconscio, e pur non fine a se stesso, quanto e piuttosto utile a concederle una rapida verifica nel merito della presenza dell’unica arma con la quale si concedesse di girare dal giorno della riconsegna del proprio distintivo da detective e dell’arma di ordinanza. E incontrata, in tal maniera, la solida presenza dell’unico alleato nei confronti del quale avrebbe potuto fare affidamento in quel momento, e nel caso in cui la vicenda fosse degenerata; ella non poté fare altro, per occupare gli ultimi fuggevoli istanti di tempo ancora garantitile, che concedersi qualche profondo respiro, utile a svuotare la mente e a calmare il corpo un attimo prima del segnale di partenza, non diversamente da come si era abituata a fare, a metà fra le buone abitudini e la scaramanzia, prima dell’inizio di ogni competizione a cui avesse preso parte quand’ancora gareggiava, negli anni della sua carriera scolastica e atletica.
Il segnale di partenza, forse meno palese rispetto a quelli del suo passato, e, ciò non di meno, del tutto privo di possibilità di ambiguità, risuonò, allora, incredibilmente chiaro nella sua mente nel momento in cui, iniziate a defluire le persone verso il treno, gli sguardi dei sue due inseguitori si spostarono, inizialmente in maniera interrogativa, nella sua direzione, estemporaneamente incapaci a riconoscerla, allora, non tanto per la presenza del cappellino o degli occhiali, quanto e piuttosto per la sorpresa di trovarla lì, immobile, rivolta proprio verso di loro. Un quieto interrogativo, quello dei due, che si trasformò in una non più tacita esclamazione nel momento in cui ella, a escludere qualunque possibilità di fraintendimento, si levò gli occhiali da sole e li ripose all’interno della tasca da cui li aveva estratti, per poter, in tal maniera, indirizzare inequivocabilmente l’azzurro ghiaccio delle proprie iridi all’attenzione della coppia.

« Ma che diamine… » commentò il Grosso, forse non proprio in quei termini, per quanto, ormai, Midda fosse diventata sufficientemente abile a leggere il labiale delle persone « Credo che ci abbia visto. »
« Davvero?! » replicò, con evidente sarcasmo, lo Smilzo, fulminando il compare con un’occhiata che, se solo avesse potuto uccidere, avrebbe visto l’altro ridotto a un mucchietto di cenere fumante « E da cosa l’hai dedotto, genio? »

La volontà di agire, e di agire immediatamente, approfittando di quell’effimero momento di smarrimento da parte di un tanto eterogeneamente assortito duo, si palesò con forza nell’investigatrice privata, chiedendole a gran forza di muoversi, attaccando prima di poter essere attaccata, aggredendo prima di poter essere aggredita e ponendo, quanto prima, la parola fine a tutto ciò, protrattosi, per i suoi gusti, anche troppo a lungo. Ella, tuttavia e anche in contrasto a se stessa, a quell’istintiva richiesta del suo io più violento, riuscì comunque a mantenere un certo autocontrollo e, in ciò, a restare immobile, esattamente dove era, nel non sprecare quel lieve vantaggio sui propri avversari, così come soltanto sarebbe avvenuto acconsentendo a precipitarsi, stolidamente, in un attacco privo di qualunque cognizione di causa, quanto, e piuttosto, nell’attendere che fossero loro stessi a palesare le proprie risorse e, in conseguenza di una simile esposizione, a garantirle la possibilità di rispondere in maniera appropriata alla minaccia che ne sarebbe derivata.
Una scelta, quella da lei in tal modo abbracciata, che forse, in un’epoca remota, ai tempi del selvaggio west o prima ancora, avrebbe potuto rivelarsi insalubre, nel veder sprecato, in tal maniera, un momento presumibilmente propizio per risolvere quel duello ancora prima di incominciarlo. Una scelta che, attualizzata ai tempi moderni, la vide altresì genuinamente premiata per la propria pazienza, per la propria freddezza, per il proprio raziocinio, laddove, così come le sarebbe stato chiaro solo un istante più tardi, ella avrebbe rischiato di incorrere non in una semplice accusa per aggressione, ma…

« Ms. Bontor? » domandò il bruno, levando le mani a dimostrare, da parte propria, la più totale assenza di ogni volontà belligerante nei suoi riguardi, a dispetto dell’inseguimento promosso, esattamente a suo discapito, sino a quel momento « Midda Namile Bontor…?! »
« Direi che già sai chi io sia, Smilzo… » commentò la donna, implicitamente confermando, in tal maniera, l’identificazione richiestale « … peccato che io non vi conosca e che, se la memoria non mi inganna, vi siano gli estremi per una denuncia per stalking contro entrambi, per la dedizione con la quale mi avete seguita nelle ultime ore. »
« Però… è brava davvero. » asserì il biondo, osservandola quasi con entusiasmo nel ritrovarsi posto innanzi all’evidenza di quanto, gli sforzi compiuti in quel pedinamento, fossero stati tanto semplicemente banalizzati dalla loro interlocutrice.
« Ti ringrazio, Grosso. » annuì ella, appena, in segno di riconoscenza per quell’apprezzabile complimento lì destinatole « Vorrei poter dire di essere la migliore in quello che faccio… ma, poi, una certa casa editrice potrebbe citarmi in giudizio per violazione dei diritti d’autore. » puntualizzò, sorridendo sorniona « E ora, prima che io chiami i miei ex-colleghi al distretto per sporgere denuncia e farvi arrestare, potreste dirmi perché mi stavate seguendo? Perché, a dispetto delle apparenze, il mio intuito mi suggerisce che voi non siete due dannati maniaci sessuali… »

(episodio precedentemente pubblicato il 3 gennaio 2016 alle ore 19:16)

lunedì 22 maggio 2017

RM 141 [già RM 008]


Preso congedo dalla sorella, dopo quasi cinque minuti di ferrea contrattazione al termine della quale, comunque, Nissa non era stata in grado di strapparle la benché minima promessa nel merito di un nuovo pranzo insieme in tempi sufficientemente brevi da contemplare ancora la presidenza Obama, Midda si ritrovò nuovamente a ridiscendere le scalinate della stazione della metropolitana a lei più prossima e, nel mentre di ciò, si ritrovò anche e ancora, nuovamente, a offrire ascolto alla propria paranoia, o sesto senso che dir si volesse, intenta a suggerire alla sua attenzione l’esistenza di qualche sguardo poco discreto nei propri confronti. E se, complice tanto la cicatrice presente sul suo viso così come, in misura non meno appariscente rispetto alla stessa, la sua dirompente circonferenza toracica, la donna avrebbe potuto dirsi più che abituata ad attirare l’attenzione, anche e soprattutto di perfetti sconosciuti, gli sguardi che in quel momento percepiva non avrebbero avuto a doversi considerare in relazione a tutto ciò, quanto, e piuttosto, a motivazioni ben diverse. Motivazioni che, invero, ella avrebbe avuto piacere di conoscere. Motivazioni che, ovviamente, ella non avrebbe allora ulteriormente rimandato di scoprire.
Attraversati i tornelli di ingresso alla metropolitana, l’investigatrice accelerò leggermente il passo, senza mettersi a correre così come, ineluttabilmente, avrebbe posto in allarme i propri possibili pedinatori, ma impegnandosi a offrire, piuttosto, l’impressione di non voler perdere il treno in arrivo. E, mischiandosi con attenzione nella folla, approfittò di una svolta, e dei pochi secondi di copertura che, in grazia di ciò, le sarebbero stati garantiti, per gettarsi a sedere in terra, proprio accanto a un mendicante già lì intravisto un’oretta prima, al suo precedente passaggio, pur in senso opposto, per quegli stessi corridoi sotterranei.

« Salve… giornata trafficata, non è vero?! » commentò, con tono di voce moderato, in direzione del proprio nuovo, ed estemporaneo, compagno, tendendo verso di lui un biglietto da dieci dollari a titolo di risarcimento per il disturbo che, eventualmente, avrebbe potuto arrecargli « Questo è per un panino e una bibita più tardi, se non ti offendi… »

E l’uomo, un anziano senzatetto dalla folta e incolta barba, lunga abbastanza da ridiscendere sul petto, dai vestiti necessariamente più consunti di quelli di Midda, e dal passato, sicuramente, più travagliato di quello di lei, per essere giunto sino a quella conclusione, non proferì verbo nel riconoscere, chiaramente, una situazione palesemente problematica, limitandosi a intascare la banconota offertagli e ad attendere l’evolversi degli eventi.
Eventi che, innanzi allo sguardo attento dell’investigatrice, ebbero opportunità di evolvere in tempi decisamente rapidi, quasi in contemporanea al dialogo proposto al mendicante, concretizzandosi, nella fattispecie, nelle sagome di una coppia di uomini, un biondo dalla statura media e dalla corporatura massiccia e muscolosa e un nord-africano, egiziano forse, dalla statura elevata e dalla corporatura più snella, che, fra le tante persone lì di passaggio, si arrestarono di colpo svoltato l’angolo, nell’evidente sforzo da loro rivolto a cercare di ritrovare contatto con quei rossi capelli che, improvvisamente, sembravano svaniti nel nulla. E quando, dopo quel fuggente attimo di esitazione, i due ripresero a camminare, decisi a recuperare il terreno perduto in un modo o nell’altro, la rossa da loro desiderata offrì un sorriso al proprio complice, a titolo di ringraziamento per l’aiuto concessole con la propria ospitalità e il proprio silenzio, prima di risollevarsi e, con straordinario controllo sul mondo attorno a sé, trasformarsi da inseguita a inseguitrice, nella più totale inconsapevolezza delle proprie prede. Fosse stata ancora una detective della polizia, probabilmente quello sarebbe risultato per lei il momento migliore per avvicinarsi ai due, mostrare il proprio distintivo e chiedere loro di fermarsi e di favorirle i propri documenti, risolvendo la questione in maniera aperta e trasparente, avendo dalla propria, del resto, la legge. In qualità di investigatrice privata, al contrario, ella avrebbe dovuto preferire un approccio più quieto, modesto, misurato, non potendo permettersi di affrontarli a meno di non voler rapidamente scadere in una rissa, oppure qualcosa di peggio. Ben consapevole di ciò e delle proprie ridotte possibilità rispetto a un tempo, proseguendo nel proprio pedinamento la donna estrasse dalla tasca del giubbetto di pelle un cappello di lana nera, calandoselo in testa a meglio confondersi fra la folla, e inforcò un paio di occhiali da sole con lenti nere e rotonde, a cercare di dissimulare, quanto più possibile la propria cicatrice, in maniera tale che, anche nel caso in cui uno dei due si fosse voltato verso di lei, speranzosamente il suo sarebbe riuscito ad apparire qual un volto fra i tanti nel traffico pedonale della metropoli.
Trucchi apparentemente di poco conto, quelli dei quali si stava servendo in quel momento, e che pur, aveva avuto modo di constatare già da tempo, avrebbero potuto vantare una propria efficacia. Così come, a dispetto di qualunque possibile dubbio, pocanzi adeguatamente comprovato da quello che l’aveva veduta cercare, e trovare, riparo accanto al mendicante, in un posto in direzione del quale, la maggior parte delle persone, evitano di volgere il proprio sguardo, in un misto fra pudore, perbenismo, egoismo e, sicuramente, tanta indifferenza. Trucchi apparentemente di poco conto, quindi, e grazie ai quali, comunque, ella si guadagnava abitualmente di che vivere, avendo fondato la propria quotidianità sul muoversi in maniera quanto più possibile anonima parimenti in una moltitudine di persone qual quella, così come in vicoli sostanzialmente deserti, al pari di quelli in cui, difficile a credersi, in molti apparentemente rispettabili mariti e padri di famiglia andavano a sovente a sfogare i propri più istintivi pruriti… e non sempre con prostitute di sesso femminile. Nulla di sorprendente, quindi, nel fatto che il Grosso e lo Smilzo non si resero conto dell’inversione di ruoli lì avvenuta. Né, parimenti, nulla per cui entrambi avrebbero potuto rimproverarsi, avendo comunque a che fare, loro malgrado, con una professionista del settore, al di là di quanto il suo modesto reddito non avrebbe potuto testimoniare.
Giunti alla banchina, i due si ritrovarono, quindi, a essere ancor più smarriti, osservandosi attorno e trattenendo, a denti stretti, qualche, altrimenti sonora, imprecazione, nel non riuscire a comprendere ove ella potesse essere finita. E sebbene si impegnarono, e si impegnarono con attenzione, nella ricercare della donna, ella si riservò una posizione utile a mantenerli sotto controllo senza, per questo, lasciarsi vedere, risultando, obiettivamente, un viso fra diverse dozzine che, in quel momento, colmavano quasi integralmente lo spazio li presente.

« Dai, belli… datevi una mossa. » sussurrò, parlando fra sé e sé e, ciò non di meno, incitando i propri predatori, e prede, a prendere una decisione « E’ evidente che non sono qui… tornatevene a casa. » lì incalzò, temendo che quell’eccessivo temporeggiare avrebbe potuto ritorcersi contro di lei all’arrivo del treno.

Diversamente da un abituale pedinamento, infatti, nel momento in cui fosse arrivato il convoglio, i due non avrebbero avuto ragione di salire a bordo e, in questo, ella avrebbe potuto ritrovarsi in una posizione di eccessiva visibilità ove, nel desiderare comprendere di più nel merito di quella coppia, a propria volta si fosse rifiutata di seguire il corso del fiume umano lì presente, e che, necessariamente, si sarebbe altresì riversato all’interno dei vagoni.
Un azzardo ben compreso, quello nel quale la donna si era ritrovata coinvolta, conseguente nella propria totalità dalle mosse che i due avrebbero deciso di compiere e dalla fermezza che ella stessa avrebbe saputo dimostrare innanzi al proposito reso proprio di comprendere che diamine stesse accadendo, metaforicamente e letteralmente, alle proprie spalle. Un azzardo che avrebbe potuto risolversi in maniera ampiamente positiva nel momento in cui essi avessero deciso di lasciare la banchina, permettendole di proseguire il proprio pedinamento; in maniera né positiva né negativa nel momento in cui essi non si fossero mossi ed ella avesse scelto di rinunciare ai propri intenti, continuando a mescolarsi alla folla e, in essa, salendo sul treno; oppure in maniera spiacevolmente negativa nel momento in cui essi non si fossero mossi, ella neppure, e un’esplicita resa dei conti si fosse, quindi, imposta qual inevitabile fra loro.
Un azzardo ben compreso e che, comunque e a prescindere dalla propria conclusione, di lì a pochi secondi, avrebbe avuto soluzione, nell’imminente arrivo della metropolitana…

(episodio precedentemente pubblicato il 2 gennaio 2016 alle ore 14:08)

domenica 21 maggio 2017

RM 140 [già RM 007]


Il pranzo delle gemelle Bontor proseguì in maniera sufficientemente serena, nel vederle entrambe impegnate a evitare accuratamente ogni qual genere di argomento ipoteticamente troppo sensibili per l’occasione, preferendo concentrarsi, piuttosto, su questioni meno rischiose, se pur, non per questo, prive del proprio valore o del proprio interesse.
Fra una fetta di ottimo manzo e qualche sorso di vino, in tal modo, Midda ebbe possibilità di essere aggiornata dalla sorella nel merito dei progressi scolastici delle proprie nipotine, nonché dell’ultima promozione del cognato, ancora impegnato in trasferta a D.C. ma speranzosamente di ritorno entro le successive feste invernali; mentre Nissa ebbe occasione di essere informata nel merito dell’ultimo giro al pronto soccorso da parte della gemella, fortunatamente non in qualità di degente, ma qual semplice accompagnatrice di un paio di ragazze trasferitesi nell’appartamento accanto al suo soltanto due settimane prima, e liberate dagli spiacevoli abusi del loro protettore nel giro di un paio di giorni, ovviamente in conseguenza a un premuroso intervento da parte della stessa investigatrice incapace a restare indifferente di fronte a quanto, attraverso le troppo sottili pareti della loro palazzina, aveva avuto occasione di ascoltare stesse avvenendo a pochi metri da lei. E se Midda non poté negarsi indubbia soddisfazione, nonché un certo livello d’orgoglio, innanzi al resoconto delle avventure delle piccole, che adorava forse in misura persino maggiore rispetto a quanto non avrebbe potuto riservar loro neppure nel caso fossero state figlie sue; Nissa non mancò di provare quieto entusiasmo di fronte a quella vicenda che, sicuramente, avrebbe ulteriormente scandalizzato la loro genitrice, ma che, ciò non di meno, offriva nuova e meravigliosa conferma all’immagine che, da sempre, ella aveva della sorella nel proprio cuore, più prossima a una straordinaria eroina di altri tempi, figlia di una qualche dea della guerra, che a una comune mortale.

« Ovviamente questo resta fra noi… » le aveva raccomandato l’investigatrice, al termine del resoconto e a seguito dei complimenti espressi dall’interlocutrice, necessariamente più che graditi « Non ho proprio intenzione di fornire a nostra madre nuovi spunti per criticare il mio stile di vita, la mia abitazione o le mie frequentazioni. »
« Brucerò all’inferno per averlo detto… » premesse l’amministratrice delegata, aggrottando la fronte a quell’ultimo commento da parte della propria controparte « … ma ti assicuro che l’unica differenza che sussiste fra la maggior parte delle mie abituali frequentazioni e le tue è che, per lo meno, le tue sono meno ipocrite nel definire la propria professione. »
« E’ un modo velato per insinuare che sei circondata da uomini e donne di dubbie qualità morali…?! » suggerì Midda, sorridendo maliziosa in conseguenza di quella nota a pié di pagina che la sorella aveva desiderato porre in evidenza.
« No no. » scosse il capo, storcendo le labbra verso il basso nel pensare a una buona porzione dei propri colleghi, sia uomini, sia donne, e al loro più assoluta assenza di qualunque morale, sia in campo professionale, sia in campo personale, almeno a fronte degli eventi dei quali erano soliti vantarsi, schernendola in maniera non propriamente implicita tanto per il proprio meritato successo nel lavoro, quanto per la propria, a loro dire inconcepibile, fedeltà coniugale « Intendo dire che sono veramente delle pu… »
« … pulzelle. » censurò l’altra, sorridendo divertita innanzi a quello slancio volgare da parte della gemella, abitualmente tanto moderata e controllata nel proprio modo di porsi, spontaneamente diplomatica come ella, altresì, non era mai riuscita a proporsi neppure nei momenti più quieti della propria esistenza, caratteristica a lei del tutto estranea « Ricordati che qui ti conoscono, tesoro. Ed è anche uno dei tuoi ristoranti preferiti. » la volle porre in guardia, non desiderando che, inavvertitamente, potesse ritrovarsi in una situazione di imbarazzo per qualche opinione espressa con troppa sincerità.
« Toh... questa è nuova! » osservò Nissa, colta in contropiede da quell'insolita inversione di ruoli fra lei e l'altra, abituata più a moderare che a essere moderata.
« Lo dico per te... » puntualizzò la prima, intuendo i pensieri della gemella e non desiderando lasciar adito a dubbi « Per quanto mi concerne, poi, possiamo parlare tranquillamente delle meretrici con cui lavori, uomini e donne indistintamente, e di tutte le loro più sfrenate perversioni sessuali. » incalzò, a offrire riprova della propria più assoluta indifferenza alla questione « E per inciso, trovo ridicola tutta questa passione che si sta diffondendo nei confronti del sadomasochismo, da parte di persone che non immaginano neppure l'esistenza del marchese De Sade e del vero significato della parodia che si entusiasmano a rappresentare con qualche manetta di pelouche e un frustino giocattolo. »
« Sei una peste! » scoppiò a ridere la sorella, innanzi alla sfacciataggine dell'interlocutrice, per la quale, pur, non avrebbe potuto dirsi sorpresa.
« Almeno non ti lascerò bruciare all'inferno da sola! » si giustificò Midda, stringendosi fra le spalle e rievocando, in tal modo, il destino che si era autonomamente profetizzato la controparte « Dopotutto non vorrai liberarti di me nell'aldilà, spero bene. »

Solo quando i piatti furono svuotati e, a completamento del pasto, fu servito anche il dolce, strudel di mele con panna montata per Nissa e una coppa gelato per Midda, le due commensali decisero di concedersi possibilità di parlare di lavoro, giungendo alle informazioni promesse all'investigatrice in cambio della sua partecipazione a quel momento conviviale.
L'amministratrice delegata della "Rogautt Enterprises", pertanto, estrasse dalla propria borsetta, in pelle bianca per intonarsi all'uniformità del candore dei suoi abiti, una memoria USB e la consegnò alla propria ospite, insieme a un dolce sorriso carico di gratitudine per quel momento concessole. E seppur quest'ultima avrebbe indubbiamente dovuto dimostrarsi grata alla sorella per l'aiuto offertole, nell'accogliere la memoria USB non riuscì a negarsi l'ennesima provocazione all'indirizzo della propria anfitrione...

« Grazie per il tuo aiuto... ma... sarebbe stato troppo chiederti di stampare le informazioni e consegnarmele in un mai superato fascicolo cartaceo?! » protestò, con tono che pur, a dispetto delle parole, non avrebbe mai bramato sollevare la benché minima polemica nei suoi riguardi « Cioè... fantastica la tecnologia, grandiosa la virtualizzazione delle informazioni... ma... ora devo passare in una copisteria a farmi stampare tutto quanto, se voglio leggerlo senza tornare a casa. »
« Retrograda! » la apostrofò Nissa, scuotendo il capo « Non abbia a esser interpretato mio desiderio quello di sconvolgere le poche certezze alla base della tua esistenza... ma è da qualche lustro che esistono dei luoghi chiamati Internet cafè, dove potrai usufruire di un computer. Visto che, palesemente, pretendere da parte tua l'adozione di un tablet equivarrebbe l'abbandono dello scorso millennio, con tutti i conseguenti rimorsi all'idea di quella povera epoca dimenticata. »
« Ti riferisci agli anni '80, con tutto il loro straordinario carico di emozioni e ricordi?! »
« 1880? Sì certo! » confermò la prima, sorniona « Che periodo straordinario l'Epoca Vittoriana! » la canzonò, confondendo volutamente i due secoli passati per evidenziare maggiormente la distanza esistente fra l'interlocutrice e il presente.
« Ricordi quando poco fa ho detto di adorarti? » rievocò Midda, accigliandosi « Ecco. Mi ero sbagliata. In verità ti odio profondamente, vipera che non sei altro. » si corresse, mostrando subito dopo la lingua alla sorella, in un gesto decisamente poco maturo, per quanto trasparente della volontà di gioco così espressa.

Malgrado la critica in tal modo sollevata nei riguardi della gemella, e la conseguente presa di posizione in sua avversione, l'investigatrice fece sparire rapidamente la memoria USB nel taschino dei propri jeans e, nel far ciò, si levò in piedi, pronta a prendere congedo da quella comunque gradevole tavola, al di là di tutte le obiezioni da lei inizialmente sollevate in contrasto all'affettuoso ricatto subito.

« Immagino che domani non avrai tempo per tenermi ancora compagnia a pranzo, vero? » chiese, sostanzialmente in maniera retorica, Nissa, già certa che quel miracolo non avrebbe avuto possibilità di ripetersi fatta eccezione per esigenze esplicite da parte della sorella.

(episodio precedentemente pubblicato il 30 dicembre 2015 alle ore 22:35)

sabato 20 maggio 2017

RM 139 [già RM 006]


« Anche io. Lo sai. » ricambiò Nissa, non negandole, per tutta risposta, il proprio sorriso, amplio, sincero, traboccante di calore in maniera tale che, se solo al posto della sorella fosse stato chiunque altro, costui, o costei, non avrebbe potuto ovviare a emozionarsi per la straordinaria emotività racchiusa in un atto tanto semplice « Per inciso… da quanto non la senti? »
« Nostra madre…? » cercò conferma l’investigatrice privata, trovandola in un lieve cenno del capo dell’interlocutrice, prima di proseguire nella risposta così mantenuta in sospeso « Dalla cena dello scorso mese, ovviamente. E, per quanto mi riguarda, potremo aspettare di assistere alla finale della Stanley Cup all’inferno prima che ci si possa risentire. » commentò, cercando di celare, dietro il proprio ormai consueto sarcasmo, la ferita che, comunque, portava dentro, in conseguenza del comportamento abitualmente ipercritico della loro genitrice, la quale, purtroppo, qualche settimana prima aveva passato inavvertitamente il segno, in misura tale da averla costretta, per rispetto verso suo padre, sua sorella e il resto della famiglia, a lasciare la loro casa nel Queens prima ancora di concludere l’antipasto.
« Immagino che non ti abbia più chiamata… e che tu non ti sia premurata di farlo. » suppose l’altra, senza tono di critica nei riguardi di alcuno, quanto e piuttosto qual mera constatazione dei fatti « E che, pertanto, tu stia valutando l’opzione di evitare la cena del prossimo fine settimana... »
« Quale parte della mia sottile metafora sportiva in merito al giocare a hockey su ghiaccio all’inferno non è risultata sufficientemente esplicita, pocanzi?! »
« Midda… per favore. » la richiamò, allungandosi, appena, in avanti, sul tavolo, per raggiungere con la propria destra la mancina della gemella e, in ciò, cercare un momento di contatto con lei « Lo sai che la mamma ti ama più della propria vita. Ed è per questo che… »
« … che si ostina a criticare, in ogni modo, qualunque scelta che io compia? » obiettò Midda, scuotendo il capo « No, Nissa… sono io che ti chiedo, per piacere, di lasciare da parte questo discorso, a meno che tu non abbia piacere di osservare il mio bel didietro ondeggiare sensualmente nel mentre in cui io mi avvio verso l’uscita. » si premurò di avvisarla, pur non sottraendosi al contatto da lei desiderato « E, giusto per la cronaca, non è che io sia improvvisamente divenuta intollerante a nostra madre e al suo modo di fare con me: è sin da quando eravamo bambini che ha chiaramente deciso quanto tu avessi a doverti considerare la figlia perfetta, mentre io la figlia scapestrata e ribelle. E questo, entro certi limiti, lo accetto, perché sono sufficientemente adulta e matura da comprendere quanto difficile sia apprezzare determinate scelte da me compiute. » argomentò subito dopo, prima che a Nissa fosse concessa occasione di tentare di esprimere una qualsivoglia arringa in difesa della madre « Tuttavia, per quanto possa essere sua prerogativa quella di esprimersi in senso critico nei miei riguardi, se c’è una cosa che non posso accettare è che abbia avuto la straordinaria idea di riesumare quel grandissimo figlio di buona donna del mio ex-marito… e di farlo davanti a tutta la famiglia, qual dimostrazione pratica della mia incapacità a condurre a termine qualunque cosa. »
« Posso capirlo, dolcezza… ma… mamma e papà non sanno cosa è realmente successo fra te e Desmair. E, in questo… »
« In questo nulla! » tagliò corto la prima, sottraendosi di scatto al contatto con la gemella, a dimostrarsi pronta, ove necessario, ad alzarsi e a rinunciare tanto al pranzo, quanto alle informazioni relative la caso Anloch, se solo avesse proseguito anche lei a insistere a tal proposito « E ora, per cortesia, parliamo di altro, a meno che… »
« Parliamo di altro. » acconsentì Nissa, trattenendosi dal sospirare al fine di non lasciar apparire quella, da parte sua, qual condiscendenza nei riguardi dell’astante, amandola troppo per imporle un simile torto.

A dispetto del buon proposito così espresso, il silenzio calo sulle sorelle sino all’arrivo delle insalate, che Nissa si limitò a condire con del sale, aceto e olio, rigorosamente in questo ordine, mentre Midda preferì insaporire abbondantemente con salsa yogurt, un pizzico di mostarda e, per non farsi mancare nulla, anche un po’ di salsa piccante di jalapeño, in aperto contrasto a ogni proposito salutista della propria gemella. E tutto ciò non per un qualche intento di rivalsa nei confronti dell’altra, quanto e semplicemente perché, in paradossale contrasto con il suo fisico atletico e la sua straordinaria energia muscolare, l’investigatrice privata non era mai stata, neppure per sbaglio, un’integralista della sana alimentazione… al contrario.
Fu proprio sfruttando tale argomentazione che Nissa ebbe modo di recuperare il dialogo estemporaneamente perduto, ridacchiando innanzi alla pur prevedibile, se non ovvia, scelta di condimenti da parte della propria commensale.

« Non è che ti manca un po’ di salsa barbecue…? » le domandò, piegando appena il capo di lato, nell’osservare il piatto dell’altra « Se preferisci, possiamo chiederla. »
« Ehy… non mi prendere in giro. » la minacciò Midda, con fare ovviamente giocoso, brandendo il coltello da pasto e sventolandolo innanzi a sé, come a simulare una possibile aggressione a suo discapito « Lo sai che non sopporto la salsa barbecue senza una bistecca alta almeno tre dita ad accompagnarla. E, possibilmente, mezzo chilo di patatine fritte al fianco… »
« Non fossimo gemelle, chiederei un esame del DNA per essere sicura in merito alla nostra parentela. » la provocò Nissa, per tutta reazione « Cielo… l’idea di condividere l’intero codice genetico con te, nel contemplare i tuoi particolari gusti alimentari, mi crea una strana sensazione di inquietudine all’idea del mostro che potrebbe celarsi anche dentro di me. »
« Tuo marito si ricorda ancora di mantenerti lontano dalla luce del sole, di evitare di bagnarti e, soprattutto, di non darti mai da mangiare dopo la mezzanotte?! » domandò l’altra, citando una vecchia commedia e le regole basilari in essa elencate per ovviare a trasformare un simpatico batuffolo di cotone in un simpatico batuffolo di cotone accompagnato da una mandria di pericolosi mostriciattoli.
« Questa è cattiva! » si lamentò la prima, pur non potendo mancare di ridere per lo scherno propostole.
« Sei stata tu a parlare di mostri che potrebbero celarsi dentro di te… » minimizzò la seconda, stringendosi fra le spalle prima di iniziare ad addentare una forchettata di insalata « … e chi lo sa: magari mamma e papà ci hanno sempre nascosto la verità dietro alla mia nascita, e io sono nata proprio durante il tuo primo bagnetto. » proseguì, in maniera autoironica, non risparmiando neppure se stessa in quel gioco.
« Mi chiedo quante altre Midda esistano nell’universo, allora, considerando che generalmente mi faccio almeno due docce al giorno. »
« Nessuna! » dichiarò con fare convinto l’investigatrice, escludendo in maniera assoluta e radicale tale ipotesi, estranea persino alla sfera dell’immaginario più fantasioso entro il quale mai la sua mente avrebbe potuto sospingersi « Ti posso assicurare che questo universo è già abbastanza piccolo per contenerne una sola come me: due o più lo farebbero sicuramente esplodere… » spiegò, con la medesima serietà di una divulgatrice scientifica innanzi a una platea di studiosi specializzati nel settore « E poi, obiettivamente, dopo che sono nata io, qualcuno deve aver buttato lo stampino, per evitare di poter commettere nuovamente il medesimo errore: ed è per questo che tu sei nata tanto perfetta, pur con il mio stesso viso. »
« Il tuo viso…?! » obiettò Nissa, inarcando soltanto il sopracciglio destro, nell’osservarla con aria critica perla posizione da lei, in tal maniera, assunta « Vuoi davvero discutere di nuovo di questa faccenda? »
« Assolutamente no… anche perché non c’è nulla da discutere. » sorrise sorniona Midda, scuotendo appena il capo « Per ben tredici minuti, io sono stata figlia unica. E, dall’alto della mia primogenitura, rivendico il tuo bel faccino qual una palese imitazione del mio. Ben riuscita, s’intende, e indubbiamente di ottima fattura… ma comunque una mera imitazione! »
« Che il Cielo possa preservare le mie bambine dal diventare come noi due… » sospirò, ora apertamente, l’amministratrice delegata, chinando appena il capo con aria sconfitta innanzi a tanto valide argomentazioni o, quantomeno, tali considerate dall’interlocutrice « Perché non dovessero andare d’accordo come noi, potrebbero finire soltanto per ammazzarsi l’un l’altra non appena divenute abbastanza grandi per farlo. »

(episodio precedentemente pubblicato il 29 dicembre 2015 alle ore 20:56)