11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

domenica 7 maggio 2017

RM 126


E proprio nel tempo a lei concesso dall’intervento di Desmair in suo soccorso, in sua complicità nel corso di quell’attacco, di quell’offensiva, garantì alla mente di Guerra la possibilità di meglio delineare quell’embrione di strategia che, un attimo prima, aveva iniziato a elaborare, suggerendole non soltanto come poter sperare di porre fine, in maniera imperitura, a quel conflitto, ma anche come poter arrivare a ottenere quanto, per tale scopo, avrebbe potuto servirle, iniziando a tracciare in maniera più chiara, più marcata, la dinamica di quello che, ogni istante in misura maggiore, avrebbe potuto essere considerato un piano.

« Lys’sh… » scandì a bassa voce, certa che, in grazia al proprio udito sovrumano, ella sarebbe stata perfettamente in grado di udirla « … ho bisogno che tu vada a cercare gli altri e li porti qui il prima possibile. Ho bisogno di Salge, in particolare. Trova Salge e portalo da me. »

Pur impossibilitata ad avere un qualunque riscontro nel merito dell’ordine così impartito, Midda non si riservò un solo istante di esitazione nel credere, e nel credere fermamente, che la propria compagna ofidiana non soltanto l’avesse sentita ma, oltretutto, che subito si fosse messa all’opera in tal senso, dal momento in cui, in una battaglia, in quella battaglia, così come in tante, troppe altre da loro affrontate insieme, tutti loro avevano imparato a fidarsi gli uni degli altri, e a ubbidire a delle richieste tanto specifiche, tanto dirette, senza perdersi in inutili dubbi, in superflue domande, pur laddove volte a comprendere il perché di talune richieste, di determinati comportamenti. E laddove l’ordine, ancor più, fosse giunto da una delle sorelle Bontor, alcuno all’interno di quella squadra avrebbe mai sollevato il benché minimo dubbio, la più fugace domanda, nella certezza di quanto, alfine, tutto avrebbe avuto sicuramente un significato e, soprattutto, un valore se non risolutore, quantomeno di indubbia importanza per tutti loro.
Conscia di ciò, pertanto, non soltanto la mercenaria non ebbe a riservarsi esitazioni di fronte all’idea di una pronta reazione da parte di Lys’sh alla sua richiesta ma, ancor più, approfittò di quei pochi istanti di quiete, nel pur fugace intervallo di tempo necessario a Kah per riprendersi, per risollevarsi in piedi e tornare a volgere la propria attenzione verso di loro, allo scopo di approssimarsi rapidamente a Desmair e riservare anche allo stesso un’altra richiesta, un altro ordine…

« Abbiamo bisogno di guadagnare tempo. » riferì al compagno, con tono grave « Ce la possiamo fare…? » cercò conferma, in una richiesta che, forse, avrebbe avuto a doversi considerare retorica e che pur tale non avrebbe voluto essere, giacché, in un tale contesto, in una simile disfida, alcuna retorica avrebbe allor avuto significato, anche ove, come in quel caso, alcuna alternativa avrebbe potuto essere considerata accettabile.
« Ce la faremo. » annuì Desmair, nulla chiedendo di più, alcuna ulteriore informazione ricercando, a sua volta perfettamente consapevole di quanto, alla base di una simile richiesta, e soprattutto di una simile richiesta da parte di quella donna in particolare, avrebbe avuto a dover essere intesa, sicuramente, una qualche idea, una qualche piano la consapevolezza del quale, sicuramente, sarebbe stata con lui condivisa al momento più opportuno, quando la conoscenza, da parte sua, di simile informazione avrebbe potuto permettergli di meglio operare al successo di quella missione e, in tal caso, alla conclusione, positiva, di quella battaglia.

Una fiducia incondizionata, pertanto, anche quella a lei riservata da parte del flegetauno, il quale, in un tal frangente, in un simile, teso, contesto, non volle concedersi la benché minima occasione di distrazione utile a domandare maggiori dettagli, anche e soprattutto nella necessità di mantenersi concentrato sul loro obiettivo primario, e su quanto avrebbero ancor dovuto lottare per conseguirlo. Pur nell’eventualità ove, infatti, il piano di Guerra avesse avuto a doversi considerare, per assurdo, criticabile o, eventualmente, suscettibile di possibili miglioramenti; se egli, in quel momento, si fosse concesso il lusso di distrarsi, di dividere la propria attenzione a metà fra quell’informazione e il confronto con l’immediata realtà, probabilmente avrebbe concesso al suo crudele genitore di sopraffarlo nuovamente, sorprendendolo e, in ciò, sicuramente volgendogli il conto per tutto quanto.
Dopotutto, in quel momento, in quella difficile situazione, a dispetto di qualunque ulteriore e possibile definizione identitaria, essi avrebbero avuto a doversi allora riconoscere innanzi a ogni altra cosa in quanto soldati. E, come tali, non soltanto nota, ma addirittura necessaria avrebbe avuto a dover essere giudicata, da parte di tutti loro, l’unitarietà della voce al comando e, con essa, della mente preposta a distribuire ordini, con il mai banale scopo di ovviare a improprie e pericolose sovrapposizioni, giacché nella confusione creata da più di una possibile linea di pensiero, da più di una pur potenzialmente corretta strategia attuata contemporaneamente, soltanto ineluttabile avrebbe avuto a doversi valutare l’esito peggiore, nell’assenza di armonia che da ciò sarebbe derivato.

« Questo non avresti dovuto farlo… » ringhiò Kah, ripresosi dal colpo subito e tornato in piedi, in tutta la propria colossale mole, osservando il figlio, e la donna accanto a lui, con sguardo carico di palese odio, odio per l’umiliazione che, in tutto quello, aveva appena subito, in un piano concepito all’unico scopo di dimostrare all’universo intero la sua imbattibilità, e che, almeno per il momento, stava comprendendo, non aveva ancora dato alcun frutto in tal senso.

E stanco di ogni gioco, stanco dell’arroganza che gli stava venendo dimostrata da coloro i quali altro non avrebbero avuto a doversi riconoscere che sue prede, il dio flegetauno reagì in maniera palesemente incontrollata, chiaramente istintiva e brutale, sfruttando, in termini puri e semplici, la propria disumana forza, la propria colossale mole, per eradicare due alberi, uno per ogni mano, e proiettarli, quasi fossero semplici proiettili, in direzione dei suoi antagonisti, con forza sufficiente a trasformarli in un’arma letale, là dove se li avessero allora colpiti, ineluttabilmente, non li avrebbero semplicemente travolti, ma letteralmente fatti a pezzi, con una violenza tale che né gli arti robotici della donna, né la resistenza sovrumana del suo compagno, avrebbero potuto garantire loro opportunità di sopravvivenza.

« Thyres… » imprecò Midda, a confronto con quel fugace istante in cui la propria fine parve certa innanzi ai loro occhi.

In grazia a quale divinità, allora, entrambi ebbero a salvarsi, non ebbero mai possibilità di esserne certi. Ciò non di meno, ciò accadde, e accadde, per Desmair, nel lasciarsi ricadere repentinamente al suolo, vedendosi passare, in conseguenza a ciò, entrambi gli alberi al di sopra della propria schiena senza, tuttavia, esserne impattato, senza esserne sfiorato; e per Guerra, al contrario, nel proiettarsi altrettanto rapidamente verso il cielo, in grazia non tanto delle sue pur straordinarie innate capacità atletiche, quanto e piuttosto, in tutto ciò, della forza concessale dalla propria protesi in sostituzione alla gamba perduta, nell’energia concessale dai servomotori alimentati all’idrargirio della quale, allora, ella ebbe occasione di raggiungere, senza fatica alcuna oltre trenta piedi d’altezza rispetto al suolo, prima di ritrovarsi nuovamente attratta a esso dall’inviolabile forza di gravità.
Così, i due alberi lanciati a loro condanna, non soltanto non permisero a Kah di ottenere ancora un risultato apprezzabile ma, piuttosto e in direzione assolutamente antitetica, parvero altresì imporsi, nuovamente, qual riprova dell’aura di leggenda attorno a quei mercenari, attorno a quei guerrieri mai autoproclamatisi qual dei e, ciò non di meno, che nel ricordo delle proprie gesta, nella memoria delle proprie imprese, la Storia aveva iniziato a onorare come invincibili, in un gloria alla quale, sicuramente, quel presunto dio flegetauno avrebbe voluto spingersi, ma dalla quale, ancora, si poneva proprio malgrado spiacevolmente lontano.

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