11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

www.middaschronicles.com
il Diario - l'Arte

News & Comunicazioni

E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

venerdì 30 giugno 2017

RM 180


« Uniforme di lavoro…? » tentò di consolarla l’investigatrice privata, reinterpretando in diversa chiave il succinto abbigliamento della propria interlocutrice, in grazia al quale chiunque, nel vederla, non avrebbe potuto porsi dubbi nel merito del mestiere per lei proprio e, soprattutto, di quanto ella avrebbe potuto offrire, nell’eventualità di qualche manifesto interesse.
« Uniforme di lavoro. » annuì la controparte, lasciandosi scappare una leggera risatina, a riprova del successo della prima nell’instaurare un clima di complicità fra loro.

L’investigatrice privata non avrebbe potuto essere più soddisfatta dell’evoluzione intrapresa dalla situazione. Improvvisamente, infatti, la sua precedente gamma di opportunità variabile fra il pestaggio e la morte, in sfumature fondamentalmente negative a prescindere da qualunque conclusione; ella ebbe a ritrovarsi potenzialmente proiettata in una nuova varietà di occasioni volta a includere, nelle proprie estreme alternative, il pieno raggiungimento dei propri obiettivi o, al più, qualche nuova, fantasiosa carrellata di insulti, entro i limiti della fantasia di quella nuova interlocutrice. Insomma… un progresso indubbiamente positivo.
Rassicurata, in ciò, dalla ritrovata positività della propria posizione, nonché rallegrata, oltretutto, dall’inatteso dono rappresentato da quell’involontario suggerimento a proporsi qual cronista, in un ruolo nel quale, in futuro, si sarebbe sicuramente nuovamente riciclata, nei vantaggi da esso derivanti per la propria reale professione; ella ebbe a sentirsi alfine indubbiamente a proprio agio: agio dal quale, in una spontanea reazione a catena tutto sarebbe necessariamente apparso più spontaneo, più sincero, più naturale, riuscendo, di conseguenza, a consolidare sempre più il rapporto così stabilito con la controparte e, in ciò, a raggiungere più semplicemente il proprio scopo finale.

« Premetto che non ti chiederò di raccontarmi alcun dettaglio personale… e che, per tua sicurezza, questo incontro resterà strettamente confidenziale fra noi: non riporterò il tuo nome, non riporterò la tua descrizione, né altro ancora: la sicurezza delle proprie fonti è un fondamento imprescindibile per qualunque giornalista. » esordì, a escludere qualunque possibilità di fraintendimento fra loro, in quella condizione irrinunciabile, dal suo punto di vista, per proseguire nella direzione intrapresa.
« Quanta serietà… » osservò Nihavi, apparentemente ironica e pur guardandola sempre più incuriosita, e, probabilmente, non soltanto incuriosita dalla professione di lei ma, anche e proprio, dalla sua persona, da quella figura quasi poetica di giornalista d’assalto qual, al più, avrebbe potuto attendersi di ritrovare soltanto in un qualche vecchio film « … complimenti. » soggiunse, a stemperare l’ironia precedentemente dimostrata, e a suggerire, di conseguenza, l’esistenza di qualcosa di più dietro a quell’intervento.
« Ehy… non è che perché ho un’abbondante circonferenza toracica, io abbia a dover essere giudicata come una sciocca. » protestò scherzosamente verso l’altra, grottescamente simulando una reazione d’offesa alle parole rivoltele, a quel complimento, pur apprezzabile, e che, in ciò, venne volutamente frainteso qual attestato di mancanza di fiducia nei suoi confronti, per quanto assurda avrebbe potuto essere considerata l’eventualità di una tale filosofia, soprattutto nel considerare le proporzioni della controparte « Non essere invidiosa! »
« Invidiosa io…?! » rise l’altra, ora apertamente, scuotendo il capo a escludere tale eventualità « Scarlet cara… credo che tu abbia bisogno di un paio di occhiali! » suggerì, indicando con lo sguardo la propria procace scollatura, tutt’altro che celata dalla propria uniforme di lavoro, così come era stata pocanzi definita.
« Soprassediamo… » minimizzò l’investigatrice privata, agitando la mano destra, che lì impugnava già una matita per prendere appunti, a indicare, con tal gesto, l’intenzione a proseguire oltre, palesemente indispettita, seppur solo in maniera simulata, per quanto accaduto.

Interpretando il proprio ruolo di giornalista, Midda iniziò allora a presentare alla propria fonte, qual l’altra avrebbe avuto a dover essere speranzosamente considerata anche al di là di quella messinscena, l’argomento dell’articolo sul quale stava lavorando, introducendolo come un reportage in relazione alla delinquenza dei quartieri dei vari quartieri di New York, con particolare riguardo alle attività delle varie organizzazioni preposte alla gestione alla prostituzione, allo spaccio e alle estorsioni, lì operanti. Un articolo, a scanso di equivoci, scritto da indipendente e, in ciò, destinato a dover poi trovare un qualche editore disposto a pubblicarlo; ma un vero e proprio lavoro di inchiesta, volto a dimostrare, e a denunciare, tutti i limiti dell’amministrazione locale e, soprattutto, a far emergere alla luce del sole parte di quella città ombra dell’altresì sfavillante New York da tutti conosciuta, da tutti amata e, sovente, persino ambita.
Un’altra faccia di New York, quindi, forse meno conosciuta, sicuramente meno piacevole, rispetto a quella di pubblico dominio, e, ciò non di meno, meritevole di essere resa nota, così come, nel suo precedente reportage, ella si era già parallelamente impegnata a compiere nel volgere riferimento, altresì, al purtroppo vasto mondo dei senzatetto, di quelle ben oltre quarantamila persone, di ogni età, di ogni sesso, di ogni provenienza e di ogni religione, impegnate in una terrificante lotta per la sopravvivenza contro la povertà, la fame, e qualunque condizione meteorologica avversa.
Insomma… un lavoro difficile, composto di temi duri da digerire, antipatici al ceto medio-alto e, ancor più, alla politica, e, ciò non di meno, proprio per questo, necessari a dover essere scritti, e scritti non soltanto una volta, ma cento, mille volte diverse, da cento e mille persone diverse, a dimostrazione di quanto, comunque, anche quelli avrebbero avuto a dover essere riconosciuti quali Stati Uniti d’America: non soltanto nel bene, ma anche, e ancor più, nel male.

« Dannazione… » ebbe a commentare Nihavi, alla fine di quella presentazione, non potendo negare di essere rimasta indubbiamente affascinata, se non addirittura rapita, dalla foga dimostrata da parte della sua interlocutrice, dalla passione da lei posta in quegli argomenti, in quei temi, un ardore a fronte del quale difficile sarebbe stato, per chiunque, potersi tirare indietro « Mi scuso per tutti i giudizi negativi che posso aver espresso nella mia mente a tuo discapito, Scarlet… e complimenti, complimenti davvero per il tuo lavoro! » ebbe a voler aggiungere, per meglio esprimere la propria approvazione a tutto ciò e, in questo, implicitamente, il proprio consenso a poter collaborare, nei limiti delle sue possibilità.

In effetti, mentre ne stava parlando, mentre si stava lasciando dominare dal personaggio della giornalista, e della giornalista d’assalto, anche la stessa investigatrice privata non avrebbe potuto ovviare a sorprendersi per la veemenza, inattesa, delle proprie parole, nella carica emotiva che, in maniera anche spontanea, non poté e, probabilmente, non avrebbe potuto evitare di porre in quel discorso, in quella denuncia a discapito, in verità, non soltanto dell’amministrazione cittadina, ma dell’intera città, popolazione inclusa, laddove, purtroppo, alla maggior parte degli abitanti di New York, ma così come di qualunque altra città benestante del pianeta, certi temi, certe realtà, non soltanto non sarebbero mai realmente interessate, ma sarebbero addirittura risultate scomode: temi e realtà, altresì, che da ex-poliziotta, ella non aveva potuto ovviare a conoscere, e a conoscere molto da vicino, non senza una certa frustrazione di fronte alla consapevolezza che, comunque, per quanto si sarebbe potuta impegnare, non sarebbe mai stata in grado di cambiare realmente le cose.
Anche in tal senso, la scoperta di quella stessa mattina, di realtà come la “Neverending Story Inc.”, non avrebbero potuto ovviare a entusiasmarla, così come, del resto, era accaduto, nell’idea che potesse esistere chi, malgrado tutto, desiderava veramente dichiarare guerra a quei donchisciotteschi mulini a vento, nella folle audacia, o nell’audace follia, di chi indifferente all’esito e, ciò non di meno, egualmente desiderosi di provarci. Un entusiasmo, il suo, che, addirittura, si trovava a declinare contemporaneamente, e in direzioni antitetiche, in orgoglio e in vergogna: orgoglio all’idea di quanto, in maniera discreta, composta, e straordinariamente elegante come solo lei sapeva esserlo, la sua gemella non soltanto fosse impegnata in tal senso, ma, addirittura, ne fosse un elemento fondatore; vergogna all’idea di quanto, altresì, ella, sino a quel momento, non avesse comunque combinato nulla a tal riguardo, non diversamente, del resto, dalla maggior parte delle persone che, suo pari, avrebbero pur trovato di che indignarsi, e indignarsi profondamente, per tutto quello.

giovedì 29 giugno 2017

RM 179


« Una giornalista, quindi…? » sbuffò la prostituta, con fare apertamente scocciato e, ciò non di meno, apparentemente indifferente a tale eventualità, evidentemente non così negativa nei confronti dell’idea di essere a confronto con una cronista rispetto a tutte le altre opportunità prima enunciate, in tal senso, probabilmente, quantomeno non considerandola al pari di una minaccia.

E l’investigatrice privata, che pur mai aveva preso in esame l’idea di spacciarsi per una giornalista, non poté ovviare a constatare quanto, l’idea così suggerita, non fosse assolutamente negativa, garantendole, al contrario, la possibilità di porre domande, e anche domande scomode, senza in questo doverne giustificare le ragioni. Un’idea, in verità, a dir poco geniale nella propria semplicità… ragione per la quale, intimamente, ella ebbe anche a rimproverarsi, e a rimproverarsi aspramente per non averci pensato prima, arrivando a sentirsi indirettamente consigliare, in tal senso, da una persona qualsiasi.

« Temo proprio che tu mi abbia scoperta… » ammise, tornando a sedersi sul bordo del letto a dimostrare la propria sconfitta con un sorriso sinceramente imbarazzato, e imbarazzato, allora, non dalla sorprendente denuncia appena occorsa nel merito della sua professione, quanto e piuttosto proprio dell’assenza di iniziativa da lei precedentemente dimostrata a tal riguardo… assenza di iniziativa della quale, pur, non avrebbe immediatamente mancato di offrire ammenda.

Forse colpevole di passata mancanza di originalità, infatti, Midda Bontor non avrebbe avuto a dover essere considerata né un’arrogante, tal da non riconoscere il proprio errore, né una sciocca, tal da rifiutare l’opportunità lì servitale sul proverbiale piatto d’argento. Ragione per la quale, pertanto, ella colse al balzo l’occasione fornitale e fece subito propria quell’idea, non soltanto in quella conferma verbale, ma, addirittura estraendo, da una tasca della propria giacca, il proprio consueto taccuino, pieno di appunti scarabocchiati in maniera più o meno ordinata, gli ultimi di quello stesso pomeriggio e del suo incontro con Faccia D’Anatra, per apparir ancor maggiormente calata nella parte, in una messinscena che, se solo avesse funzionato, paradossalmente le avrebbe permesso addirittura di prendere nota in tempo reale di quanto l’altra avrebbe potuto raccontarle, senza dover, a posteriori, far mente locale sui ricordi di quell’incontro per trascriverli, a imperitura memoria, su carta.
Nel mentre in cui ella tornò a sedersi, ed estrasse il proprio taccuino, l’altra restò in silenzio a osservarla, probabilmente valutando, all’interno della propria mente, il da farsi. La reazione già palesata, di fronte all’addirittura suggerita idea che ella fosse una giornalista, avrebbe avuto a poter essere giudicata fondamentalmente non negativa, nella misura in cui, quantomeno, ella era parsa mutare stato d’animo nei suoi riguardi, rispetto all’animosità delle alternative precedenti, e nella misura in cui, dal rivestirsi rapidamente per poter lasciare, quanto prima, l’appartamento, probabilmente spingendola fuori a calci, Nihavi si era arrestata, per guardarla e, in ciò, soppesarne le parole e le azioni. L’eventualità secondo la quale tale assenza di negatività, poi, potesse tramutarsi, addirittura, in una positiva collaborazione, invero, non avrebbe avuto a dover essere considerata né ovvia, né scontata: tuttavia, quello, avrebbe avuto a potersi ritenere, dal punto di vista di Midda, già un inizio; e un inizio potenzialmente positivo oltre che, obiettivamente, fortunato; e fortunato nella misura in cui, probabilmente, ella avrebbe dovuto rinunciare a qualsiasi altra manifestazione di divina benevolenza da lì all’anno successivo, nel migliore dei casi.

« Una giornalista, quindi… » ebbe a ripetersi la prostituta, socchiudendo appena gli occhi quasi a compiere uno sforzo fisico per meglio focalizzare la situazione lì creatasi.
« Esattamente. » sorrise l’investigatrice privata, con la propria espressione migliore, accavallando le gambe per cercare una postura più comoda e, soprattutto, un appoggio per il proprio taccuino, che ebbe a posizionare all’altezza del ginocchio sinistro, posto superiormente al destro « Una seducente giornalista eterosessuale che desidera avere occasione di scambiare quattro chiacchiere con te e che, per questo, è disposta a pagarti a prezzo pieno, esattamente come se ci fossimo impegnate insieme contro il muro, sotto la doccia, sul letto e in qualunque altro posto tu avresti potuto immaginare di trascinarmi: soldi facili per te, un buon articolo per me, ed entrambe ne usciamo appagate. » sancì, esprimendo in tal senso motivazioni estremamente pragmatiche che, probabilmente, sarebbero state apprezzate dall’interlocutrice « Che ne pensi, Nihavi? »

Ancora qualche istante di laconica elucubrazione vide protagonista il suo anfitrione, la quale, ciò non di meno, ebbe a smuoversi lentamente dalla posizione in cui si era precedentemente arrestata, prima per ciondolare, pensierosamente da una gamba all’altra, spostando il peso prima a sinistra, poi a destra, e, poi, avanzando lentamente verso di lei, e verso il letto sul quale, un istante prima, erano entrambe sedute e dal quale, un istante dopo, ella era scappata via, quasi fosse divenuto improvvisamente incandescente. Dentro la propria mente, forse, ella stava ancora cercando ripercorrendo la pur breve storia del tempo trascorso insieme, dalla notte precedente al nuovo incontro della serata, nel cercare di comprendere se le ragioni della propria precedente e spontanea diffidenza verso quella cronista avrebbero potuto così trovare occasione di soddisfazione, lasciandole accettare quella storia e, soprattutto, lasciandole accettare la prospettiva di lasciarsi coinvolgere in quella storia.
E se pur, forse, qualche dubbio, qualche incertezza, ancora avrebbe avuto a dover essere riconosciuto qual presente nel profondo del suo subconscio, evidentemente ella tornò a zittire ogni incertezza, ogni esitazione, in nome degli stessi profondi valori per cui pocanzi aveva accettato di accoglierla come propria cliente. Valori, da ricordare, non estranei a quelli che, malgrado ogni remora, avevano convinto anche la stessa investigatrice privata ad accettare il caso offertole dai federali…

« Ma sì. » acconsentì alla fine, accettando di tornare a sedersi accanto a lei, nel ritrovato compromesso fra loro « In fondo, se vogliamo dirla tutta, anche io sarei eterosessuale. » confessò, nei riguardi della propria interlocutrice, a dimostrazione della propria confermata apertura verso di lei « Che poi, di questi tempi, mi possa ritrovare costretta a non essere troppo schizzinosa, accettando di dispensare moine indifferentemente dal sesso del mio cliente, francamente, quello è un altro discorso: il mio è soltanto un lavoro, in fondo. » argomentò, in parole che trovarono assolutamente d’accordo la sua controparte, a conferma di ogni elucubrazione precedente a tal riguardo.
« Nulla da eccepire a tal riguardo. » confermò Midda, offrendole il proprio più amplio sorriso « Anzi… a questo punto mi permetto di ritirare, dalla mia definizione di cui sopra, definizioni come “seducente” ed “eterosessuale”, limitandomi a descrivermi come una giornalista che desidera avere occasione di scambiare quattro chiacchiere con te. » ebbe a correggersi, con quieta ironia e autoironia, a tentare, in ciò, di scherzare un po’ con la propria interlocutrice per stemperare, ulteriormente, l’eventuale tensione creatasi.
« Per quanto mi riguarda, non avrei comunque nulla da eccepire sul seducente… » le concesse, comunque, Nihavi, piegando appena il capo di lato, per osservarla meglio « In effetti, quando ti ho intravista arrivare ieri notte, prima che ti mettessi a cercare di richiamare l’attenzione dei panettieri, per un istante ho temuto potessi essere della concorrenza sleale. »
« Addirittura?! » aggrottò la fronte l’altra, trattenendo una risatina divertita « E io che pensavo di essere vestita come una senzatetto… »
« Ho detto “per un istante”, infatti. » scosse il capo la professionista, a escludere qualunque fraintendimento « Sui tuoi gusti in fatto di abbigliamento, poi, non credo di essere nella posizione di trattare, considerando che io vado in giro con i glutei e i seni al vento. »

mercoledì 28 giugno 2017

RM 178


Entrate nell’edificio, Midda non poté offrir torto al giudizio della propria interlocutrice, dal momento in cui, in effetti, l’interno avrebbe avuto a dover essere giudicato in condizioni indubbiamente migliori rispetto all’esterno. Ove la fatiscenza della facciata, infatti, avrebbe lasciato presumere, nel migliore dei casi, un interno privo di illuminazione e utile, in tal senso, a mistificare l’orrore che altrimenti lì avrebbe potuto annidarsi, fra resti putrefatti di ratti morti, scarafaggi e voragini in pavimenti, pareti e soffitti; quanto ebbe altresì a proporsi all’attenzione della donna fu, piuttosto, sotto gli effetti di un’illuminazione sufficientemente regolare e distribuita, l’immagine di un interno sì modesto, indubbiamente povero e carente in manutenzione, ma, ciò non di meno, ordinato e quasi pulito. Facile, in ciò, sarebbe stato ritenere l’occupazione di quell’edificio qual probabilmente abusiva, e gestita, probabilmente, da qualche criminale locale, il quale, all’interno di quegli appartamenti, lungo quei corridoi, avrebbe potuto condurre quietamente i propri affari, senza particolari preoccupazioni: criminale locale il quale, quindi, avrebbe avuto a poter vantare un qualche rapporto con il protettore di Nihavi o, nel caso, coincidere con la medesima figura.

« Ah… però… » non poté ovviare a commentare l’investigatrice privata, osservandosi attorno con un certo interesse e notando quanto, in effetti, chiunque stesse gestendo quell’edificio, sotto diversi aspetti, stava compiendo un lavoro migliore rispetto al proprio, di amministratore.
« Cosa ti avevo detto?! » sorrise l’altra, probabilmente abituata a quel genere di reazioni da parte dei clienti lì seco condotti « E, ti assicuro, il meglio deve ancora venire… » le promise, in parole pronunciate con sufficiente enfasi da apparir oneste e, ciò non di meno, contraddistinte da una lieve sfumatura, nel proprio tono, nella propria cadenza, da risultar comunque artefatte, probabilmente tutt’altro che inedite, maliziosa promessa di quanto, a breve, raggiunta la loro stanza, ella sarebbe stata in grado di concedere al compagno o, in quel caso, alla compagna di turno.

Onde evitare di rispondere con toni meno entusiastici di quelli che le avrebbero dovuto competere in una simile situazione, e, in ciò, da tradire i propri effettivi interessi, Midda ovviò a qualunque genere di replica, limitandosi a sorriderle, in termini che l’altra avrebbe facilmente potuto fraintendere qual mero imbarazzo per la situazione, forse evidenza di quanto, al di là di quella che era stata giudicata qual eccessiva baldanza da parte sua, ella avrebbe avuto a dover essere riconosciuta qual alla propria prima occasione con una prostituta… dato di realtà che, in effetti, non avrebbe potuto essere fra l’altro smentito, nel considerare la sua assenza di qualsivoglia interesse per quanto ella avrebbe potuto concederle.
In silenzio, quindi, l’investigatrice seguì la propria candidata informatrice, ancor inconsapevole del ruolo così assegnatole, a risalire fino al secondo piano e, da lì, a raggiungere la stanza di un monolocale, all’interno della quale, in un ambiente indubbiamente più pulito di quello che l’avrebbe potuta attendere di ritorno al proprio appartamento, un letto compostamente rigovernato già le attendeva.

« Da quel lato c’è il bagno, se desideri… » ebbe a indicarle, richiusa la porta d’ingresso alle proprie spalle, in direzione di una seconda porta sulla parete alla loro destra « Se desideri, c’è anche una doccia: non sarà particolarmente grande, ma sono certa che, stringendoci un po’, potremmo starci entrambe… » le comunicò, suggerendo un modo per poter rompere il ghiaccio fra loro mentre, con noncuranza, iniziò ad abbassare la cerniera di uno dei due vertiginosi stivali indossati quella sera « Se tu fossi un uomo ti inviterei ad andarci da sola… ma, fra donne, sono certa potrebbe essere un’occasione interessante. »

Giunta a quel punto, la situazione stava apparendo indubbiamente chiara nelle intenzioni della prostituta. Meno, invece, si sarebbe dovuta giudicare in quelle di Midda, la quale, che le potesse piacere o meno, a quel punto avrebbe dovuto iniziare a parlare, e a parlare chiaramente con la propria interlocutrice, salvo non voler realmente arrivare alla propria prima esperienza omosessuale e, per di più, con una prostituta. Dal momento che, tuttavia, né l’una, né l’altra, avrebbero avuto a doversi riconoscere qual rientranti nella propria personale lista delle cento cose da fare prima di morire, non molte alternative avrebbero avuto a doversi considerare ancora attuabili.
Così, non senza una certa esitazione, soprattutto nella ricerca delle parole più opportune a introdurre il discorso, ella fece gesto di slacciarsi il consunto giubbetto di pelle, senza però sfilarlo, prima di andarsi ad accomodare ai piedi del letto e lì, con un cenno della mano, invitare l’altra ad accomodarsi accanto a lei…

« Spero che, dopo tutto quello che hai lasciato intendere, tu non sia un tipo da chiacchiere… » si augurò Nihavi, accettando tuttavia di andarsi a sedere accanto a lei, anche per essere così più comoda all’idea di sfilarsi il lungo stivale « Da una rossa con un corpo come il tuo, ti avviso, mi attendo qualcosa in grado di sorprendermi. » scandì, nuovamente ricorrendo a parole che ebbero a risuonare qual di repertorio, semplicemente riadattate, per l’occasione, al contesto lì presente e a una cliente di sesso femminile.
« Ecco… a tal riguardo, in effetti mi piacerebbe poter avere occasione di parlare un po’ con te prima di fare cose… » sorrise l’investigatrice, dondolandosi un attimo sul letto.
« Mi avevi dato la tua parola! » protestò l’altra, accennando a sollevarsi in piedi per porre distanza fra loro, non desiderando, chiaramente, prestarsi a domande di sorta da parte di quella figura, dimostratasi, in ciò, sin troppo ostinata nelle proprie posizioni « E se non sei interessata a usufruire dei miei servizi, non c’è ragione di restare qui… » soggiunse, richiudendo la cerniera dello stivale che stava impegnandosi a sfilare per dimostrare il proprio fermo interesse a chiudere in tal modo la faccenda.
« Diamine! » protestò Midda, rialzandosi a sua volta solo per non restare a osservarla dal basso verso l’alto, a non concederle, in tal maniera, alcuna occasione di superiorità psicologica nei suoi confronti « Dammi almeno il tempo di spiegarmi, per cortesia… non ho intenzione a parlarti di Kipons! Te l’ho già detto! »
« E allora di cosa vorresti parlarmi, rossa? » replicò la prostituta, con chiara diffidenza, tornando a rivolgersi a lei con l’epiteto già adoperato in precedenza, e ben diverso dal più colloquiale nome ipoteticamente attribuitole « Sei forse uno sbirro?! »
« No. Magari… » non poté evitare di ridacchiare l’altra, benché, quella sua pur sincera affermazione, avrebbe potuto risultare fuori luogo nel confronto con l’accusa appena rivoltale, e tale da non lasciar presuppore alcun buon rapporto fra lei e le forze dell’ordine, come un po’ per tutte le sue colleghe in generale, soprattutto laddove i cosiddetti sbirri avrebbero avuto a doversi riconoscere appartenenti alla divisione della buon costume.
« Te lo ripeto… che cosa diavolo vuoi da me?! » domandò Nihavi, con tono più prossimo a esprimere stanchezza e resa ancor prima che effettiva volontà di discussione « Non sarai di qualche dannata setta religiosa, desiderosa di illustrarmi la miseria della mia vita e di indicarmi una qualche possibilità di redenzione abbracciando la fede, voglio sperare… » ipotizzò, non sapendo più in che altra maniera giustificarne le azioni e, ciò non di meno, ormai chiaramente incuriosita da lei nella stessa misura in cui avrebbe avuto a doversi considerare sospettosa nei suoi riguardi, in tal senso anche stuzzicata dal comportamento della propria interlocutrice, il cui coraggio, o la cui incoscienza, nel seguirla sino a quella camera, avrebbe avuto a dover essere considerato mirabile, o forse temibile.
« Assolutamente no. » scosse il capo l’investigatrice privata, levando le mani in un gesto di istintiva protezione da una tale possibilità, da una tale eventualità così aliena al suo carattere, così estranea al suo modo di concepire il mondo, da risultar quasi prossima a un’offesa « Come già ho provato a spiegarti la scorsa notte, Nihavi, non ho alcun problema innanzi all’idea che tu sia una prostituta… anzi. Ti posso assicurare che, se solo fossi dell’altra sponda, approfitterei volentieri di questa occasione con te. » tentò di rassicurarla nuovamente, per poi decidere, prima di essere nuovamente incalzata, di arrivare al sodo « Non sono una poliziotta, non sono una fanatica religiosa e non sono una maniaca sessuale. Vorrei solo farti qualche domanda su questo quartiere… »

martedì 27 giugno 2017

RM 177


La prostituta, chiaramente non bendisposta nei suoi confronti anche nel momento in cui ella stava lì presentandosi nelle vesti di possibile cliente, restò per un istante incerta anche innanzi a quella prospettiva di guadagno, la quale pur non avrebbe potuto essere da lei trascurata.
E se, una qualche diffidenza di base, una possibile antipatia a pelle per quell’interlocutrice, le avrebbe suggerito di rinunciare a quei due biglietti da cento, e forse a qualcosa di più; la sua avidità, e la necessità di far quadrare comunque i conti della serata, la spinse ad accettare, e ad accettare con un ampio sorriso stampato sul volto: non un sorriso sincero, non l’evidenza di una qualche emozione o di un qualche particolare stato d’animo, quanto e piuttosto la riprova della sua abilità nella propria professione, un mestiere nel quale, dopotutto, anche l’apparenza avrebbe giocato il proprio ruolo e, in ciò, nel quale ella avrebbe dovuto impegnarsi a mostrarsi sempre e comunque quanto più possibile ben disposta nei confronti di qualunque possibile cliente, anche nel caso in cui ella, in verità, non avrebbe potuto avere nessun interesse a tal riguardo, nessun piacere in tal senso.

« Considerando che non hai un’auto, dove preferisci andare…? » domandò, sancendo, in tal maniera, un accordo fra loro « Se ti fidi, ho una camera non lontano da qui. »
« Mi fido. » acconsentì l’investigatrice privata, soddisfatta che, alla fine, l’avidità avesse preso il sopravvento, concedendole di proseguire secondo il proprio piano « Per inciso, come ti posso chiamare…? » le chiese, piegando appena il capo di lato con fare incuriosito.

Invero, Midda non avrebbe mai potuto attendersi che l’altra avrebbe accettato di condividere con lei il proprio vero nome, ma, ciò nonostante, ella non avrebbe neppure potuto ovviare a richiedere un qualunque pseudonimo, per quanto falso, per quanto inventato, nel volersi riservare occasione di avere un nome da associare a quel volto, e un nome che non fosse semplicemente un qualche epiteto in riferimento alla sua professione o alla generosità delle sue forme: dentro la sua testa, infatti, affibbiarle l’etichetta di Lucciola Maggiorata non avrebbe potuto evitare di risuonare, al contempo, sia offensivo, sia anche un po’ ipocrita, un bel po’ ipocrita per ovvie ragioni, giacché, se pur l’investigatrice stessa non avrebbe avuto nulla da invidiarle, nell’ampiezza della propria circonferenza toracica, la questione avrebbe potuto essere considerata equivalente in ambo le direzioni, in una proposta indubbiamente giunonica anche da parte dell’altra… anche se, forse, i seni della prostituta avrebbero potuto rivelarsi qual frutto di qualche intervento chirurgico e non, semplicemente, della genetica, come nel suo caso.

« Nihavi. » rispose la prostituta, accennando, in maniera volutamente ironica, a una sorta di leggero inchino, a complemento di tale presentazione « E tu, mia misteriosa signora dai rossi capelli…? Con quale nome preferisci essere chiamata, questa sera? »
« Scegline uno tu… » si strinse fra le spalle l’investigatrice, considerando la questione priva di importanza e, benché non fosse solita considerarsi superstiziosa, francamente, non desiderando ricorrere nuovamente all’identità di Maddie, giacché, in quegli ultimi due giorni, non aveva accompagnato particolari successi da parte sua, non con Ja’Nihr, non con Keira.
« Mmm… mi cogli in contropiede: sono più abituata a ricevere nomi che ad attribuirne… » ammise Nihavi, aggrottando la fronte nell’incertezza della scelta, e iniziando a rifletterci nel mentre in cui ebbe a muovere qualche passo ad allontanarsi dalla propria postazione, non senza aver prima estratto il proprio cellulare e inviato un messaggio, evidentemente volto ad avvisare il proprio protettore « Che ne pensi di Scarlet…? » le propose, dopo aver rimesso a posto il cellulare.
« Dico che, anche se non è proprio appropriato, è sempre più dignitoso di Pel Di Carota. » acconsentì l’altra, cogliendo la volontà di riferirsi al colore dei propri capelli i quali, tuttavia, nella naturalezza di tale sfumatura, non avrebbero avuto a potersi definire propriamente scarlatti.
« E Scarlet sia… » sorrise la professionista, continuando a farle strada « Pochi minuti e ci siamo… e non ti preoccupare: il tragitto non te lo farò pagare. »

L’investigatrice privata, comunque, non avrebbe potuto considerarsi preoccupata per il prezzo da pagare, quanto e piuttosto per quanto sarebbe potuto avvenire se solo non avesse giocato adeguatamente le poche carte presenti nella propria mano: ritenere il suo piano di quella sera un azzardo, in effetti, avrebbe voluto dire sminuire eccessivamente la questione, giacché, nell’accettare di seguire una prostituta sconosciuta verso una camera non meglio definita, per, una volta lì giunta, non volersi impegnare in qualche appassionato scambio di effusioni, quanto e piuttosto in un nuovo interrogatorio, avrebbe potuto preludere a una conclusione decisamente meno piacevole di quella dell’improvvisata conversazione del pomeriggio con Faccia D’Anatra. Laddove infatti, dall’impiegata di un’agenzia di marketing, al più, avrebbe potuto attendersi una scenata isterica con qualche fantasioso improperio, così come, almeno per l’isteria, era occorso; con una professionista di strada, con tanto di protettore in sua difesa, avrebbe potuto rischiare decisamente di più, a incominciare da un pestaggio in piena regola, per finire con un coltello infilato nello stomaco o un colpo di pistola alla nuca, a seconda di quanto bene o male avrebbe saputo mantenere il controllo della situazione.
Alla luce di ciò, Midda non poté ovviare a notare quanto, in effetti, la sua assenza di pregiudizi nei confronti delle prostitute avrebbe avuto a doversi considerare legittimamente dimostrata nelle proprie ragioni: se, infatti, in aperto contrasto ai propri desideri, Nihavi aveva accettato di accompagnarla in nome della promessa di quella coppia di banconote, ponendo la propria volontà in chiaro secondo piano rispetto alla brama di quel compenso; in termini, comunque, non così diversi da quelli che, il giorno precedente, l’avevano egualmente animata nell’accettare l’incarico offertole da Grossa Grana Federale e Smilza Grana Federale e, ancora, in termini non così diversi da quelli che, in qualunque momento, avrebbero animato la vita di chiunque impegnato in una qualunque attività lavorativa, almeno fino a quando il denaro, o un qualunque concetto equivalente, avrebbero continuato a muoverne gli interessi. Con quale ipocrisia, quindi, ella avrebbe potuto considerarsi migliore di quella donna, soprattutto nel momento in cui, come allora, stava andando a porre in dubbio la propria stessa integrità fisica in un azzardo animato, soltanto, dalla volontà di raccogliere informazioni in merito a un caso? Con quanta assenza di senso critico avrebbe potuto considerare il mestiere dell’altra volto a vendere il proprio corpo, con tutta la morale possibile attorno a tal concetto, e il suo qualcosa di diverso, qualcosa di migliore? In fondo, a dispetto delle convinzioni perbenistiche dei più, potenzialmente chiunque avrebbe potuto essere considerato un mercenario: chi atto a vendere il proprio corpo da un punto di vista sessuale, chi da un punto di vista fisico, intellettuale, o quant’altro… e pur, sempre e comunque, di domanda e di offerta si avrebbe, alfine, dovuto parlare.

« Siamo arrivate… » annunciò la sua guida, di fronte all’ingresso di una vecchia palazzina dall’aspetto non proprio solido, più vestigia che effettiva testimonianza del discutibile concetto di edilizia popolare di quel quartiere fra la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta « Non lasciarti trarre in inganno… l’interno è migliore di quanto non possa appare l’esterno. » la volle rassicurare, di fronte alla consapevolezza che, in effetti, quell’edificio avrebbe potuto apparire più prossimo alla demolizione che alla ristrutturazione.
« Figurati… casa mia non è molto meglio. » enfatizzò l’investigatrice, benché, in effetti, sua madre avrebbe potuto dirsi del tutto concorde con quella severa valutazione dell’edificio nel quale ella aveva scelto di andare a vivere dopo il divorzio.
« Ancora insisti con l’immagine della dura? » ridacchiò Nihavi « Lascia che ti spieghi come devono funzionare le cose fra noi, mia cara: non hai alcuna necessità di conquistarmi, dal momento che puoi pagarmi. » sancì, in termini estremamente pragmatici, a ribadire la semplicità del rapporto d’affari esistente fra loro, fra una prostituta e la sua cliente.

lunedì 26 giugno 2017

RM 176


Nel limitarsi a prendere in esame solo gli ultimi tre anni della propria vita, spesi come investigatrice privata, “cagna” avrebbe avuto a doversi considerare uno degli epiteti più gentili che le fossero stati rivolti, in particolare nel momento in cui, qualcuno che non immaginava ella potesse essere, per l’appunto, un’investigatrice privata, arrivava a scoprirlo, generalmente nello stesso momento in cui un avvocato divorzista arrivava a proporre le prove da lei raccolte nel merito di qualche ripetutamente occorso tradimento. Ovviamente, tale non avrebbe avuto a doversi considerare la conclusione di ogni proprio incarico, giacché, generalmente, nel proprio ruolo, Midda avrebbe avuto a dover prestare attenzione a restare nell’ombra, a ovviare all’eventualità di essere vista, riconosciuta, o, ancor peggio, smascherata: ciò non di meno, in qualche occasione, non era mancata la necessità di entrare a contatto con i propri obiettivi, con supposti fedifraghi e, ancor più, fedifraghe, per riuscire a ottenere materiale utile al proprio scopo. E, proprio in riferimento a quelle ultime, più rare, occasioni, ella non avrebbe potuto ovviare a pagarne lo scotto, e a pagarlo, ovviamente, in sempre variegate sequele di improperi a discapito suo, della sua famiglia e, finanche, dei suoi avi, con un certo, particolare livello di attenzione a tutte le sue progenitrici.
In ciò, quindi, ella aveva sviluppato un certo livello di indifferenza alle offese da parte di terzi, nel ben comprendere quanto, in fondo, non avrebbe potuto attendersi nulla di diverso da parte di chi, pur in maniera effimera, le aveva precedentemente concesso un pur minimo attestato di fiducia, salvo poi, alfine, arrivare a scoprire la verità dei fatti. Motivo per il quale, anche l’esplosione isterica di Faccia D’Anatra non ebbe a ferirla in misura particolare, non, laddove, per lo meno, nulla di diverso si sarebbe potuta attendere dalla stessa, comprensibilmente tradita nelle proprie emozioni, nei propri sentimenti, in un momento estremamente particolare della sua vita, qual quello dell’accettazione della propria sessualità. Malgrado ciò, tuttavia, qualcosa, in un angolo remoto della mente della donna, non sembrava in grado di ovviare a ripensare, ostinatamente, a quanto accaduto, in quello che ella non avrebbe potuto tradurre in altro modo se non in senso di colpa, benché, in fondo, nulla di particolare avrebbe avuto a doverla farla sentire coinvolta nella faccenda. Per quanta comprensione, per quanta empatia, ella avesse infatti dimostrato nei riguardi di Keira, nel mentre in cui ella si era impegnata ad aprirsi, a confidarsi con lei, Midda non aveva mai avuto dubbio alcuno nel merito della propria sessualità, avendo da sempre apprezzato quanto la compagnia di un uomo avrebbe saputo offrirle sotto ogni aspetto, ragione per la quale in alcun modo ella avrebbe dovuto provare un rimorso più o meno marcato, per quanto accaduto, in paragone con altri eventi assimilabili appartenenti a casi passati. Qualcosa, però, obiettivamente la tormentava e, che ella potesse apprezzarlo o no, non poté ovviare a giungere a una sgradevole conclusione… ossia che, ancora una volta, alla base dei malesseri più intimi della propria esistenza, altro non avrebbe avuto a doversi riconoscere se non Desmair.
Sebbene, infatti, ella non fosse una strizzacervelli, né avesse mai sognato divenirlo, non ci sarebbe stato bisogno di qualche particolare corso universitario per comprendere quanto l’essersi ritrovata al centro di una tale sfuriata, accusata, più o meno indebitamente, di aver tradito la fiducia della propria sostanzialmente sconosciuta interlocutrice attraverso delle pur giustificabili frottole, avrebbe potuto facilmente essere posto in connessione con il suo passato, con il suo passato riguardante, in particolare, il suo ex-marito e, soprattutto, con il suo passato e il suo ex-marito che, sottobraccio, poche ore prima erano tornati a far capolino nella sua vita, nel suo presente, attraverso l’ancor non digerita, e probabilmente non digeribile, informazione offertale dal capitano Lange Rolamo. Che la sua mente, quindi, stesse somatizzando il trauma derivante da tutto ciò anche nel farla sentire emotivamente più coinvolta nella questione sentimentale fra Keira e Carsa di quanto ella non avrebbe avuto ragione di considerarsi, probabilmente, non avrebbe avuto a doversi considerare nulla di sorprendente… ma soltanto fastidioso. Incredibilmente fastidioso, giacché, per l’appunto, non sembrava volerle offrire tregua.
Qual modo migliore, tuttavia, per dimenticare un problema se non quello di cercarne dei nuovi?
Così, non dimentica del fatto che, oltre al caso Anloch, anche un altro, ancor misterioso caso, avrebbe potuto meritare la sua attenzione, ella ebbe a cercare di accantonare la questione in quello stesso angolo della propria mente al quale, ostinatamente, essa sembrava volersi aggrappare, per rigettarsi in metropolitana e, forse in termini tutt’altro che originali, dirigersi nuovamente verso Brooklyn e, in particolare, verso Bushwick… ma non, banalmente, per cercare un nuovo contatto con il signor Kipons, il quale, alla luce delle informazioni ottenute quella stessa mattina dal suo avvocato avrebbe potuto essere momentaneamente posto da parte, sicuramente soggetto informato dei fatti, sicuramente testimone di interesse tanto per il dipartimento di polizia, quanto per il Bureau, e, ciò non di meno, per lei allor forse non più così indispensabile. Non quanto, piuttosto, avrebbe potuto esserlo un’altra possibile fonte di informazioni, un’altra possibile, e inconsapevole, testimone, dalla quale, se fosse stata abbastanza brava, avrebbe potuto ottenere qualche dettaglio in più rispetto a quanto, la pur deliziosamente disponibile Ja’Nihr non fosse stata in grado di riferirle.
Tornata a Bushwick, e atteso il tramonto in un tranquillo localino di periferia, ove approfittò anche per consumare una cena quanto più frugale possibile, Midda ebbe a controllare di avere abbastanza soldi nel portafoglio, prima di dirigersi nuovamente in direzione dell’isolato ove sorgeva il negozio della famiglia Kipons, in questa occasione, tuttavia, non dirigendosi alla ricerca di una qualche via di accesso al medesimo, quanto e piuttosto al lampione lì di fronte, dall’altra parte della strada, dove, con il favore delle tenebre, aveva già preso servizio un volto per lei non nuovo e, in verità, quella sera addirittura ricercato…

« Salve di nuovo! » ebbe a salutare, in direzione della stessa prostituta con la quale aveva scambiato quattro chiacchiere solo il giorno precedente.
Questa, voltandosi verso di lei, non ebbe a manifestare particolare sorpresa per la sua ricomparsa, quanto e piuttosto un certo fastidio, nell’aggrottare la fronte e nel chiederle, senza troppi preamboli: « Sei ancora in cerca di rogne, rossa? Sarai anche amica di qualche ragazza, ma se credi che noi si trascorra le nostri notti a chiacchierare con i passanti, non hai ben compreso il concetto di base… » commentò, scuotendo appena il capo « E’ meglio se torni a casa… o, a farmi perdere tempo, potresti attirare qualche attenzione indesiderata. E, credimi, non sarebbe bene per te… »
“Come volevasi dimostrare…” ebbe a congratularsi, con se stessa, l’investigatrice privata, essendosi sospinta sino a lì con l’idea, o forse con la speranza, che, quella donna, non fosse un’indipendente e che, in questo, avrebbe potuto essere effettivamente una fonte di informazioni utili nel merito di quanto stava allor accadendo.

Così, con buona pace per la sua conclamata eterosessualità, per la seconda volta in due giorni ella ebbe a doversi fingere interessata a un ben altro genere di mercanzia rispetto a quella con la quale avrebbe potuto avere altresì piacere a destreggiarsi, nell’estrarre il portafoglio e nel tirare fuori, dallo stesso, due banconote da cento dollari, sottratte all’anticipo concessole dai federali, per mostrarle alla propria interlocutrice assieme a un ampio sorriso, nel quale si impegnò, il più possibile, a dimostrarsi animata da qualche lussurioso interesse, immaginando, per aiutarsi in tal senso, di essere posta di fronte, in ciò, al proprio amato Ma’Vret e non a una prostituta di Brooklyn…

« La scorsa notte mi è parso di comprendere che, per il giusto prezzo, saresti stata disponibile a trascorrere del tempo in mia compagnia… » dichiarò, facendo sventolare i due piccoli ritratti di Benjamin Franklin, a dimostrare la sincerità del proprio approccio « … e ti do la mia parola che non intendo parlare del signor Kipons, questa sera. » soggiunse, a escludere immediatamente un suo qualche interesse a insistere in tal senso, laddove il messaggio comunicatole in occasione del loro precedente incontro avrebbe avuto a doversi considerare più che chiaro a tal riguardo.

domenica 25 giugno 2017

RM 175


« … sì… » annuì la giovane, chinando lo sguardo « … ma, per quanto Carsa desiderasse poter vivere la nostra storia senza sotterfugi, non trovando ragione per la quale doversi vergognare di noi… io non me la sono sentita. E le ho chiesto di darmi tempo… tempo per riflettere, tempo per comprendere se tutto ciò fosse reale oppure no. » confessò, palesemente colma di rimorso, di rimpianto per la pavidità che l’aveva spinta a sottrarsi al sentimento destinatole dalla compagna.
« E lei come ha reagito…? » tentò di indirizzare il discorso l’investigatrice, non desiderando forzare eccessivamente la mano e, ciò non di meno, neppur volendo disperdere eccessivamente il discorso, smarrendosi nel travaglio emotivo della propria interlocutrice, soprattutto laddove, forse, tutto quello avrebbe potuto condurre alla conclusione del non meno spiacevole travaglio emotivo del signor Anloch o, forse e peggio, tutto quello avrebbe finito per non portare a nulla… e, in tal senso, a dimostrarsi soltanto una lunga perdita di tempo per lei e per la scomparsa, la quale, difficilmente, in quel momento non avrebbe potuto ottenere qualcosa a proprio favore dalla tardivamente maturata consapevolezza della propria amante nel merito dei propri sentimenti.
« Come avrebbe potuto reagire? » sorrise amaramente Keira, per un istante concedendo alla sua interlocutrice apparente conferma dell’esistenza di una qualche connessione fra la sua scomparsa e il loro rapporto, nell’ipotesi, dalla sera precedente più volte formulata, di una qualche crisi sentimentale sino ad allora esclusa da chiunque, dal padre della stessa così come dai detective assegnati al caso, tutti inconsapevoli nel merito dell’esistenza di un qualche genere di rapporto affettivo nella vita della giovane.
Prima, però, che Midda potesse avere occasione di complimentarsi con se stessa per essere giunta alla svolta decisiva nel caso, l’altra continuò nella propria esposizione, smontandone completamente qualunque aspettativa, qualunque speranza nel porla a confronto, piuttosto, con una realtà ben diversa: « Carsa è una donna straordinaria… e, in ciò, ha reagito in maniera assolutamente consona alla propria figura, accettando, semplicemente, di concedermi tutto il tempo di cui io avrei mai potuto avere necessità, e di mantenere la nostra relazione segreta sino al giorno in cui, anche io, non sarei stata pronta a rivelarla al mondo. »

Midda, in tutta onestà, avrebbe voluto allor scoppiare in una risata isterica: dopo tutto quello che, quel confronto, era sembrato prometterle, era sembrato garantirle, ecco lì, di fronte a sé, un meraviglioso muro di gomma, contro il quale andare, alfine, a rimbalzare, ritornando con incredibile energia, e altrettanta frustrazione, esattamente al punto iniziale.
Da figlia degli anni Ottanta, ella era cresciuta leggendo e giocando con librogame, antesignani delle avventure testuali e, poco dopo, dei meravigliosi videogiochi della LucasArts, nello sviluppo dei quali una semplice mossa sbagliata avrebbe potuto costringerti a ritornare da capo, mandando all’aria lunghe ore di appassionanti combattimenti e ancor più coinvolgenti scelte attraverso dozzine e dozzine di bivi diversi. Ma, sempre da figlia degli anni Ottanta, ella aveva anche presto imparato a trovare soluzioni forse poco ortodosse, ma non per questo meno efficaci, al rischio di perdersi nella labirintica follia di un librogame, tenendo traccia dei percorsi precedenti allo scopo, nel momento nella sventurata scelta errata, di ovviare a dover ricominciare tutto da capo, con tutte le imprecazioni che, da ciò, sarebbero derivate. Purtroppo, ella aveva presto avuto modo di scoprire che nella vita di tutti i giorni, simili trucchi non sarebbero serviti a molto e che, sovente, una scelta sbagliata, una svolta errata a un bivio, avrebbero potuto condurre, drasticamente, alla propria fine o, meno tragicamente, ma non per questo più piacevolmente, a veder bruciato l’impegno, il lavoro, di decine e decine di giorni.
Nulla di cui sorprendersi, quindi, avrebbe avuto a dover essere riconosciuto in quanto lì occorso… se nonché, quell’indizio, quella pista, per quanto scoperta solo la sera precedente, solo poche ore prima, era improvvisamente divenuta, per lei, una delle tracce più importanti su cui confidare, al quale rivolgere le proprie speranze, in misura tale, addirittura, da arrivare a disturbare il proprio ex-capo per domandargli un aiuto a tal riguardo. Speranze che, tuttavia, erano così state appena, violentemente, spazzate via dalla rivelazione di quanto, come già sospettato, come già più volte confermato da altre testimonianze, da altre fonti, Carsa fosse in fondo una brava… una bravissima ragazza, tale da non riservarsi neppure la possibilità di una qualche scenata nel confronto con l’indecisione dimostrata dalla propria amante nell’ammettere il proprio orientamento sessuale e, ancor più, l’esistenza di un rapporto fra di loro.
E così, come nel primo librogame della sua vita, quand’ancora non aveva maturato sufficiente malizia da ricorrere a qualche trucco per evitare il peggio, ella si era vista catapultata nuovamente all’inizio della storia, al principio di quel caso, senza ancora nulla in tasca, senza ancora la benché minima idea su quale destino potesse aver strappato Carsa Anloch alla propria quotidianità, alla propria famiglia e, persino, alla propria amante e amata…

« Quindi… andava tutto bene, fra voi, prima della sua scomparsa…? » domandò alfine, trattenendosi dall’urlare tutto il proprio disappunto e, ciò non di meno, non potendo neppure celare, del tutto, il medesimo, finendo, in ciò, proprio malgrado, con l’apparire ormai quasi completamente disinteressata alle questioni personali della propria interlocutrice.
« … c-certo… » annuì, non senza lieve sorpresa, l’altra, non aspettandosi, evidentemente, una simile domanda, nel non aver mai preso in esame l’idea dell’esistenza di qualche problema fra loro o, ancor peggio, di un qualche proprio personale coinvolgimento nella sua sparizione « Perché me lo chiedi…? » le chiese, in risposta, riguadagnando, in tal senso, maggiore controllo su se stessa e sulla propria emotività, in misura tale da riscoprire qual ancora irrisolte tutte le proprie questioni nel merito di quell’interlocutrice, alla quale aveva alfine rivelato anche fin troppo di sé, senza, ciò non di meno, sapere nulla di lei « Chi sei realmente…? E in che modo sei coinvolta con Carsa…?! »

E Midda, non avendo più ragioni per mistificare la propria identità, estrasse da sotto la propria giacca la propria licenza da investigatrice privata, mostrandola a Keira, quasi come, un tempo, avrebbe fatto con il proprio distintivo, in un gesto, invero, quasi automatico e non volto a cercare di riservarsi una qualche maggior importanza rispetto a quella fondamentalmente inesistente per lei propria.

« Mi chiamo Midda Bontor… e sono stata assunta dal signor Anloch, il padre di Carsa, per ritrovare la tua amata e per darti la possibilità di chiarire, con lei, tutto questo discorso. » sancì, nel ricercare, in tal maniera, di recuperare psicologicamente in minima parte il rapporto di complicità, di confidenzialità, stolidamente perduto nella propria ultima uscita, in quell’espressione, tanto spontanea, quanto probabilmente inappropriata, di disappunto, a margine di un discorso nel quale, pur, non avrebbe dovuto rientrare.
« … un’investigatrice privata…? » domandò, dimostrando un certo smarrimento a confronto con quella rivelazione, evidentemente tutt’altro che attesa.
« Ti chiedo scusa per non avertelo detto sin da subito… ma spero che tu possa comprendere quanto abbia a dover essere considerato mio interesse il ritorno a casa di Carsa. E non sapendo, non immaginando neppure, l’esistenza di una relazione fra voi, per me non vi sarebbe stata ragione alcuna per offrirti spiegazioni… » dichiarò, con un certo livello di sincerità in tale presa di posizione, sperando, così facendo, di dimostrare la correttezza delle proprie azioni, anche nella menzogna riservatale, motivata, in ciò, da uno scopo più elevato.
« E così hai pensato che avrei potuto essere io la causa della sua sparizione…?! » protestò Keira, strabuzzando gli occhi « E’ per questo che mi stai seguendo…? E’ per questo che mi stai perseguitando…? Da quanti giorni mi stai pedinando…? Da quanti giorni ti aggiri attorno a me…?! » esplose, quasi isterica, or osservandola rabbiosa e spintonandola all’indietro, lontano da sé, quasi facendola cadere dallo sgabello sul quale era seduta « Lurida cagna schifosa… vattene! Vattene e non farti più rivedere, o te la vedrai con la polizia, dannata stalker…! »

sabato 24 giugno 2017

RM 174


Nel considerare i propri trascorsi e, in particolare, nel prendere in esame la tutt’altro che piacevole storia del suo matrimonio con Desmair, difficilmente Midda avrebbe potuto considerarsi la persona più adatta per esprimere giudizi sui rapporti di chicchessia, anche nell’eventualità, tutt’altro che tale nel confronto con una vita da sempre vissuta in maniera estremamente liberale, che ella avesse a trovare opportuno esprimere giudizi sui rapporti di chicchessia. E obiettivamente, e in realtà, ella, in quel frangente, non avrebbe avuto a doversi considerare a proprio agio nello spendersi in maniera così impietosa sulla propria interlocutrice, arrivando, addirittura, a tentare di porla con le spalle al muro, costretta, in tal senso, a uno sgradevole interrogatorio, e un interrogatorio volto, addirittura, non soltanto a farle confessare l’esistenza di un rapporto con la scomparsa Carsa Anloch ma, anche e ancor più, il proprio personale orientamento sessuale, argomento che, nel confronto con i più intimi principi dell’investigatrice privata, avrebbe avuto a dover essere rispettato qual indiscutibilmente privato e, in ciò, estraneo a qualunque genere di possibilità di pubblica discussione, di plateale dibattito qual, purtroppo, quello era chiaramente divenuto.
Ciò non di meno, e con buona pace per i propri principi personali in ascolto ai quali non si sarebbe mai osata spingersi tanto in là con la propria interlocutrice, il vero nocciolo della questione, la reale ragione dietro a tutto quello, non avrebbe avuto a doversi considerare il suo orientamento omosessuale o bisessuale che potesse essere, quanto e piuttosto, senza opportunità alcuna di distrazione, la sparizione della sua amante segreta, la scomparsa di Carsa Anloch: una sparizione, una scomparsa, che forse, addirittura speranzosamente sotto certi aspetti, avrebbe avuto a doversi considerare del tutto estranea a quel particolare; ma che forse, tuttavia, avrebbe avuto a doversi riconoscere altresì connessa in qualche modo, anche soltanto, nell’eventualità che dietro a tutto ciò avesse a doversi riconoscere semplicemente una fuga, nella motivazione alla base della stessa, potenzialmente riconducibile, a livello di pura elucubrazione, a una qualche spiacevole lite fra loro.
Così, il fatto che quell’impegno a porre sotto torchio la giovane, e forse confusa, donna di fronte a lei, non avesse a doversi riconoscere qual piacevole, non avrebbe impedito all’investigatrice privata di insistere in tal direzione, e di insistere fino a quando, alla fine, ella non avrebbe ceduto… o non l’avesse, eventualmente, denunciata per molestie.

« … sì… » ammise alfine Keira, annuendo appena « … è così… » dichiarò, tornando a sedersi e, in quel gesto, dando corpo alla propria resa, in un’azione estremamente più significativa finanche delle parole appena pronunciate.

Ancora un laconico intervallo fu quello che ella volle riservarsi, prima di proseguire, prima di riprendere con la propria ammissione, in un’obbligata presa di coscienza di se stessa, mai cercata sino a quel momento, forse neppure voluta, e nel confronto con la quale, lì, si stava ponendo suo malgrado costretta, suo malgrado obbligata, nel seguire la perentoria guida di quella sconosciuta interlocutrice, nel confronto con la quale era stata sì la prima ad arrogarsi la volontà di una comunicazione più esplicita, più diretta, in una richiesta che pur, mai, ella avrebbe potuto attendersi arrivasse alfine a concludersi in quella maniera, rigirata, completamente, a suo discapito.
In quel silenzio, quindi, ella forse ebbe meglio valutare la propria affermazione, a soppesare quanto dichiarato e quanto, da tale dichiarazione, sarebbe necessariamente derivato per sé, per il proprio presente e per il proprio avvenire, laddove, a prescindere dalle ragioni per le quali fosse giunta a tale affermazione, indubbia avrebbe avuto a dover essere considerata l’importanza della medesima soprattutto per se stessa, un passo avanti compiuto nella propria esistenza innanzi al quale ella non avrebbe più potuto tornare indietro, non avrebbe più potuto far finta di niente… non, quantomeno, nel confronto con la propria coscienza. Perché, allora, fingere che nulla fosse accaduto, che certi sentimenti, certe emozioni, non le appartenessero, avrebbe sol significato mentire non tanto al mondo, quanto a colei la cui immagine avrebbe potuto ritrovare, in qualunque momento, osservandosi allo specchio: e se, innanzi al mondo, ancor facile, ancor possibile, sarebbe stato nascondersi, meno lo avrebbe potuto essere da se stessa.
Nel rispetto di ciò, di tale, comprensibile, necessità, Midda Bontor ovviò a prendere nuovamente parola, concedendo alla propria interlocutrice spazio sufficiente per elaborare l’accaduto e, soprattutto, per scendere a patti con la propria coscienza, con il proprio cuore e il proprio animo, nel riconoscere quanto, allora, qualunque ulteriore insistenza avrebbe rappresentato, semplicemente, un abuso ingiustificato da parte sua, là dove, già, forse sin troppo in là si era spinta sino a quel momento.

« E’ tutto come tu hai detto… » riprese voce, alfine, riprendendo la questione da dove lasciata in sospeso, dalla propria ammissione « Con Carsa… è iniziato tutto quasi per gioco. » dichiarò, iniziando a offrire maggiore sostanza alla propria argomentazione, nel silenzio e nell’attenzione più assoluta da parte dell’investigatrice privata « Era arrivata da poco in ufficio e, ovviamente, avevano iniziato a girare dei pettegolezzi del tutto privi di fondamento su di lei, come sempre accade fra persone che, con tante ore da passare insieme, alla fine non sanno più di cosa parlare. E, non ricordo neppure chi, iniziò a suggerire l’eventualità che potesse essere omosessuale. »
In silenzio, Midda si limitò ad annuire, a offrire evidenza di star seguendo il discorso, senza, tuttavia, esprimere alcun commento, non desiderando interrompere l’esposizione dell’altra.
« Come talvolta accade, una battuta scandita a voce un po’ più alta ebbe a giungere alla sua attenzione e, benché tutti ci attendessimo, allora, qualche reazione stizzita da parte sua, ella, con serenità assoluta, con candore straordinario, ebbe ad ammettere la verità della cosa… » continuò Keira, sorridendo dolcemente e, contemporaneamente, scuotendo il capo amaramente a quel ricordo « Rammento quanto tutto ciò mi colpì: per carità… non era la prima omosessuale che incontravo ma, per come ella reagì, per come ella ebbe a commentare la cosa, ebbe a conquistarmi. Forse e anche perché, in fondo, ella stava incarnando, innanzi al mio sguardo, quanto anch’io avrei voluto essere, senza pur riuscirlo ad ammettere neppure con me stessa. »
« Se ella, comunque, ebbe allora a intuire qualcosa, forse nel mio sguardo, forse nell’espressione sul mio volto, non lo diede comunque a vedere… non è che iniziò a infastidirmi, o a provarci insistentemente con me… anzi, in effetti, fui io che la avvicinai per la prima volta. » precisò, continuando a raccontare, a rievocare l’inizio del loro rapporto « La invitai a unirsi a noi per bere qualcosa dopo il lavoro… e fu così che iniziammo a uscire insieme anche agli altri che hai già conosciuto ieri sera: un appuntamento privo di particolare significato, semplicemente un’occasione per socializzare fra colleghi… » puntualizzò, quasi a giustificare l’accaduto « Se nonché, una sera, Anne-Marie non si sentì molto bene e Jacob si offrì di accompagnarla a casa, nel timore che potesse peggiorare strada facendo. Così Carsa e io restammo sole e, un po’ come nella canzone di Katy Perry, le chiesi se sarebbe stato tanto sbagliato, per me, provare a baciarla… così, solo per provare a capire che sensazioni avrebbe potuto offrire. »
« Mossa coraggiosa… » commentò l’investigatrice privata, sincera a tal riguardo, dal momento in cui, in un tale contesto, l’altra avrebbe potuto legittimamente reagire in malo modo.
« … o semplicemente sconsiderata. » minimizzò Keira, non desiderando vedersi attribuire una baldanza che, chiaramente, non le apparteneva « Comunque ella scoppiò a ridere, non animata da qualche malizia, quanto, e semplicemente, da puro divertimento per quella domanda, che ebbe a commentare essere stata la maniera più assurda con la quale, chiunque, in tutta la sua vita, avesse mai provato a ottenere un bacio da lei… ragione per la quale, forse, quel bacio me lo sarei potuto meritare davvero. »
« E così avete iniziato a frequentarvi… » volle soprassedere sui dettagli Midda, per semplice pudore nei confronti di qualcosa di così intimo, di così privato, che preferì potesse restare tale fra le due amanti e che, del resto, nulla avrebbe aggiunto alla sua indagine.

venerdì 23 giugno 2017

RM 173


Venir sbugiardata, nella propria ipotetica copertura, da un avvocato in gamba qual Ja’Nihr si era dimostrata essere, per Midda, avrebbe potuto essere tollerato: oltretutto, quella mattina, ella si era presentata al colloquio in termini fondamentalmente sprovveduti, tali per cui essere allor punita per il troppo ardire avrebbe avuto a dover essere riconosciuta qual una severa, e pur giusta, lezione di vita, utile a insegnarle il sempre troppo sottovalutato valore della prudenza, e prudenza intesa non qual mancanza d’ogni azione nel timore delle inattese conseguenze che da ciò avrebbero potuto derivare, quanto, e piuttosto, l’agire nella giusta misura, in una più corretta valutazione dei rischi e di quanto, da essi, avrebbe potuto derivare a suo possibile discapito.
Venir sbugiardata, parimenti e a distanza di poche ore, anche da una semplice impiegata di un’agenzia di marketing, il cui massimo interesse appariva essere quello di promuovere la propria stessa immagine per l’intero world wide web, francamente, sarebbe dovuto essere considerato un duro colpo per l’amor proprio dell’investigatrice privata: non perché, in una qualche scala di paragone, l’intelligenza di Ja’Nihr avrebbe avuto a dover essere considerata maggiore rispetto a quella della sua attuale interlocutrice, fattore nel quale, comunque, fosse anche e soltanto per una questione di simpatia, ella sarebbe stata disposta a scommettere; piuttosto perché, comunque, privo di senso alcuno avrebbe avuto tutto ciò, nel confronto con quanto noto alla stessa Faccia D’Anatra, la quale, pur lavorando per una controllata delle “Rogautt Enterprises”, non avrebbe avuto particolare ragione per avere così chiara, in mente, l’immagine della sua gemella, non, quantomeno, in misura maggiore rispetto a chiunque altro in città. E se pur, indubbio, avrebbe avuto a dover essere riconosciuto il valore del profilo pubblico di una donna dello stampo di Nissa Bontor, eccessivamente generoso, se non, addirittura, egocentrico, sarebbe stato ritenere impossibile che qualcuno, nella città di New York o dintorni, non la conoscesse. Del resto, per l’investigatrice privata quello non avrebbe avuto a dover essere considerato il primo caso della propria vita, e neppure la prima volta, in vita sua, in cui ricorreva a un qualche genere di copertura a mistificare la propria reale identità: e così come, in passato, mai ella era stata scoperta, assurdo sarebbe stato ritenere che, tutto d’un tratto, chiunque potesse essere in grado di individuarla in maniera così banale quanto, quella mattina, era comunque già accaduto.
Escludendo, però, un qualche livello di notorietà tale da rendere irrealistico un qualunque genere di alter ego, o, parimenti, un alias, qual quello di Maddie, privo di sufficiente credito da poter essere, in tal maniera, eluso nel proprio merito, nel proprio valore; qualcos’altro avrebbe avuto a dover essere allora riconosciuto alla base di quell’ultimo intervento di Keira, qualcosa di diverso e, se pur non utile a definire la sua identità qual una menzogna, comunque sufficiente a riconoscere l’esistenza di una menzogna nel merito della sua supposta relazione con Carsa Anloch… una relazione, del resto, sostanzialmente improvvisata nel corso della sera precedente quando, colta di sorpresa dalla rivelazione occorsa, era stata praticamente spinta a dichiararsi pubblicamente qual l’amante segreta della scomparsa.
Ma se, quella donna, avrebbe avuto a doversi considerare così confidente con l’evidenza di una fola da parte sua, forse, tanta fermezza, avrebbe avuto a doversi riconoscere qual derivante da una diversa conoscenza dei fatti, da una differente confidenza nel merito della realtà delle cose. Una confidenza, allora, riferita nel dettaglio proprio alla misteriosa relazione della giovane Anloch e tale da permettere all’investigatrice privata, in tutto ciò, di poter prendere in esame due nuove possibilità, due nuovi scenari prima inimmaginati: che Faccia D’Anatra conoscesse la reale identità dell’amante di Carsa o, addirittura,… che ella fosse la reale amante di Carsa!
E se, in quel momento, avrebbe avuto a doversi considerare un pericoloso azzardo andarsi a sbilanciare sulla seconda opportunità piuttosto che sulla prima, non avendo, in verità, alcun indizio tanto in un senso, quanto nell’altro; laddove tale ipotesi, più di ogni altra, avrebbe permesso alle sue indagini di virare verso la soluzione del caso, o, anche, di arenarsi nuovamente nel verificare quanto, altresì, anche l’ipotesi della fuga d’amore avesse a doversi ritenere purtroppo fine a se stessa, Midda scelse di rischiare, non avendo, dopotutto, nulla da perdere di più di quanto, già, non stesse perdendo. Ragione per la quale, allorché incassare il colpo, ella decise di reagire… e di reagire in toni commisurati all’offensiva addottale.

« Hai ragione. » definì, con tono fermo in risposta al perentorio invito alla resa così ricevuto « E’ giunto il tempo di parlarci chiaro. » sottolineò, riproponendo le medesime parole dall’altra utilizzate a sua ipotetica offensiva « E, in questo, se mi posso permettere, è meglio che tu abbia a lasciar perdere questa pantomima da concorrente fallita del “Grande Fratello”, a base di autoscatti e social media: perché, credimi, non c’è nulla di peggio che sforzarsi a vivere una vita che non è la propria nel rifiuto di accettare la verità dei fatti. »
« Non so di cosa tu stia parlando… » tentò di opporsi l’altra, accennando ad alzarsi dal proprio posto, nell’evidente volontà di allontanarsi da lei e, soprattutto, dalle parole che stava allor pronunciando, in una ritirata tale da confermare, e confermare al di là di qualunque ombra di dubbio, quella che un attimo prima avrebbe potuto essere solo un’ipotesi e che, istante dopo istante, stava assumendo sempre più il profilo di un’interessante scoperta, una scoperta non soltanto per l’investigatrice, ma, forse, anche per la sua stessa interlocutrice, evidentemente incapace ad accettarsi nella sua stessa natura.
« Trascorri ogni istante della tua vita a fotografarti e a mostrare a tutti quanti quanto tu sia una giovane, bella ragazza alla conquista del mondo nella speranza che, così facendo, nessuno si renda conto di quanto si celi dietro a un sorriso tanto appariscente quanto fondamentalmente vuoto… » insistette Midda, non concedendole opportunità di allontanarsi da lei senza, prima, concludere il discorso « … perché la sola serenità che tu hai mai conosciuto è stata quella che Carsa ti ha permesso di scoprire, nel comprendere meglio te stessa e le tue emozioni. E non era lei ad avere timore a esporre al mondo la propria omosessualità, non era lei a essere bloccata nel timore del giudizio di tutti gli altri nello scoprire il suo orientamento sessuale: eri tu. » spiegò, parlando a ruota libera, un flusso di coscienza quasi incontrollato al quale ella si stava limitando a offrire voce, in qualcosa che sarebbe stato estremamente difficile discriminare fra una reale deduzione, basata su qualche indizio concreto, e una semplice improvvisazione, fondata sull’emotività del momento, e che pur, più andava avanti, più sembrava acquisire concretezza, ragionevolezza, solidità « Per questo hai compreso che io non avrei mai potuto essere quello che andavo dicendo di essere: perché quel ruolo, per quanto timorosamente, per quanto segretamente, era già occupato proprio da te… non è così?! »

E se pur, allora, facile sarebbe stato per Keira Agostino scappare via da lei, allontanarsi da quel discorso e da quelle accuse, nel porsi già in piedi, e ben libera di muoversi, tutt’altro che trattenuta dalla sua controparte, la quale si era ben guardata dall’allungare anche solo un dito verso di lei, per non offrirle opportunità di interpretare, la sua, qual un’aggressione fisica; ella non ebbe a muoversi, non ebbe a insistere nell’intento pur così dimostrato e volto a cercare spazio, a cercare distacco da tutto ciò. Al contrario, ella si immobilizzò e, quasi fosse stata tramutata in una statua di cera con le sue identiche fattezze, restò per oltre un intero minuto lì ferma, pietrificata, senza neppur respirare, evidentemente così persa all’interno del turbinio dei suoi pensieri da non riuscire neppure a rammentarsi una pur tanto primaria esigenza.

« Tu e Carsa siete amanti… non è così, Keira…? » esplicitò Midda, al di là di ogni possibile fraintendimento, a cercare, a pretendere una risposta da lei, forse neppure per se stessa, quanto, e piuttosto, per quella medesima giovane donna e, soprattutto, per la sua scomparsa compagna, che mai, come in quel frangente, avrebbe allor meritato onestà intellettuale da parte sua « Lei ti ama… e, forse, tu non hai neppure avuto mai il coraggio di ricambiare apertamente tale sentimento, temendo che, anche solo in una semplice frase, e una frase come “io ti amo”, la tua esistenza, così artificiosamente costruita, avrebbe finito per essere irrimediabilmente compromessa. Non è così…?! »

giovedì 22 giugno 2017

RM 172


« Semplice necessità di uscire a prendere un po’ d’aria… » ammise l’altra, stringendosi fra le spalle nell’intento di minimizzare la questione, giudicata sostanzialmente di secondaria importanza, priva di ogni possibile interesse nella prospettiva di poter divenire argomento di discussione « Non ti capita mai di avere bisogno di staccare un attimo da tutto e da tutti…? » rigirò la questione, alla volta della propria interlocutrice, a ricercare, in lei, una qualche conferma o un qualche diniego a tal riguardo.
« Oh… sì! » annuì l’investigatrice, senza necessità di impegnarsi in qualche nuova simulazione, in qualche nuova menzogna, qual pur allora sarebbe potuta essere utile per stabilire un rapporto empatico con l’altra, dal momento che, semplicemente attingendo dal proprio passato, avrebbe potuto ritrovare un esempio più che valido a tal proposito « Figurati che a me, l’ultima volta che mi è successo, non è stato sufficiente uscire a prendere un caffè: ho dovuto divorziare, cambiare lavoro e, più in generale, vita intera… » dichiarò, in un riferimento allor quasi obbligato dal momento in cui, suo malgrado, l’incontro con Lange e, soprattutto, la notizia del ritorno in città di Desmair, le aveva rimescolato così ferocemente le budella da non concederle possibilità, cosciente, di ignorare la cosa, tornando, ineluttabilmente, a pensarci.
« Ah… però! » commentò Keira, piegando il capo di lato, nell’osservare la propria interlocutrice con fare interessato, addirittura dimentica, estemporaneamente, del proprio cellulare, appoggiato, insolitamente con lo schermo spento, sul bancone davanti a lei « Una scelta un po’ drastica, oserei dire… »
« … e pur necessaria. » confermò Midda, ferma nel proprio giudizio, nella propria posizione « In certi casi, quando ti rendi conto che tutta la vita che credevi di star vivendo altro non avrebbe avuto a dover essere considerata che una truffa, un’oscena menzogna, non ci sono molte alternative: o rassegnarsi, e rinunciare, in ciò, a ogni barlume di amor proprio, continuando a vivere nella falsità soltanto allo scopo di non creare disappunto nel mondo a te circostante, pur sapendo che, così facendo, presto o tardi non si avranno più le forze di reggere il gioco, giungendo obbligatoriamente alla tragedia; o rifiutarsi, e ribellarsi a tutto, coscienti di quanto, così facendo, sicuramente si perderà ogni cosa, ma, quantomeno, si conserverà la propria dignità, la propria indipendenza e, comunque, un qualche futuro… forse non roseo, forse non perfetto, e pur un futuro da vivere, e da vivere al pieno delle proprie possibilità. »

Colpita da quel breve monologo, impressionata dalla percepibile passione presente alla base di quelle parole, di quella testimonianza di vita vissuta che alcuno avrebbe potuto mai ipotizzare di confutare, Keira restò per un lungo momento, anche al termine dell’intervento dell’altra, in silenzio, osservandola e riflettendo, con attenzione, su tutto ciò che aveva appena udito. E l’investigatrice privata, trascinata nel mentre di quella breve deposizione concernente uno sgradevole passato tornato metaforicamente a bussare alla sua porta, ebbe a temere, per un istante, di aver detto qualcosa di troppo, ragione per la quale di impegnò a ripercorrere, nella propria mente, quanto appena dichiarato, per comprendere se, in qualche modo, si fosse tradita nel merito dell’interpretazione di Maddie, qual, allora, avrebbe avuto a doversi ricordare di essere.
Fortunatamente, tutto ciò che aveva detto, pur pensando, nel mentre di ciò, al proprio caso, alla propria vita, avrebbe potuto adattarsi alla perfezione anche a una qualche fantomatica vicenda del passato del personaggio da lei in tutto ciò improvvisato, e, in particolare, manco farlo apposta, al momento della maturata consapevolezza della propria dichiarata omosessualità e, con essa, al ritrovarsi posta di fronte a ben poche scelte: l’accettazione della propria natura, per quanto, ciò, avrebbe potuto sconvolgere la sua intera esistenza per così come, sino a quel momento vissuta; o il cieco e sordo rifiuto di tutto ciò, e la condanna a una lunga esistenza vissuta nella menzogna e, innanzitutto, nella menzogna verso se stessa, qual, ineluttabilmente, la sua avrebbe avuto a dover essere considerata.
Salvatasi, più per fortuna che per abilità, da un’altresì spiacevole contraddizione nel trovarsi posta innanzi alla quale difficilmente avrebbe potuto reggere il giuoco sino a quel momento portato avanti, sino a quel frangente condotto; ella non avrebbe potuto fare altro, allora, che attendere una qualche parola, un qualche commento, da parte della propria ascoltatrice, ancor perduta, nell’intimo dei propri pensieri, a confronto con quanto ella aveva così dichiarato.

« Difficile darti torto… » ammise, alfine, la collega di Carsa Anloch, scuotendo appena il capo a dimostrare, a enfatizzare la propria impossibilità a tal riguardo « E, obiettivamente, anche se volessi in qualche modo negarti ragione, tutto ciò che hai detto, per come lo hai detto, si pone in maniera indubbiamente forte, incisiva, tale da rendere improbabile riuscire a sollevare una qualunque obiezione… »
« Perdonami. » cercò di moderarsi Midda, abbassando i toni entro i quali, forse, si era ritrovata a calcare eccessivamente la mano « Non era mia intenzione imporre il mio pensiero su di te… o su alcun altro. » puntualizzò, in parte sincera a tal riguardo, giacché, in effetti, non avrebbe avuto a doversi considerare neppure sua intenzione spendersi in un tale, improvvisato comizio, così come, pur, era avvenuto « Lungi da me credere, o pretendere, di poter avere una qualche ragione in senso assoluto: la mia, altro non deve essere considerata che una semplice testimonianza… e una semplice testimonianza di vita vissuta. »
« Già… » annuì Keira, ancora pensierosa « Di vita vissuta… » soggiunse, ripetendo le sue ultime parole, salvo, poi, chiudersi ancor estemporaneamente in un muro di silenzio, e di silenzio, allora, non motivato da una qualche fonte di distrazione, da un reindirizzato interesse rivolto altrove, magari verso il proprio telefono cellulare e il mondo multimediale all’interno del quale, sino a poco prima, l’altra l’aveva impropriamente giudicata immersa al punto tale da non avere neppur possibilità di contatto con la realtà altresì a lei circostante; quanto e piuttosto di un’intensa laconicità giustificata soltanto dalla volontà, per lei, di riflettere su quanto detto… e, magari, su molto altro ancor taciuto, soprattutto da parte sua.

Dopotutto, quella digressione all’interno della quale, involontariamente, Midda si era riservata un ruolo da protagonista, avrebbe avuto a dover essere ricordata qual nata, in maniera indubbia, da un commento inizialmente sollevato da parte della stessa Faccia D’Anatra, la quale, lì, in quel bar, in pieno orario d’ufficio, stava forse ricercando un’occasione di fuga da qualcosa o da qualcuno, se non, addirittura, da se stessa.
Ma una giovane donna di bell’aspetto, e indubbiamente conscia di ciò così come non troppo modestamente dimostrato dall’abbondanza di foto da lei pubblicate quotidianamente in internet, e aventi qual costante proprio se stessa, e se stessa in qualunque momento della propria vita, da chi o da cosa avrebbe mai potuto desiderar sfuggire? Davvero avrebbe potuto avere motivo di cercare una via di evasione da se stessa, dalla propria vita, così come prima domandato? O, forse e semplicemente, l’investigatrice stava proiettando il proprio stesso io su quell’interlocutrice, su di lei trasferendo, nella propria mente, tutti i propri problemi, tutte le proprie frustrazioni, rendendola impropriamente protagonista di un qualche dramma altresì inesistente?
A dirimere, allora, qualunque dubbio in tal senso, quell’esitazione legittima da parte dell’investigatrice privata giacché soltanto una stupida, al suo posto, avrebbe potuto lì negare una certa agitazione interiore e, di conseguenza, una possibile carente lucidità di pensiero, qual pur, a posteriori, il fato ebbe a dimostrarle di non desiderare rimproverarla; fu la stessa Keira, nel momento in cui ebbe a riprendere voce e a riprendere voce in termini indubbiamente sorprendenti dal punto di vista della sua controparte e, ciò non di meno, atti a comprovare, ad ammettere quantomeno, l’esistenza del turbamento così colto…

« Senti… parliamoci chiaro. » sancì, riportando a lei lo sguardo « Premesso che il tuo discorso mi è veramente piaciuto, e mi è parso abbastanza sincero, io so perfettamente che, forse, questa è la prima cosa reale che hai avuto modo di dirmi a partire da ieri sera… » dichiarò, in termini che difficilmente avrebbero potuto dar corpo all’idea di un qualche azzardo in quell’accusa a lei rivolta « Alla luce di ciò, il fatto che tu possa star qui a raccontarmi dei tuoi problemi passati nella speranza che io, ora, possa decidere di aprirmi con te e raccontarti i torbidi segreti della mia esistenza, francamente è intollerabile. E, quindi, o ti decidi a dirmi la verità nel merito dei tuoi presunti rapporti con Carsa… o, per quanto mi riguarda, credo che la polizia sarà ben lieta di raccogliere qualche informazione a tuo riguardo, come persona informata dei fatti, qual, dopotutto, tu ti proclami essere. »

mercoledì 21 giugno 2017

RM 171


Sebbene, concluso il confronto con il capitano, Midda avrebbe potuto riservarsi il pomeriggio di libertà, nel limitarsi ad attendere qualunque genere di riscontro da parte del medesimo, tale indolenza non avrebbe avuto a dover essere considerata, per lei, naturale, spontanea, o in qualunque modo in accordo con il proprio spirito, con il proprio cuore, con la propria mente. Da sempre, l’accidia non le era mai stata propria, nel preferire ella, piuttosto, mantenersi impegnata, ed eventualmente impegnata anche in maniera superiore alle proprie possibilità, rispetto ad abbandonarsi pigramente alla sorte, lasciandosi condurre là dove ella avrebbe potuto guidarla. E così come, quando ancora poliziotta, prima, e detective, poi, ella era arrivata a superare qualunque traguardo per monte ore di straordinari non pagati, con buona pace dei sindacati, spinta in tal senso, in simile direzione, non tanto da un qualunque intento arrivista, così come, chi non la conosceva, ineluttabilmente aveva mormorato avesse a dover essere riconosciuto il suo, quanto e solo per la necessità, fisica e psicologica, di porsi all’opera; a maggior ragione nel ruolo di investigatrice privata, senza superiori, senza stipendio, senza cartellini da dover timbrare, ella non avrebbe potuto spendere il proprio tempo, il resto delle ore di quel pomeriggio, in quieta, indifferente attesa del futuro, e di qualunque futuro avrebbe potuto sopraggiungere a lei, per mezzo della risposta di Lange.
In ciò, dopo aver mobilitato il proprio ex-superiore alla ricerca di qualche ulteriore pista, qualche inatteso sviluppo nel merito del caso Anloch, ancora sullo stesso, ancora nella ricerca del destino di quella giovane, ella non poté ovviare a spendere il proprio pomeriggio, iniziando a compiere ciò per cui i poliziotti avevano da tempo immemore acquisito il soprannome di piedipiatti: iniziò a camminare, e a camminare, in lungo e in largo, per l’intero quartiere sede dello studio della “Y.S.H. Ltd.”, nella volontà di tentare di raccogliere nuove informazioni anche ripercorrendo vecchi tragitti, percorsi da lei già attraversati, nei giorni passati, all’inizio della propria indagine, per cercare di raccogliere qualche ulteriore informazione nel merito della scomparsa, con la speranza di poter scoprire qualcosa di più, soprattutto ora che, ad aiutarla, avrebbe potuto essere quel nuovo punto di vista nel merito del quale spendere le proprie energie.
Non che ella si aspettasse di trovare una qualche straordinaria rivelazione sulla sorte della giovane Anloch, laddove, che ella fosse eterosessuale, bisessuale od omosessuale, francamente non avrebbe certamente mutato le non-testimonianze raccolte nel merito del giorno della sua scomparsa da parte di tutti i commercianti della zona: ciò non di meno, ella sperava che, magari, qualcuno avrebbe potuto concederle aiuto a meglio comprenderne non tanto il presente o il futuro, quanto il suo passato, attraverso il ricordo di un qualche incontro, di una qualche frequentazione, per quanto discreta, per lei sufficientemente abituale tale da poter essere eventualmente associata all’idea di un’amante segreta. Poi, probabilmente, da tanto impegno ciò che avrebbe ottenuto sarebbe stato, semplicemente, un ulteriore appiattimento della propria pianta dei piedi… ma, almeno, ella non avrebbe potuto rimproverarsi di non averci tentato.

Fu entrando in un bar, l’ennesimo di quel pomeriggio, che ebbe a incrociare nuovamente, in maniera non così sorprendente data la sua vicinanza, allora, con la sua sede lavorativa, Keira Agostino, da lei meglio nota come Faccia D’Anatra, una dei tre colleghi di Carsa Anloch ai quali si era presentata la sera prima.
In termini tutt’altro che inediti, dato il soggetto in questione, l’investigatrice ebbe a trovare la giovane impegnata a scorrere foto profilo sul proprio cellulare, tuttavia dimostrandosi lì impegnata in tale attività non con l’entusiasmo che le avrebbe attribuito in maniera pregiudiziosa, quanto e piuttosto con aria decisamente annoiata, distribuendo diversi “Mi piace” senza neppure reale impegno in tal senso, e quasi il suo avesse a doversi considerare pari a un lavoro ancor prima che a una qualche forma di pur discutibile passione. In ciò, quindi, il giudizio precedentemente rivoltole, ebbe a doversi riservare un’opportunità di rivalutazione, laddove, al di là di quanto ella potesse palesemente impegnarsi al solo, evidente scopo di apparire pressoché pari a una sciacquetta di poco conto, anche altro avrebbe avuto a dover essere inteso alla base del suo essere, in termini tali che, forse, probabilmente, quella da lei tanto insistentemente mostrata avrebbe avuto a dover essere giudicata, né più, né meno, qual una maschera. Un sospetto che, invero, la sera prima l’investigatrice aveva avuto su tutti e tre i colleghi di Carsa, e che pur, nel confronto con quanto lì ebbe a osservare, parve trovare quieta conferma.
Conferma ulteriormente rinvigorita, nel proprio valore, dal cambio repentino di atteggiamento che l’altra ebbe a proporre non appena si accorse del suo ingresso nel locale, tornando ad assumere espressioni più forzatamente gioiose e, persino, subito sollevando il proprio cellulare per impegnarsi nell’ennesimo autoscatto.

« Maddie! » ebbe, subito dopo, a salutarla, scuotendo quasi infantilmente la mano, per poi farle cenno di avvicinarsi « Che coincidenza… anche tu qui?! »
« Ciao… Keira, giusto? » domandò, simulando un leggero sforzo a ricordare il nome, onde evitare di apparire eccessivamente confidente con lei, laddove, in fondo, l’aveva conosciuta soltanto la sera precedente, e non da sola « Non me ne parlare: dopo quanto mi avete raccontato ieri sera, sono entrata in crisi ed è ormai tutto il giorno che vago alla ricerca di qualche possibile indizio su che fine possa aver fatto Carsa… » argomentò a giustificazione della propria presenza in quel luogo, in quella che, invero, non avrebbe avuto neppure a doversi considerare completamente una menzogna, giacché, in effetti, ella si era sospinta sino a lì solo alla ricerca di qualche informazione, di qualche pista, e non, di certo, nella volontà di rincontrarla, in quanto, realmente, avrebbe avuto allora a dover essere giudicata qual una mera coincidenza.
« Posso solo immaginare… » annuì l’altra, invitando ad accomodarsi accanto a sé con un cenno della mano « Purtroppo, mi spiace smontare le tue speranze, non credo che qui troverai molto… la polizia ha già interrogato chiunque nei dintorni, spinta dalla medesima aspettativa, purtroppo rimasta insoddisfatta. » le spiegò, ricorrendo, nuovamente, a un tono così volutamente infantile, tanto palesemente artefatto, da non riuscire ad apparire neppur vagamente realistico così come, forse, ella avrebbe voluto risultasse.

L’investigatrice privata, accettando l’invito così rivoltole, ebbe ad accomodarsi accanto all’altra e a ordinare un caffè, giusto per dimostrarsi amichevole nei confronti di quella donna e, in tal senso, riservarsi occasione di dare un senso alla sua permanenza lì dentro, benché, francamente, in quel frangente non avrebbe avuto desiderio alcuno di caffè: una permanenza, quella così ricercata, che avrebbe avuto anche e addirittura a dover cercare riferimento proprio nella medesima Faccia D’Anatra, dal momento in cui, in conseguenza a un tanto marcato impegno nei confronti del mantenimento di quella sceneggiata, ella non avrebbe potuto ovviare a stuzzicare la sua curiosità, nel dubbio nel merito delle ragioni per le quali tutto quel giuoco avrebbe potuto avere un qualunque genere di significato di sorta.
Non che Midda potesse avere motivo alcuno per ritenere tutto ciò, in qualche modo, ricollegato, o ricollegabile, con il proprio caso, benché, parimenti, neppure avrebbe potuto superficialmente banalizzarlo. Semplicemente, spinta dalla propria curiosità nel confronto di un tal comportamento, ella non avrebbe desiderato altro che ottener chiarezza in merito a una così potenzialmente controversa figura, anche e indubbiamente a scagionarla dagli ingiusti pregiudizi che a lei aveva forse frettolosamente associato.

« Tu che mi dici…? » domandò pertanto, dopo aver sorseggiato un po’ di caffè, mantenendosi sul generico e, allor, sospinta soltanto dalla volontà di costringerla a parlare, e di parlare di qualunque cosa, giacché, comunque, più ella avrebbe parlato, più la precedente opinione a suo riguardo avrebbe potuto essere corretta in favore di un giudizio più appropriato « E’ una pausa pranzo ritardata, la tua, o una pausa caffè anticipata…? » sorrise, non volendo apparir animata da un qualche intento di condanna a tal riguardo, qualunque fosse stata la sua replica.

martedì 20 giugno 2017

RM 170


L’investigatrice privata sapeva di star chiedendo tanto al suo ex-capo ma, ciò non di meno, ella non ebbe ad arrestarsi nella formulazione della propria richiesta: nel peggiore dei casi, egli avrebbe potuto semplicemente rifiutarsi e nulla sarebbe cambiato rispetto a prima; in caso contrario, forse, ella avrebbe potuto ottenere qualche proiettile in più nel proprio caricatore… metaforicamente parlando.
Così, ella ebbe alfine a spiegargli i dettagli del caso Anloch, sul quale stava lavorando, condividendo con lui l’informazione ottenuta la sera precedente nel merito dell’orientamento sessuale della giovane, sottolineando quanto, probabilmente, tale informazione fosse stata precedentemente taciuta a coloro che stavano indagando a tal riguardo. E sebbene ella fosse conscia di quanto il distretto che stava allor portando avanti il caso non fosse quello dello stesso Lange Rolamo, la donna non si negò, allora, occasione di chiedere al proprio capitano d’un tempo l’occasione di porre qualche domanda, ai propri parigrado, riscuotendo magari qualche favore al solo scopo di riuscire ad accedere alle informazioni correnti relative all’indagine in corso, informazioni che, forse, riviste allora nella consapevolezza di quell’ulteriore particolare, avrebbero potuto aiutare a cogliere qualche altro dettaglio, qualche sfumatura prima persa fra le righe e che, altresì, avrebbe potuto assumere decisamente un nuovo significato nel confronto con tutto ciò, magari e persino arrivando a individuare qualche indicazione utile nel merito di chi avrebbe potuto aversi a dover considerare la sua misteriosa amante.
Un’alternativa a domandare quel favore, a cercare una qualche via d’accesso, diretto o anche solo indiretto, alle informazioni raccolte dai detective incaricati del caso, dopotutto, sarebbe stata quella di tornare a domandare direttamente al genitore di lei ragguagli a tal riguardo, benché, in tal caso, molto probabilmente non soltanto non sarebbe riuscita a ottenere particolare successo ma, ancor peggio, avrebbe potuto rischiare anche e ancor peggio di incontrare una qualche strenua resistenza da parte sua, un muro di gomma la cui efficacia avrebbe avuto a doversi riconoscere inversamente proporzionale rispetto alla sua apertura mentale nel confronto con l’idea dell’omosessualità di sua figlia. E se, nel migliore dei casi, egli avrebbe sì potuto esserle d’aiuto, dimostrandosi assolutamente in pace con l’idea che la propria bambina non rispettasse l’eterosessualità imperante nell’epoca moderna; nella peggiore delle eventualità, non soltanto egli si sarebbe potuto dimostrare del tutto incapace ad accettare la cosa ma, ancor più, avrebbe potuto reagire con tale rifiuto, all’idea, al punto tale da colpevolizzare la medesima investigatrice per quanto, in tal modo, suggerito, ritenendola una menzogna per confondere maggiormente le acque e per giustificare i propri insuccessi, arrivando alfine anche a licenziarla.
In ciò, per quanto ella non avrebbe potuto apprezzare l’idea di domandare un simile favore al buon capitano, fra le due soluzioni, quella avrebbe avuto a doversi probabilmente considerare qual la più opportuna da perseguire. E da perseguire non soltanto per il proprio personale tornaconto, ma anche, obiettivamente, per il bene della giovane Anloch, il fato della quale, comunque, avrebbe meritato di poter essere chiarito in un modo o nell’altro…

« Quanto è importante, per te, questa informazione…? » le domandò alfine Lange, osservandola con sguardo serio ma quieto, privo di qualunque volontà di giudizio a suo riguardo e animato, probabilmente, solo da quanto così apertamente espresso, dalla necessità di comprendere se, effettivamente, tutto quello avesse a doversi considerare qualcosa su cui sarebbe valsa la pena impegnarsi o no, benché, nel ben conoscere la propria interlocutrice, fosse comunque già certo che ella non si sarebbe presa il disturbo di scalare la questione fino a lui se non fosse stata realmente tale.
« E’ importante nella misura in cui lo è scoprire la sorte di una ragazza scomparsa… e offrire pace ai suoi cari. » replicò l’investigatrice, sincera nella propria presa di posizione, giacché, quell’incarico, quel caso, sin da subito non era stato per lei una questione di soldi, un mero lavoro, quanto e piuttosto una vera e propria volontà di riscatto, e di riscatto dalla strada che, nel bene o nel male, aveva preso la propria vita, vedendola spendere le proprie giornate, le proprie capacità, nella frustrante ricerca di mariti o mogli fedifraghi.
« D’accordo. » annuì l’altro, dopo essersi riservato qualche istante di silenzio, quasi a volerla in tal maniera valutare, a volerne soppesare le motivazioni più intime, nel confronto con le quali, pur, non avrebbe potuto dirsi in alcun modo estraneo, laddove, in fondo, ella avrebbe avuto a dover essere riconosciuta comunque qual la stessa giovane donna che, qualche anno prima, aveva accolto sotto la propria protezione, per fare di lei una detective, nel riconoscerne le qualità, nel distinguerne chiaramente le potenzialità « Mi informerò. E, non appena saprò qualcosa, ti aggiornerò. Il tuo numero è sempre lo stesso, no…? »
« Certamente. » confermò ella, sorridendogli colma di gratitudine per il favore concessole.

Tirando le somme, quindi, il bilancio di quell’incontro non avrebbe avuto a poter essere giudicato, a posteriori, qual negativo.
Nel voler prendere in esame le ragioni per le quali ella si era sino a lì inizialmente sospinta, il suo avrebbe avuto a dover essere riconosciuto qual un potenziale successo, dal momento in cui, anche ove non le fosse stata concessa alfine informazione utile a riuscire, da sola, a portare a compimento quel caso, ella non si era negata occasione di condividere con le autorità le proprie scoperte, in maniera tale che, in un modo o nell’altro, speranzosamente, qualcuno sarebbe stato in grado, alfine, di giungere al bandolo di quella matassa, scoprendo la fine della giovane scomparsa.
Nel concentrarsi, poi, su tutto il resto, su quanto emerso a margine di quell’incontro, anche la notizia del ritorno di Desmair non avrebbe avuto a dover essere giudicata qual negativa. Il ritorno del suo ex-marito in città, di per sé e invero, non avrebbe potuto essere frainteso qual null’altro che negativo, e negativo nell’accezione più assoluta di tale termine, in maniera tale da non poter ovviare, ancora, a sconvolgere la mente della donna; ma la notizia stessa del suo ritorno, altresì, non avrebbe potuto essere tuttavia considerata in termini contrariati, negativi a tutto ciò, giacché, ove pur ella non avrebbe potuto fare molto, a posteriori, per prevenirlo, sicuramente ella sarebbe stata in grado di sfruttare quella notizia a proprio vantaggio, fosse anche e solamente allo scopo di prestare ancor più attenzione nei propri spostamenti, anche in metropolitana, onde minimizzare la sgradevole eventualità di un loro possibile incontro. Insomma… si fosse ritrovata, estemporaneamente, di fronte a lui, difficile sarebbe stato prevederne le reazioni, tanto nel bene, quanto, e forse maggiormente, nel male.
Così, pur essendo andata solo per ottenere un’informazione, ella era allor riuscita, e senza particolare impegno, a raccoglierne addirittura due, rendendo, di conseguenza, l’esito di quella rapida spedizione qual ancor più importante, ancor più significativa, almeno nel confronto con il quadro d’insieme, con quell’immagine più amplia, più completa, nel perdere di vista la quale, ineluttabilmente, presto o tardi, qualche errore sarebbe stato commesso, forse non dandole, neppure, la possibilità di maturarne coscienza prima dell’irreparabile.

« Bene… » concluse l’uomo, tornando a volgere la propria attenzione al proprio pranzo « Se non c’è altro, allora, potresti lasciarmi finire di mangiare in santa pace, e tornare a fare qualunque cosa tu stessi facendo prima di venire qui. » la congedò, con fare volutamente brusco, a non permettersi di palesare eccessivamente il proprio affetto per lei, ove, in alternativa, avrebbe potuto concederle troppa presa su di sé, se solo ella se ne fosse accorta.
« Agli ordini, capitano! » replicò Midda, per nulla inconsapevole dell’affetto verso di lei provato e, ciò non di meno, tutt’altro che desiderosa di approfittarne, non più di quanto, dopotutto, non avesse allora già fatto « E… grazie. » soggiunse, alzandosi per lasciarlo in serena solitudine al proprio tavolo.
« … pivella. » commentò semplicemente Lange Rolamo, scuotendo il capo, quasi, in quelle poche sillabe, fosse inclusa qualche arcana verità benché, semplicemente, altro non avrebbero potuto rappresentare che un benevolo epiteto.

lunedì 19 giugno 2017

RM 169


No. Midda non lo aveva saputo. E scoprirlo, obiettivamente, fu per lei l’equivalente di una doccia fredda… e fredda come il Mar Glaciale Artico.
Quando era tornato? Come era tornato? Perché era tornato? E, domanda più importante di tutte, quanti anni di prigione le avrebbero potuto dare nel caso in cui ella lo avesse ucciso…?
Desmair Von Kah: l’errore più grande della sua intera esistenza. Colui che tanto aveva amato prima, quanto e ancor più aveva odiato poi, in una misura così piena, così sconvolgente che, francamente, addirittura odiava odiare, dal momento in cui, molto più semplicemente, avrebbe preferito potergli dedicare soltanto gelida indifferenza qual, pur, non riusciva a destinargli.
Sin dai tempi dell’antichità, in molti avevano provato a proporre un semplice concetto. Nel quinto secolo avanti Cristo, Aristofane citava: “Non c’è bestia selvaggia più feroce di una donna nella sua ira: è più selvaggia di un leopardo, più ardente del fuoco.”. Qualche tempo dopo, alla fine del diciassettesimo secolo, Colley Cibber aveva riproposto: “Non si può trovare demone nell’Inferno che possa competere con la furia di una donna delusa.”; ribadito dieci anni più tardi da sir John Vanbruch: “Una donna offesa non conosce limiti.”. Tre citazioni fra molte, persino troppe, per un concetto semplice, banale, quasi ovvio: non fate arrabbiare una donna.
E se Desmair, questo concetto, non lo aveva probabilmente compreso; Midda, suo malgrado, lo aveva sperimentato in prima persona, arrivando veramente vicina a divenire qualcosa di diverso, qualcosa di estraneo a quello che era e che avrebbe voluto essere. Ma laddove solo il fatto che egli, tardivamente, avesse deciso di uscire dalla sua vita, e di lasciare la città e lo Stato, le avevano concesso, tre anni prima, di salvarsi dall’abisso; la notizia del suo ritorno, soprattutto in un momento in cui, ella, avrebbe avuto a dover essere riconosciuta con già molti, troppi altri pensieri per la testa, non avrebbe potuto rappresentare nulla di buono. Per nessuno.

« … immagino male. » ebbe a correggersi il capitano, nel cogliere, senza fatica alcuna, la sorpresa dipinta sul volto di lei, su quel volto che, abitualmente, si poneva in grado di celare le sue emozioni, i suoi pensieri, e che pur, a confronto con quel demone del proprio passato, non avrebbe potuto avere possibilità alcuna di giuoco, di successo, nel renderla più trasparente di un calice di cristallo.

Fu necessario, allora e ancora, qualche istante per permettere all’investigatrice privata di ritrovare il controllo su di sé, sulla propria mente, sul proprio intelletto, là dove, proprio malgrado, investita dalle proprie emozioni così come da un fiume in piena, tanto impetuoso, tanto dirompente, da infrangere qualunque argine, qualunque diga, argini e dighe emotive, nel suo caso, che tanto si era impegnata a cercare di edificare e che a nulla, infine, si erano dimostrati valere nel confronto con il disastro.
… Desmair era tornato.

« No. Non lo sapevo. » riprese voce, alfine, confermando la seconda ipotesi del proprio ex-capo nel merito della propria quieta ignoranza sull’argomento, un’ignoranza che, forse, avrebbe preferito di gran lunga conservare laddove, con una popolazione di quasi otto milioni e mezzo di abitati, ella avrebbe potuto probabilmente vivere ancora per mesi nella stessa città del suo ex-marito senza, in questo, rendersene conto, maturarne consapevolezza alcuna.
Ma se pur, quel pensiero codardo, per un istante ebbe a dominarla; nel suo animo, nel profondo del proprio cuore, ella ebbe a ricordarsi di essere un ben diverso genere di donna, tale da non poter effettivamente tollerare l’idea di convivere inconsapevolmente con il male incarnato rappresentato da quell’uomo. Ragione per la quale, al di là di tutto, ebbe comunque a proseguire, e a proseguire nei confronti del proprio interlocutore, dicendo: « Comunque… hai fatto bene a dirmelo. Almeno, forse, riuscirò a evitare di spaccargli il cranio contro lo spigolo del marciapiede nello sciagurato caso in cui dovessi incrociarlo… »
« “American History X”… » riconobbe egli la citazione da lei proposta, ignorando volutamente la minaccia in tal modo pur appena udita.
« Esattamente. » confermò la donna, sforzandosi di tornare a sorridere e, in tal maniera, a cancellare, quasi con un colpo di spugna, l’orrendo carico emotivo riversatosi in lei a confronto con l’idea del proprio ex-sposo.

Tuttavia, per quanto ella avrebbe potuto allor impegnarsi nel far finta di non aver sentito nulla, di non aver udito nulla, e, in ciò, che tutto potesse ancor ritenersi quieto e sereno come era stata la sua mattina sino a quel momento; difficilmente il vaso di Pandora così dischiuso nel profondo del suo spirito avrebbe potuto essere richiuso, ed essere richiuso senza conseguenze di sorta. Ragione per la quale, al di là di ogni buona volontà, le motivazioni per le quali ella si era allor sospinta alla ricerca di contatto con il proprio ex-superiore rimasero, ancora, dimenticate, facendo scemare nuovamente quel breve scambio verbale in un ineluttabilmente teso silenzio, nel mentre del quale, ineluttabilmente, i pensieri non avrebbero potuto ovviare a correre in una sola, spiacevole, direzione.
Così come, però, era stato un intervento del capitano Rolamo a dare origine a tanto smarrimento, fu una nuova presa di parola del medesimo a richiamare l’attenzione della donna proprio nella direzione originariamente da lei intrapresa, nel domandarle, in maniera abbastanza diretta, il perché della sua presenza al suo tavolo…

« Quindi…? » incalzò egli, con tono contraddistinto da volutamente marcato disappunto, in termini utili a tentare, in ciò, di forzare la mano alla propria interlocutrice, pretendendo da lei un ritorno in sé, il recupero di quell’equilibrio disgraziatamente perduto « Se non sei venuta per chiedermi di rientrare nella polizia, o per parlarmi del tuo discutibile gusto in fatto di ex, posso sapere a cosa debbo l’onore di questa visita? In altre parole… di cosa hai bisogno?! »

Creare un corto circuito fra quell’incontro e la necessità di qualcosa da parte della donna avrebbe avuto a doversi considerare forse ingiusto nei suoi confronti, giacché, comunque, a dispetto di quanto avrebbe pur potuto compiere, ella si era dimostrata, in quegli ultimi tre anni, sempre estremamente corretta nel mantenere separati i vari aspetti della propria vita e nel non frammischiare eventuali fabbisogni personali, più o meno collegati al proprio nuovo impiego, con le occasioni di incontro con lui o con altri ex-colleghi. Ciò non di meno, in quel particolare contesto, egli si riservò volutamente l’occasione di imporle simile torto verbale, così come dell’ingiusto tono adottato, al solo scopo di costringerla, in maniera speranzosamente efficace, a riconquistare la lucidità perduta, con la speranza che il suo spirito ribelle compisse il resto del miracolo a partire da quella prima provocazione.
E se, pur, da parte di chiunque altro, quello avrebbe avuto a doversi considerare uno sgradevole azzardo, da parte sua, del capitano Lange Rolamo, tutto ciò non avrebbe mai potuto essere frainteso, nelle proprie ragioni, nelle proprie motivazioni, da parte della donna; la quale, malgrado il proprio intimo smarrimento, ebbe, a confronto con ciò, ragione per riprendersi d’animo e, soprattutto, ritornare, con la propria mente, all’attualità per lei di maggiore interesse, di maggiore importanza… l’attualità atta a prendere in esame il caso Anloch, ossia il reale motivo per il quale, ella, si era allor riservata occasione di disturbarlo durante la propria frugale pausa pranzo.

« Di un piccolo aiuto. » a domanda, rispose ella, ovviando a qualunque ulteriore giro di parole, a qualunque approcciò più indiretto e moderato, laddove, con quanto era appena accaduto, la sua mente non avrebbe saputo considerarsi in grado di elaborare sentenze più complesse rispetto a quella così proposta.