11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

giovedì 31 agosto 2017

2294


« Lys’sh… aggiornami. » richiese la voce del capo della sicurezza, attraverso il comunicatore, offrendo riprova di quanto, evidentemente, ella avesse seguito l’evolversi della questione, seppur a distanza, e, allora, attendesse qualche dettaglio in più in merito a quanto poteva star accadendo alle proprie compagne, alle proprie amiche e sorelle d’armi, del possibile avverso fato delle quali non avrebbe potuto riservarsi la benché minima occasione di perdono nei propri stessi riguardi, laddove fosse loro occorso qualcosa di negativo o, peggio, di irreparabile « Che cosa succede?! »
« Duva è stata aggredita. Un colpo alla nuca. » riferì l’ofidiana, in pronta risposta all’amica lontana, non desiderando in alcun modo imporle più incertezza in merito al loro fato rispetto a quanto, già, non avrebbe potuto allora caratterizzarle « Fortunatamente il danno non sembra grave… sebbene per qualche istante abbia perduto consapevolezza di sé. » precisò, nel mentre in cui, nell’equipaggiamento fornitole dalla propria stessa interlocutrice, iniziò allora a cercare il necessario per il primo soccorso, non volendo trascurare la ferita imposta a discapito dell’audace primo ufficiale della Kasta Hamina.
« Valuta la situazione e, all’occorrenza, ripiegate entrambe verso la nave. » suggerì, pertanto, la Figlia di Marr’Mahew, non dimostrando la benché minima esitazione a ipotizzare, per loro, una preventiva ritirata, dietro la quale non avrebbe voluto lascia intendere alcun genere di critica a loro discapito quanto, e soltanto, offrire riprova di sincera premura per loro « Se Duva dovesse necessitare di cure mediche, non avrebbe senso permetterle di rischiare vanamente la vita. »
« D’accordo. » concordò Lys’sh, annuendo appena per quanto, tal gesto, non sarebbe risultato attraverso l’azione della ricetrasmittente « Ora verifico le sue condizioni. »

Laddove, altri, nel porsi qual spettatori di quel breve dialogo, avrebbero potuto sollevare disappunto nel confronto con il comportamento apparentemente freddo e distaccato della mercenaria, tale da non vederla neppure prendere in esame l’idea di accorrere, a propria volta, in soccorso alle compagne; all’attenzione della giovane donna rettile un tale pensiero, una simile idea d’avversione a discapito dell’amica, non ebbe neppur fugace occasione di proporsi, vedendola, anzi, interpretare più correttamente tale comportamento non quanto una mancanza di interesse da parte sua quanto, e al contrario, la volontà di dimostrare, soprattutto nei suoi confronti, stima e fiducia, in misura utile a non ritrovarsi costretta a precipitarsi da lei, da loro, per prenderne le distanze, così come, al contrario, avrebbe avuto ragione di compiere nel caso in cui non l’avesse giudicata all’altezza della situazione, non l’avesse riconosciuta, qual invece l’aveva, propria pari e, in ciò, in grado di difendersi e in grado, all’occorrenza, di difendere anche Duva, custodendola non diversamente da come si sarebbe riservata occasione di proteggerla ella stessa. Non disinteresse, quindi, quanto fiducia… e fiducia innanzi alla quale, malgrado non ne avrebbe avuto ragione alcuna, Lys’sh non avrebbe potuto ovviare a dimostrarsi riconoscente nei suoi confronti, allora così come in passato, così come al loro primo incontro.
In verità, per quanto, infatti, Midda non le avesse mai negato la propria più completa approvazione, e non avesse mai mancato di comprovarle, in più di un’occasione, la propria ammirazione; per l’ofidiana, la differenza di esperienza esistente fra lei e l’amica avrebbe avuto a doversi riconoscere tale da non consentirle la benché minima opportunità di adagiarsi, psicologicamente ed emotivamente, nel proprio ruolo di pari, ritrovandola, in tal senso, sovente bisognosa di una qualsivoglia dimostrazione di approvazione da parte sua, confortante rassicurazione sulla bontà delle proprie azioni, sulla qualità del proprio apporto alla causa comune, così come, pur, l’Ucciditrice di Dei, fino a quel momento, non aveva mai avuto la benché minima ragione di dubbio, riconoscendola, onestamente, qual più che meritevole di tutta la stima in lei sempre sinceramente, mai ipocritamente, riposta.
In nulla, quindi, scoraggiata dalla mancanza dell’evidenza di una qualche volontà di diretto intervento in loro soccorso da parte della donna guerriero e, anzi, da tutto ciò rinfrancata nel proprio ruolo, nella propria posizione; Lys’sh non si lasciò distrarre ulteriormente dal proprio compito, riportando tutta la propria concentrazione, tutta la propria attenzione nei confronti di Duva e della sua ferita, del taglio da lei riportato.
E per quanto, allora, già stesse tenendo in mano quanto necessario per intervenire, e intervenire a estemporanea cura di quel danno, prima ancora di azzardarsi a operare in tal senso, ella volle ricercare un’occasione di riscontro verbale da parte della stessa, riconoscendo, obiettivamente, quell’area, quel particolare punto, troppo delicato, troppo pericoloso nelle implicazioni a esso connesse, per potersi concedere di agire con superficialità e arroganza, con l’unico rischio, da tutto ciò, di imporre, semplicemente e tragicamente, un danno ancor più grave alla propria amica e, lì, protetta.

« Duva… riesci a muovere le dita delle mani e quelle dei piedi…?! » domandò, pertanto, ancora non azzardandosi a toccarla, a smuoverla da lì, in attesa di poter allora constatare quanto, effettivamente, quella ferita avesse a doversi intendere superficiale così come, nell’immediato, l’aveva voluta valutare.

Ancora in parte stordita, ancora in parte priva di sensi e di una qualsivoglia consapevolezza nel merito del mondo a sé circostante, la donna offrì comunque riprova di aver, se non ascoltato, quantomeno percepito le parole da lei pronunciate e l’invito in esse contenuto… invito al quale, allora, ebbe a replicare lasciando fremere appena la punta delle dita delle mani e, Lys’sh non ebbe dubbi a ipotizzare, sotto le scarpe anche quella delle dita dei piedi.

« … sì… » sussurrò quindi, sforzandosi, nel mentre di quella stessa replica, di riconquistare maggiormente controllo su di sé e sulla propria mente, in misura utile a ovviare, allora, a poter ritornare il prima possibile in giuoco, laddove, a sua volta guerriera e combattente, non avrebbe potuto tollerare di essere esclusa tanto banalmente dalla battaglia… non dopo che già, troppo semplicemente, aveva permesso ai propri avversari di sopraffarla, cogliendola del tutto impreparata sebbene, paradossalmente, difficilmente avrebbe avuto a potersi considerare più pronta rispetto al momento dell’imboscata, di quell’aggressione che, da esca, avrebbe dovuto vederla mutarsi in predatrice e che, tuttavia, l’aveva trovata più che immedesimata nel mai piacevole, mai gradevole, ruolo di preda.
« Questo è buono. » sospirò, appena, l’ofidiana, allora azzardandosi a sfiorare le forme di lei con le proprie mani, per rigirarla lievemente e poter, in ciò, avere un migliore accesso all’area lesa, sulla quale avrebbe dovuto applicare il medicamento e un primo bendaggio d’emergenza « Cercherò di essere il più delicata possibile ma ti hanno ferita alla base del collo e, per quanto probabilmente non sia nulla di grave, non possiamo aspettare che tu muoia dissanguata prima di iniziare a preoccuparci… »
« … attenta… » si impegnò a porla in guardia, in un intervento che, seppur nell’immediato avrebbe potuto essere facilmente frainteso qual in riferimento alla propria situazione, invero avrebbe avuto a dover essere interpretato in altro modo, così come, subito, Duva ebbe a precisare, proseguendo nel monito in tal maniera iniziato « … non l’ho visto arrivare… è stato… molto veloce… davvero molto veloce… » spiegò, in riferimento all’avversario che l’aveva sopraffatta con tanta semplicità « … non ti distrarre… »
« Non mi distrarrò. » la rassicurò, effettivamente già impegnata, pur mantenendo tutta la propria attenzione, tutta la propria concentrazione su di lei, a mantenere sotto controllo, con il proprio fine udito e il proprio olfatto, l’area a loro circostante, non desiderando potersi lasciar cogliere impreparata proprio nel mentre in cui, in tutto quello, da lei avrebbe avuto a dover dipendere il benessere della propria compagna « Tu, però, porta un attimo di pazienza… e ricorda che non ho alcuna formazione da medico da campo. » proseguì, iniziando a tamponare la ferita con il disinfettante, cercando di agire con più delicatezza possibile per quanto, immancabile, fu una violenta contrazione del corpo dell’altra, nel momento in cui il medicamento iniziò ad agire e, purtroppo, a bruciare « Anche se, di questo passo, fra un altro paio di anni al vostro fianco, immagino che potrò aggiungere anche questa attività al mio curriculum… »

(episodio precedentemente pubblicato il 9 marzo 2015 alle ore 7:20)

mercoledì 30 agosto 2017

2293


Tale, quindi, avrebbe avuto a doversi riconoscere la differenza di maturità esistente fra l’una e l’altra, il diverso grado di malizia guerriera che avrebbe potuto caratterizzare la prima piuttosto della seconda, sia in diretta conseguenza alla diversa formazione dell’una e dell’altra, sia, probabilmente e in parte, anche per una innegabile differenza caratteriale che, in Duva, in particolare, trovava un animo del tutto affine a quello della Figlia di Marr’Mahew, un approccio alla vita, alla morte e alla guerra indubbiamente insolito, insueto, e pur, non per questo, necessariamente errato, obbligatoriamente sbagliato. Giacché, nel medesimo contesto in cui Lys’sh non avrebbe potuto ovviare a provare timore e rimorso all’idea di aver potuto involontariamente porre la propria compagna nel ruolo di esca, così come, apparentemente, sembrava aver potuto compiere; la stessa Duva Nebiria non avrebbe potuto ovviare a voler approfittare di ciò, accogliendo di buon grado il compito assegnatole, più dal fato che dalla propria compagna, e, in tal senso, abbracciandolo con mirabile pacatezza, freddezza, controllo, in nulla palesando preoccupazione per quanto avrebbe potuto essere, per il rischio che in tal maniera avrebbe potuto esserle riservato nella più completa assenza di qualunque genere di preventiva pianificazione a tal riguardo, ma, semplicemente, agendo per come, all’atto pratico, avrebbe avuto a dover essere riconosciuto necessario agire, senza troppi ripensamenti, senza alcuna inutile e, altresì, potenzialmente dannosa elucubrazione a tal riguardo.
Non propriamente rincuorata dalla scelta della compagna, e pur, necessariamente, costretta a condividerne le motivazioni e, parimenti, ad approvare la dinamica degli eventi per così come da lei fugacemente stabilita; Lys’sh incrementò la frequenza dei propri passi, la discreta frenesia della propria corsa, decisa, quantomeno, a non riservarsi alcuna possibilità di banale scusa utile a sottrarla a quanto richiestole, al supporto da lei atteso nel contesto proprio di quello scenario. Ma anche laddove, in alcuna misura, in alcuna maniera, avrebbe potuto esserle contestata qualsivoglia genere di lentezza, di flemma, riconoscendole, al contrario, una velocità di movimenti mirabile al punto tale da vederla concedere l’impressione di star levitando ancor prima che, effettivamente, appoggiare la pianta dei propri piedi al suolo; il tempo che ella ebbe a riservarsi qual necessario per raggiungere la propria compagna, sul fronte a lei parallelo di quel container, non fu sufficiente per garantirle la possibilità di intervenire a difesa della propria amica, della propria sorella d’armi, pur, proprio malgrado e ancor peggio, buona parte dell’effimero combattimento da lei ingaggiato non potendo ovviare ad ascoltare, a seguire, nella propria drammatica evoluzione.
Definirlo combattimento, in verità, ebbe già a doversi riconoscere qual un sufficiente azzardo, soprattutto ove, nel considerare, obiettivamente, l’evoluzione degli eventi, sarebbe stato probabilmente più opportuno, più adeguato, limitarsi a indicarlo qual un brutale assalto, a tutti gli effetti un agguato, pur considerando come, nella preventiva consapevolezza concessa a Duva a tal proposito, tutto ciò non avrebbe dovuto poter aver luogo. Purtroppo, in alcuna diversa modalità avrebbe potuto avere senso ipotizzare di descrivere l’accaduto, per così come, al fine udito dell’ofidiana, ebbe a occorrere. Poiché, se un istante prima il secondo in comando della Kasta Hamina stava proseguendo, in apparente serenità, nel proprio cammino di esplorazione dello spazio attorno a sé; un istante dopo ella era stata sbalzata al suolo da qualcuno, da qualcosa, che le era sopraggiunto rapidamente alle spalle, e che, senza concederle alcuna possibilità di reazione, l’aveva sopraffatta. Qualcuno che, sì rapidamente come era arrivato a lei, altrettanto rapidamente da lei si era allontanato, lasciando soltanto vagamente intuire il suono di molteplici, sottili zampe muoversi sulla superficie metallica del pavimento sotto di sé.
Panico, quindi, non poté che sorgere prepotente nel cuore della giovane donna rettile, soprattutto nel momento in cui, al suo olfatto, sopraggiunse chiaro l’inconfondibile odore del sangue… e del sangue che, in tale frangente, non avrebbe potuto che appartenere alla sventurata Duva, lì, alfine, ritrovatasi imprigionata all’interno del proprio supposto ruolo di esca, in un’improvvisata azione strategica che, purtroppo, non aveva offerto riprova di svilupparsi così come, indubbiamente, avrebbero potuto preferire avvenisse. E se ansia, così, non mancò di essere, il silenzio e la discrezione nella quale si era pur ammantata sino ad allora risultarono del tutto prive di qualsivoglia valore, ritrovando in lei soltanto il desiderio di gridare, e di gridare a pieni polmoni il nome dell’amica, vittima, allora, più di un potenziale senso di colpa per quanto accaduto che, propriamente, di una qualsivoglia inesperienza bellica. Ciò non di meno, proprio in conseguenza alla propria ancor iniziatica, e, ciò nonostante, già sufficientemente adeguata, preparazione guerriera, Lys’sh riuscì a conservare sufficiente controllo di sé e delle proprie emozioni per impedirsi di sbraitare in maniera isterica, nonché sostanzialmente inutile, nel rammentarsi quanto, comunque, anche nel peggiore dei casi morire a propria volta, in una maniera tanto stolida, non avrebbe potuto servire in alcun modo per onorare la memoria di Duva, per vendicarne l’eventuale, infame assassinio.
Non così silenziosa come avrebbe saputo essere, e neppur così rumorosa come avrebbe potuto essere, quindi, l’ofidiana raggiunse il teatro di quel mancato combattimento, di quel sostanziale agguato, trovando conferma, alla propria vista, di quanto gli altri sensi le avevano già ampiamente anticipato, nel cogliere, allora, la figura della propria sorella d’arme distesa prona al suolo, apparentemente priva di sensi o, peggio, di vita.

« Duva! » non si poté, allora, più trattenere dal pronunciare, esclamando il nome di lei un istante prima di precipitarsi al suo fianco, a constatarne, effettivamente, lo stato.

Fortunatamente per lei, e ancor più per la medesima Duva Nebiria, quest’ultima non avrebbe avuto a dover essere precipitosamente considerata qual già trapassata, laddove, sotto le sensibili dita della giovane, ebbe allora a risuonare chiaramente il battito del cuore di lei, nei suoi polsi così come al punto di giunzione fra collo e mandibola, poco sotto l’orecchio destro della stessa. E se pur, del suo sangue, aveva avvertito distintamente l’odore, tale percezione non avrebbe avuto a dover essere allor ricondotta in riferimento a un danno irreparabile, quanto e piuttosto a un graffio, sufficientemente profondo da risultar sicuramente fastidioso e doloroso, e, ciò non di meno, ancora abbastanza superficiale da non essere giudicabile qual letale, qual trasparente di una situazione irreparabile.
Chiunque o qualunque cosa aveva sopraffatto la donna, non soltanto aveva agito in maniera rapida e fuggevole, ma, anche, si era riservato occasione di colpire in maniera mirata, in un attacco che, se solo si fosse sospinto lievemente di più nelle sue carni, sulle sue ossa, le sarebbe sicuramente costato la vita, tranciandone di netto la colonna vertebrale e, con essa, il midollo spinale. Tuttavia, per benevolenza divina o, forse, per una pur non completamente efficace reazione da parte dell’aggredita, ciò non era avvenuto e, in questo, il danno da lei riportato avrebbe avuto a doversi commisurare in un spiacevole taglio alla base del collo, in conseguenza al quale qualche ora di permanenza di infermeria non le sarebbe stato sconsigliato, non ovviando comunque ad assumere, malgrado tutto, i toni di una miracolosa grazia.

« Duva… riesci a sentirmi? » ripeté, pertanto, riproponendo la propria voce con maggiore contegno rispetto alla precedente presa di posizione e, ciò nonostante, lasciando ancor trapelare un’ancor non completamente svanita ansia per quanto avvenuto « Duva…?! » insistette nel chiamarla, abbisognando, da parte della stessa, di un qualche riscontro prima ancora di poter ipotizzare qualunque intervento in suo soccorso, anche e soltanto a estemporanea cura della ferita da lei riportata, per grazia di una qualche medicazione di primo soccorso « Duva! »

E se non alla prima, non alla seconda, non alla terza volta la donna offrì un qualche cenno di ripresa, di consapevolezza nel merito del mondo a sé circostante, fu al quarto tentativo che, finalmente, le palpebre di lei fremettero lievemente, preannunciando la desiderata ripresa di controllo da parte di lei sul proprio corpo, con tutti gli spiacevoli annessi, e i dolorosi connessi, che da ciò sarebbero per lei derivati.

(episodio precedentemente pubblicato il 3 marzo 2015 alle ore 7:20)

martedì 29 agosto 2017

2292


Nel mentre in cui, nel passato della Figlia di Marr’Mahew, all’origine della sua storia, non avesse a potersi individuare alcun drammatico evento, alcun tragico accadimento tale da averla fatta diventare chi ella era, nell’essere, né più, né meno, quanto ella stessa aveva coscientemente deciso di essere, nell’essersi ritrovata, nel proprio cammino di maturazione, come donna e come guerriera, sospinta solo e unicamente dal una propria ferma volontà in tal senso, da una propria netta decisione in favore dell’avventura ancor prima, altresì, della serenità e della tranquillità di una vita che avrebbe potuto in caso contrario trascorrere nella stessa, quieta e splendida isola sulla quale era nata ed entro i confini della quale aveva trascorso tutta la propria più innocente infanzia; alle spalle della giovane ofidiana avrebbe avuto, purtroppo, a doversi riconoscere un ben diverso percorso, e un percorso nel quale, proprio malgrado, la guerra non era stata, per lei, né una scelta, né una possibilità, quanto, e purtroppo, una realtà… e una realtà tanto sanguinosa quanto solo avrebbe potuto esserlo il massacro della propria intera colonia, Kala’assh, con qualche centinaio di migliaia di vittime innocenti e, fra di essa, della propria intera famiglia, trentasette, fra fratelli e sorelle di nidiata, nel corso di una sola, singola notte, a opera di un folle conosciuto con il nome di Nero. Per Lys’sh, quindi, nel futuro della quale, a seguito di una tanto letale genesi, ogni ipotesi di serenità, di felicità, di pace era stata brutalmente spazzata via, la guerra non aveva potuto essere una scelta, quanto e piuttosto un’imposizione e, ancor peggio, una necessità, nella volontà sia di poter sopravvivere al proprio mondo, al proprio intero universo che tanta atrocità aveva permesso e generato, frutto allucinante di folli concezioni razziali, sia di ricercare un qualche significato alla propria stessa sopravvivenza: un significato che, senza falsi moralismi, senza ipocrisie, aveva inizialmente esplorato nella brama di vendetta, e di vendetta mirata nel contrasto alla figura del primo responsabile per tutto quanto fosse accaduto.
E se pur, nell’inseguire tale vendetta, ella aveva visto il proprio fato intrecciarsi inaspettatamente e sorprendentemente con quelli di Midda e Duva, nell’incontrarle all’interno della stessa prigione nella quale si era volontariamente lasciata deportare per raggiungere Nero e lì, finalmente, affrontarlo; non nella morte di tale nemesi si era visto concludersi il suo cammino. Una scelta, quella che ella aveva compiuto innanzi allo sguardo quietamente passivo della stessa Ucciditrice di Dei, che non avrebbe avuto a doversi fraintendere qual conseguenza di una qualche ricercata superiorità psicologica nel confronto con il responsabile per la strage della propria famiglia, né, tantomeno, in un qualche paventato timore volto a voler escludere l’ipotesi di abbassarsi al suo stesso livello, giacché, obiettivamente, anche per Lys’sh il tanto temuto confine morale rappresentato dall’idea stessa di assassinio era stato già superato da tempo, nella lunga strada che l’aveva condotta sino a quel combattimento finale, a quella sfida conclusiva. Una scelta, piuttosto, che l’aveva trovata qual in tal senso guidata dall’unico desio di non offrire una troppo facile via di fuga dall’esistenza mortale al proprio nemico, per il quale, obiettivamente, la morte avrebbe potuto essere considerata addirittura un dono, nel considerare la situazione in cui egli si era ritrovato a essere: meglio, ella aveva giudicato, permettergli di sopravvivere al loro scontro, e di sopravvivere non soltanto ancor imprigionato all’interno di una prigione nella quale, malgrado tutto il proprio passato, egli non avrebbe più avuto alcun nome o alcun ruolo dopo gli eventi di quel duello ma, ancor peggio, di sopravvivere con la consapevolezza di essere stato vinto, e poi risparmiato, da una donna, chimera e, come se non fosse sufficiente, mezzosangue… ossia la fusione di tutto ciò che egli, da sempre, aveva disprezzato e brutalizzato, in ogni modo e con ogni mezzo.
In conseguenza a un così diverso cammino di vita, oltre che, inoppugnabilmente, a un’età ampiamente inferiore rispetto a quella pressoché condivisa fra Midda e Duva, la giovane ofidiana non avrebbe potuto, allora, probabilmente vantare né la medesima professionalità, né, tantomeno, il medesimo folle entusiasmo che, altresì, avrebbe avuto a poter essere individuato alla base di ogni singolo movimento delle proprie nuove sorelle maggiori; benché, ciò nonostante, nulla nel suo approccio, nulla nel suo indomito incedere verso la battaglia, avrebbe potuto essere, per lei, fonte di qualsivoglia ipotesi di critica o, più assurdo, di rimprovero. Non da estranei, non, di certo, da Midda o Duva. Grazie al retaggio del proprio sangue ofidiano, del resto, Lys’sh avrebbe potuto vantare capacità tali da poter porre in difficoltà entrambe le proprie amiche e compagne, così come, nei primi giorni del loro incontro, aveva avuto involontaria occasione di offrire riprova in più di un’occasione: anche laddove lunghi anni, decenni addirittura, spesi in missione nei più disparati angoli del proprio mondo, avevano alleggerito il passo della Figlia di Marr’Mahew nell’egual misura in cui ne avevano affinato i sensi, permettendole, obiettivamente, di riservarsi sovente un’occasione di vantaggio nei confronti di possibili avversari in diretta conseguenza a tutto ciò; quanto la natura aveva concesso a Lys’sh avrebbe avuto a doversi considerare l’occasione di giungere, in maniera del tutto impercettibile, alle spalle della suddetta, così come, parimenti, di poter avvertire distintamente un eventuale tentativo di approccio della stessa a sua supposta insaputa in maniera non meno evidente di quanto non avrebbe potuto essere nel caso in cui, al collo della mercenaria, fossero stati legati una dozzina di campanelli. E così, se, umanamente, la stessa Midda non avrebbe potuto ovviare a provare un certo livello di frustrante invidia a fronte di tutto ciò; parimenti, quest’ultima non avrebbe potuto neppure ovviare ad apprezzare le capacità proprie di una sua alleata, di una sua amica e, ormai, nuova sorella, riconoscendo, in tutto ciò, soltanto un fattore straordinariamente positivo in supporto a tutte loro… a tutti loro.
Nessuno, meglio di Lys’sh, avrebbe potuto essere impiegato, come stava avvenendo in quel frangente, per una missione di esplorazione silenziosa, di discreta ricerca di un avversario. E, sebbene di ciò la stessa giovane ofidiana non avrebbe potuto evitare di considerarsi conscia, al tempo stesso, ancora, ella non avrebbe potuto vantare sufficiente malizia guerriera per comprendere, o, quantomeno, per comprendere immediatamente, quanto, in un contesto come quello allora venutosi a creare, una sua sostanziale invisibilità alle percezioni sensoriali dei loro antagonisti, non si sarebbe limitata a giocare un ruolo di forza in suo sostegno ma, anche, di svantaggio a discapito delle proprie compagne, nella misura nella quale, loro malgrado, esse sarebbero rimaste certamente più esposte a eventuali assalti.
Una maliziosa consapevolezza, quella che pur le venne negata all’inizio della propria ricerca, che, tuttavia, non mancò possibilità di acquisire autonomamente nel momento stesso in cui, non soltanto ella ebbe a individuare un chiaro riscontro della presenza di un avversario, e della sua presenza in movimento a una certa distanza da lei, ma, ancor peggio, ebbe a riconoscere qual allora in moto non tanto nell’intento di coglierla qual proprio possibile obiettivo, quanto in quello di raggiungere l’area allora occupata da Duva. Duva in soccorso alla quale, pertanto, non volle riservarsi il benché minimo dubbio, la benché più fugace esitazione, a correre, temendo, in cuor suo, di poterle riservare il ruolo di esca a proprio insaputa.
O, tale, per lo meno, sarebbe potuto essere se soltanto, in quel momento, non fossero state adeguatamente equipaggiate dal loro capo della sicurezza che, per quanto ipoteticamente estranea alla tecnologia, i vantaggi della quale non aveva in alcuna misura rifiutato di riconoscere e di abbracciare entusiasticamente, primo fra tutti quello derivante dall’impiego di una ricetrasmittente.

« Duva… sta dirigendosi verso di te. » avvertì, in un sibilo di voce, non senza lasciar trapelare, nella propria voce, un certo, innegabile, grado di ansia per la sorte dell’amica, soprattutto nell’ancor non chiara identità del loro antagonista a dispetto di un’idea abbastanza precisa delle sue potenzialità, per così come testimoniate dalla porta sventrata « Sto arrivando! »
« Negativo. » rispose l’altra, con tono egualmente contenuto, evidentemente nel non voler promuovere eccessivamente quanto stava accadendo, soprattutto innanzi alla consapevolezza dei loro nemici, non volendo alterare quanto stava accadendo più del necessario, o, per lo meno, più di quanto, comunque, non avrebbero potuto ovviare a compiere, in diretta dipendenza dalle capacità sensoriali che essi avrebbero potuto alfine dimostrare di possedere « Guardami le spalle ma resta nell’ombra, Lys’sh. » le richiese, con incedere che non volle scadere nell’ordine, anche ove avrebbe potuto legittimamente ricordarsi di essere nella posizione utile per imporsi « Andiamo a pesca… »

(episodio precedentemente pubblicato il 2 marzo 2015 alle ore 7:20)

lunedì 28 agosto 2017

2291


Terminato il rapido, e necessario, rapporto al capitano, alle tre donne non fu necessario altro al di fuori di un nuovo, e sempre fugace, sguardo, per trovarsi già concordi sulla strategia da attuale, su come agire al fine di meglio affrontare quella situazione.
In grazia, infatti, a quell’intendimento, a quell’apparente telepatia che avrebbe potuto essere riconosciuta soltanto a coloro ai quali fosse stata offerta già occasione di affrontare insieme un sufficiente numero di avventure e disavventure, di mai sgraditi trionfi e di pericolosamente sfiorate sconfitte, di antagonisti mortali così come di nemici apparentemente invincibili; Midda, Duva e Lys’sh, sorelle d’arme, compagne di ventura ormai da un intero anno, non ebbero alcuna necessità di spendersi in ulteriori parole, in altre vane espressioni verbali, per condividere quanto allora necessario porre in essere, così come, non di meno, la suddivisione dei ruoli nel confrontarsi con quella nuova minaccia. E quello che, per i più, avrebbe avuto a giudicarsi essere mero silenzio, fra loro, valse in tutto ciò più di mille, e ancor oltre, parole pronunciate da altri, nel dimostrarsi più che adeguato, del tutto sufficiente, a garantire loro quell’intesa che pur, mai, avrebbe potuto essere posta in discussione… non un anno prima, in un’immediatamente evidente sintonia fra loro; non, tantomeno, un anno più tardi, in quel presente che, ormai, non avrebbe potuto coglierle più affiatate di rispetto a quanto già non fossero.
Così, nel contempo in cui la Figlia di Marr’Mahew, coadiuvata dalla propria esperienza guerriera, in quella fama da lei accumulata mai in maniera gratuita ma solo a prezzo del proprio impegno, del proprio sudore e, sovente, del proprio sangue, per quanto in quantità sempre inferiore a quello sottratto ai propri nemici, avanzò oltre, superando la distrutta soglia del settimo container per individuare eventuali antagonisti lì ancor celati, nonché per tentare di raccogliere indizi, maturare consapevolezza, nel merito di come quell’intrusione potesse essere occorsa e di quali, reali, minacce avrebbero potuto attendersi dai loro non ancor meglio definiti avversari; le sue due compagne, amiche e sorelle si sospinsero in ricognizione lungo il percorso già ripetutamente affrontato in quell’ultima ora, dividendosi per ritornare sui propri passi e lì per meglio ricercare, all’interno del sesto container, eventuali clandestine presenze che potessero aver già violato i confini ormai palesemente sfondati e che, in ciò, potessero starsi dirigendo alla volta delle altre stive e, da quel punto, del corpo della nave.

Silenziosamente salutate le proprie compagne e superata, pertanto, la soglia di divisione fra il sesto e il settimo container, fu premura dell’ufficiale tattico della Kasta Hamina riservarsi allora qualche ulteriore istante in quella zona, in quel punto specifico, al fine di verificare l’eventualità di raccogliere qualche più interessante dettaglio rispetto a quelli già evidenziati, animata, in tal senso, dall’implicita consapevolezza che, nel caso in cui da tutto quello, fosse derivata un’informazione utile, simile conoscenza non sarebbe rimasta, esclusivamente, una sua prerogativa ma sarebbe stata prontamente condivisa con le proprie compagne, così come, reciprocamente, non avrebbe mancato di occorrere, affinché tutte loro fossero costantemente aggiornate ognuna nel merito delle scoperte delle altre, così come se, al di là della distanza fisica che stavano pur impegnandosi a porre l’un con l’altra, non più di un passo le stesse allor separando, indebolendole. L’osservazione, tuttavia, della situazione sul fronte del container sette, non parve potersi riservare altra occasione se non quella di confutare quanto già verificato sul fronte del container sei, mostrando una soglia, in ipoteticamente resistente e spessa lega metallica, essere stata brutalmente squartata, strappata e ripiegata, nelle proprie estremità, quasi avesse a doversi considerare banale lamiera.
E, così come già verificato sul fronte opposto, neppure l’applicazione, da parte della donna guerriero, dell’energia del proprio braccio meccanico, di servomotori in grado di permetterle di sollevare, senza fatica alcuna, anche mille libbre di peso, si dimostrò sufficiente a tentare di emulare la violenza riversata su quella coppia di portelloni, in un risultato che, pertanto, sarebbe stato gradevole poter attribuire agli effetti di una detonazione, di un qualche congegno esplosivo, se solo non fossero stati riconoscibili, sul metallo, segni simili a quelli di enormi artigli.

« … Thyres… » non si negò occasione di sussurrare nell’invocare il nome della propria dea prediletta, necessariamente sorpresa da tutto ciò e, in effetti, ancor più eccitata che preoccupata per quanto stava osservando, per la promessa di battaglia che, in tal maniera, le stava venendo rivolta.

Per colei che, alle proprie spalle, avrebbe potuto vantare l’assassinio di un dio, infatti, l’idea di una nuova sfida, di un nuovo avversario che potesse offrirle una reale competizione, non avrebbe potuto essere considerato altro che un dono della benevolenza degli dei… o, quantomeno, degli dei che ancora potevano riservarsi, nei suoi confronti, una qualche ragione di simpatia. E benché, anche senza scomodare necessariamente qualche altra divinità minore, sicuramente antagonisti di ogni forma e proporzione non le fossero mancati, anche in quegli ultimi mesi; dal giorno della sua partenza dal proprio mondo, sulle ali della fenice, Midda non avrebbe potuto evitare di accusare l’assenza di quel particolare genere di sfide che, entro i limiti del suo pianeta natio, non le erano mai mancate… prime fra tutte, battaglie contro creature caratterizzate da forza, capacità o poteri ampiamente oltre qualunque possibilità di umana ambizione.
Ove anche, infatti, in quella nuova concezione estesa della propria realtà, contraddistinta da straordinarie tecnologie apparentemente superiori, persino, ai concetti di stregoneria con i quali ella avrebbe potuto considerarsi ormai confidente, non le sarebbero potute mancare, né le erano mancate, certamente nuove possibilità di porsi alla prova, di spingersi oltre alla ricerca di quell’intimo senso di appagamento per lei ormai solo derivante dal piacevole, inebriante, e assuefacente sapore dell’adrenalina nel proprio sangue; poter supporre di ritornare, seppur estemporaneamente, a un confronto forse più primitivo, probabilmente più sporco, ma non per questo meno entusiasmante o coinvolgente… anzi, avrebbe per lei rappresentato soltanto qualcosa di gradevolmente positivo, un’occasione da non sprecare. E così, anche laddove pocanzi  il dialogo fra lei e il capitano aveva assunto, a tratti, toni legittimamente drammatici, atti a introdurre l’ombra di una prossima tragedia; innanzi a tutto ciò ella non avrebbe potuto ovviare a obliare a tutto ciò, limitandosi, piuttosto, a godere di quel momento e di quanto, lì, le stava venendo inaspettatamente concesso.
Improvvisamente, infatti, l’intera Kasta Hamina e tutti i problemi che, già prima, stavano affrontando, avrebbe potuto essere considerata un dettaglio del tutto trascurabile, addirittura un’eco lontana, nel confronto con il suono vibrante dei tamburi di guerra che, nelle orecchie dell’Ucciditrice di Dei, stavano già iniziando a rullare, e rullare a un ritmo sempre più sfrenato. E, a ricercare una qualche possibilità di sfogo per la violenza che, dal profondo del suo animo, stava emergendo a pretendere, ferocemente, il sangue di qualunque mostro avesse allor compiuto quella devastazione; ella abbandono, alfine, l’ingresso al container sette, per immergersi nel dedalo rappresentato da quel vasto magazzino, da quei corridoi di casse di ogni forma e dimensione, alla ricerca dell’azione, in qualunque forma, essa, avrebbe potuto presentarsi.

Esattamente nella direzione di poter attribuire una forma a quanto, sino a quel momento, per lei era stato un semplice odore, e pur un odore tanto significativo da poterla giustificare nell’allarme diffuso, Lys’sh avrebbe avuto a dover essere allora descritta, nel mentre in cui, avanzando sola su un lato del container sei, e con passo, in ciò, assolutamente impercettibile, sospingeva al limite le proprie percezioni sensoriali, il proprio udito, così come il proprio olfatto, ma anche il gusto e, ove possibile, il proprio tatto, con l’unico intento di individuare quanto prima il o i propri avversari e, di conseguenza, poter offrire finalmente una risposta chiara e completa alle proprie compagne di ventura che, era consapevole, mai l’avrebbero condannata in caso contrario e che, tuttavia, non avrebbe potuto avere diverso interesse se non quello di rendere loro servigio, di essere loro utile, dimostrandosi, speranzosamente, addirittura fondamentale nella sfida che stavano andando ad affrontare.

(episodio precedentemente pubblicato il 17 febbraio 2015 alle ore 7:20)

domenica 27 agosto 2017

2290


« Per nostra fortuna, sotto questo punto di vista, siamo equipaggiate… » osservò la Figlia di Marr’Mahew, mettendo mano a una delle tasche del proprio equipaggiamento, per estrarne una ricetrasmittente, in grazia alla quale avrebbero così vanificato ogni sforzo di isolamento compiuto a loro discapito dai loro ancora ignoti antagonisti « Capitan Rolamo. Qui Midda, dal settimo container… » esordì subito dopo, aprendo un canale di comunicazione sulla frequenza comune della nave e attendendo una qualsivoglia replica da parte dell’ufficiale in comando.
« Parla Lange. » replicò, dopo un breve istante, il loro interlocutore, dimostrandosi sufficientemente pronto nella risposta da lasciar facilmente presumere essere stato in attesa di quell’aggiornamento sino a quel preciso momento, non senza, probabilmente, una certa tensione derivante dal contesto in tal maniera venutosi a formare, tutt’altro che offerente una qualsivoglia predisposizione al rilassamento psicologico o fisico « Ti ascolto. »
« Come da programma mi sono riunita a Duva e Lys’sh. Purtroppo, però, i nostri clandestini non hanno avuto la cortesia di attenderci tranquilli là dove erano stati rinchiusi e, ora, non abbiamo elementi utili a presumere la loro attuale posizione. » spiegò, riassumendo lo scenario lì presente « Non abbiamo ancora avuto alcun contatto visivo con loro, ma, nel contempo, sono riusciti a sfondare brutalmente i portelloni fra il sesto e il settimo container. Suggerisco di rafforzare il presidio all’ingresso della sezione di coda e di prepararsi a qualunque eventualità. »
« Ne prendo atto. » rispose il capitano, con tono serio e concentrato, evidentemente impegnato, in quel momento, a soppesare ogni singola sillaba riportatagli « Desiderate rinforzi…? »
« Negativo. » scosse il capo la donna, benché, tale gesto, non sarebbe risultato evidente attraverso il comunicatore « Siamo armate e pronte allo scontro. E nella sciagurata eventualità che non avremo a dimostrarci adeguate allo scopo… beh… sai già come procedere. »

Un solo sguardo fu sufficiente a Midda per cercare, e trovare, consenso negli occhi delle proprie sorelle d’armi, laddove, senza nulla togliere alle risorse dell’equipaggio della Kasta Hamina, senza in alcuna maniera voler minimizzare il valore dei propri compagni, tutte e tre erano allora comunque consce dell’evidenza di quanto, il loro ristretto contingente, rappresentasse allora quanto di meglio avrebbe avuto a poter offrire la loro nave mercantile in una situazione come quella. In conseguenza di ciò, nel caso in cui loro tre avessero fallito, eventualità indubbiamente spiacevole laddove, necessariamente, avrebbe rappresentato anche la loro prematura fine; l’unica alternativa di ragionevole attuazione per i loro sopravvissuti compagni non avrebbe previsto la ricerca di una qualche vendetta attraverso una nuova battaglia, quanto e piuttosto l’abbandono, immediato, del carico, e delle loro salme, nella separazione dell’intera sezione di coda e nell’abbandono della medesima al vuoto siderale: solo in tal maniera, un loro ipotetico sacrificio non si sarebbe dimostrato vano.
E se, di tale consapevolezza, non avrebbero potuto dirsi ignare né Duva né Lys’sh, accanto a Midda, ancor meno avrebbe potuto dichiararsi ignorante lo stesso capitano della Kasta Hamina, il quale, per quanto mai avrebbe accettato l’idea di lasciare indietro qualcuno degli uomini o delle donne affidate al suo comando, di fronte all’eventualità di una letale disfatta di quelle tre donne, di quelle tre combattenti, di quelle tre guerriere, non avrebbe potuto ovviare ad agire nell’interesse della salvaguardia del resto del proprio equipaggio, anche a costo di dover convivere, fino al proprio ultimo giorno, con il disgusto per quello che, nel profondo del suo cuore e del suo animo, non avrebbe poi potuto evitare di condannare qual un atto di codardia.

« Bontor…  » riprese voce l’uomo, dopo essersi riservato qualche rapido istante per soppesare e valutare le informazioni in tal modo riferitegli e, in particolare, la conclusione a cui ella si era sospinta, qual traguardo di un ragionamento logico e obiettivo « Per quanto i nostri caratteri siano, evidentemente, in una condizione di naturale conflitto non di meno rispetto a quanto non lo siano il mio e quello della mia ex-moglie accanto a te; io sono e resto il capitano a bordo di questa nave. E tu, qual membro del mio equipaggio e capo della sicurezza, mi devi comunque ubbidienza. Quindi… ascoltami bene quando ti dico che né tu, né Duva o Lys’sh, avete il permesso di dimostrarvi meno che adeguate allo scopo. » sancì, riproponendole le medesime parole da lei appena rivoltegli « Qualunque cosa accada, voi dovrete tornare indietro vive e in salute… o saranno guai. Grossi guai. » minacciò, mantenendo ancora la propria voce seria e misurata in ogni singola sillaba scandita in risposta « Sono stato chiaro? »

E sebbene, a volersi rapportare in maniera razionale con quella situazione e gli scenari che da essa avrebbero potuto conseguire, le parole così proposte da parte di Lange Rolamo avrebbero potuto essere considerate ai limiti dello scherno, o, tuttalpiù, di una sua evidente, nonché preoccupante, dissociazione dalla realtà; all’attenzione della mercenaria fu immediatamente evidente quanto, al contrario, il capitano aveva voluto, in tal peculiare maniera, dichiarare tutta la propria premura, tutto il proprio interesse nei loro confronti, ritrovandosi a essere spinto dai propri sentimenti, dal proprio necessariamente celato affetto verso di loro, a proibire di morire, quasi come se la decisione a tal riguardo avesse a doversi riconoscere dipendente esclusivamente dalla loro volontà.
Un ordine, il suo, che pertanto non avrebbe potuto essere inteso in alcuna maniera qual tale né che, parimenti, avrebbe potuto essere effettivamente associato al tono con il quale, pur, era stato pocanzi scandito. Così, benché in un diverso contesto, in un’altra situazione, l’Ucciditrice di Dei difficilmente avrebbe potuto evitare una qualche sarcastica replica a fronte di un simile, ricercato intento autoritario, non tanto per mancanza di rispetto verso il proprio capitano, quanto e piuttosto per una risposta emotiva naturale dopo decenni di estraneità a qualunque genere di ordine costituito, ormai anarchica innanzi a tutto ciò che non avrebbe potuto riconoscersi qual direttamente derivante da una sua autonoma decisione; in quel particolare momento, di fronte a quelle ultime, serie e forti parole a lei indirizzate sotto l’apparente veste di un ordine, ella non volle concedersi alcuna reazione polemica, limitandosi ad accettare tutto ciò, in tal maniera, implicitamente, anche ringraziando colui che, allora, tanta premura stava riservandosi occasione di dimostrare nei loro confronti.

« Sì, signore. » confermò, semplicemente, null’altro soggiungendo a possibile completamento di ciò, laddove, inevitabilmente, qualunque altra parola sarebbe risultata in solo e banale contrasto con l’intento volto a concedere riprova di aver correttamente interpretato, e inteso, tutto ciò.

Una corretta interpretazione, un giusto intendimento, il suo, che fu, proprio a margine di quella replica, appoggiato e sostenuto persino da colei che, più di chiunque altro, avrebbe potuto, e voluto, sempre e comunque riservarsi occasione di facile, e sovente, gratuita polemica con Lange Rolamo e che, tuttavia, lì si limitò ad annuire, concedendosi un lieve sorriso, a fuggevole, e pur chiara, approvazione tanto dell’intervento dell’uno, quanto della risposta dell’altra: anche Duva Nebiria, al di là di ogni personale questione in sospeso con il proprio ex-marito, non avrebbe potuto ovviare a cogliere, e comprendere, le ragioni alla base di quell’ultimo intervento e, di conseguenza, a sostenere, ancora una volta, in tutto e per tutto la scelta della propria compagna, di quella gemella di un altro mondo in passato mai immaginata e, pur, ormai presente nella sua quotidianità quasi qual un’altra espressione del proprio stesso io.

« Attendo un nuovo aggiornamento in non più di mezz’ora. » concluse, pertanto, il capitano, non avendo a sua volta null’altro da aggiungere in coda a quanto già dichiarato « Non mi deluda, Bontor! »

(episodio precedentemente pubblicato il 16 febbraio 2015 alle ore 7:20)

sabato 26 agosto 2017

2289


Se il tempo concessole qual necessario per raggiungere le proprie amiche, le proprie compagne, le proprie sorelle d’armi, era parso, alla figlia di Marr’Mahew, quasi minimale, addirittura ridicolo, nel confronto con tutte le emozioni, prima di quel frangente, necessariamente contrastanti, in un’innegabile preoccupazione per quanto potesse star accadendo e in un irrazionale timore di giungere in ritardo al momento dell’incontro, per così come stabilito; l’intervallo temporale che, insieme, tutte e tre affrontarono per ritornare al portello d’accesso sigillato a congiunzione fra il sesto e il settimo container, ebbe a essere giudicato, innanzi alle medesime sensazioni, alle stesse percezioni della donna guerriero, qual sostanzialmente  interminabile, nel vederla posta sì a confronto con la necessità di coprire uno spazio praticamente equivalente al precedente e, ciò non di meno, nel trovarla tanto desiderosa di raggiungere l’obiettivo, il loro traguardo finale, in misura sufficiente a spronarla a un approccio ancor più energico e deciso, a una corsa ancor più impetuosa rispetto alla precedente, e che tuttavia, benché concretamente le vide raggiungere tale meta in un tempo irrisorio, non negò egualmente ragione di insoddisfazione alla mercenaria, la quale ben volentieri si sarebbe sospinta istantaneamente nel cuore della battaglia, se solo le fosse stata concessa un’occasione in tal senso, se solo, per la magia della fenice o per un altro incanto equivalente, avesse potuto coprire quell’intera distanza in un semplice battito di ciglia. E seppur Duva e Lys’sh, accanto a lei, dietro di lei, non avrebbero potuto accusare una concreta ragione di stanchezza, nell’essere stata, quella nuova corsa, sì sfrenata e, ciò non di meno, quietamente sostenibile da entrambe non di meno rispetto alla loro sodale e guida; parimenti né l’una, né l’altra avrebbe potuto dichiararsi propriamente fresca e rilassata, nell’essersi viste allor indubbiamente costrette a un passo sicuramente più serrato rispetto a quello che, altrimenti, avrebbero potuto concedersi occasione di mantenere o che, anche, si erano già concesse precedente occasione di mantenere, nel coprire quel medesimo percorso.
Ogni eventuale, possibile e, forse, persino prevedibile intervento a commento di un approccio così energico, tuttavia, si vide preventivamente arginato tanto fra i denti del primo ufficiale della Kasta Hamina, quanto fra quelli della giovane ofidiana, nel momento in cui, pur avendo raggiunto il traguardo prefisso, pur avendo riconquistato l’obiettivo precedentemente abbandonato, ebbe a palesarsi qual sgradevolmente evidente e spiacevolmente incontrovertibile come, purtroppo, l’intervallo di tempo nel corso del quale quella postazione era stata estemporaneamente abbandonata, per quanto il più possibile contenuto, moderato nella propria estensione, avrebbe avuto a doversi giudicare comunque eccessivo. Ed eccessivo nella misura che lì ebbe a dimostrarsi comunque utile, per qualunque supposta minaccia rinchiusa oltre quella soglia, a forzare la medesima e a confermarsi, al di là di ogni ipotetica paranoia, qual, a tutti gli effetti, un pericolo per tutti loro: giacché, al di là di ogni facile semplificazione che avrebbe potuto dirsi conseguenza dell’approccio di una professionista della guerra qual il capo della sicurezza era e non avrebbe mai negato o rinnegato essere, difficilmente una doppia porta di solida lega metallica, con uno spessore di oltre un piede per fronte, tanto su quello del container sei, quanto su quello del container sette, avrebbe potuto essere ferinamente squarciata da parte a parte, se non da qualcuno, o qualcosa, necessariamente riconoscibile qual una minaccia, un pericolo, per tutti loro… un pericolo, per lo più, in merito alla collocazione fisica del quale, in tal modo, non avrebbero più potuto concedersi consapevolezza di sorta.

« Thyres… » sussultò la mercenaria, invocando il nome della propria dea prediletta, nell’osservare, non senza un certo stupore, quello che avrebbe potuto essere descritto qual il risultato di un enorme apriscatole su una gigantesca scatola di latta… benché, ovviamente, quel portello non avrebbe avuto a dover essere considerato di latta « … temo che siamo giunte troppo tardi. » non si negò occasione di commentare con tono quasi ironico, a sdrammatizzare la situazione benché, con un gesto fulmineo, non mancò di sguainare la propria spada prediletta, per essere pronta ad affrontare qualunque avversario avrebbe potuto scagliarsi loro contro in quel frangente.
« Lys’sh?! » richiamò, altresì, Duva, cercando con la compagna un’occasione di confronto, un qualche chiarimento, non nel merito di come potesse essere accaduto quanto lì occorso, informazione che da parte sua non avrebbe potuto certamente ottenere, ma, piuttosto, a riguardo della presumibile posizione dei loro antagonisti, confidando, ancora una volta, nei suoi affinati sensi per riservarsi una maggiore confidenza con quanto, altrimenti, per lei, o per Midda, difficilmente intellegibile.
« Ho iniziato a sentire odore di crostacei da quasi metà di questo container… ma ho dato la colpa di ciò a una giustificabile contaminazione conseguente al nostro approccio precedente. » riferì la giovane, non negandosi un tono necessariamente contrito a confronto con l’evidenza dell’accaduto e, di conseguenza, della sua mancanza nel segnalare l’anomalia per tempo « Perdonatemi… »
« Non c’è ragione di chiedere scusa. » minimizzò la Figlia di Marr’Mahew, avvicinandosi al portello sventrato per osservarlo meglio, per poterlo studiare, almeno visivamente, a una distanza ravvicinata « Nessuno avrebbe potuto prevedere questo. E, comunque, il fatto che tu abbia sentito il loro odore non significa necessariamente che, in questo momento, siano alle nostre spalle. »
« Ritieni che vi sia più di un singolo intruso a bordo? » questionò il primo ufficiale, estraendo la propria sciabola dal fodero e appropinquandosi a lei per poter condividere quel tentativo di analisi, per poter maturare confidenza diretta con quanto stesse accadendo a bordo della propria nave « C’è qualcosa che ti offre riprova a tal riguardo…?! »

Innanzi ai loro sguardi, quanto ebbe a offrirsi fu l’immagine del pesante metallo della porta energicamente squarciato, in più direzioni, quasi per effetto di smisurati artigli, e ripiegato verso l’interno del container, lì spinto, evidentemente, da qualcuno che, operante dall’altra parte della porta, aveva precedentemente ed egualmente agito sulla seconda soglia di mezzo piede distanziata da quella, su tale fronte, tuttavia e simmetricamente, strappando e tirando il metallo verso di sé: un’operazione, quella così compiuta, che, oltre a suggerire qualcosa di straordinario nella violenza dell’accaduto, nella forza necessaria per compiere tutto ciò, non avrebbe potuto ovviare ad apparire persino e necessariamente incredibile, nel considerare i tempi ristretti in cui, chiunque fosse stato, doveva aver allora operato.

« Più che altro, spero vivamente che vi sia più di un singolo intruso a bordo. » replicò la donna guerriero, in un’asserzione che, tuttavia, non avrebbe avuto a dover esser ricondotta a una sua qualche brama di sfida, quanto e piuttosto al timore per l’alternativa a tale supposizione… timore non per sé, ovviamente, ma per tutti coloro che, alla sua responsabilità, erano lì a bordo stati affidati e che, da quel momento, non avrebbero potuto considerarsi propriamente in una situazione di sicurezza « Perché, se tutto questo fosse opera di un singolo… » continuò, appoggiando la propria destra cromata su un angolo ritorto della porta, per provare lì ad applicare l’inumana forza da lei in sua grazia posseduta, spingendo al massimo i servomotori presenti all’interno della protesi e, ciò non di meno, ottenendo soltanto un lieve cedimento da parte della lega metallica, con un movimento inferiore al pollice « … non sarebbe scontato riuscire ad abbatterlo! »
« Dannazione. » imprecò Duva, serrando i denti in un gesto di disapprovazione tale da indolenzirle, quasi, la mandibola nell’incontrollato sforzo.
« Oltretutto… i nostri avversari non sono stupidi. » soggiunse Lys’sh, anch’ella avvicinatasi alle compagne, stringendo già un pugnale tanto nella destra, quanto nella mancina, e con la punta di quello sinistro, indicando, allora, la parete accanto alla porta squarciata, là dove, in precedenza, era stato lo stesso interfono da loro impiegato per contattare la compagna e là dove, in quel nuovo scenario, altro non restava che un pannello divelto e un groviglio di cavi strappati, per un sistema, ormai, del tutto inutilizzabile « Non desiderano che si possa comunicare con il resto della nave, per informare gli altri di quanto qui stia accadendo… »

(episodio precedentemente pubblicato il 9 febbraio 2015 alle ore 7:20)

venerdì 25 agosto 2017

2288


Per quanto l’idea di aver subito una manovra di abbordaggio non avrebbe dovuto essere accolta né con leggerezza, né, tantomeno, con entusiasmo, semplicemente menzognero sarebbe stato, per la donna guerriero impegnarsi a dimostrare preoccupazione, ansia o disapprovazione per lo scenario in tal maniera sinteticamente descritto.
Per colei che, in ogni sera trascorsa nella locanda del proprio amato Be’Sihl, non si era mai lasciata mancare l’occasione di scatenare qualche rissa per il semplice piacere di combattere, riconoscendo tutto ciò qual un mezzo utile a scaricare eventuali tensioni emotive o fisiche, e a raggiungere il giusto stato di quiete psicologica per concedersi una qualche possibilità di sereno riposo; il ritrovarsi per un tempo eccessivamente prolungato a costretto riposo, così come, suo malgrado, era avvenuto sino a quel momento a bordo della Kasta Hamina, avrebbe dopotutto necessariamente rappresentato un motivo di concreto disagio, di reale affaticamento mentale, per far fronte al quale nulla avrebbe avuto a poter essere considerato meglio della possibilità di sfogo lì suggeritale. Un suggerimento, pertanto, che non avrebbe in alcun modo potuto disdegnare e che, per onestà psicologica nei confronti delle proprie compagne, delle proprie sorelle d’armi, non avrebbe avuto motivo di fingere di rifiutare… non, quantomeno, laddove tanto Duva così come Lys’sh, già avevano avuto modo di conoscerla, di conoscere il suo spirito e, con esso, il suo modo di approcciare alla vita, alla guerra e a tutto il resto, in misura tale da non potersi attendere, da parte sua, reazione diversa da quella che, nella maniera più sincera e trasparente possibile, avrebbe potuto condividere con loro.
A fronte, pertanto, delle sue parole, di quell’asserzione quasi lieta, addirittura soddisfatta nel confronto con ciò che le avrebbe potute attendere, con la nuova battaglia che si prospettava loro innanzi, non l’ofidiana, e neppure il primo ufficiale di quell’equipaggio, poterono serbarsi possibilità di sorpresa o, peggio, di rimprovero a discapito del capo della sicurezza; giacché, al contrario, eventuali dubbi non avrebbero potuto ovviare a sorgere nei loro animi in una situazione del tutto antitetica a quella, un frangente nel quale, paradossalmente, Midda Bontor, la Figlia di Marr’Mahew, l’Ucciditrice di Dei, si fosse dichiarata infastidita dall’idea di un combattimento, di uno scontro, pur del tutto imprevisto e inatteso qual quello, necessariamente, non avrebbe potuto ovviare a essere riconosciuto.

« Il fatto che, sicuramente, qualunque piega prenderà questa faccenda, il mio ex-marito ne sarà sinceramente e vivamente seccato, riconoscendoci ogni responsabilità e ogni colpa?! » sorrise, pertanto, Duva, sfoggiando in tal senso tutta l’essenza sorniona del proprio animo, in nulla e per nulla preoccupata da simile evoluzione collaterale e, anzi, se possibile, persino rallegrata da tale prospettiva.
« E questo è un problema…? » domandò, per un istante con dolce ingenuità, la giovane Lys’sh, non cogliendo la malizia invero esistente dietro a quella constatazione e ai sentimenti da essa derivanti per la propria amica.
« Assolutamente no. » negò l’altra, ridacchiando « Anzi… ove possibile, ha addirittura a considerarsi un’opportunità. » puntualizzò, a meglio evidenziare il proprio parere sull’argomento.
« Allora andiamo… » incalzò la mercenaria, già vittima delle prime scariche di adrenalina che, in lei, avevano risvegliato la bramosia per ancor altra estasiante droga naturale, in tutto e per tutto prodotta dal suo corpo e della quale, pur, la sua mente non era in grado di fare a meno, alla quale, mai, ella avrebbe potuto rinunciare, anche laddove ciò avrebbe significato condannarsi a una costante ricerca di pericolo e, potenzialmente, di morte « Abbiamo dei granchi giganti che aspettano di essere sgusciati! » ironizzò, in riferimento all’odore riportato dall’ofidiana e al suono di zampe da lei presumibilmente avvertito.

Senza attendere, quindi, ulteriori conferme o repliche dalle proprie compagne, Midda riprese la corsa estemporaneamente interrotta nella fugace parentesi di quell’incontro, proseguendo lungo il cammino innanzi a sé senza riservarsi la benché minima esitazione né, parimenti, prendere anche e soltanto in superficiale esame l’idea di voltarsi per assicurarsi della presenza, accanto a lei, alle sue spalle, delle altre due donne: in parte qual conseguenza del fatto che, comunque, la costante rappresentata dalla loro vicinanza non avrebbe avuto ragione di essere posta in dubbio, nella complicità che, sin da subito, le aveva legate l’una alle altre; in parte a fronte dell’evidenza della loro effettiva presenza, per così come a lei assicurato dalle proprie stesse percezioni sensoriali, in particolare dal perpetuo e continuo incedere di rapidi passi in perfetta sincronia ai propri; e in parte, invero, anche nel confronto con l’indiscutibile, assunta verità di quanto, un’eventuale loro assenza, non avrebbe rappresentato per lei un motivo di arresto, una ragione di freno nelle proprie azioni, avendo, certamente, piacere nel condividere la gioia per lei derivante da una nuova sfida con persone a lei tanto simili, sì affini, e, tuttavia, non potendo considerare la loro partecipazione qual una condizione necessaria e sufficiente al proprio coinvolgimento. Dopotutto, pur essendo ella lieta di poter essere nuovamente parte di un equipaggio, di una famiglia per così come, purtroppo, da oltre vent’anni non aveva avuto più occasione di potersi considerare; in quegli ultimi due decenni, e, di conseguenza, per oltre metà della propria esistenza, la donna guerriero aveva agito principalmente sola, sola affrontando le proprie battaglie e sola conquistando il proprio diritto alla vita, a discapito di tutti coloro, uomini, mostri o dei, che in senso contrario avevano tentato di esprimersi.
Intime elucubrazioni, in merito alla propria emancipata autonomia, a parte, la Figlia di Marr’Mahew non avrebbe potuto comunque ovviare a sentirsi, nel proprio intimo, più che felice per la consapevolezza di essere accompagnata, anche in quella nuova avventura, da Duva e Lys’sh.
Così come, parimenti seppur non maggiormente espresso, anche le stesse Duva e Lys’sh, dal canto loro, non avrebbero potuto negare un indubbio appagamento all’idea di potersi cimentare in qualche nuova impresa al suo fianco, in sua compagnia. Appagamento là dove, così come entrambe avevano avuto già passata occasione di riprova, con il proprio carisma, con la propria energia, con la propria forza, ella era in grado di coinvolgerle in maniera trascinante, travolgente e totalizzante nella propria visione della vita, della guerra e di tutto il resto, rendendo, anche l’esperienza più truce, più violenta e più letale, al pari di una vicenda epica, qual, in fondo, epica si concedeva essere qualunque narrazione in relazione alla sua stessa esistenza passata. In tal senso, per loro, la possibilità di combattere al fianco di Midda Bontor non avrebbe potuto minimizzarsi, banalmente, nell’occasione di concedere sfogo alla propria indole guerriera; quanto, e piuttosto, di sentirsi parte di qualcosa di più amplio, di più vasto, di più importante… protagoniste di un qualche racconto fantastico, di una straordinaria avventura come quelle che, nel periodo dell’infanzia, non avevano mancato di popolare i loro sogni più fantasiosi. Perché, in verità, quella mercenaria, quella donna guerriero, proveniente da un pianeta lontano, un mondo che, nel confronto con la propria concezione di realtà, alla luce del proprio progresso tecnologico, entrambe avrebbero potuto giudicare retrogrado e primitivo, sembrava poter incarnare, in tutto e per tutto, i valori propri di un’eroina d’altri tempi, di un’avventuriera leggendaria, di un personaggio mitologico, al confronto con il quale non poter ovviare a sentirsi, a propria volta, parte della storia, della leggenda, del mito.
In nulla e per nulla, quindi, non il primo ufficiale della Kasta Hamina, non la giovane ofidiana, avrebbero rinunciato a tutto quello, avrebbero rinunciato a restarle al fianco, a combattere, insieme a lei, battaglie che, probabilmente, in altro contesto, in altra situazione, non sarebbero apparse egualmente entusiasmanti, e che, tuttavia, in quel momento, in quel frangente, avrebbero rappresentato tutto e solo ciò per cui sarebbe valsa la pena di rischiare la propria vita, alla conquista di un’imperitura gloria. Non che, tuttavia e in effetti, in tal maniera l’Ucciditrice di Dei avrebbe descritto la propria esistenza o le proprie gesta, malgrado già, nel proprio stesso mondo d’origine, il suo nome fosse entrato nell’immaginario collettivo in misura tale da esser assolutamente certi che il personaggio di Midda Bontor sarebbe, sicuramente, sopravvissuto alla sua stessa persona, nell’ineluttabile giorno in cui anch’ella si sarebbe presentata al cospetto degli dei.


(episodio precedentemente pubblicato il 3 febbraio 2015 alle ore 7:20)

giovedì 24 agosto 2017

2287


Nel momento in cui le tre compagne di ventura, le tre sorelle d’arme, tornarono a mostrarsi riunite, ad apparire, nuovamente, quali reciprocamente integrate in maniera straordinariamente spontanea, improbabilmente naturale, e pur, obiettivamente, tale; non ebbe a sprecarsi il benché minimo fiato in banali formalità di rito, di pura e semplice retorica di conversazione, nel riconoscere qual allor prediletto un immediato coinvolgimento comune  in quel genere di condivisione, di aggiornamento tattico, che pur, sino a quel momento, era coscientemente mancato.
A prendere voce, pertanto, non fu né il capo della sicurezza, che pur sopraggiunse al luogo del ritrovo con qualche istante di ritardo rispetto al momento concordato, né il primo ufficiale della Kasta Hamina, nel riconoscere, razionalmente, qual necessario relatore la giovane ofidiana… colei che, a quel punto, non avrebbe avuto più ulteriori ragioni volte a restare asserragliata nella propria laconicità e che, di conseguenza, si riservò occasione di chiedere, immediatamente, parola.

« Duva e io eravamo appena entrate nel container sette, quando ho compreso non avremmo avuto a poterci considerare sole, là dentro. » dichiarò, mirando al cuore dell’argomento senza neppur per un istante ipotizzare di perdersi in un qualche, più prolisso, esordio « Non sono in grado di stabilire chi… che cosa vi fosse là dentro, ma sono certa di quanto il mio naso, la mia lingua e le mie orecchie hanno avuto occasione di percepire. »
« Credi di poter essere più circostanziata a tal riguardo, Lys’sh?! » la invitò la Figlia di Marr’Mahew, approfittando di quel momento di aggiornamento informativo per procedere, in parallelo, a un non meno utile aggiornamento fisico, appoggiando al suolo il borsone trasportato sino a quel luogo e subito aprendolo, al fine di ridistribuire, fra le due commilitone, l’armamentario prescelto per l’occasione, non abbisognando di aggiungere alcun ulteriore dettaglio verbale alle proprie azioni, riconoscendo, il proprio operato, già adeguatamente, autonomamente esplicativo.
« Il particolare più violentemente risaltato ai miei sensi è stato l’odore di mare… » cercò di condividere l’interrogata, benché, nel contesto specifico dell’accaduto, non semplice avrebbe avuto a poter essere riconosciuto per lei tradurre in parole delle sensazioni percettive e l’elaborazione conseguentemente derivata, nella sua mente, al confronto con tutto ciò « … qualcosa di simile all’odore dei crostacei, all’odore che emanano al banco del pesce, quando sono ancora freschi. » puntualizzò, nel contempo in cui si ritrovò a ricevere, dalle mani della propria interlocutrice, un’imbracatura contenente, in maniera opportunamente distribuita, una coppia di pugnali lunghi nonché altre sei lame più corte, da lancio.
« Possiamo escludere che si tratti del carico… giusto? » richiese conferma l’altra, in tal senso rivolgendosi, allora, non tanto in direzione dell’ofidiana, quanto dell’altra compagna, che, meglio di entrambe loro, avrebbe potuto vantare confidenza con quella nave e con eventuali episodi giustificabili, per quanto comunque insoliti o imprevisti.
« Assolutamente. » confermò Duva, annuendo appena a quell’interrogativo « Per conferma, possiamo chiedere a Lange di ricontrollare il manifesto di carico, ma, per un viaggio di media lunghezza, qual avrebbe dovuto comunque essere il nostro a prescindere da eventuali fattori esterni, abbiamo sempre evitato beni di eccessiva deperibilità, onde ovviare a facilmente comprensibili inconvenienti. » spiegò, a completamento della propria iniziale replica « Inoltre, anche nell’ipotesi di trasportare qualcosa del genere, difficilmente sarebbe stipato in maniera tale da poter… puzzare: il tutto, adeguatamente congelato, sarebbe mantenuto alla corretta temperatura all’interno di appositi contenitori refrigerati. Questo a prescindere dal fatto che, comunque, la totalità del nostro carico, soprattutto del carico all’interno dei container, è comunque stipata in casse sigillate, a comprovare l’assenza di qualunque sofisticazione sul medesimo. »
« Questo posso confermarlo anch’io… » riprese voce Lys’sh, non tanto per offrire un non necessario soccorso alla propria compagna, quanto allo scopo di meglio comprovare l’efficacia delle proprie percezioni sensoriali « Prima di giungere al container sette, gli unici odori e sapori che ho avuto occasione di sentire nell’aria, sono sempre stati quelli propri della Kasta Hamina, senza alcun valore aggiunto offerto dal carico attorno a noi. Soltanto superata quella soglia ho avvertito distintamente quell’odore… quel sapore… e, particolare non meno importante, ho sentito qualcosa muoversi innanzi a noi, fra gli scaffali. »
« Qualcosa come…? » la invitò, nuovamente, a meglio esplicitare il concetto la donna guerriero, nel mentre in cui, finito di passarle l’equipaggiamento selezionato per lei, proseguì quella fase di armamento rivolgendosi in direzione della propria gemella spirituale, anche a lei offrendo un’imbracatura e, tuttavia, in quel frangente, contraddistinta da una sciabola e da uno stiletto, lame che, avendo avuto occasione di collaudare ella stessa, non avrebbe potuto esplicitamente disapprovare, nel sapersi dimostrare adeguatamente bilanciate e indubbiamente affilate, benché, palesemente, non avrebbero avuto a poter essere riconosciute qual frutto dell’opera dell’impegno di un mastro fabbro e, in tal senso, prive di quel valore aggiunto che, entro i limitare di quell’apparentemente sconfinato spazio siderale, avrebbe avuto a dover essere altresì identificato nella propria… un valore aggiunto che, in maniera probabilmente romantica, non avrebbe esitato a definire quale l’anima stessa della spada.
« Non ne sono certa. » esitò l’ofidiana, dimostrandosi dubbiosa a tal riguardo, quasi confusa da quanto aveva avuto occasione di ascoltare « Forse sono stata influenzata dall’odore di crostacei ma… quello che ho sentito era simile al frenetico rumore di zampe sul metallo. Ma non di piccole creature: c’era qualcosa di grosso che si stava muovendo fra gli scaffali. Qualcosa di grosso e, ciò non di meno, estremamente rapido… »
« Mmm… » si limitò a commentare l’Ucciditrice di Dei, a dimostrazione dell’attenzione rivolta a quelle parole, pur, a tutto ciò, null’altro aggiungendo, almeno in quello specifico momento, preferendo limitarsi ad ascoltare, e a far proprie tutte le informazioni che avrebbero potuto concederle, ancor prima di intervenire con opinioni proprie che, in tutto ciò, non avrebbero potuto vantare maggiore importanza rispetto a mero rumore di fondo, un fastidio del quale tutte loro avrebbero fatto volentieri a meno.
« Comunque sia, e per quanto io possa essermi sbagliata sulla questione “zampe”, sono certa del fatto che qualcosa, all’interno del container sette, si stesse muovendo… e si stesse nascondendo alla nostra vista, fra gli scaffali e tutta la merce lì stipata. » riprese Lys’sh, a concludere la propria esposizione « Ragione per la quale ho suggerito una temporanea ritirata… »
« Proposta che ho immediatamente approvato. » confermò Duva, a ribadire tutto il proprio sostegno psicologico e morale nei confronti della compagna, non desiderando che la responsabilità di quella scelta, che pur riteneva fermamente corretta, potesse, in qualche modo, essere attribuita soltanto a discapito dell’ofidiana, nel momento in cui, eventualmente, si sarebbe potuto scoprire che, alla base di tutto ciò, non avrebbe avuto a dover essere riconosciuto alcun reale pericolo « Per questo motivo abbiamo abbandonato il container sette e, dopo averlo sigillato, abbiamo preso contatto con te, chiedendoti di raggiungerci. »
« Avete fatto bene. » asserì la mercenaria, terminando la distribuzione dell’equipaggiamento e riponendo la borsa da parte, là dove avrebbe potuto recuperarla comodamente in seguito, ormai svuotata e, in ciò, del tutto superflua « Se, nel mio mondo, sono riuscita a sopravvivere a vent’anni di vita da avventuriera mercenaria e, prima ancora, a dieci da marinaio, non è stato certamente merito di un qualche innato ottimismo. Anzi. » commentò, in riferimento implicito a quella parte del proprio carattere che, in molti, avrebbero potuto considerare prossima alla paranoia e che pur, obiettivamente, le aveva consentito di giungere sufficientemente illesa al traguardo dei quarant’anni… un obiettivo più che straordinario là da dove ella proveniva.
« Riassumendo… » incalzò subito dopo « Abbiamo le lame. Abbiamo le granate stordenti, quelle abbaglianti, i lacrimogeni e i fumogeni. Abbiamo un ipotetico quantitativo non meglio definibile di avversari ancor sconosciuti, che, in qualche modo ancor da chiarire, sono riusciti a superare le nostre difese e a penetrare nel container sette. E, ultimo ma non meno importante, abbiamo anche tanta voglia di menare le mani… dimentico qualcosa?! »

(episodio precedentemente pubblicato il 2 febbraio 2015 alle ore 7:20)

mercoledì 23 agosto 2017

2286


« Ai tuoi ordini, capitano. » rispose ella, neppur sforzandosi di ricorrere all’impiego della terza persona, in quella particolare declinazione di ipotetico rispetto per lei del tutto estranea e alla quale, benché avesse lasciato ormai da tempo il proprio pianeta natale, ancora non avrebbe potuto considerarsi né abituata, né tantomeno assuefatta, considerandola, ostinatamente, qual priva di qualunque ragion d’essere.

Nella sua lingua natia, dopotutto, non era prevista alcuna forma di colloquiale deferenza, anche e soprattutto nella consapevolezza di quanto troppo semplice, addirittura banale, sarebbe stato supporre di poter ingannare un proprio interlocutore, ove la stima nei riguardi del medesimo fosse rimasto relegata entro una sfera di mera, retorica argomentazione verbale. Nel suo mondo, e, soprattutto, nella lingua parlata, in varie accezioni, con diversi accenti e minimali variazione, nel preciso angolo di mondo in cui ella era nata, cresciuta, e aveva speso la quasi totalità della propria vita, quindi, risultava essere di gran lunga preferibile riservare ai fatti, ancor prima che alle parole, il compito di palesare il rispetto, o l’assenza di rispetto, nei confronti di qualcuno, diffidando, anzi, da tutti coloro che, a una riprova pratica, a una dimostrazione concreta e inconfutabile, potevano dimostrarsi prediligere vani orpelli oratori e superflui chiasmi sintattici. E quella lingua, la sua lingua, non avrebbe avuto a dover essere, neppure allora, incautamente considerata, da parte sua, qual non più parlata né, tantomeno, rammentata, non laddove, quantomeno, sin dal proprio primo giorno oltre i confini dell’unico mondo che per quarant’anni aveva avuto occasione di conoscere e di considerare qual esistente, al suo fianco, in suo supporto, si era offerto l’irrinunciabile e prezioso ausilio di un, per lei straordinario, traduttore automatico, in grado di apprendere la sua lingua riadattarla a quella impiegata da coloro a lei circostante, nell’esatto contempo in cui, parimenti, trasformava le parole pronunciate nei più disparati idiomi in vocaboli da lei riconoscibili, per lei apprezzabili.
Uno strumento, il traduttore automatico, nel confronto con il quale, comprensibilmente, ella non desiderava riservarsi una prospettiva di indefinito impiego, nella riconoscere gli importanti vantaggi derivanti, comunque, dal poter essere autosufficiente sotto tale profilo, fosse anche e soltanto nel confronto verbale con i propri compagni a bordo della Kasta Hamina, il principale idioma da loro impiegato già stava sforzandosi di apprendere, seppur con non poca fatica. Uno strumento, il traduttore automatico, nel confronto con il quale, razionalmente, ella era comunque consapevole di non poter presumere una qualche possibilità di futura, completa emancipazione… non laddove obiettivamente troppe avrebbero avuto a dover essere censite le lingue parlate nelle decine, centinaia di mondi nei quali ella avrebbe avuto potenziale occasione di avventurarsi, in una misura tale da escludere, necessariamente, qualunque ipotesi di assoluta e completa autosufficienza, per lei così come per chiunque altro. Non a caso, invero, tutti a bordo della nave, così come, più in generale, tutti coloro con i quali ella aveva avuto a che fare sino a quel momento, avevano sempre dimostrato di possedere un simile congegno, obbligati a riconoscerne l’irrinunciabile essenzialità.

Conclusi, pertanto, sia i preparativi tattici, sia la rapida conversazione con il capitano, alla Figlia di Marr’Mahew non restò altro da fare se non avviarsi, e avviarsi di gran carriera, ad attraversare l’intera estensione orizzontale della nave, per passare dalla sezione di testa, ove era collocata l’armeria di sua competenza, al corpo, e dal corpo alla sezione di coda, entrando, in tal modo all’interno del primo container.
Già accordatasi con Lange, ella non si riservò la benché minima occasione utile a riflettere sulla necessità di chiudere, personalmente, il passaggio fra la coda e il corpo, giacché qualcun altro, di lì a breve, sarebbe sicuramente accorso per agire in tal senso. Sua unica priorità, allora, avrebbe avuto a dover essere considerata soltanto, ed esclusivamente, il raggiungimento delle proprie compagne entro i limiti temporali concordati… e laddove un intervallo di tempo, spiacevolmente eccessivo, era stato da lei già speso nella propria pur fugace visita all’armeria, tappa preventiva e obiettivamente irrinunciabile, tutto ciò che avrebbe potuto riservarsi possibilità di compiere, sarebbe allor stato impegnarsi al fine di compensare, con un’andatura più rapida, quanto perduto.
Psicologicamente rilassata e paradossalmente concentrata, in quel contesto, in quella particolare situazione, avrebbe avuto a dover essere analizzata la mente della donna guerriero, già proiettata in direzione dell’eventuale battaglia che l’avrebbe potuta attendere, in tal senso negandosi, come di consueto, qualunque genere di emozione, fatta eccezione per una lieve, lievissima, e comunque inappropriata, eccitazione di base. Veterana sopravvissuta a un numero incomprensibilmente alto di guerre, di battaglie e di scontri, Midda Bontor aveva appreso da tempo quanto un qualunque genere di coinvolgimento passionale in un contesto bellico avrebbe rischiato, soltanto, di concedere fianco scoperto ai propri avversari e, in verità, benché inoppugnabilmente chiaro avrebbe avuto a dover essere riconosciuto tal concetto, ancor con eccessiva facilità ella si era concessa, nel proprio recente passato, occasione di cedere alle proprie emozioni, in particolar luogo quando, qual avversaria, si era trovata a risolvere una questione da lungo in sospeso con la propria gemella Nissa. Ma ove quello, comunque, avrebbe avuto a dover essere palesemente riconosciuto qual un contesto necessariamente delicato, soprattutto nel confronto con una storia di trascorsi lunga al pari delle loro intere esistenze; in altri scenari, in altre situazioni, l’Ucciditrice di Dei non avrebbe potuto essere accusata in maniera banale o superficiale di cedere alle proprie emozioni, ai propri sentimenti, avendo, anzi, da lungo tempo appreso come rendere il proprio animo non meno glaciale rispetto al proprio sguardo: in caso contrario, se così non fosse stato, del resto, difficilmente ella avrebbe potuto sopravvivere allo stile di vita reso proprio.
Nella specificità propria di quanto lì stava avvenendo, ancora e oltretutto, la donna guerriero avrebbe potuto vantare una così superficiale consapevolezza nel merito dei fatti, a riguardo di quanto avrebbe potuto attenderla, da rendere assolutamente vana qualunque preventiva eccitazione o preoccupazione per essa, a eccezion fatta, forse sintomatico, al di là di tutto, della sua natura umana, di quell’immancabile, lieve, bramosia di lotta, di sfida, in lei trasparente di un’ormai patologica dipendenza dall’adrenalina, per poter godere dei piacevoli effetti della quale non avrebbe esitato a catapultarsi in sempre nuove imprese, per quanto, tutto ciò, avrebbe potuto essere, non del tutto impropriamente, giudicato un comportamento potenzialmente autolesionista. Tale, tuttavia, ella era… e presumere di poter intervenire a cambiarla, a spingerla in direzione di un diverso approccio, sarebbe equivalso a tentare di sovvertire l’ordine naturale delle cose. Motivo per il quale mai, neppure il suo amato e adorante Be’Sihl, si era riservato di prendere in esame una simile eventualità, di lei innamorato, dopotutto, anche per quel pericoloso aspetto della sua vita, sebbene mai lo avrebbe ammesso apertamente, preferendo, anzi, non negarsi l’opportunità, di tanto in tanto, di lamentarsi, ormai giocosamente ancor prima che concretamente, innanzi alla prospettiva che tutto quello, quella sua continua ricerca di nuove avventure, non avesse a terminare in tempi accettabili.
Correndo attraverso il corridoio centrale del primo container, e poi del secondo, e ancora del terzo, Midda Bontor avanzò, quindi, con moto costante, con passo perfettamente cadenzato e incredibilmente costante, mai accelerando più del dovuto, mai rallentando senza giustificazione, con movimenti tanto controllati, e addirittura ipnotici nell’ipotesi di essere osservati nella loro continuità, da lasciar apparire le sue gambe, e il suo corpo tutto, non più naturale di quanto non avrebbe avuto a dover essere giudicato il suo cromato arto destro, quasi, al di sotto della sua candida pelle, non sarebbero potuti essere individuati muscoli e ossa, quanto altri servomotori non diversi da quelli presenti all’interno di quella protesi tecnologica. Tuttavia, e al di là di qualunque possibilità di fraintendimento, soltanto carne era quella che la contraddistingueva, soltanto carne era quella che la animava, carne che, non per questo, avrebbe avuto a dover essere fraintesa qual meno che straordinaria nella propria perfezione e nella perfezione di quell’incedere, affascinante e coinvolgente qual solo avrebbe potuto essere considerata la corsa di un maestoso, e potente, grande predatore felino.

(episodio precedentemente pubblicato il 28 gennaio 2015 alle ore 7:20)

martedì 22 agosto 2017

2285


Se Duva Nebiria, in tutto ciò, avrebbe potuto essere considerata quasi deliziata dalla situazione; su un altro fronte, in una diversa collocazione spaziale all’interno della nave, un’altra figura non avrebbe avuto a potersi riconoscere dispiaciuta da quanto stava accadendo, condividendo, al contrario, in tutto e per tutto il medesimo entusiasmo di colei che aveva scoperto, nelle immensità siderali, essere prossima a una propria gemella spirituale, un’anima affine con la quale, difficilmente, si sarebbe potuta ritrovare in disaccordo, soprattutto su quel particolare genere di questioni.
Sebbene obiettivamente incuriosita dalla tecnologia propria di quella nuova concezione di realtà che da poco più di un anno aveva scoperto, e che aveva immediatamente avuto occasione di apprezzare non appena, per suo merito, le era stato restituito l’arto destro, e le era stato offerto, addirittura, un braccio così potente da trasformarla, di diritto, in un essere sovrumano; dovendo scegliere, quali alternative, fra restare al seguito di Mars e assisterlo nei propri tentativi volti a riavviare le gondole motore o, piuttosto, accorrere al fianco delle proprie amiche per affrontare qualche minaccia di ignota natura, qualche pericolo ancor da comprendere nella propria entità, Midda Bontor non avrebbe avuto esitazione alcuna. Così come, allora, non ne ebbe, a prescindere da quanto pur il proprio ruolo all’interno dell’equipaggio della Kasta Hamina le avrebbe comunque richiesto di fare, nell’abbandonare repentinamente il buon meccanico per precipitarsi in direzione del proprio piccolo reame a bordo di quella nave: l’armeria… l’unica zona entro i limiti della quale avrebbe potuto riconoscersi non meno responsabile, e sovrana, rispetto a quanto non sarebbe potuto essere il medesimo Mars nella sala macchine, il dottor Ce’Shenn all’interno della sua infermeria o, così come Be’Sihl aveva avuto appassionata conferma, Thaare entro i confini della mensa e della cambusa. E benché, in relazione alle ragioni che, in quel frangente, la stavano allor animando, qualcuno avrebbe potuto giudicare probabilmente inopportuno l’incommensurabile entusiasmo con il quale ella ebbe a riabbracciare la propria lama, quell’antica compagna, quella fedele complice, quell’instancabile amante nei confronti della quale, senza imbarazzo, era solita provare un sentimento non meno sincero e vibrante rispetto a quello che destinava al proprio amato shar’tiagho; semplicemente e spudoratamente menzognero sarebbe stato per lei negare il senso di completezza, e quindi di gioia, che solo avrebbe potuto considerare qual conseguenza del ritrovato contatto fisico con la sua arma, con quella spada in compagnia della quale, fosse dipeso da lei, avrebbe persino dormito, così come, del resto, faceva un tempo, e dalla quale, ciò nonostante, si era sforzata di trovare distacco a bordo della Kasta Hamina, a dimostrazione di una solida volontà di rispetto per le regole vigenti a bordo di quella nave così come, del resto, di ogni passato veliero su cui avesse avuto possibilità di porre piede.
Quella spada bastarda, con una lama di ben quattro piedi di estensione, avrebbe avuto a dover essere riconosciuta non soltanto, obiettivamente, qual l’arma bianca più imponente presente all’interno dell’armeria della nave ma anche, e senza eccessivo azzardo, una fra le spade più imponenti rispetto a qualunque altra lama in uso entro i confini di qualunque mondo solito a giudicare se stesso qual tecnologicamente progredito. Anche ove, infatti, le armi bianche non avrebbero avuto a dover essere considerate qual vestigia di un passato ormai dimenticato in favore dell’esplorazione spaziale e, soprattutto, di alternative più distruttive, quali armi da fuoco laser o al plasma, nell’essere, al contrario, ancora più che quotidianamente impiegate a ovviare ai rischi derivanti dall’impiego di tali alternative in contesti quali quelli propri dell’interno di una nave spaziale, nonché nell’essere, comunque, riconosciute indubbiamente più efficaci ed efficienti negli scontri a distanza ravvicinata; armi come spade bastarde a una mano e mezza o, peggio, spadoni a due mani, avrebbero avuto a dover essere riconosciute effettivamente scomparse, dimenticate, fosse anche, e semplicemente, per questioni di ingombro e maneggevolezza, tali da rendere preferibile spade dalle dimensioni più contenute, daghe o, addirittura, pugnali. Ragioni, quelle in potenziale opposizione alla propria lama, che mai avrebbero potuto tuttavia trovare il pur minimo interesse all’interno della mente della mercenaria, della sua abitualmente fredda razionalità, che pur, in tal contesto, non avrebbe mai potuto, per alcuna ragione, supporre di prendere in considerazione l’idea di tradire quella propria vecchia amica, compagna di troppe avventure, di troppe battaglie, e a lei legata da un valore affettivo troppo elevato, in favore di una qualsivoglia alternativa, per quanto di più agevole trasporto. Non che, per lei, la propria spada avesse mai rappresentato, invero, una qualche ragione d’ingombro, fosse mai stata associata, neppur fugacemente, all’idea di un peso superfluo.

« Rientriamo in azione… mia cara. » si premurò di avvisarla, nel mentre in cui, con gesti rapidi, agganciava al proprio busto e ai propri fianchi un’imbracatura di sostegno, utile non soltanto per offrire supporto al fodero della propria spada, ma anche ad altri eventuali, possibili accessori, non avendo ragione di disdegnare, accanto alla sua prediletta, l’impiego di qualche novità tecnologica… o, quantomeno, di ciò che per lei non avrebbe potuto mancare di apparire qual una novità tecnologica, fosse anche, per tutti gli altri, qualcosa di noto da decenni se non da secoli.

In quella particolare occasione, al proprio equipaggiamento, ella non si scordò di abbinare alcuni presenti per le proprie compagne, per meglio trasportare i quali valutò opportuno ricorrere a un borsone, all’interno del quale si sbrigò ad accatastare, in maniera sufficientemente ordinata, quanto ritenne idoneo alla sfida che si sarebbero ritrovate ad affrontare, anche partendo dal presupposto, non banale, di non conoscere effettivamente dettagli nel merito di quanto avrebbe loro atteso. E nel mentre in cui il borsone si ritrovò a essere, via via, sempre più completo nelle armi da lei scelte, il capo della sicurezza della Kasta Hamina ebbe anche sufficiente rispetto per il proprio ruolo, per il proprio incarico, per le proprie responsabilità, da rammentarsi, particolare per lei ancor non necessariamente retorico, di prendere contatto con il capitano, ancora una volta ricorrendo all’ausilio dell’interfono.

« Capitan Rolamo. Qui Midda, dall’armeria… » prese parola dopo aver premuto il tasto per aprire la conversazione, subito ritornando al proprio primario impegno nel non voler rischiare di sprecare un istante in più rispetto al necessario, laddove il tempo riservatole per arrivare al luogo dell’incontro non avrebbe avuto a dover essere giudicato illimitato.
« Qui Lange. Parla pure… » esordì la voce dell’uomo, invitandola a proseguire.
« Sono appena stata contattata da Duva e Lys’sh, dal container sei. » spiegò la mercenaria, non dovendosi sforzare, invero, neppure di dover riassumere la questione, dal momento che, quanto a lei noto sino a quel momento, avrebbe avuto già a dover essere considerato un riassunto della faccenda « C’è un qualche problema, ancor non meglio definito, per il quale hanno richiesto il mio supporto. Mi sto accingendo a dirigermi ai container, trasportando con me adeguato equipaggiamento: consiglio, dopo il mio passaggio, di sigillare l’intera sezione di coda per precauzione… »
« Ritieni possa servire supporto…? » domandò il capitano, benché, qualcosa, nel suo tono, trasmise un certo senso di retorica, nell’evidente precognizione di quanto, ella, sicuramente non avrebbe tardato a replicare, da lui già più che perfettamente inquadrata, complice, sicuramente, un carattere sostanzialmente similare a quello della propria ex-moglie.
« Io sono il supporto. » replicò la Figlia di Marr’Mahew, chiudendo il borsone e sollevandolo, senza percezione di affaticamento alcuno, con l’ausilio del proprio destro, in grazia al quale avrebbe potuto trasportare un peso di almeno dieci volte superiore a quello « Una volta raggiunte Duva e Lys’sh, cercherò di comprendere la situazione e farò rapporto. Fino ad allora, limitatevi a sigillare la sezione di coda e a presidiarne il passaggio. »
« D’accordo. » sospirò l’uomo, accettando, evidentemente non senza una certa disapprovazione, quel piano, in assenza di alternative migliori da proporre « Mi tenga informato, Bontor! » concluse poi, passando a un tono più formale, nel quale, forse, suggerire un qualche rimprovero preventivo o, forse, celare una certa preoccupazione al confronto con quanto stava accadendo a bordo della propria nave, purtroppo al di fuori di ogni propria possibilità di controllo.

(episodio precedentemente pubblicato il 27 gennaio 2015 alle ore 7:20)

lunedì 21 agosto 2017

2284


Benché i container non appartenessero, in senso stretto, all’architettura propria della nave, alla sua struttura base, risultando, invero e concretamente, un’espansione della medesima, un’estensione estemporanea annessa alle sezioni della testa e del corpo e intercambiabile, in ogni proprio segmento, all’inizio e alla fine di qualunque viaggio, ad agevolare, in tal maniera, le operazioni di carico e scarico delle merci; nell’esatta misura in cui essi condividevano, con le altre due sezioni della Kasta Hamina, un comune controllo ambientale, godendo delle medesime risorse di ossigeno, oltre che, particolare non secondario, di gravità artificiale, nonché, ovviamente, di una comune copertura di scudi energetici e, ancora, dello sfasamento quantistico utile a garantire all’intera nave possibilità di compiere i propri altrimenti soltanto ipotetici viaggi, essi risultavano, necessariamente, interconnessi a ogni altro sistema proprio della classe libellula, primo fra tutti il sistema di comunicazione interno, costituito, nella fattispecie, da una serie di interfono regolarmente sparsi sia in ogni ambiente della nave vera e propria, sia in ognuno di quei container, seppur in quantitativo proporzionalmente inferiore. In tutto ciò, quindi, anche laddove fisicamente distanti dai propri compagni, dal resto dell’equipaggio, Duva e Lys’sh non avrebbero avuto a potersi considerare del tutto isolate dagli stessi e, al di là dell’allor già accordata necessità volta a ripiegare, fosse anche e soltanto al fine di procurarsi armi adeguate ad affrontare qualunque genere di pericolo le stesse allor attendendo, né l’ofidiana, né, tantomeno, il primo ufficiale, avrebbero potuto trascurare l’imperante necessità di garantire ai propri compagni informazione nel merito di quanto stesse accadendo, affinché, qualunque piega avrebbe potuto prendere quella situazione, i loro compagni non avrebbero mancato di restare adeguatamente aggiornati sui fatti, trascendendo, in tal modo, dalla loro effettiva capacità di riportarli in maniera diretta e, quindi, dalla loro non necessariamente ovvia sopravvivenza.
Nell’esatto istante in cui Lys’sh si ritrovò impegnata ad agire sui portelli stagni di connessione fra il sesto e il settimo vagone di stiva, ad assicurarsi la chiusura dei medesimi e, almeno per il momento, l’ipotetico isolamento del pericolo da lei ravvisato; Duva non perse pertanto occasione di raggiungere il più vicino interfono, per richiedere comunicazione con chi, prima fra tutti, avrebbe avuto a dover essere informata dei fatti, nel suo ruolo di capo della sicurezza: Midda Bontor.

« Qui Duva dal container sei. Midda, mi senti? » richiamò, confidando nel fatto che l’amica non si sarebbe fatta attendere prima di risponderle « Midda… abbiamo un problema. » insistette, non per un qualche personale cedimento a un pur naturale sentimento d’ansia qual avrebbe potuto contraddistinguere il momento, quanto, e piuttosto, per lasciar risultare ancor più evidente l’urgenza di quella chiamata, alla base della quale non avrebbe avuto a dover essere frainteso un semplice desiderio di chiacchiera.
« Qui Midda, dalla sala motori. » confermò la voce della Figlia di Marr’Mahew, in quel frangente risuonando spontaneamente confortante nel provenire dall’altoparlante dell’interfono, anticipando, seppur di poco, l’ulteriore sensazione di piacevole controllo sulla situazione che fu in grado di concedere, con la propria successiva frase « Passo dall’armeria e vi raggiungo. Attendo conferma sul luogo… » dichiarò, lasciando trasparire quanto, dal suo personale punto di vista, interrogativi come “chi”, “che cosa” o “perché” avessero a dover essere riconosciuti del tutto superflui, dal momento in cui, la sua peculiare soluzione, avrebbe avuto a dover essere puntualmente ricondotta al straordinario filo della sua tutt’altro che comune spada bastarda, la quale, benché forgiata in un mondo da tutti loro considerabile qual primitivo, era stata plasmata con tecniche tali da renderla sostanzialmente superiore alla quasi totalità delle lame presenti in quell’angolo di universo e prodotte per merito di tecnologie indubbiamente più avanzate.
« Lys’sh e io stiamo retrocedendo. » la informò il primo ufficiale, per nulla sorpresa dall’efficienza della propria interlocutrice laddove, in caso contrario, non avrebbe avuto alcuna ragione a selezionarla per il ruolo che le era stato riservato « Incontriamoci nella congiunzione fra i container tre e quattro, entro un quarto d’ora. Ricevuto? »
« Ricevuto. » concluse la mercenaria, null’altro aggiungendo alla comunicazione e, anzi, concludendola con quell’ultima, semplice, asserzione, a dimostrazione di quanto, entro i limiti delle sue competenze, non sarebbe stato necessario aggiungere altro per sapere come agire.

E se l’Ucciditrice di Dei non avrebbe avuto necessità di altre informazioni, dal canto loro Duva e Lys’sh non avrebbero avuto necessità di spendere un solo istante di più in quel punto, non laddove la giovane ofidiana aveva, nel contempo, concluso la propria operazione volta a sigillare il settimo vagone, almeno in direzione del sesto e, su quel fronte, del resto della nave, e il secondo in comando della Kasta Hamina aveva già utilizzato, a sufficienza, l’interfono, nella certezza di quanto, informata la propria sorella d’arme, non vi sarebbe stata la benché minima esigenza di aggiungere nulla di più in direzione di qualunque altro membro dell’equipaggio, incluso persino il suo stesso ex-marito nonché capitano: sarebbe stata, infatti, premura della stessa donna guerriero aggiornare Lange nel merito della breve comunicazione intercorsa fra loro e, sebbene nessun concreto dettaglio utile fosse stato sino ad allora condiviso, quella breve comunicazione sarebbe stata utile per permettere, a chiunque a bordo della nave, di essere informato in merito ai termini entro i quali avrebbero avuto a dover agire. Dopotutto, invero, neppure la stessa Duva avrebbe potuto, in quel mentre, vantare una maggiore consapevolezza nel merito delle ragioni alla base di quell’allarme… e, ciò nonostante, nulla di più le era risultato necessario per decidere come agire.
A prescindere da qualunque genere di minaccia potesse aver messo in guardia gli incredibilmente affinati sensi di Lys’sh, quanto essi avrebbero avuto a dover compiere sarebbe comunque stato esattamente ciò che, tutti, si stavano già predisponendo a compiere. E, al di là di ogni pur umana e giustificabile curiosità volta, allora, a domandare lumi alla propria giovane compagna nel merito di cosa avesse avverto; Duva era razionalmente cosciente di quanto, in quel frangente, prioritario sarebbe stato giungere, quanto prima, al luogo dell’incontro fissato con la loro terza sodale, per lì potersi armare e, solo a quel punto, potersi riservare l’opportunità di un unico, collettivo, aggiornamento su quanto avrebbe potuto attenderle, almeno entro i limiti di quello che sarebbe stato loro consentito di conoscere in conseguenza dell’assenza di un effettivo contatto diretto con la minaccia che, speranzosamente, sarebbe rimasta all’interno del container sette, in quieta attesa del loro ritorno.
Solo un ulteriore cenno d’intesa, pertanto, fu quanto intercorse fra le due donne, prima che entrambe riprendessero il cammino, allora mutato in corsa, a ripercorrere i propri passi e a riconquistare, nel minor tempo possibile, il maggior numero di vagoni di stiva. Una corsa non sfrenata, la loro, una corsa non precipitosa né disordinata, quella in cui si impegnarono, nella consapevolezza di non potersi permettere di bruciare scioccamente le proprie energie in una scombinata fuga… non, per lo meno, laddove, presto, lì sarebbero dovute tornare per riprendere il cammino da dove, soltanto estemporaneamente, sospeso, in una ronda di ricognizione momentaneamente interrotta e pur, certamente, non annullata, ma soltanto posticipata e, nel dettaglio, posticipata al momento in cui sarebbero state adeguatamente equipaggiate per affrontare qualunque sfida avrebbe potuto essere loro lì riservato.

« E io che temevo di potermi annoiare, in questo viaggio… » non si negò di sussurrare, quasi un pensiero fra sé e sé, la conturbante Duva, increspando appena le estremità delle proprie carnose labbra in quello che, difficilmente, non avrebbe potuto essere inteso qual un sorriso e, prestando sufficiente attenzione, un sorriso né caratterizzato da ironia, né da sarcasmo, quanto e piuttosto da una sincera soddisfazione, da un forse allor improprio senso di appagamento, laddove, malgrado il pericolo che, in tal maniera, si stava spiacevolmente sommando alla situazione di crisi già in corso a bordo della Kasta Hamina, ella non avrebbe potuto ovviare a considerarsi intimamente soddisfatta innanzi alla prospettiva di una nuova battaglia, di un nuovo combattimento, alla ricerca dell’inebriante, e per lei ormai assuefacente, sapore dell’adrenalina nelle proprie vene.

(episodio precedentemente pubblicato il 26 gennaio 2015 alle ore 7:20)

domenica 20 agosto 2017

2283


Fu, tuttavia, questione di un istante, per il primo ufficiale della Kasta Hamina, rendersi conto di come, in quella particolare occasione, in quel preciso momento, la propria compagna avesse terminato ogni genere di giuoco, in favore del ritorno a un più serio approccio a quanto a loro circostante. In tal senso, per garantire simile consapevolezza, fu semplicemente sufficiente volgere lo sguardo alla propria sinistra, in direzione di lei, a coglierne l’improvvisa, subitanea tensione del viso e, con essa, pupille insolitamente contratte, nel desiderio, nella volontà di escludere, in tal modo, ogni distrazione derivante la propria vista e, di conseguenza, riuscire a carpire ogni possibile segreto celato in quell’ambiente apparentemente tranquillo, ipoteticamente consueto, non più pericoloso di quanto non avrebbero avuto a dover essere giudicati i container già affrontati e ormai dimenticati alle proprie spalle… e che pur, per una ragione ancor da chiarire, la giovane ofidiana aveva allor riconosciuto palesemente qual ostile, qual avverso, qual, per loro, sinonimo di minaccia.
E anche laddove pur, altri, nelle vesti di Duva, avrebbero probabilmente banalizzato simile reazione, giudicandola frutto di qualche abbaglio, forse della stanchezza, o di un’immaginazione troppo vivace, atta a suggerire l’esistenza di antagonisti anche innanzi a uno spazio che, seppur ampio e colmo di casse, avrebbe avuto a dover essere considerato necessariamente vuoto; la donna non esitò neppur per il tempo di un battito di ciglia, a seguito di quel tacito messaggio, ad accogliere quel richiamo alle armi qual necessariamente onesto, indiscutibilmente sincero, non laddove, nel corso dell’ultimo anno, Lys’sh le aveva offerto innumerevoli riprove delle proprie effettivamente straordinarie capacità, a partire da alcuni sensi incredibilmente sviluppati, utili a concederle di spingere la propria coscienza ben oltre i consueti limiti propri di un essere umano. Sebbene non di sangue ofidiano puro, infatti, e, in ciò, priva di una qualsivoglia sensibilità agli infrarossi a differenza di altri esponenti della medesima razza, al contrario, addirittura contraddistinta da una vista, di conseguenza, obiettivamente limitata rispetto anche e soltanto a quella propria delle proprie due sorelle d’arme; la giovane avrebbe potuto altresì vantare, innanzitutto, udito e tatto ben più affinati e, soprattutto, olfatto e gusto geneticamente superiori a quelli di qualunque essere umano. Una combinazione, quindi, di capacità sensoriali assolutamente notevoli e atti a garantirle, all’attenzione di Duva, Midda o chiunque altro a bordo della Kasta Hamina, un sesto senso forse e persino superiore a quello che, dal canto proprio, avrebbe potuto vantare possedere, in contesti squisitamente bellici, la stessa Ucciditrice di Dei.
Proprio il capo della sicurezza del loro equipaggio, così come, parimenti, tanto Duva, quanto Lys’sh avevano già avuto occasione di riprova, a seguito di probabilmente troppi combattimenti, di apprezzabilmente troppe battaglie e di indubbiamente troppe guerre, aveva maturato l’apparentemente sovrumana capacità di muoversi all’interno di un conflitto quasi per inerzia, non abbisognando realmente di elaborare la presenza di una minaccia per ovviare a essa, né, parimenti, necessitando di individuare coscientemente un bersaglio per colpirlo. Non a caso, uno degli appellativi a cui ella era più affezionata, forse l’unico del quale, talvolta, si era spinta a cercar vanto, le era stato attribuito a seguito di una leggendaria vittoria da lei conseguita in opposizione a oltre ottanta sanguinari e crudeli predoni dei mari, allora sistematicamente massacrati per sua mano benché, in tal occasione, sostanzialmente nuda e armata di quella che a seguito sarebbe divenuta la sua consueta spada e di un martello da fabbro, e benché, ancora, lì concretamente priva di qualunque cognizione di sé, nello scoprirsi coinvolta, in tale battaglia, in tanto sanguinario conflitto, appena reduce da un potenzialmente letale naufragio a seguito del quale, svenuta ed estemporaneamente priva di memoria, era stata deposta, dalle onde del mare, sul bianco litorale di quella stessa piccola isola, gli abitanti della quale, da lei salvati, le avevano tributato quel particolare nome: Figlia di Marr’Mahew, dea della guerra.
A prescindere dall’identità della propria compagna di ventura, quindi, fosse questa la mercenaria oppure la giovane ofidiana, il primo ufficiale della Kasta Hamina avrebbe avuto quindi solide, e già ampiamente comprovate, motivazioni per non porre in dubbio un qualunque segnale di allarme. Ragion per cui, neppure in quel frangente, Duva volle rischiare di avere motivo, a posteriori, di rimprovero o, peggio, di rimorso per eccessiva e pericolosa leggerezza… non, soprattutto, laddove già sufficientemente precarie avrebbero avuto a dover essere giustamente ricordate le loro condizioni correnti.
E per quanto, in tutto ciò, ella avrebbe ben desiderato poter prendere voce e questionare alla ricerca di un maggiore dettaglio in merito a quanto lì stava accadendo, e, ancor più, a quanto, proprio malgrado, ella non stava avendo consapevolezza che stesse occorrendo; la donna mantenne sufficiente autocontrollo da restare in silenzio e attendere, eventualmente, che fosse l’altra a interloquire per prima, nella volontà di non ostacolare l’impegno sensoriale che, in tutto ciò, stava evidentemente investendo alla ricerca di risposte concrete, di una verità inconfutabile. Verità che, certamente, sarebbe stata spontaneamente condivisa non appena fosse stata rivelata… in tutto o, anche e soltanto, in parte.

« Torniamo indietro… e sigilliamo il passaggio fra i due container. » sussurrò, alfine, Lys’sh, suggerendo, fra tutte le ipotesi possibili, forse la sola che Duva avrebbe avuto motivo di temere, laddove atta a definire un pericolo, e un pericolo imminente, di fronte al quale pur non avrebbero potuto garantirsi possibilità di intervento… non in quel preciso momento, quantomeno, nel non essere neppure armate.

Come anche Midda aveva presto scoperto, infatti, le regole abitualmente vigenti a bordo di una nave stellare non avrebbero avuto a dover essere considerate così distanti da quelle altresì proprie di un qualunque vascello marittimo, prima fra tutte la necessità di minimizzare possibilità di spiacevoli incidenti, involontari o meno, nel mantenere un equipaggio armato nei momenti in cui alcuna necessità di dimostrarsi tali avrebbe trovato una qualche giustificazione. In effetti, così come, a bordo di un qualunque veliero del mondo natio della mercenaria, recare seco una spada, un pugnale, o una qualunque altra lama, avrebbe rappresentato, obiettivamente, soltanto un ingombro, soprattutto nel considerare gli spazi sempre e comunque necessariamente contenuti e l’agilità richiesta a qualunque membro di un equipaggio per il compimento del proprio lavoro; anche a bordo di una nave spaziale, girare armati, con lame o, peggio, armi soniche, laser o al plasma, avrebbe avuto a dover essere giudicato soltanto un impiccio, in quelli che, al di là dell’aspetto maestoso di molte navi, avrebbero avuto a dover essere comunque riconosciuti quali interni minimali, nella ricerca di un’estrema ottimizzazione dell’impiego dello spazio a disposizione anche a discapito della comodità. In corridoi stretti, attraverso porte per passare oltre le quali sovente sarebbe risultato necessario anche abbassare il capo, e volte a garantire la massima possibilità di compartimentazione dell’intera struttura in presenza di una qualche, necessariamente letale, falla; improbabile sarebbe stato poter indicare qual agevole il passaggio recando al proprio fianco una qualunque arma bianca, mentre soltanto e semplicemente suicida sarebbe stato ricorrere all’impego di armi da fuoco, laddove, ancora una volta, l’eventualità di una falla nello scafo non sarebbe stata in alcuna misura accettabile, neppure nelle navi di classi più moderne e meglio equipaggiate di quanto, proprio malgrado, non avrebbe potuto vantar di essere la piccola Kasta Hamina, di classe libellula.
Solo un cenno di assenso fu quanto volle riservarsi di proporre, in tutto ciò, il primo ufficiale della nave, subito retrocedendo e cercando, in tal senso, di mantenere il proprio passo quanto più leggero e felpato si sarebbe potuta concedere, nell’offrire evidenza di aver saputo anche interpretare il tacito invito al silenzio che, fra le righe, Lys’sh le aveva rivolto, nel mantenere a propria volta la propria stessa voce prossima a un sibilo appena udibile. Perché qualunque pericolo si stesse lì celando, qualunque avversario avrebbero avuto a dover temere a bordo della loro stessa nave, avrebbe potuto sentirle, avrebbe potuto rendersi conto dell’estemporanea ritirata nella quale entrambe avevano concordato di impegnarsi, e, di fronte a simile scenario, avrebbe potuto ritrovarsi spiacevolmente contrariato, non potendo condividere l’ipotesi di ritrovarsi scomodamente separato dalle proprie potenziali prede.

(episodio precedentemente pubblicato il 21 gennaio 2015 alle ore 23:56)