11 gennaio 2008 - 11 gennaio 2018: dieci anni con Midda's Chronicles!

Midda Bontor: donna guerriero per vocazione, mercenaria per professione.
In una realtà dove l'abilità nell'uso di un'arma può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide per offrire un senso alla propria esistenza.


Dall'11 gennaio 2008, ogni giorno un nuovo episodio,
un nuovo tassello ad ampliare il mosaico di un sempre più vasto universo fantastico...
... in ogni propria accezione!

Scopri subito le Cronache di Midda!

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E siamo a... QUATTROMILA!

Cioè... tecnicamente saremmo anche a molti di più (4.240) nel considerare anche le tre avventure del ciclo Reimaging Midda e tutti gli speciali. Ma conteggiamo solo i numeri della "serie regolare" e, ciò nonostante, arrivamento all'incredibile traguardo di QUATTROMILA pubblicazioni quotidiane!

Grazie a tutti!

Sean, 18 giugno 2022

mercoledì 2 agosto 2017

RM 213


« In verità, la vicedirettrice Lavero mi ha aperto una presa per l’aria nella spalla… » aveva quindi ammesso, non senza palese rammarico « E credo che sia meglio che anche io vada a farmi un giro al pronto soccorso, a farmi rappezzare prima di rischiare di morire dissanguata. »
« Cosa…?! » era esplosa l’altra, sicuramente sgranando gli occhi a quell’ultima affermazione anche se l’investigatrice privata non aveva avuto occasione di vederla personalmente « Dannazione, Midda: quando ti ho chiesto “Come stai?”, questa avrebbe dovuto essere la prima informazione da offrire! » l’aveva rimproverata, subito dopo « Per come la stai raccontando tu, potrebbe apparire qual una nota a margine priva di importanza… »
« Avremo tempo di parlarne meglio domani o dopo… » aveva continuato a minimizzare la donna, facendo atto di stringersi fra le spalle e, ciò non di meno, subito arrestandosi, nel dover trattenere un gemito fra i denti per il dolore conseguente a quello stupido movimento « … ora voi pensate a concludere l’arresto e a informare la famiglia di Carsa di quanto è accaduto. Io vado a farmi mettere un tappo sul buco e, piacendo al Cielo, me ne tornerò a casa, a farmi un lungo e meritato sonno, credo almeno fino a domani sera. » aveva dichiarato i propri intenti, con serenità.
« Fatti ricoverare, piuttosto! » l’aveva invitata Ja’Nihr, per quanto, nel proprio tono, ben lontano dal potersi dire convinta dalla propria stessa affermazione, laddove, per quel poco che già aveva imparato a conoscerla, difficilmente l’altra avrebbe agito nella maniera più assennata « Non c’è bisogno di giocare continuamente a fare la dura, sai?! »
« E chi gioca…? » aveva concluso Midda, sorridendo serenamente prima di salutarla e chiudere, in tal maniera, la comunicazione.

A dispetto, quindi, dell’invito di Ja’Nihr, sua avvocatessa; contrariamente a qualunque raccomandazione che i medici stessi le ebbero successivamente a offrire; e nella più irrispettosa indifferenza anche dell’opinione della sua gemella Nissa, che pur tanto aveva insistito affinché, dopo le necessarie cure, ella accettasse quantomeno un giorno o due di degenza ospedaliera, per offrire al proprio corpo un ambiente più salubre in cui riprendersi rispetto a quanto, proprio malgrado, sapeva sarebbe stato il suo monolocale adibito a ufficio; alle tre di notte, Midda Bontor aveva avuto a pretendere di poter firmare la liberatoria per la propria dimissione dal pronto soccorso, nel fermo e testardo intento di poter fare ritorno a casa, a tener fede al proposito dichiarato di dormire almeno sino alla sera successiva. Un ritorno a casa per il quale, addirittura, ella aveva rifiutato persino l’idea di un passaggio in auto da parte della propria pur amata sorella, laddove, ne era certa, in tal caso quest’ultima ne avrebbe certamente approfittato per dirottarla al proprio sterminato attico, là dove, pur al di fuori di un ospedale, avrebbe potuto quantomeno tenerla sotto controllo e, all’occorrenza, richiedere al proprio medico di fiducia di raggiungerla, per prestarle eventuali cure del caso; in un contesto, quindi, che, in breve, si sarebbe trasformato in un più esclusivo, e più raffinato, ambiente ospedaliero e pur, egualmente, tale.
Con il destro fermamente legato al collo da una scomoda, ma necessaria, imbracatura utile a impedirle qualunque movimento del medesimo arto; ella aveva quindi salutato la propria gemella sul marciapiede antistante l’ingresso al pronto soccorso e, caricatasi sul primo taxi, si era fatta riaccompagnare a casa, felice nella prospettiva, dopo tanto tempo, di poter concludere almeno una giornata con la soddisfazione di aver fatto bene il proprio lavoro, di aver risolto non uno, ma ben due casi e, forse, di aver anche raddrizzato la rotta intrapresa tre anni prima dalla propria vita quotidiana. Certamente a tal riguardo, e almeno in stretto riferimento all’ultimo punto, ella avrebbe avuto ancora a dover lavorare un po’, nel dover comprendere se e come, effettivamente, la sua esistenza avrebbe potuto mutare… ma, per quella sera, anzi, per quella notte ormai prossima a cedere il passo a un nuovo giorno, ella avrebbe potuto anche concedersi l’occasione di considerarsi soddisfatta per quanto, così, già riportato, già ottenuto.

Sebbene al pronto soccorso non ne avesse avuto l’occasione, durante il viaggio verso casa, certamente, la donna dagli occhi color ghiaccio avrebbe potuto estrarre il proprio cellulare e, non senza un certo impegno nell’impiego della mancina in luogo alla destra, ella avrebbe potuto verificare la presenza di ben tre messaggi, uno testuale e due vocali, lì lasciati da parte di Ja’Nihr, nel mezzo di molti altri, fra cui diversi atti a testimoniare chiamate perse da parte dei suoi genitori, nonché almeno altri quattro da parte del signor Anloch, il quale, alla notizia del ritrovamento dell’amata figliola, e del merito, a tal riguardo, della sua stessa investigatrice privata, non aveva perduto tempo nel cercare di contattarla, per ringraziarla. Tuttavia, in quel momento, alla fine di quell’altresì interminabile giornata, nella quale, ancora per poco, avrebbe potuto realizzare le ventiquattro ore continuate di veglia, ella non avrebbe potuto considerarsi desiderosa di prestare attenzione ad alcuna ulteriore questione e, non senza un certo egoismo, aveva deciso di ignorare esplicitamente il proprio cellulare, in una scelta che, a posteriori, non avrebbe potuto rivelarsi particolarmente fortuita… quantomeno e soprattutto nel merito delle informazioni che avrebbe voluto trasmetterle la sua avvocatessa nel merito del mancato arresto, tale a causa dell’irreperibilità della persona da loro ricercata.
Molto presto, comunque, ella sarebbe stata in grado di giungere autonomamente a tale, spiacevole, novità…

Dopo aver quindi speso il proprio tempo a cercare di non addormentarsi, quando, ormai, le quattro avrebbero avuto a doversi considerare pressoché imminenti, ella ebbe il piacere di rivedere la via di casa propria.
Pagata la corsa e lasciato il taxi, nel ritrovarsi in tal modo davanti all’ingresso della palazzina all’interno della quale avrebbe avuto a dover essere individuato anche il suo appartamento, l’investigatrice privata non avrebbe potuto ovviare a desiderare solamente salire le rampe di scale necessarie per raggiungere il proprio alloggio e il proprio letto, e lì spiaggiarsi con tutti i vestiti addosso, crollando lì addormentata. E così, indubbiamente, ella si era impegnata a tentar di fare…
… se nonché, entrata in casa, ad attenderla avrebbe avuto a dover essere riconosciuta la spiacevole conferma di quanto, suo malgrado, la serratura della propria porta d’ingresso avrebbe avuto a dover essere cambiata, divenuta, chiaramente, pressoché inutile, dopo quanto già pur reso intuibile dalla visita a sorpresa di Be’Sihl la notte precedente. Fu proprio appena superato l’uscio del proprio monolocale, infatti, che la Beretta M9 ebbe a presentarsi dietro la sua nuca, offrendole un benvenuto non propriamente gradevole.

« E’ tutta colpa tua… maledetta… è tutta colpa tua… » la accolse una voce nota, in riferimento a un argomento facilmente intuibile e che pur, allora, la padrona di casa dovette sforzarsi di non capire o di non conoscere, nella speranza, in tal senso, di poter accumulare qualche ulteriore istante utile a garantirsi di individuare una qualche soluzione geniale a quell’apparente scacco matto « Non avrebbe dovuto finire così… non avrebbe dovuto finire così… » ripeté due volte, nell’evidenza di una chiara assenza di controllo sulle proprie emozioni, e sulle proprie azioni, in misura tale per cui, purtroppo, avrebbe avuto a doversi considerare persino più pericolosa, in quanto estranea a qualunque genere di logica.
« Keira…? » esitò pertanto, cercando di apparire quanto più possibile sorpresa da ciò che lì stava accadendo, dalla presenza di Faccia D’Anatra nel suo appartamento, sorpresa che, in verità, non avrebbe avuto a doversi considerare del tutto artefatta, completamente simulata, giacché, per quanto a lei noto, avrebbe avuto a doversi considerare già agli arresti, in quel momento, qual responsabile del terribile sequestro di Carsa Anloch « Keira… che ci fai a casa mia? Perché mi stai puntato una pistola alla testa, per carità divina?! » le domandò, nel mentre in cui la sua mente stava già cercando di comprendere quante reali speranze avrebbe potuto allor vantare, scoprendone, spiacevolmente, un numero incredibilmente basso… persino più basso della stima compiuta in precedenza allo scontro con Desmair.

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